a cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro
La Corte di Cassazione, in una recente pronuncia, ha delimitato la retribuzione del dipendente riguardo l’indennità di mensa (Cass. civ., Sez. lavoro, Ord. n. 3171972024).
La richiesta nasce da una causa di lavoro intentata da un infermiere professionale nei confronti dell’Ospedale, del quale era dipendente, per il riconoscimento di una somma, a titolo di differenze retributive sul trattamento di fine rapporto, per la quale il Tribunale aveva riconosciuto il diritto.
Diversamente la Corte Territoriale, a seguito di consulenza tecnica d’ufficio, di natura contabile, ha ridotto l’importo riconosciuto al dipendente, includendo l’indennità di mensa tra le voci utili per il computo del TFR.
La Corte di Appello ritiene che nonostante il CCNL Comparto Sanità Pubblica, integrativo del CCNL 7.4.1999, nell’elencare le voci della retribuzione utili ai fini del TFR, non menzioni l’indennità di mensa; il contratto collettivo è entrato in vigore il 31.12.2001 e, dunque, per il periodo anteriore, l’indennità di mensa sia da computare nel calcolo del TFR, in quanto corrisposta in modo continuativo nel corso del rapporto e non equiparabile ad un rimborso spese.
La Corte di Appello, ha giudicato non pertinente la disposizione di cui all’art. 3, terzo comma, del D.L. n. 333 del 1992, convertito dalla legge n. 359 del 1992 (secondo cui “salvo che gli accordi e i contratti collettivi, anche aziendali, dispongano diversamente, stabilendo se e in quale misura la mensa è retribuzione in natura, il valore del servizio di mensa, comunque gestito ed erogato e l’importo della prestazione pecuniaria sostitutiva di esso, percepita da chi non usufruisce del servizio istituito dall’azienda, non fanno parte della retribuzione a nessun effetto attinente a istituti legali e contrattuali del rapporto di lavoro”), in quanto volta a disciplinare i casi in cui il servizio mensa sia stato attivato presso l’azienda e quindi non applicabile alla fattispecie oggetto di causa, in cui difetta la prova dell’istituzione della mensa.
La Corte Suprema è di diverso avviso, essendosi pronunciata svariate volte sulla normativa del 1992, la quale ha statuito che il valore del servizio mensa e l’importo della prestazione sostitutiva, percepita da chi non usufruisce del servizio aziendale, non fanno parte della retribuzione a nessun effetto attinente ad istituti legali e contrattuali del rapporto di lavoro, salva la possibilità di una diversa previsione – nel senso che il servizio mensa debba considerarsi come retribuzione in natura – da parte dei contratti collettivi nazionali e aziendali, anche se stipulati anteriormente all’entrata in vigore del citato decreto (Cass. n. 15767/2001, n. 3623/1994).
In particolare, si è attribuito alla legge n. 359/1992 un valore sostanziale di norma di interpretazione autentica, di modo che solo se la volontà collettiva si sia espressamente manifestata nel senso del valore retributivo del pasto o dell’indennità sostitutiva, questi sono computabili ai fini del trattamento di fine rapporto.
Al riguardo, si deve tenerne conto, che avendo la giurisprudenza nel passato dichiarato la nullità degli accordi sindacali che privavano la mensa o l’indennità di valore retributivo, la novella legislativa fosse imperniata proprio nella riaffermazione della validità di quegli accordi, anche se assunti in epoca anteriore all’approvazione della legge.
Peraltro, le Sezioni Unite, con sentenza n. 3888/1993, hanno escluso che il servizio mensa o l’indennità sostitutiva della stessa abbiano natura retributiva, ribadendo che è rimessa alla fonte legale o contrattuale l’individuazione delle voci da includere nella retribuzione base per il calcolo degli istituti di retribuzione indiretta o differita.
A seguito della disciplina dettata dall’art. 6 del D.L. 11 luglio 1992 n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992 n. 359, l’indennità sostitutiva della mensa non è computabile a nessun effetto attinente a istituti legali e contrattuali. Gli accordi collettivi che stabilivano tale principio, in vigore prima dell’introduzione della nuova legge, sono fatti salvi nella parte in cui prevedevano limiti e valori convenzionali del servizio mensa e dell’importo della prestazione sostitutiva di esso; tuttavia è possibile, all’autonomia collettiva, disporre diversamente.
Pertanto la Corte di Appello territoriale ha male interpretato la norma di riferimento e l’indennità di mensa va esclusa dal calcolo.