L’Italia è un paese per vecchi

A cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro

Parafrasando un famoso film dei fratelli Coen, la generazione che accede adesso al mercato del lavoro in Italia andrà in pensione in media a 71 anni di età, anche 72 secondo le indicazioni riportate nel decreto milleproroghe, per quanto riguarda i dirigenti sanitari.

A scriverlo è l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) nel rapporto “Pensions at a glance” 2021.

L’Italia figura tra i sette Paesi dell’Ocse, che collegano l’età pensionabile prevista per legge alla speranza di vita.

In un regime cosiddetto contributivo, tale legame non è necessario per migliorare le finanze pensionistiche, ma mira ad evitare che le persone vadano in pensione troppo presto con pensioni troppo basse e a promuovere l’occupazione in età più avanzata.

Tuttavia, l’invecchiamento della popolazione sarà rapido e nel 2050 ci saranno 74 persone di età pari o superiore a 65 anni ogni 100 persone di età compresa tra i 20 e i 64 anni, il che equivale a uno dei rapporti più alti dell’Ocse.

Per l’Italia l’incremento dell’occupazione continua a rivestire un’importanza cruciale, in particolare nelle fasce di età più avanzata. Ma il mercato del lavoro e i suoi riflessi sulle pensioni non favoriscono la serenità che dovrebbe essere alla base del futuro di donne e uomini.

A queste condizioni di disagio si accomunano, oggi, l’attuale incertezza finanziaria ed economica, nonché l’aumento del costo della vita, che potrebbero indurre i responsabili politici, le autorità di regolamentazione e le autorità di vigilanza a rinviare le riforme utili a migliorare i loro sistemi pensionistici.

Ritardare le riforme necessarie metterebbe a rischio il benessere dei pensionati attuali e futuri.

Questo il monito che arriva dall’Ocse. La raccomandazione ai responsabili politici è di continuare a migliorare i sistemi pensionistici.

Il rapporto, pubblicato dall’istituto, afferma che gli accordi pensionistici in cui i risparmi pensionistici sono investiti, al fine di accumulare risorse che finanzieranno le pensioni, sono cresciuti negli ultimi due decenni nella maggior parte dei paesi membri dell’Ocse.

Alla fine del 2021 il totale delle risorse destinate al pensionamento era pari a poco più del 100 per cento del Pil totale dell’Ocse.

Queste condizioni determinano un ruolo chiave per la diversificazione delle fonti di finanziamento della pensione.

Per aiutare i Paesi a migliorare la solidità dei sistemi pensionistici e rinsaldare la fiducia dei cittadini nel fatto che i loro interessi siano tutelati e presi in considerazione, la relazione include anche una serie di raccomandazioni su come introdurre, sviluppare e rafforzare i regimi pensionistici garantiti da tali risorse.

Questi regimi, sottolinea l’Ocse, dovrebbero integrare, e mai sostituire, le pensioni pubbliche a ripartizione ed essere concepiti per diversificare le fonti di finanziamento del pensionamento e rendere i sistemi pensionistici più resilienti alle sfide che devono affrontare, come l’invecchiamento della popolazione.

Sistemi pensionistici solidi saranno importanti per proteggere gli standard di vita della nostra popolazione che invecchia.

Le sfide sono globali, con giurisdizioni di tutto il mondo che si affrontano in un contesto di crescita più bassa, alta inflazione e incertezza dei mercati finanziari, rispondendo al contempo alle implicazioni dell’invecchiamento della popolazione.

Si dovrà, quindi, continuare a sviluppare e rafforzare un sistema che combini diversi tipi di regimi pensionistici che si integrino a vicenda e diversifichino i rischi.

L’Italia sta adottando delle soluzioni miste, o meglio ancora, politiche poco chiare sull’indirizzo che si vuole dare. Se si rimane in campo sanitario, campo più congeniale e conosciuto, nelle norme in proroga si allunga l’età del pensionamento da una parte e si prorogano i contratti degli assunti a causa della pandemia, dall’altra, ma non si stabilizzano i contratti, motivo per il quale le indagini statistiche possono contare solo su quella parte di assunti che raggiungeranno l’età del pensionamento molto tardi. Questo non contribuisce a quello svecchiamento del sistema che darebbe opportunità di lavoro ai giovani ed limiterebbe la fuga cosiddetta dei cervelli, ma anche una vera e propria migrazione a causa del lavoro.

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