Le “linee guida” nelle motivazioni della Suprema Corte

A cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro

Con la sentenza n. 5595/2023 in tema di responsabilità medica la Corte Suprema ha affermato che non è responsabile per il reato di omicidio colposo il medico che nell’intubare il paziente rispetta le linee guida e prima di procedere valuta il rischio che si presenta ridotto.

La sentenza denota dei profili di novità nell’affermazione di poter usare nelle sue motivazioni le linee guida che per quanto siano ormai in tutto e per tutto un protocollo da rispettare ed eseguire non vengono prese in considerazioni al pari del rango di una disposizione di legge.

Il caso

Due medici, imputati di omicidio colposo, erano stati tratti a giudizio in quanto ritenuti responsabili di avere concorso a causare, nella rispettiva qualità di medico anestesista e di medico chirurgo dell’UOC di Chirurgia generale presso il Policlinico di Messina, la morte di una donna – sottoposta ad intervento chirurgico di asportazione di lesione mammaria – determinata da una insufficienza multipla di organi in paziente in coma post- anossico. In particolare, era stato contestato di avere agito con imprudenza, negligenza ed imperizia, perché, dopo avere fallito tre tentativi di intubazione e proceduto ad una ventilazione forzata, constatata la presenza di un edema alla glottide, l’anestesista aveva, prima, omesso di praticare alla paziente una puntura cricotiroidea e poi aveva ritardato colposamente un intervento di tracheotomia, non segnalandone tempestivamente la necessità di effettuazione. Il medico chirurgo di sala operatoria, era stato, invece, sottoposto a giudizio perché: sebbene non rientrasse tra i suoi compiti, apprese le gravi condizioni della paziente, non aveva provveduto ad eseguire un immediato intervento di tracheotomia, pratica chirurgica effettuata da un altro sanitario nel frattempo intervenuto, nella qualità di medico chirurgo che aveva in cura la paziente, il quale aveva sottoposto quest’ultima ad un intervento chirurgico di quadrantectomia, non proporzionato alle condizioni cliniche della paziente al momento della sua esecuzione, posto che costei, sulla base delle risultanze di esami eseguiti, non presentava un quadro tale da far deporre per la presenza di una lesione potenzialmente maligna.

I giudici del merito

La Corte di appello, ricostruito lo svolgimento dei fatti nella maniera accertata dal Giudice di primo grado, ha ritenuto l’infondatezza del ricorso delle parti civili, non ravvisando nella condotta riferibile agli imputati la contestata violazione di regole cautelari. Così, con riferimento alla posizione del medico anestesista, è stato accertato che l’imputata aveva preventivamente attribuito alla paziente un rischio anestesiologico molto alto, idoneo ad indicare la difficoltà di intubazione, pertanto la successiva grave complicanza incontrata in fase di intubazione della paziente, determinata da un edema alla glottide conseguente ad uno stato reattivo allergico dei tessuti laringo-tracheali, aveva rappresentato un evento del tutto imprevedibile e non prevenibile, come confermato da tutti i consulenti escussi. Né, per la Corte territoriale, vi era stata nessuna manovra errata da parte dell’anestesista, che aveva operato i tentativi di intubazione della paziente nel numero massimo consentito e nel rispetto dei canoni indicati dalle linee guida, così come non era dato ravvisare nessuna responsabilità per ritardi a lei imputabili nell’effettuazione dei dovuti interventi, avendo tempestivamente adottato scelte consone alla specificità della situazione, senza, peraltro, che sia stato provato che l’imputata avesse abbandonato la paziente e sospeso la somministrazione di ossigeno per chiamare un medico chirurgo per praticarle la tracheotomia. Con riguardo, poi, alla posizione del medico chirurgo presente in sala operatoria in attesa di praticare l’intervento di quadrantectomia, la Corte di merito ha accertato come nessuna responsabilità fosse a lui imputabile, non essendo stato reso partecipe della grave situazione in atto e della necessità di effettuare l’intervento di tracheotomia sulla paziente essendosi l’anestesista rivolto, ad un altro medico chirurgo dotato di maggiore esperienza specifica. Non è stata ravvisata, inoltre, nessuna violazione di regole cautelari nella scelta operata dall’anestesista, concordata con la paziente e condivisa dal suo medico di fiducia, di programmare un intervento di quadrantectomia su una paziente già sottoposta l’anno precedente ad un’operazione di asportazione di neoformazione alla mammella sinistra risultata essere di natura maligna.

Il principio elaborato dalla Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha, dunque, affermato che non è responsabile per il reato di omicidio colposo il medico che nell’intubare il paziente rispetta le linee guida e prima di procedere valuta il rischio che si presenta ridotto. In particolare, la sottoposizione ad anestesia generale un anno prima e la terapia cortisonica di alcuni giorni prima non sono risultati essere elementi dai quali il medico avrebbe potuto desumere una impossibilità di procedere all’intubazione del paziente. I giudici nel ritenere quindi che la manovra è stata eseguita correttamente e senza nessun ritardo, hanno ribadito che al medico che ha proceduto all’intubazione del paziente nel rispetto delle regole cautelari e senza mai interrompere la somministrazione di ossigeno, stante l’assenza di indici di pericolosità della procedura, non può addebitarsi alcuna responsabilità per il reato di omicidio colposo.

Commento

La sentenza è innovativa e meritevole di essere attenzionata dal momento che prende in considerazione con un elevato grado di importanza le cosiddette linee guida della buona pratica medica, al punto da non addebitare alcuna responsabilità all’operatore medico.  Il principio elaborato e molto innovativo è di primaria importanza perché dal punto di vista penale con la formula assolutoria si decreta l’inesistenza del fatto.

Cosa succede dal punto di vista civilistico? Sussiste un risarcimento del danno? Ovvio che se il medico viene assolto e la formula assolutoria è piena non si può chiedere a lui un risarcimento, ma sulla struttura incombe sempre l’ombra della responsabilità extracontrattuale e dunque in astratto la possibilità di agire in sede civile per chiedere il risarcimento.

La struttura sanitaria non è parte diretta nel procedimento penale, potrebbe esserlo se chiamata quale responsabile civile. Tuttavia la responsabilità in questa sede cambia, come anche la legge Gelli- Bianco ci insegna.

Ciò che deve cambiare è il punto di vista parametrale anche in sede civile e soprattutto il riguardo che anche la giurisprudenza di merito e di legittimità civile deve concedere alle linee guida e alla buona pratica che passa anche da una buona organizzazione e dal controllo che di questa fa la struttura dove il medico presta la sua opera e il paziente viene ricoverato.

Se non si andrà in questa direzione il contenzioso in sede civile sarà sempre in aumento e la certezza del diritto sul danno, la sua tipologia e la sua risarcibilità sempre meno chiara.

Non ci si può, però, affidare esclusivamente alla giurisprudenza e confidare in un cambio di virata, ma si deve intervenire a livello legislativo ed approvare modifiche o nuove leggi che identifichino cosa, come e quando ricorrere ad una richiesta di risarcimento.

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