Soluzioni in lista d’attesa nel Servizio Sanitario

L’attenzione mediatica e il dibattito pubblico seguono spesso logiche misteriose. Problemi nuovi che dovrebbero essere discussi non vengono neanche intravisti e problemi antichi, vengono evocati come se fossero novità, sperando in questo modo di mitigare l’evidente e sempre più insopportabile disagio che essi procurano ai cittadini. È questo il caso delle liste d’attesa nel sistema sanitario. Il problema di per sé non è nuovo, ma è pur vero che la pandemia ne ha esasperato le condizioni.

Così, in occasione delle elezioni in due delle regioni più importanti d’Italia, Lazio e Lombardia, le liste d’attesa sono diventate una priorità per tutti. Lo sono state per Orazio Schillaci, Ministro della Salute, che negli ultimi giorni ha richiamato l’argomento più volte, così come lo sono state per tutti i principali candidati nelle due regioni, i cui programmi hanno incluso sempre proposte di soluzione al problema, che in certi casi sembrano vani auspici, come lo “stop alle liste d’attesa” di Donatella Bianchi in Lazio o “la riduzione delle liste d’attesa del 50% per tutte le prestazioni sanitarie” di Majorino in Lombardia.

In particolare nel Lazio, tra i temi sul tavolo c’era quello delle liste di attesa, con i candidati che hanno stilato le loro ricette per ridurre i tempi delle prestazioni cresciuti ancora di più con l’emergenza Covid. Rocca ha contestato a D’Amato la mancata digitalizzazione: “Nel 2023 i nostri ospedali cercano ancora con i fax i posti letto per i pazienti in barella” e punta alla creazione di un “cruscotto digitale” che consenta il monitoraggio di tutti posti letto disponibili sul territorio, pubblici e privati accreditati. Per D’amato, invece, la sfida si vince in tre mosse: riforma della sanità territoriale, diagnosi di primo livello in farmacia o dai medici di famiglia e rinnovo del parco tecnologico per la diagnostica. Per Donatella Bianchi vanno potenziati i presidi sanitari e i servizi diagnostici di prossimità «per decongestionare le grandi strutture e propone che le strutture sanitarie pubbliche restino aperte anche nei giorni festivi e nei serali per smaltire le prestazioni.

Che l’attenzione sul tema sia alta può essere un fatto positivo. Meno positivo è che nessuno sembra avere le idee chiare su come le liste d’attesa possano davvero essere ridotte. In effetti, si tratta di un’impresa piuttosto ardua, specialmente in un Paese in cui la bandiera del “diritto alla salute” si scontra con le pessime condizioni e le ristrettezze delle casse pubbliche, che quel diritto dovrebbero finanziare. 

L’offerta del bene salute è limitata e le liste d’attesa sono un meccanismo di razionamento della domanda. Il ministro Schillaci ha osservato che “sulle liste di attesa bisogna fare un’operazione che non è solo economica e legata ai soldi, infatti bisogna razionalizzare”. Certamente il Ministro ha ragione nel sottolineare che la spesa sanitaria pubblica non sia sempre allocata nel migliore dei modi, per usare un eufemismo, ma tale dichiarazione sembra quasi un avvertimento: le risorse non ci sono e se la spesa sanitaria pubblica aumenterà, sarà solo di poco.

Potranno le liste d’attesa ridursi in maniera significativa a parità (o quasi) di risorse? Molto improbabile. Esistono di sicuro margini di miglioramento e si potrebbe far produrre di più a chi è più efficiente – a tale proposito, continuare a tenere bloccati i tetti di spesa per prestazioni da privati al 2012 non sembra particolarmente efficace. Tuttavia, se non ci sono margini per aumentare la spesa pubblica sanitaria, per incidere sulle liste d’attesa vanno previste, in maniera sistematica, forme di compartecipazione alla spesa intermediate da assicurazioni. Altrimenti, come testimonia l’aumento della spesa out of pocket, ai pazienti non resta che fare da sé.

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