a cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro
Il caso
Con riferimento ai reati di concussione e induzione indebita, la Corte di Cassazione (Cass. n. 13411/2019 RG), prendendo spunto da una sentenza della Corte di Appello di Messina impugnata, ha precisato le differenze intercorrenti fra le due fattispecie.
Il caso riguarda due medici che, nella loro veste di dirigenti di un nosocomio come non obiettore di coscienza, erano stati incaricati dei compiti, di evidente rilevanza pubblicistica, previsti e disciplinati dalla legge del 1978 sulle interruzioni di gravidanza.
Essi, paventando a diverse donne le difficoltà burocratiche cui sarebbero andate incontro per praticare nell’ospedale l’interruzione di gravidanza e i ritardi temporali conseguenti che avrebbero reso più gravoso l’intervento se non addirittura impedirlo, facevano loro versare somme ingenti per svolgere l’intervento presso strutture private peraltro non abilitate a questo genere di prestazioni.
I giudici hanno escluso che le condotte accertate abbiano integrato gli estremi del meno grave reato di induzione indebita, in quanto le donne in gravidanza non avevano subito una forma di blanda o tenue pressione morale, tale da consentire loro di conservare un margine di scelta, ma avevano patito da quei medici una forma di limitazione della loro libertà di autodeterminazione, che le aveva portate ad accettare di dare o promettere una somma di denaro indebita per evitare il grave pregiudizio che era stato loro strumentalmente rappresentato.
Il commento
Al riguardo, la riforma sui reati contro la Pubblica Amministrazione, realizzata dalla L. 190/2012, è intervenuta sul reato di concussione, creando ex novo il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità. Ciò ha creato notevoli problemi interpretativi che si riflettono inevitabilmente sulla responsabilità amministrativa da reato.
Dunque è necessario dare un’idea quanto più chiara fra le diverse fattispecie di reato ed indentificare quando si tratti di concussione e quando, invece, di induzione indebita.
In particolare, per individuare l’esatta differenza tra la concussione e l’induzione indebita sono intervenute le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, dopo pochi mesi dall’entrata in vigore della modifica normativa con la sentenza 12228/2014.
Come si diceva sopra, a seguito della riforma del 2012, il nuovo assetto normativo presenta da un lato la concussione ‘per costrizione’, dall’altro, l’induzione indebita a dare o promettere altre utilità.
La scissione del previgente art. 317 c.p. con contestuale introduzione del nuovo art. 319 quaterc.p., cioè il cosiddetto “spacchettamento” della concussione, ha posto problemi interpretativi circa la differenziazione tra le due fattispecie, considerato che nella previgente disciplina costituivano autonome modalità di condotta del medesimo reato.
Il reato così introdotto si pone in una posizione intermedia tra i due estremi della concussione, nella quale la prevaricazione del pubblico ufficiale è massima, e della corruzione, nella quale il pubblico ufficiale e il privato si trovano sullo stesso piano contrattuale.
Nell’induzione indebita, infatti, il privato, in seguito all’abuso del pubblico ufficiale, cede alle richieste non perché costretto da violenze o minacce, ma poichè mira a percepire un vantaggio personale, ponendo in essere una sorta di contrattazione, che potrà essere sbilanciata nei confronti dell’uno o dell’altro a seconda della richiesta e del vantaggio, pur sempre con la presenza di una sorta di metus nei confronti del pubblico ufficiale.
Da qui è nato il brocardo per cui l’induzione “non costringe ma convince”.
L’elemento chiave viene individuato nel cambio d’abito del privato che nel reato di induzione indebita non è più vittima (impunita ovviamente) della costrizione da parte del pubblico ufficiale, ma concorrente necessario del reato in quanto indotto alla promessa o alla dazione indebita. E questo cambio d’abito è il frutto della limitazione della concussione alla sola ipotesi costrittiva. La natura plurioffensiva di questo reato, infatti, tutela l’interesse al buon funzionamento della PA e la libertà di autodeterminazione del privato che è vittima del reato.
Diversamente, il privato, non costretto ma indotto alla dazione indebita, concorre nel delitto di cui all’art. 319-quater c.p. che come hanno affermato le Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha natura monoffensiva, cioè tutela esclusivamente il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione e dunque presidia al bene istituzionale. Il privato, dunque, non subisce un’offesa, ma, anzi, concorre ad offendere l’interesse pubblico. Con ciò si è inteso chiudere ogni spazio di eventuale impunità del privato che è semplicemente indotto e non costretto a pagare una “tangente”.
Per distinguere la costrizione o minaccia dalla induzione anche la Corte Suprema ha inteso cercare di definire quest’ultima in negativo, come effetto che non consegue a una violenza o minaccia; in positivo con una serie di modalità, tipiche della condotta induttiva e cioè: persuasione, suggestione, allusione, silenzio e inganno (sempre che quest’ultimo non riguardi la doverosità della dazione o della promessa, del cui carattere indebito il privato sia perfettamente conscio, perché se così non fosse si configurerebbe il reato di truffa).
Il criterio differenziale fra i due comportamenti non è sempre così netto, tanto è vero che il problema si è posto sin dall’inizio, perché nei casi in cui la minaccia o costrizione sia evidente rispetto ad un convincimento insistente o ad una suggestione, la questione non si pone ma vi sono dei casi, cosiddetti borderline, in cui non è così facile fare una distinzione.
Gli esempi seguenti chiariscono per l’appunto l’attività interpretativa e di bilanciamento dei beni giuridici coinvolti nel conflitto decisionale che è necessaria per individuare correttamente le diverse fattispecie.
E’ il caso del primario di una struttura pubblica, che allarmi il paziente circa l’urgenza di un intervento salvavita, e che pretenda denaro per operarlo personalmente e con precedenza, dove si è in presenza del reato di concussione, perché se anche indirettamente il paziente ottiene un vantaggio dietro pagamento questo però non guida il suo processo volitivo, che è in realtà piegato dalla prospettiva di esporre a grave rischio la propria vita. Ancora è il caso del poliziotto che faccia ‘salire in macchina’ una prostituta con la promessa di evitarle guai. Anche qui si tratta di concussione in quanto il sacrificio di un bene di rango così elevato come la libertà sessuale, in spregio di qualsiasi criterio di proporzionalità, “finisce per escludere lo stesso concetto di indebito vantaggio”.
Quanto al danno ingiusto e il vantaggio indebito la Suprema Corte li ha definiti elementi impliciti riferibili al soggetto passivo e costitutivi rispettivamente del reato di concussione e dell’induzione indebita.