a cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro
Molto spesso nel dibattito sulla sostenibilità e l’equità dei sistemi pensionistici pubblici si menziona l’Italia come il Paese con la più alta spesa per pensioni e al tempo stesso con il minor impegno in termini di risorse dedicate a sostegno della famiglia.
Il sistema pensionistico italiano è finanziato in parte con i contributi sociali (33%) sulle retribuzioni lorde annue per i lavoratori dipendenti pubblici e privati. Negli anni, accanto alle prestazioni pensionistiche finanziate dai contributi, il sistema di protezione sociale ha introdotto una serie di prestazioni assistenziali che si sono sommate e sedimentate nella legislazione senza peraltro prevedere una razionalizzazione, tantomeno dei controlli efficaci con un notevole incremento di spesa.
Nel caso dell’Italia, nei dati che vengono comunicati agli organismi internazionali, sono comprese funzioni di spesa per protezione sociale che in realtà fanno capo all’assistenza e non esclusivamente alla previdenza, come fanno invece molti Paesi cui si viene paragonati.
Tutte le prestazioni assistenziali che non sono supportate da contributi sociali, gravano sulla fiscalità generale.
In totale il costo delle attività assistenziali a carico della fiscalità generale è ammontato nel 2021 a circa 150 miliardi di euro, in linea con gli anni precedenti, ma nel 2008 ammontavano a 73 miliardi. A queste cifre andrebbero poi aggiunti gli importi delle spese assistenziali sostenute dagli Enti Locali erogate direttamente alle famiglie che non risultano nelle spese per welfare a causa di carenze nella contabilità nazionale stimabili in oltre 11 miliardi, escludendo gli sgravi fiscali, le detrazioni e i vari bonus fiscali.
Ma come si è arrivati a questo punto. I concetti di previdenza ed assistenza trovano riferimento nell’articolo 38 della Costituzione. L’assistenza è disciplinata dal primo comma che recita: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”.
La previdenza è regolata, invece, dai commi secondo e quarto. Il primo di questi stabilisce che i lavoratori hanno diritto che siano “preveduti” e “assicurati” mezzi adeguati alle loro esigenze nel caso in cui si verifichino alcuni rischi meritevoli di protezione sociale. Il secondo dispone che ai compiti indicati provvedano “organi e istituti predisposti o integrati dallo Stato”.
Per comprendere la differenza è sufficiente notare che, nel caso della previdenza, i diritti sono riconosciuti ai lavoratori ai quali spettano le classiche prestazioni previdenziali in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria; mentre le prestazioni assistenziali (il diritto al mantenimento e all’assistenza sociale) si riferiscono al cittadino, purché inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere. Le due voci separate e ben distinte nella Costituzione, si trovano confuse, invece, nelle disposizioni di legge, nei media e anche nel linguaggio comune, parlando indistintamente di pensioni. Forse sarebbe adesso il momento per riprendere la storia della separazione fra assistenza e previdenza perché l’emergenza sanitaria ha dilatato il problema e il fenomeno ha assunto una dimensione talmente grande che è impossibile non vederlo. Sarebbe opportuno cominciare con un’analisi approfondita di tutte le prestazioni che riguardano la protezione sociale e che configurano prestazioni assistenziali. Contemporaneamente sarebbe utile creare una banca dati di tutte le prestazioni assistenziali pubbliche, a tutti i livelli, per evitare truffe o tentativo di truffe per lucrare prestazioni di cui non si ha diritto. E così le risorse finanziarie sarebbero più cospicue e tali da intervenire nelle situazioni di maggior svantaggio, familiare e individuale. Un’assistenza, dunque, intesa come dimensione solidale collettiva, quale risulta dalla vocazione programmatica definita dalle norme costituzionali. Ma i tempi per la loro completa realizzazione restano molto lunghi.