La senatrice della Lega Maria Cristina Cantù ha presentato il disegno di legge che riordina il sistema di emergenza-urgenza integrando interventi ospedalieri e pre-ospedalieri.
Gli standard dell’ospedale ci sono da 8 anni, quelli del territorio da un anno. Manca l’anello di congiunzione, quell’emergenza-urgenza che unisce pronto soccorso e 118. E cioè medici specialisti in EU, anestesisti, convenzionati, infermieri, soccorritori, autisti soccorritori e tecnici di centrale operativa. I medici hanno contratti e compiti diversi e in certe regioni non possono svolgere il loro lavoro sia dentro, sia fuori l’ospedale; gli infermieri sono in cerca di un riconoscimento della loro specializzazione; le ultime tre figure citate non sono profili riconosciuti dalla legge.
La bozza innanzi tutto uniforma il meccanismo di chiamata dei pazienti ai servizi di emergenza: il 112 come numero unico sarà esteso a tappeto a tutte le regioni (articolo 5). A breve saranno coperti quasi tutti gli italiani dal 112, che offre risposte lampo; dalla composizione del numero dalla tastiera del telefono all’azionarsi della sirena dell’ambulanza passavano 3 minuti ieri, sono poco più di 2 adesso. Restano però delle centrali di secondo livello, dei numeri alternativi (le Forze dell’Ordine ad esempio), che l’Europa tollera ma non approva, che alcune regioni continuano ad usare di più. Al di là di questo resta un sistema di intervento frammentato, influenzato dalla distribuzione dei mezzi sul territorio, dalla mancata informatizzazione, dal fatto che le centrali operative sono troppe, marcano territori esigui e non dialogano tra loro. «L’articolato crea un sistema unico integrando un ambito di intervento pre-ospedaliero più omogeneo con i pronti soccorsi e con la continuità assistenziale ed i suoi futuri sviluppi. L’obiettivo è massimizzare la rapidità delle risposte affidandosi ad un modello integrato multiprofessionale sostenibile, per realizzare il quale c’è bisogno di valorizzare tutti i ruoli del personale e di dotare i mezzi di soccorso della tecnologia più avanzata». Prosegue Cantù, per realizzare il progetto c’è però bisogno di uniformare i team, sia nella formazione sia nella retribuzione. «Oggi il medico dell’emergenza in ospedale ha un percorso formativo diverso dal collega del territorio, e diverso è il contratto (il primo medico è per lo più dipendente, il secondo convenzionato), e manca anche l’integrazione informatica tra i due ambiti, ospedaliero e non. Va poi prevista la presenza del medico sul mezzo più rapido: al posto dell’ambulanza “sempre medicalizzata” va contemplato che l’auto medica possa recarsi in più punti del territorio dove sono presenti criticità. Inoltre, serve una governance regionale, su ampi bacini, di questo sistema.
Proprio per uniformare il più possibile le procedure tra regioni all’articolo 12 il nuovo Ddl prevede un Centro Nazionale per le emergenze sanitarie sulla scia del Centro Nazionale Trapianti ed un trasporto organizzato quale oggi è quello di sangue ed organi per i trapianti.
In Lombardia, attuata con delibera 787, la riforma dell’emergenza ha consentito in alcune Asl complesse di riorganizzare la continuità assistenziale; a Milano, racconta il Dg dell’Ats Walter Bergamaschi, da 6 postazioni notturne ed 8 ambulatori si è passati a una sola centrale operativa e 13 ambulatori (ma con il Piano nazionale di Ripresa e resilienza nel 2026 saliranno a 23) che in 2 mesi hanno smistato 11 mila chiamate, risolvendone un 73% per telefono, un 17% con l’invito a recarsi in ambulatorio, e solo un 3% con visita domiciliare a fronte di un altro 3% di televisite; un 6% è stato rinviato al 118. Il problema è ora motivare il personale, che in questo specifico campo andrebbe attratto a specializzarsi con la prospettiva di uno stipendio più alto: per il medico, già al momento dell’iscrizione alla scuola di Emergenza Urgenza o di anestesia. Lo chiedono insieme gli assessori alla salute lombardo Guido Bertolaso, sardo Carlo Doria e ligure Angelo Gratarola.