Il ddl sull’Autonomia regionale differenziata riceve il via libera da parte del Governo. Il Cdm ha approvato il disegno di legge Calderoli all’unanimità, tra gli applausi dei presenti. Soddisfatta Giorgia Meloni: “Questo provvedimento dimostra ancora una volta che questo governo manterrà gli impegni presi. Puntiamo a costruire un’Italia più unita, più forte e più coesa”. Matteo Salvini ha esultato per il risultato inviando un messaggio a parlamentari e consiglieri regionali della Lega: “Efficienza, merito, innovazione, lavoro, più diritti per tutti i cittadini in tutta Italia, meno scuse per i politici ladri o incapaci. Altra promessa mantenuta”. Le Camere hanno ora 60 giorni di tempo per gli atti di indirizzo sulle intese.
Tuttavia il ddl non prevede risorse per finanziare i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e consente il trasferimento delle autonomie alle Regioni prima senza recuperare i divari tra le varie aree del Paese.
La mancanza di tali risorse, fondamentali per allineare la qualità dei servizi delle Regioni del Centro-Sud a quelle del Nord, rende impossibile la garanzia di trattamento paritetico dei cittadini in tema di sanità.
Per il presidente della Fondazione GIMBE il testo approvato dal Cdm è scritto in modo tale da “blindare” l’autonomia differenziata, facendone “un affaire tra Governo e Regioni esautorando il Parlamento”, in quanto al Parlamento “è concesso solo di esprimere un parere non vincolante e un voto di ratifica senza possibilità di emendamenti”.
Le Camere infatti non avranno alcun potere di intervento sulle disposizioni relative al trasferimento di risorse umane e finanziarie alle Regioni, né parteciperanno alla definizione dei LEP.
Lo scenario che si prefigura è quello di un forte aumento delle diseguaglianze regionali, con la legittimazione di un divario tra Nord e Sud, che diventa pericolosamente insanabile.
Alcune istanze rischiano di aumentare le diseguaglianze nell’offerta dei servizi come la maggiore autonomia in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi che genererebbe sistemi assicurativo-mutualistici regionali sganciati dalla normativa nazionale; oppure l’autonomia in materia di gestione del personale e di regolamentazione dell’attività libero-professionale, che rischia di incrementare una concorrenza tra Regioni, con ulteriore migrazione di personale dal Sud al Nord.
Infatti la richiesta di maggiori autonomie viene proprio dalle Regioni che fanno registrare le migliori performance nazionali in sanità.
Il regionalismo differenziato nel panorama sanitario andrà a legittimare definitivamente il divario tra Nord e Sud, in barba ai principi costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla salute.
Il divario tra Nord e Sud, potrà essere calmierato solo modificando i criteri di riparto del Fabbisogno Sanitario Nazionale, aumentando le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni.