Istigazione alla corruzione per il medico di base

a cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro

Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione ha confermato l’orientamento di contrasto di qualsiasi forma di “compravendita” dell’attività di certificazione del medico che è dipendente o ha rapporti con il sistema sanitario nazionale.

In particolare nelle situazioni nella quali la certificazione è un atto doveroso, il medico può commettere il reato di istigazione alla corruzione.

L’art. 322 del codice penale recita: Chiunque offre o promette denaro od altra utilità non dovuti ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di pubblico servizio per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nel primo comma dell’articolo318, ridotta di un terzo.

Se l’offerta o la promessa è fatta per indurre un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio a omettere o a ritardare un atto del suo ufficio, ovvero a fare un atto contrario ai suoi doveri, il colpevole soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nell’articolo319, ridotta di un terzo.

La pena di cui al primo comma si applica al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro o altra utilità per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri.

La pena di cui al secondo comma si applica al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro ad altra utilità da parte di un privato per le finalità indicate dall’articolo 319”.

Come si legge nell’articolo del codice penale, riportato al terzo comma, la dazione o promessa corruttiva può essere sollecitata dal pubblico ufficiale stesso. Pertanto, nel caso di prestazione doverosa, come nel caso trattato dalla Corte Suprema, cui segue o precede una richiesta di denaro da parte del medico che obbligatoriamente deve rilasciare la certificazione, si configura il reato de quo. La pena è quella prevista per il reato di corruzione di cui all’art. 318 che va da tre ad otto anni di reclusione, ridotta di un terzo.

Il principio risiede nella potenzialità lesiva della richiesta indebita indipendentemente dall’entità dell’utilità economica, o dall’esiguità della pretesa.

Nel caso in particolare la Corte di Appello territoriale ha condannato un medico di medicina generale, convenzionato con il sistema sanitario nazionale, per aver richiesto ai propri assistiti somme di denaro in cambio del rilascio di certificazioni di astensione dal lavoro. Detti certificati sono atti dovuti e gratuiti.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19409/2025, confermando la sentenza di condanna della Corte territoriale ha sancito il principio che nel caso de quo si configura il delitto di istigazione alla corruzione ex art. 322, comma 3, c.p., indipendentemente dall’entità della somma richiesta o dal tono informale della proposta.

La pronuncia è indicativa perché volge a tutelare la legalità e la correttezza dell’azione amministrativa, anche nel settore sanitario, riaffermando il principio secondo cui le prestazioni rientranti nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) devono essere erogate gratuitamente.

Altro fattore importante deriva dal fatto che la Suprema Corte ha escluso l’applicabilità della tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131 bis del codice penale, in quanto, nonostante le condotte del medico fossero poche e limitate anche quantitativamente evidenziano una predisposizione a eludere sistematicamente le regole poste a presidio della funzione pubblica esercitata.  

Dunque “la particolate tenuità del fatto” non può trovare applicazione in quanto la condotta del medico lede l’affidamento dei cittadini nella neutralità e nella legalità dell’agire pubblico.

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