a cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro
Nel corso degli anni era consolidata l’idea di poter trattare la colpa medica alla stregua delle altre, senza però tenere conto dell’unicità del ruolo del medico, la cui opera interviene, necessariamente, sull’incolumità del corpo e della persona. Per questo è meritevole di valutazioni differenti rispetto ad altre professioni.
Una Commissione per lo studio e l’approfondimento delle problematiche relative alla colpa professionale medica è stata istituita con un decreto dell’attuale Ministro della Giustizia, il 28 marzo scorso e si è insediata formalmente lo scorso 13 aprile.
L’obiettivo non è certo l’impunità del medico, ma individuare un perfetto punto di equilibrio tra la piena tutela del paziente e la serenità del medico nella prestazione della sua opera. La Commissione sta valutando la possibilità di estendere l’operatività di un così detto “scudo penale” per i sanitari, cioè la depenalizzazione dei reati colposi commessi nell’esercizio della loro attività professionale. L’ipotesi al vaglio, consentirebbe ai pazienti il ristoro economico delle loro pretese dinanzi al giudice civile senza però condurre il sanitario dinanzi al giudice penale, dove subirebbe un lungo processo che affanna anche la vittima, oltre che rischiare una pena.
Sono dati ufficiali che, ogni anno in Italia vengono intentate 35.600 nuove azioni legali, mentre ne giacciono 300 mila nei tribunali contro medici e strutture sanitarie, ma nel 97% dei casi, in ambito penale, si traducono in un nulla di fatto, con il proscioglimento o l’assoluzione nel merito del medico. Questo, però, comporta costi giganteschi per lo Stato e, dunque, per i cittadini.
Il problema degli errori medici esiste, e non solo in Italia, ma si tratta molto incisivamente di infezioni correlate all’assistenza sanitaria (6-700 mila casi) che si trasformano in decessi nell’1% dei casi. Si tratta di stime, non ci sono dati certi, diversamente dai costi che sono facilmente individuabili.
Questa proposta normativa è stata accolta positivamente dal comparto dei medici e del personale sanitario, ma occorre porsi alcuni interrogativi.
Innanzitutto se è davvero escluso che il sanitario possa essere coinvolto in un procedimento penale alla luce della nuova norma; la responsabilità sarebbe esclusa solo nel caso di colpa giudicata non grave. È evidente che le ipotesi di dolo e colpa grave non possono essere coinvolte dalla norma. Proprio il riferimento alla colpa grave, però, non esclude automaticamente il fatto che il sanitario possa comunque ritrovarsi imputato in un processo penale. Quindi, ogni singolo fatto dovrà essere analizzato dal Pubblico Ministero ed eventualmente dal Giudice per valutare se si versi in una situazione psicologica di colpa generica o di colpa grave.
Pertanto, un evento oggetto di denuncia sarà sempre sottoposto al vaglio delle indagini, per verificare il tipo di errore e la relativa colpa da attribuire per escludere la procedibilità in caso di colpa non diversamente qualificata.
Bisogna, poi, valutare se l’esclusione dal processo penale della vicenda che coinvolge paziente e sanitario è un’autentica garanzia per il medico. Infatti, il paziente che si ritenga leso dalla condotta colposa del medico potrà continuare ad adire il giudice civile per ottenere il risarcimento e in ciò sta la pericolosità di un accertamento che prescinde dalla giurisdizione penale. Infatti, il processo penale consente una ponderazione ed un accertamento dei fatti molto approfondito, che anche sotto il profilo dei tempi ha una minore durata. Pertanto, il sanitario rischia ugualmente di affrontare un giudizio, sebbene in sede civile, molto lungo e con possibilità di approfondimento probatorio minore.
Inoltre la norma in esame può portare a far credere che l’incidenza ed il rischio di errore sia davvero alto e del tutto avulso dal normale rischio medico, cioè che sia connesso molto di più all’incapacità e alla mancanza di aggiornamento del medico di quanto invece lo sia al rischio, ineliminabile, proprio di ogni atto medico. Ciò nuoce al rapporto medico-paziente.
La tutela giudiziaria per i medici, da un lato costituisce un giusto contrappeso alle attuali condizioni lavorative, ma rischia di trasformarsi in un intervento palliativo perché non incide sulla soluzione dei problemi concreti né sulla comunicazione fra sanitari e pazienti.
È plausibile, infatti, che la norma in esame possa essere percepita piuttosto come una strategia preventivo-difensiva della categoria, disgiunta com’è da altre e collaterali politiche professionalizzanti e di controllo interno.