A cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro
La legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021, in discussione al Senato con il DDL S. 2469, reca alcune modifiche al d.lgs. 502/1992 in tema di accreditamento delle strutture sanitarie che brevemente si riportano:
Al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 8-quater, il comma 7 è sostituito dal seguente: “7. Nel caso di richiesta di accreditamento da parte di nuove strutture o per l’avvio di nuove attività in strutture preesistenti, l’accreditamento può essere concesso in base alla qualità e ai volumi dei servizi da erogarsi, nonché sulla base dei risultati dell’attività eventualmente già svolta, tenuto altresì conto degli obiettivi di sicurezza delle prestazioni sanitarie”;
b) all’articolo 8-quinquies, dopo il comma 1, è inserito il comma “1-bis. I soggetti privati ‘interessati’ agli accordi contrattuali di cui al comma 1 sono individuati, ai fini della stipula degli accordi contrattuali, mediante procedure trasparenti, eque e non discriminatorie, previa pubblicazione da parte delle regioni di un avviso contenente criteri oggettivi di selezione, che valorizzino prioritariamente la qualità delle specifiche prestazioni sanitarie da erogare. La selezione di tali soggetti deve essere effettuata periodicamente tenuto conto della programmazione sanitaria regionale e sulla base di verifiche delle eventuali esigenze di razionalizzazione della rete in convenzionamento e, per i soggetti già titolari di accordi contrattuali, dell’attività svolta”;
c) al comma 2, si interviene prevedendo anche per la stipulazione degli accordi contrattuali il medesimo sistema di attribuzione mediante procedure concorrenziali di cui al comma 1-bis.
Con un ulteriore intervento sull’art. 41, comma 6, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 è previsto che gli enti accreditati “sono altresì tenuti a pubblicare nel proprio sito internet i bilanci e i dati sugli aspetti qualitativi e quantitativi dei servizi erogati e sull’attività medica svolta dalle strutture pubbliche e private”.
Nella segnalazione inviata al Governo, in vista della predisposizione del disegno di legge sulla concorrenza, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato aveva ribadito la necessità, con riferimento alla tutela della salute, di un intervento che aumentassele condizioni di concorrenza nell’accesso delle strutture private all’erogazione delle prestazioni sanitarie.
Al riguardo, l’Agcm afferma che “per garantire una più efficiente allocazione delle risorse pubbliche e una maggiore libertà di scelta degli assistiti in termini di luogo di cura e di medico, si ribadisce la necessità di un intervento che aumenti le condizioni di concorrenza nell’accesso delle strutture private all’erogazione delle prestazioni sanitarie. Nel settore sanitario, l’apertura alla concorrenza deve, infatti, essere perseguita come strumento che, incentivando la libera scelta dei medici, assistiti e terzo pagante, consente l’allocazione efficiente delle risorse, sia sotto il profilo dell’efficacia delle prestazioni sanitarie che sotto quello del rispetto del vincolo di spesa”
Al fine di eliminare o limitare gli ostacoli alla libertà di iniziativa economica delle strutture sanitarie private, l’Autorità ha segnalato anche la necessità di modificare l’art. 8-ter del d.lgs. n.502/92, prevedendo che l’accesso dei privati all’esercizio di attività sanitarie non accreditate sia svincolato dalla verifica del fabbisogno regionale di servizi sanitari, oltre alla modifica degli artt. 8-quater e seguenti del d.lgs. n.502/92, al fine di riformare il sistema di accreditamento, eliminando quello provvisorio, attraverso la previsione di una norma generale, che disponga l’obbligo di accreditamento definitivo da parte delle Regioni per le nuove strutture o per l’avvio di nuove attività in strutture sanitarie preesistenti. Infine, per favorire la scelta del luogo di cura del malato verso la struttura più efficiente, l’Agcm ha anche suggerito di incrementare l’informazione sulle performance delle strutture pubbliche e private, in termini di efficienza gestionale e di qualità del servizio, procedendo a rendere ampiamente disponibili i bilanci delle ASL e delle strutture private e i dati sugli aspetti qualitativi del servizio (liste attesa, per es.).
L’intervento pro-concorrenziale del disegno di legge S. 2469 si incentra principalmente sulla modalità di attribuzione degli accordi contrattuali fra Servizio Sanitario nazionale e regionale e strutture accreditate e sull’ampliamento del numero degli accreditamenti.
Si vuole determinare una sorta di doppio binario per cui con una procedura a bando siano attribuiti gli accreditamenti, da un lato, e gli accordi, dall’altro, distinguendo le due fasi che adesso sono invece da considerarsi inscindibili, essendo di fatto esistente un collegamento tra provvedimento di accreditamento e accordo contrattuale.
In altri termini, il procedimento di accreditamento adesso integra un procedimento complesso ma unitario: la verifica dei requisiti tecnici prelude necessariamente all’accordo. Esso, secondo la riforma, diverrebbe bipartito, determinando l’accreditamento di un numero maggiore di privati rispetto agli accordi da assegnare, successivamente, con gara.
Se da un lato il Governo, anche in forza delle considerazioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, vuole ampliare la platea dei concorrenti all’assegnazione degli accordi contrattuali in forza dei quali gli enti privati erogano prestazioni per conto del SS, dall’altro, gli effetti potenzialmente nefasti sono: a) un livellamento al ribasso dei costi (offerte di gara) e quindi della qualità delle prestazioni; b) l’inibizione della libera scelta del cittadino; c) la compressione del diritto di libera impresa.
L’apertura asseritamente concorrenziale delineata nel disegno di legge concorrenza lo è stata sul piano enunciativo ma non concreto. Insomma, conterrebbe criticità che lungi dal rendere più effettivo il diritto di scelta del malato al luogo di cura, determinerebbe uno scadimento delle prestazioni e una non virtuosa apertura del mercato.
Quest’ultimo infatti è certamente un mercato ristretto perchè sconta, da un canto, una non effettiva concorrenza tra pubblico e privato e, dall’altro, la previsione del “limite di spesa” imposto dal DL 95/12, il cui superamento per motivi di sostenibilità dei bilanci pubblici appare molto lontano.
Altro tema da considerare con riferimento alla effettività del diritto di scelta del luogo di cura e dell’efficienza delle strutture private in convenzione è quello relativo alla durata del regime concessorio che sarebbe revocabile dopo cinque anni per ogni struttura e posto nuovamente a bando.
Ciò, evidentemente, rischia di generare incertezza nella programmazione degli investimenti, nella diversificazione delle specialità e nell’efficienza delle prestazioni erogate, traducendosi in un effetto negativo invece che positivo sulla gestione della sanità privata accreditata.
Il disegno di legge è ancora in discussione e gli aspetti da tenere in considerazione sono, come visto in breve, molto complessi anche con riferimento agli effetti concreti sulla qualità delle prestazioni e pertanto la genesi della riforma merita un contraddittorio ampio cui partecipino tutti i portatori degli interessi coinvolti.
M.A. Mascaro
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Il Commento di E. Paolini
La nostra posizione da tempo è improntata ai principi ispiratori del d. lvo 502/92 ed al fertile confronto sviluppatosi all’epoca. Si disse che per uscire definitivamente – e con consapevole responsabilità – dal regime del monopolio in sanità, occorreva ripensare ad un mercato sanitario governato dallo Stato inteso come ente terzo, regolatore, controllore e finanziatore.
Il monopolio, si disse con la condivisione di quasi tutte le forze politiche e sindacali, ha condotto il Paese ad essere protagonista di una enorme conquista sia sul piano prettamente sanitario, sostenendo con risorse pubbliche una crescita quotidiana della medicina italiana in tutte le sue componenti e sia sul piano sociale, assicurando cure a tutti con un primo esempio di sistema solidaristico ed universale, sostenuto dal prelievo fiscale e garantista di cure a tutti di qualsiasi classe sociale.
La crescita economica del Paese, dovuta anche a questo fenomeno, ed il benessere che ne è conseguito pose anche le condizioni di sviluppo di una sanità essenzialmente privata ed a pagamento, parzialmente accompagnata dal sistema delle mutue.
Da qui l’esigenza avvertita con sensibilità politica di rendere effettivi i principi suddetti e di implementare un sistema ove le strutture fossero tutte inserite nel servizio pubblico, indipendentemente dalla loro proprietà, se pubblica o se privata.
Il presupposto politico era che ciò che importa allo Stato consapevolmente “sociale” è il “servizio” pubblico, non l’imprenditore pubblico.
Dunque si pensò, con la novella legislativa del ’92, ad uno Stato: a) regolatore (stabilisce i requisiti tecnologici, organizzativi e strutturali che devono avere tutti i presidi sanitari pubblici e privati e li pone come condizione indispensabile per l’autorizzazione e l’accreditamento); b) programmatore (verifica i fabbisogni, stanzia le risorse, organizza la rete ospedaliera, interviene sulla prevenzione, fissa le condizioni per una efficiente medicina di base e per la gestione di pronto soccorso urgenze ed emergenze); controllore (accerta la sussistenza ed il mantenimento dei requisiti minimi, verifica la appropriatezza delle prestazioni rese da tutte le strutture, pubbliche e private, se valide e le certifica); pagatore (liquida le remunerazioni sulla base delle tariffe stabilite con appositi provvedimenti statali attingendo alle risorse assegnate con le leggi di bilancio in favore delle singole regioni sulla base di una spesa sanitaria annua pro-capite, valida per tutti in misura eguale).
Insomma uno Stato terzo e non imprenditore. Un arbitro che sovrintende alla competizione virtuosa tra soggetti privati, i cui investimenti provengono da risorse private, e soggetti pubblici finanziati in conto capitale, per i loro investimenti da stanziamenti pubblici, ma ambedue remunerati allo stesso modo, cioè a prestazione, e sulla base di tariffe stabilite dallo Stato. Un sistema virtuoso che impone, se messo in pratica seriamente, la legge ferrea di tutte le competizioni ben regolate: si alza il livello qualitativo e si abbassano i costi.
In Italia, sin dal primo momento questo sistema è stato interpretato male ed attuato peggio. Lo Stato, lungi dal proporsi come ente terzo, ha continuato ad essere imprenditore e al tempo stesso controllore dei propri concorrenti, ha preteso di essere pagato non a tariffa ma a piè di lista, applicando solo alle strutture private non solo le tariffe ma tetti di spesa rigidi ed insuperabili, esplicitamente esclusi dall’art. 8 quinquies del d. lvo 502/92.-
Un sistema che non funziona e che crea storture, iniquità, inefficienza e spreco enorme, soprattutto in considerazione che ciascuna Regione lo gestisce in modo autonomo e del tutto avulso rispetto ad un armonico sistema comune.
Certo, la fama di cui godiamo è quella di un sistema sanitario valido e di alta qualità e così è. Ma la potenzialità sprecata è altissima e con le risorse a disposizione si potrebbe raddoppiare il tasso di soddisfazione del paziente, garantire tutti i bisogni di salute, investire, creare occupazione, finanziare la ricerca e consentire libera scelta e libera impresa.
Basterebbe, ad esempio, superare davvero, non solo a parole, il sistema dei “silos” cioè dei comparti chiusi, dei tetti di spesa, governare virtuosamente le tariffe e sferrare una seria e decisiva lotta agli sprechi per assicurare un servizio efficace ed efficiente e consentire un volano di sviluppo e di crescita economica.
Ne parleremo perché su questo fronte non possiamo registrare un sostegno della Magistratura che, in sanità, sembra arroccarsi su posizioni di retroguardia, con funzioni di supplenza che non le competono.
Ne parleremo, presto ma ora dobbiamo dire che la riforma presentata va in senso opposto a quello enunciato.