a cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro
L’art. 34 della Costituzione italiana recita: “La scuola è aperta a tutti.
L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”.
Questo articolo fissa i principi fondamentali in tema di scuola e di istruzione sancendo il diritto all’istruzione e dunque allo studio, cioè a ricevere un’educazione culturale e pertanto il suo presupposto è costituito dalla libertà di accedere alla scuola senza discriminazioni al sistema scolastico.
Al di là dell’obbligo scolastico che dalla legge del 1996 è stato portato a 16 anni e della totale gratuità dell’istruzione inferiore, il numero chiuso, cioè il numero limitato di persone che possono avere accesso agli studi universitari è o non è anticostituzionale?
La problematica è annosa e diventa iperbolica se si pensa proprio alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dove i posti, dunque l’offerta, seppur aumentata dall’attuale Governo, è sempre di molto inferiore alla domanda e al numero di studenti che si presentano per effettuare i test di accesso a questa facoltà universitaria.
Fa riflettere, secondo quanto stabilito dalla Corte costituzionale, che “il diritto allo studio comporta non solo il diritto di tutti di accedere gratuitamente alla istruzione inferiore, ma altresì quello di accedere, in base alle proprie capacità e ai propri meriti, ai ‘gradi più alti degli studi’: espressione, quest’ultima, in cui deve ritenersi incluso ogni livello e ogni ambito di formazione previsti dall’ordinamento” (Corte Costituzionale, sentenza 24 febbraio 2021, n. 42, e sentenza 22 maggio 2002, n. 219).
I test per accedere alla facoltà di medicina, in tal senso, rappresentano una notevole limitazione del diritto allo studio, in quanto fondati, tra l’altro, su una preparazione specifica, che per molti aspetti non ha alcuna attinenza con la carriera che si andrà a svolgere.
Pur se, negli scorsi giorni, modificati, non rappresentano effettiva garanzi di selezione per chi vuole svolgere la professione medica.
La conseguenza di tutto questo potrebbe rappresentare la lesione del principio di uguaglianza, in quanto studenti maggiormente abbienti possono permettersi corsi molto costosi di preparazione ai test di ingresso, creando una disparità di trattamento con altri che queste possibilità economiche non hanno.
La regione Campania ha effettuato una proposta di legge per l’abolizione totale del numero chiuso per l’accesso alla facoltà di Medicina e Chirurgia, Veterinaria e Odontoiatria.
Nella proposta di legge, all’art. 1 viene disposto il libero accesso alle facoltà in ambito sanitario: “Al fine di rafforzare il servizio sanitario nazionale attraverso l’incremento degli addetti alle professioni sanitarie e di superare il disagio sociale connesso al regime di accesso programmato ai corsi universitari di area sanitaria, a decorrere dall’anno accademico 2024/2025 l’accesso ai corsi universitari in medicina e chirurgia, in medicina veterinaria, in odontoiatria e protesi dentaria, nonché ai corsi universitari concernenti la formazione del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione e ai corsi di laurea specialistica delle professioni sanitarie è libero”.
Non è tutto così semplice!
Intanto una recente pronuncia della Terza Sezione del Tar Lazio – sentenza n. 18071/2023- individua il criterio secondo il quale il numero dei posti a medicina è rimesso alla valutazione dell’offerta del sistema universitario. In sostanza il fabbisogno di professionalità assume un ruolo sussidiario rispetto a quello costituito dall’offerta potenziale del sistema universitario.
In ragione delle risorse stanziate per ciascun anno finanziario, la programmazione di posti, non strettamente correlata alla capacità recettiva degli Atenei, è molto complicata da gestire.
Parlare del numero programmato e quindi del test di accesso a medicina oggi vuol dire esaminare una tematica complessa che va chiarita per punti.
Secondo i dati del MIUR nei prossimi anni si laureerà un numero di medici considerevole, ciò a causa dei vari incrementi avvenuti negli anni del numero di immatricolazioni nei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia, l’ultimo dei quali con il decreto ministeriale 994, che stanzierà per l’anno accademico 2023-2024 19.544 posti, ovvero il 23% in più rispetto all’anno scorso.
Ciò dimostrerebbe secondo alcuni la necessità del numero chiuso.
I costi che lo Stato dovrebbe sostenere in caso di ritorno alla liberalizzazione sarebbero enormi. Sempre secondo fonti MIUR il test del 2019, il cui numero di partecipanti è stato di 68.694 (dati MUR). Se tutti questi aspiranti medici avessero avuto accesso diretto al corso di laurea in medicina e chirurgia, lo Stato avrebbe dovuto affrontare una spesa complessiva di 1.703.611.200 euro. Volendo moltiplicare anche solo un sesto di questa cifra, considerando un eventuale sbarramento al primo anno, per il numero di persone che in media provano il test ogni anno, lo Stato dovrebbe affrontare annualmente una spesa di circa 280 milioni di euro. Inoltre, l’adeguamento della capacità di formazione della rete formativa universitaria, andrebbe intesa come idoneità delle aule e degli spazi formativi in generale, presenza fisica per ogni aula del docente durante la lezione, possibilità di valutazione degli studenti in maniera oggettiva e accurata, possibilità di effettuare tirocini formativi con un rapporto ottimale fra tutor/studenti, accesso ai reparti di degenza in numero tale da non creare disagi ai pazienti.
Molto spesso si parla di voler emulare il modello francese che sostanzialmente si identifica con un primo anno uguale per i corsi di laurea in Medicina, Odontoiatria, Farmacia e Ostetricia e, successivamente, con uno sbarramento nell’anno successivo.
Ma il nostro paese non avrebbe le capacità economiche, mancherebbe l’edilizia scolastica universitaria, nonché tutte le risorse finanziarie per accogliere tutte le domande di accesso.
Dunque il mantenimento dell’attuale impianto normativo sembra più una necessità che una scelta politica, pur se non si può non riflettere con amarezza sul fatto di non essere in grado di fare di più, specialmente in un paese la cui Carta Costituzionale è ammirata e lodata e molto spesso premiata da tutti i paesi del mondo.