Nullità del licenziamento durante la gravidanzaed immediata reintegrazione

a cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro

Con l’ordinanza n. 31181/2025, la Corte di Cassazione, Sezione del Lavoro, ribadisce la nullità del licenziamento della lavoratrice durante la gravidanza ed il suo immediato reintegro.

Il caso

La Corte di Appello territoriale aveva già respinto l’appello della società, datrice di lavoro, avente ad oggetto la statuizione relativa alla liquidazione delle spese di lite, in accoglimento dell’appello principale della lavoratrice ed in riforma della decisione di primo grado, dichiarando la nullità del licenziamento per giustificato motivo e obbligando il datore di lavoro a reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro, dunque risarcire il danno in misura pari alla retribuzione globale di fatto maturata dalla data del recesso datoriale fino all’effettiva reintegra, oltre accessori, nonché al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali in relazione al medesimo periodo.

La nullità del licenziamento è correttamente fondata sulla violazione del divieto di licenziamento ex art. 54 del d.lgs n. 151/2001, poiché il licenziamento è intervenuto durante lo stato di gravidanza della lavoratrice, non avendo la società datrice, sulla quale ricadeva il relativo onere, dimostrato il ricorrere di una delle tassative ipotesi di deroga a tale divieto. Infatti, questo prevede l’art. 54 di cui sopra che qui si riporta:

 “1.  Le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino.

  2.  Il divieto di licenziamento opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza, e la lavoratrice, licenziata nel corso del periodo in cui opera il divieto, è tenuta a presentare al datore di lavoro   idonea   certificazione dalla quale risulti l’esistenza all’epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano.

3. Il divieto di licenziamento non si applica nel caso:

a) di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;

b) di cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta;

c) di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine;

d) di esito negativo della prova; resta fermo il divieto di discriminazione di cui all’articolo 4 della legge 10 aprile 1991, n. 125, e successive modificazioni.

 4.  Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento la lavoratrice non può essere sospesa dal lavoro, salvo il caso che sia sospesa l’attività dell’azienda o del reparto cui essa è addetta, semprechè il reparto stesso abbia autonomia funzionale. La lavoratrice non può’ altresì essere collocata in mobilità’ a seguito di licenziamento collettivo ai sensi della legge 23 luglio 1991, n.223, e successive modificazioni. 5.  Il licenziamento intimato alla lavoratrice in violazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3, nullo.

6. E’ altresì nullo il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore.

  7.  In caso di fruizione del congedo di paternità, di cui all’articolo 28, il divieto di licenziamento si applica anche al padre lavoratore per la durata del congedo stesso e si estende fino al compimento di un anno di età del bambino. Si applicano le disposizioni del presente articolo, commi 3, 4 e 5.

 8. L’inosservanza delle disposizioni contenute nel presente articolo è punita con la sanzione amministrativa da……a…… Non è ammesso il pagamento in misura ridotta di cui all’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

9. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche in caso di adozione e di affidamento. Il divieto di licenziamento si applica fino a un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare, in caso di fruizione del congedo di maternità e di paternità”.

La Corte di Cassazione

Già nella fase di appello si era ampiamente discusso sul fatto che l’accertamento del giudice di merito, in relazione alla sussistenza dello stato di gravidanza della lavoratrice al momento della intimazione del licenziamento, era fondato su documentazione che la Corte di merito ha attestato essere stata, già, depositata in primo grado. Inoltre il giudice di secondo grado aveva precisato che la circostanza era stata comunicata alla parte datoriale, diversamente da come richiesto nei motivi di ricorso dal datore di lavoro.

Quest’ultimo ha sostenuto, nel ricorso, la mancanza di data certa per la corretta applicazione della presunzione legale di gravidanza, rappresentata dai trecento giorni antecedenti la data del parto, dunque l’impossibilità di stabilire se lo stato di gravidanza fosse effettivamente insorto in epoca anteriore all’intimato licenziamento, invece la Cassazione ribadisce che ciò è provato dal referto del pronto soccorso. Era, viceversa, onere della parte ricorrente, quello di allegare l’avvenuta deduzione di esso innanzi al giudice di merito ed inoltre indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare la veridicità di tale affermazione prima di esaminare il merito.

Dunque oltre all’illegittimità del licenziamento la lavoratrice deve essere reintegrata nel posto di lavoro e risarcita in misura pari alla retribuzione globale di fatto maturata dalla data del recesso datoriale fino all’effettiva reintegra, oltre accessori e versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali in relazione al medesimo periodo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *