Nella classifica dei “disservizi” patiti dai cittadini nel corso dell’ultimo anno, la prima posizione è occupata dall’accesso alle prestazioni.
Se il 2020 era l’anno in cui la pandemia ha investito in pieno il “sistema paese”, mostrando l’incapacità del SSN di continuare a rispondere alla domanda di cura dei pazienti “non Covid”, il 2021 doveva essere l’anno in cui, seppur con il perdurare dell’emergenza, si doveva tornare alla normalità e alla gestione e presa in carico dei quei pazienti, che non hanno mai smesso di esistere ed di aver bisogno di cure e prestazioni, che purtroppo non sono state erogate.
I dati evidenziano che a nulla sono valse le misure ed i fondi messi in campo per un piano straordinario di smaltimento delle liste d’attesa.
In questo scenario si innestano i cosiddetti “Tetti di spesa”, soglie massime di risorse che le Regioni impongono ogni anno alle strutture private-accreditate, che svolgono un ruolo irrinunciabile per sopperire alle carenze del pubblico.
I “budget” non rispondono alle esigenze di funzionalità. Il fabbisogno è sistematicamente sottostimato per circa il 40 per cento del numero di prestazioni finanziate dai Sistemi sanitari regionali: ciò vuol dire che alla metà di ciascun mese i fondi messi a disposizione sono ormai esauriti e, di conseguenza, i pazienti sono costretti a rimandare la cura, quando non riescono a sborsare di tasca propria il costo della prestazione. In questo modo la spesa sanitaria aumenterà sempre più a dismisura senza ottenere efficienza.