Autonomia regionale o centralizzazione statale nella sanità. Rapporto con il PNRR

A cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro

Recentemente, il Sottosegretario alla salute Marcello Gemmato, intervenuto al convegno sul XVII Rapporto Meridiano Sanità, presentato a Roma da The European House Ambrosetti, ha bocciato il regionalismo in sanità: “La Riforma del Titolo V della Costituzione è il primo male della nostra sanità. Lo abbiamo visto in pandemia dove ogni Regione faceva Repubblica a parte generando un tasso di confusione e disaffezionamento del popolo italiano nelle Istituzioni. E peggio ancora alla nascita di tutti quei sentimenti negazionisti, perché vedevano scelte diverse tra regione e regione”.

E’ stata proprio la fase di emergenza generata dall’epidemia di Covid a far comprendere ancora più chiaramente la difficoltà di continuare a procedere in un regionalismo ingovernabile.

Con la legge 18 ottobre 2001, n. 3, approvata da una maggioranza di centrosinistra (Governo Amato II°) e poi confermata dal referendum, è stato riformato il titolo V della Costituzione, che trasferiva molti poteri dallo Stato centrale alle Regioni.

In tal modo, la riforma in senso federale a Costituzione invariata ha trasformato il nostro in uno Stato federale.

L’autonomia legislativa riconosciuta alle Regioni ha conferito ad esse il diritto di legiferare in alcune materie: ricerca scientifica e tecnologia, alimentazione; protezione civile; governo del territorio; previdenza complementare e integrativa; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e in ultimo, tutela della salute.

Vale sottolineare, a questo riguardo, come ha avuto maniera d’ argomentare il professor Cassese rispondendo ad una domanda nel merito e riprendendo anche quanto indicato dalle recenti sentenze della Corte Costituzionale, che “occorre assicurare un’unica ed esclusiva regia nazionale. Le misure di contrasto possono anche essere differenziate per territorio, ma debbono essere omogenee, nel senso di ispirarsi agli stessi criteri generali”.

Ed infatti, il servizio sanitario viene definito nazionale perché deve avere un’organizzazione ed un funzionamento uniforme sul territorio e il diritto alla salute deve essere uguale in Lombardia come in Calabria. Regionalismo, riconoscimento delle autonomie non vogliono dire costituzione di repubbliche indipendenti dove, malauguratamente, Lombardia e Calabria non seguono, come dice, sempre, il prof. Cassese, le medesime “best practices”.

Le risorse del Recovery Plan, previste per finanziare la Missione 6, ammontano a più di 20 miliardi pari a quelle messe a disposizione delle Regioni negli ultimi venti anni dal Sistema sanitario nazionale attraverso gli accordi di programma per gli investimenti.

Di questa imponente cifra solo il 65 % è stato oggetto di accordi Stato-Regioni, mentre per il 35 % dei finanziamenti gli enti locali non sono stati in grado di presentare validi progetti.

E’ lecito domandarsi se in un quarto del tempo (cinque anni) previsto dal Recovery, le Regioni saranno in grado di realizzare quanto non fatto in passato

A questo punto, se dobbiamo essere realisti, il Titolo V della Costituzione, quello che riguarda le Regioni, la Province, e i Comuni, richiederebbe una nuova valutazione politica.

Ma prima di questo percorso politico che ovviamente riguarda prevalentemente la riforma della Costituzione, bisognerà intraprendere un serio percorso tecnico – economico per definire quella che gli economisti definiscono “la dimensione ottimale dell’erogazione dei servizi pubblici”.

Il tema naturalmente riguarda anche l’ospedalità privata. La programmazione del fabbisogno, i tetti di spesa e le tariffe, oltre alla disponibilità economica delle Regioni, implicano una variegata offerta sanitaria convenzionata sul territorio.

Anche in questo ambito, la differenziazione regionalistica mina il principio dell’uguaglianza delle cure e dell’accesso al diritto alla salute.

Basti pensare al livello dei servizi erogati, alle liste d’attesa, su cui incide anche la transumanza dei pazienti da Regioni meno efficienti a quelle più dotate di una buona offerta.

E’ di questi giorni la notizia che la regione Basilicata e Puglia hanno cominciato a limitare l’accesso ai servizi sanitari ai soli residenti nel territorio regionale, proprio per tagliare le liste d’attesa e contenere i costi delle prestazioni sussidiate dai convenzionati.

Con un quadro del genere, l’attuazione del PNRR in sanità, che deve essere improntato al rispetto del diritto alle cure e all’accesso paritario di tutti i cittadini ad un servizio sanitario comune perché improntato ugualmente in tutto il territorio nazionale alle best practices, dovrebbe essere preceduto da un ripensamento della regionalizzazione sanitaria.

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