La modifica del Titolo V della Costituzione alla luce della pandemia. Cosa accadrà dopo le elezioni?

A cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro

La recente pandemia ha riaperto il dibattito sulla modifica del Titolo V, facendo rilevare la difficoltà di continuare a procedere in un regionalismo ingovernabile. 

Con la legge 18 ottobre 2001, n. 3, approvata da una maggioranza di centrosinistra (Governo Amato II) e poi confermata da referendum (nel frattempo era subentrata al Governo una nuova maggioranza di centrodestra guidata da Berlusconi), fu riformato il titolo V della Costituzione, che trasferiva molti poteri dallo Stato centrale alle Regioni, dando di fatto piena attuazione all’articolo 5 della Costituzione che riconosce le autonomie locali quali enti esponenziali preesistenti alla formazione della Repubblica. Si è verificata così una vera e propria riforma in senso federale dello Stato, così detta “a Costituzione invariata”, riconoscendo alle Regioni l’autonomia legislativa, ovvero la possibilità di legiferare norme di rango primario. 

All’articolo 117, sono state specificate le materie di competenza delle Regioni fra le quali: ricerca scientifica e tecnologia, alimentazione; protezione civile; governo del territorio; previdenza complementare e integrativa; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e in ultimo, tutela della salute.

Oggi, dopo tanti anni dalla riforma e soprattutto all’esito della pandemia è necessario chiedersi se sia o meno corretto che la sanità sia in capo alle Regioni. Cioè, quale sia il livello di governo più adatto a prendere le decisioni in campo sanitario.

Va ricordato che, anche recentemente, nel corso dell’epidemia Covid, la Corte Costituzionale ha precisato che, anche nelle materie di competenza concorrente, tra le quali è ricompresa quella della tutela della salute, nel caso di inadeguatezza dei livelli regionali, lo Stato può avocare a sé le funzioni amministrative e, conseguentemente, anche la funzione legislativa.

Il presupposto per gettare solide basi nella sanità è essenzialmente dato dalla constatazione del fallimento, in campo sanitario, della politica del regionalismo.

I fondi già stanziati 20 miliardi di euro di cui 8,2 per le spese sostenute nel 2020, e 8,6 per le spese del 2021, a cui seguiranno altri 20 miliardi messi a budget nel Recovery Plan per finanziare la Missione 6 del piano europeo dedicata alla sanità, potrebbero rappresentare, il supporto finanziario di una vera revisione, se non di una vera e propria rifondazione della Sanità Pubblica con un ripensamento adeguato delle interazioni con quella privata.

Il dubbio che ci si pone è se le Regioni che in 20 anni di spesa sanitaria sovvenzionata da Fondi Europei non sono state in grado di presentare validi progetti, potranno in soli 5 anni impegnare efficacemente le risorse del Pnrr.

Nel frattempo, si giunge a parlare di attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’art.116 della Costituzione, nei decreti collegati alla prossima legge di bilancio. Una sorta cioè di federalismo sanitario a geometria variabile che il Governo intende assecondare, con il rischio che il diritto alla salute possa soltanto assumere una valenza locale.

Una geometria variabile che, stante la diversa organizzazione e strutturazione della sanità fra le varie regioni rischia di coinvolgere in negativo anche le strutture “ausiliarie” private, che potrebbero essere pregiudicate da un sistema regionale disomogeneo e differenziato che sprona all’emigrazione sanitaria e determina in generale riflessi sulla immagine dell’efficienza sanitaria di alcune regioni rispetto ad altre, travolgendo in questa sfiducia anche le strutture private accreditate.

​In questo pezzo che avevamo preparato qualche settimana fa stanno i pensieri e le preoccupazioni a ridosso delle elezioni ed all’alba (forse) di una nuova Repubblica strutturata sul presidenzialismo e regionalismo federato o differenziato.

​Non possiamo che prendere atto – però – che gli stessi argomenti, accompagnati da proposte – come quella della revisione tariffaria e del superamento del sistema dei tetti di spesa sono stati espressi qualche giorno fa, il 21 settembre dagli esponenti di tutte le forze politiche da noi riuniti presso la sede ADNKRONOS di Roma.

​Sollecitati dal Presidente Vietti – tutti, senza eccezione alcuna – hanno preso impegni sulla immediata riforma del sistema o, meglio, sulla più corretta applicazione delle norme che già ci sono e che – per essere eque ed efficaci – devono essere applicate anche al settore pubblico e non solo al comparto privato, ed omogeneamente su tutto il territorio nazionale.

​Il contrario del regionalismo differenziato che sarebbe una iattura per il servizio pubblico e per i diritti dei cittadini.

​Staremo a vedere. Noi abbiamo mente lucida e buona memoria.

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