a cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro
Recentemente la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta (sentenza 29001 del 20.10.21 sez. III) con una pronuncia particolarmente interessante sul tema della responsabilità della struttura sanitaria in caso di evento dannoso in pregiudizio del paziente per colpa medica.
L’occasione è giusta quindi per alcune riflessioni sistematiche sulla legge Gelli-Bianco e il rapporto fra colpa medica, responsabilità delle strutture socio-sanitarie e sistema assicurativo, che possono essere utili per contribuire all’assetto che ciascuna azienda associata ha dato al settore inerente tale tipo di rischio.
La responsabilità penale
La Legge n. 24/2017, cosiddetta Legge Gelli-Bianco, ha introdotto un nuovo criterio interpretativo della responsabilità medica.
In particolare, sul piano penale, la legge ha introdotto nel codice penale l’Art. 590-sexies. (Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario), secondo cui:
“Se i fatti di cui agli articoli 589 (omicidio colposo) e 590 (lesioni colpose) sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma.
Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.
Tale previsione normativa, che segue la prima meno chiara riforma sul tema, quella relativa alla Legge Balduzzi (L. 189/2012), introduce una causa di esclusione della responsabilità nel caso l’evento morte o lesioni dipenda da colpa lieve.
Al fine di perimetrare il criterio della colpa nella sua graduazione lieve o grave, la legge Gelli-Bianco introduce il discrimine del rispetto delle buone pratiche clinico-assistenziali e le raccomandazioni delle linee guida pubblicate ai sensi di legge, salvo che per le rilevanti specificità del caso concreto, le stesse raccomandazioni o buone pratiche non avrebbero dovuto essere seguite.
Se da un lato, quindi, il sanitario è chiamato all’aggiornamento sulle linee guida e sulle buone pratiche clinico-assistenziali, dall’altro, il suo agire non può essere acriticamente governato soltanto da queste.
Inoltre, è da notare che la norma si applica ai casi di imperizia, determinandosi una sorta di inversione dell’onere probatorio a favore del sanitario, solo con riferimento ad essa. In questo caso, infatti, sarà compito del danneggiato o dell’accusa provare quelle specificità del caso concreto e la loro rilevanza nella decisione omessa da parte del sanitario di discostarsene.
Nei casi di negligenza o imprudenza, invece, la causa di non punibilità non viene presa in considerazione perché l’azione del sanitario prescinde dall’applicazione di linee guida o altre buone pratiche che, proprio per la natura della colpa fondata in questi casi su superficialità, avventatezza o ignoranza, non sarebbero state nemmeno chiamate in causa dall’agire del sanitario.
Giurisprudenza
La formulazione della norma ha necessitato di un intervento a Sezioni Unite della Cassazione, (Cass. Pen. Sez. Un. 8770/2018) che ha dovuto armonizzare la nuova norma del codice penale con i principi della colpa indicati dalla sentenza Franzese (Cass. Pen. Sez. Un. 30328/2002).
Il principio fissato dalle Sezioni Unite nella sentenza “Franzese” è quello secondo cui la valutazione tendente a stabilire la sussistenza o meno del nesso causale può tener conto dei “calcoli probabilistici”, come delle “regole di esperienza o leggi scientifiche”, ma occorre verificare in concreto se “il compimento dell’azione doverosa omessa avrebbe evitato – con un grado di probabilità prossimo alla certezza – il verificarsi dell’evento lesivo ovvero, pur non potendo evitare tale evento, quest’ultimo si sarebbe verificato in epoca significativamente posteriore e con minore intensità lesiva”.
La pronuncia delle Sezioni Unite del 2018 integra i principi indicati in tema di nesso di causalità con i criteri di graduazione della colpa introdotti dalla legge Gelli.
Pertanto: “l’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medico-chirurgica:
- se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza;
- se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali;
- se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche che non risultino adeguate alla specificità del caso concreto;
- se l’evento si è verificato per colpa “grave” da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni, di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle specifiche difficoltà tecniche dell’atto medico”.
Responsabilità civile della struttura e dell’esercente la professione sanitaria
Sul piano civile, l’articolo 7 stabilisce alcuni principi relativi alla responsabilità civile della struttura e dell’esercente la professione sanitaria.
Si prevede che la struttura sanitaria e sociosanitaria pubblica o privata quando nell’adempimento della propria obbligazione si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e anche se non dipendenti dalla struttura, risponde delle loro condotte dolose e colpose ai sensi degli articoli 1218 (Responsabilità del debitore) e 1228 (Responsabilità per fatto degli ausiliari) del codice civile.
Il citato art. 7 si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria, ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica, ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale, nonché attraverso la telemedicina. In ogni caso, l’esercente la professione sanitaria risponde ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell’adempimento di una obbligazione contrattuale assunta con il paziente.
Viene quindi previsto un regime di doppia responsabilità civile qualificato come:
• responsabilità contrattuale per la struttura – con onere della prova a carico della struttura stessa e termine di prescrizione di dieci anni;
• responsabilità extra-contrattuale per l’esercente la professione sanitaria (qualora direttamente chiamato in causa) a qualunque titolo operante in una struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata – salvo il caso di obbligazione contrattuale assunta con il paziente – con onere della prova a carico del soggetto che si ritiene leso e termine di prescrizione di cinque anni.
Di recente – come detto – la Suprema Corte si è ulteriormente pronunciata sull’argomento, evidenziando e puntualizzando la natura dei due tipi di responsabilità in cui può incorrere l’imprenditore de quo: “la responsabilità della struttura sanitaria, integra, ai sensi dell’art.1228 c.c., una fattispecie di responsabilità diretta per fatto proprio, fondata sull’elemento soggettivo dell’ausiliario, la quale trova fondamento nell’assunzione del rischio per i danni che al creditore possono derivare dall’utilizzazione di terzi nell’adempimento della propria obbligazione contrattuale, e che deve essere distinta dalla responsabilità indiretta per fatto altrui, di natura oggettiva, in base alla quale l’imprenditore risponde, per i fatti dei propri dipendenti, a norma dell’art.2049 c.c.; pertanto, nel rapporto interno tra la struttura e il medico, la responsabilità per i danni cagionati da colpa esclusiva di quest’ultimo deve essere ripartita in misura paritaria secondo il criterio presuntivo degli artt. 1298, comma 2, e 2055, comma 3, c.c., atteso che, diversamente opinando, la concessione di un diritto di regresso integrale ridurrebbe il rischio di impresa, assunto dalla struttura, al solo rischio di insolvibilità del medico convenuto con l’azione di rivalsa, e salvo che, nel relativo giudizio, la struttura dimostri, oltre alla colpa esclusiva del medico rispetto allo specifico evento di danno sofferto dal paziente, da un lato, la derivazione causale di quell’evento da una condotta del sanitario del tutto dissonante rispetto al piano dell’ordinaria prestazione dei servizi di spedalità
e, dall’altro, l’evidenza di un difetto di correlate trascuratezze, da parte sua, nell’adempimento del relativo contratto, comprensive di omissioni di controlli atti ad evitare rischi dei propri incaricati” (Cass. Civ. Sez. III, 20.10.2021, n. 29001).
Ciò detto non deve trascurarsi il secondo argomento trattato dalla Corte e relativo alla eventuale azione di regresso che l’imprenditore della struttura sanitaria può intraprendere nei confronti del medico operatore.
Come già precedentemente affermato da una pronuncia non sconfessata, (Cass. Civ. Sez. n. 24167 del 27.9.2019), grava sul soggetto che agisce in regresso (la struttura sanitaria) l’onere probatorio che la responsabilità del fatto dannoso sia ascrivibile, in via esclusiva, all’altro coobbligato in solido. Viceversa, non si può pretendere dal medico la dimostrazione della sussistenza di profili di responsabilità in capo alla clinica. Del resto, la ripartizione dell’onere probatorio in questi termini risponde alle regole generali in materia di esercizio dell’azione di regresso. Infatti, nel caso in cui uno dei coobbligati solidali agisca contro gli altri ha l’onere di provare le circostanze idonee a superare la presunzione del pari concorso di colpa ex art. 2055 c. 3 c.c.
Danno sanitario e assicurazione
L’articolo 10 della Legge Gelli, poi, mira ad integrare il quadro delle tutele per il ristoro del danno sanitario in coerenza con la disciplina sulla responsabilità civile.
La disposizione prevede: l’obbligo di assicurazione (o di adozione di un’analoga misura) per la responsabilità contrattuale (ex artt. 1218 e 1228 c.c.) verso terzi e verso i prestatori d’opera, a carico delle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, anche per i danni cagionati dal personale a qualunque titolo operante presso le strutture medesime, compresi coloro che svolgono attività di formazione, aggiornamento nonché di sperimentazione e ricerca clinica. Si specifica, inoltre, che l’obbligo concerne anche le strutture sociosanitarie e le prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale, nonché attraverso la telemedicina; l’obbligo, per le strutture in esame, di stipulare altresì una polizza assicurativa (o di adottare un’analoga misura) per la copertura della responsabilità extracontrattuale (ex art. 2043 c.c.) verso terzi degli esercenti le professioni sanitarie (con riferimento all’ipotesi in cui il danneggiato esperisca azione direttamente nei confronti del professionista).
Limiti temporali delle garanzie assicurative
L’articolo 11 definisce i limiti temporali delle garanzie assicurative. In particolare, la garanzia assicurativa deve prevedere un’operatività temporale anche per gli eventi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto assicurativo, purché denunciati all’impresa di assicurazione durante la vigenza temporale della polizza. In caso di cessazione definitiva dell’attività professionale per qualsiasi causa, deve essere previsto un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità, verificatisi nel periodo di efficacia della polizza, periodo nel quale è incluso quello suddetto di retroattività della copertura.
L’articolo 12, infine, prevede l’azione diretta nei confronti dell’impresa di assicurazione della struttura sanitaria e del libero professionista, che potrebbe ridurre i tempi del risarcimento e limitare i costi assicurativi, specie nelle vicende meno gravi.
I principi enunciati in tema di responsabilità civile e obblighi assicurativi dovevano essere e sono tutt’ora oggetto di una regolamentazione per decreto ministeriale (del MISE) che ad oggi non è ancora stato adottato.
Il Decreto Ministeriale
Lo schema di decreto ministeriale regola:
- i requisiti minimi di garanzia delle polizze assicurative per strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private e per gli esercenti le professioni sanitarie;
- i requisiti minimi di garanzia e le condizioni generali di operatività delle altre analoghe misure, in assunzione diretta del rischio;
- le regole per il trasferimento del rischio nel caso di subentro contrattuale di un’impresa di assicurazione;
- la previsione nel bilancio delle strutture di un fondo rischi e di un fondo costituito dalla messa a riserva per competenza dei risarcimenti relativi ai sinistri denunciati.
Si sottolinea, che, ad oggi, il decreto attuativo non è stato ancora adottato e la relativa bozza ha ricevuto varie osservazioni dalle organizzazioni sindacali, dalla FnomCeo e dall’Ivass.
Ciò certamente crea delle complessità nella pratica applicazione della legge e soprattutto si riverbera sulla tutela assicurativa delle aziende ospedaliere pubbliche e private, che potrebbe non essere al passo con gli obblighi contrattuali previsti dalla legge per le società assicuratrici e finalizzati nelle intenzioni del legislatore ad una migliore e più estesa copertura assicurativa, ad una
corretta compensazione delle istanze risarcitorie e del rischio sanitario, nonché alla mitigazione dei costi.
Dubbi e considerazioni conclusive
Il ritardo nella adozione del decreto in parola sta creando notevoli dubbi e disagi nel mondo sanitario, specialmente in relazione alla gestione del rischio assicurativo in capo alle strutture prese in considerazione dalla legge; tanto è vero che si assiste a pronunce del Giudice di merito piuttosto perentorie ma non esaustive in mancanza di regolamentazioni attuative. Ad esempio, con riferimento all’azione diretta del danneggiato e all’obbligo di retroattività della copertura, il Tribunale di Milano ha affermato che l’operatività di tali disposizioni è subordinata all’entrata in vigore del decreto ministeriale, per cui: “nelle more di un intervento regolamentare, gli obblighi in parola non possono ritenersi operativi.”
Considerato l’impatto che gli obblighi assicurativi potrebbero avere sulle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private, è certamente utile proporsi anche come interlocutori attivi nella genesi del decreto.