Sanità senza via d’uscita

a cura dell’Avv. Maria Antonella Mascaro

Forse è il caso di fare il punto della situazione!

C’è un “chiaro” caos in ciò che sta accadendo sulle politiche che riguardano la sanità. Da un lato preoccupa il territorio che, come più volte ribadito, è un territorio diviso dal punto di vista organizzativo, ma coeso nella critica alle politiche del nuovo governo.

Si è letto e ascoltato molte volte in queste ultime settimane il malcontento nazionale generato dalle mille sfaccettature regionali in relazione alle problematiche sanitarie.

E’ per questo motivo che si è letto in questi giorni di un territorio che, da nord a sud, manifesta apertamente una situazione di critica che ha svariate sfaccettature.

Così si è espresso l’assessore alla sanità in Lombardia che ha denunciato alla stampa la mancanza di previsioni nel PNRR di fondi per il personale sanitario, quando sul territorio sono già centocinque le case di comunità realizzate e ventitré, sui sessantasei previsti, gli ospedali di comunità attivati, ma nessun incentivo è stanziato per il personale.

Ancora in Puglia, il Presidente della Regione ha lamentato e criticato aspramente il fatto che, dopo la cessazione dell’emergenza dovuta alla pandemia, il governo centrale ha cominciato ad effettuare tagli alla sanità. Il Governatore della Puglia ha parlato dei limiti posti dal governo al rimborso delle spese causa Covid, ha condannato la scarsa considerazione per l’aumento vertiginoso dei costi energetici e per non aver stanziato fondi al fine di assumere nuovo personale per far
fronte alle liste di attesa, problema annoso e, apparentemente, irrimediabile del post pandemia.

Riguardo alla Calabria si è già accennato, additata spesso come fanalino di coda del territorio nazionale, ma sul cui territorio il Presidente-Commissario sta lavorando alacremente, ma per la quale il decreto in scadenza non è stato ancora rinnovato.

E così di seguito si è parlato del Piemonte, delle Marche, del Molise e così via.

Anche la Corte Costituzionale con l’ultima decisione ha basato la centralità dei principi sui conti dello Stato, piuttosto che sulla salute e sul benessere dei cittadini.

Il modo migliore per difendere il potere d’acquisto dei salari, peraltro non adeguati, è quello di garantire il welfare, la sanità in primis. E’ un discorso antiquato e al contempo progressista pensare che il modo migliore per aumentare il tenore di vita delle persone alberghi nel curare bene le loro malattie.

Non è esistito governo che non abbia inteso nelle sue linee programmatiche presentare un progetto che vada migliorando la salute dei suoi cittadini, eppure si continuano a collezionare errori. Anche se gli intenti sono i migliori sono stati accompagnati da risultati insoddisfacenti che hanno portato ad aumenti vertiginosi della spesa pubblica e hanno vessato i cittadini con un sistema di tassazione che ha una delle aliquote più alte in Europa.

Dunque, i provvedimenti che passano come clamorosi per la defiscalizzazione delle fasce di reddito più basse vanno guardate con occhi attenti e devono fare intendere quali e quanti cittadini ne beneficiano realmente, ma soprattutto a quale costo e a quale prezzo questo debba avvenire.

Il fatto che salute dei cittadini italiani sia peggiorata è un fatto indicizzato dall’Istat. Questo non è certo attribuibile al nuovo governo, ma certamente la pandemia e le politiche precedenti non hanno aiutato.

Il risultato di tutto questo è quello di approvare un documento dell’economia e finanza, già citato nei comunicati di Acop che prevede una riduzione della spesa sanitaria, probabilmente effettuata al fine di compensare la cosiddetta defiscalizzazione che riguarda solo una percentuale minima della popolazione ma che è necessario finanziare. Questo tipo di compensazione avviene, senza che alcuno obietti,  sulla pelle degli italiani, meglio sulla loro salute.

In questo bailamme non si comprende forse che il debito dello stato non diminuisce, ma il benessere dei cittadini non aumenta.

Non occorrono conclusioni!

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