Crediti inesistenti o non spettanti, nelle due diverse interpretazioni della giurisprudenza civile e penale

a cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione Civile, alla fine dell’anno scorso, hanno pubblicato due sentenze: n. 34419 e n. 34452, le quali hanno affrontato l’annosa questione delle differenze fra i crediti da considerare inesistenti e quelli da evidenziare come esistenti ma non spettanti. La questione è di notevole importanza, in quanto il contribuente, come è noto, nel compensare i crediti suddetti, meglio nel farlo in modo sbagliato, inadeguato o non dovuto, rischia di commettere il reato di cui all’art. 10 quater del Decreto Legislativo 74/2000 che attua un regime di pena diversificato, a seconda che si tratti di credito inesistente o non spettante, in particolare il reato di “Indebita Compensazione” recita: È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro.

È punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai cinquantamila euro”.

Le due sentenze hanno affermato il principio di diritto secondo il quale, in tema di compensazione di crediti da parte del contribuente, il credito utilizzato sia da classificare  inesistente quando ricorrano congiuntamente due specifici requisiti: “a) il credito, in tutto o in parte, è il risultato di una artificiosa rappresentazione ovvero è carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge ovvero, pur sorto, è già estinto al momento del suo utilizzo; b) l’inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui all’art. 36 bis e 36 ter DPR n. 600 del 1973 e all’art. 54 bis  DPR n. 633 del 1972”, specificando altresì che: “ove sussista il primo requisito ma l’inesistenza sia riscontrabile in sede di controllo formale o automatizzato, la compensazione indebita riguarda crediti non spettanti.”

Dunque, se da una parte dal punto di vista tributario-amministrativo le Sezioni unite pongono fine alla questione creando una differenza di natura formale ma anche sostanziale per quello che attiene alla sanzione amministrativa da comminare, non la stessa chiarezza si potrebbe assumenre per la distinzione che la orma pena richiamata fa tra il primo e il secondo comma dell’art. 10 quater.

Dunque, ogni volta che l’inesistenza del credito venga individuata dall’organo accertatore tramite i controlli automatizzati, il credito dovrà essere considerato non spettante, sebbene materialmente inesistente.

Questo discorso assume una veste in ambito tributario, dove l’ambito sanzionatorio è sensibilmente diverso, differentemente che in ambito penale, dove abbiamo visto che l’attribuzione di pena assume una consistenza molto rilevante, a seconda che si tratti di inesistenza o di non spettanza.

Il dilemma, dunque, era capire se le norme di natura tributaria potessere essere applicate anche al diritto penale, pur se si sa che viaggiano su due binari paralleli.

La Suprema Corte in sede penale, invece, non sembra essersi allineata al concetto espresso dalla gemella in sede civile. La sentenza n. 6 del 2 gennaio 2024, emessa dalla Terza Sezione Penale della Suprema Corte, ha tracciato un indirizzo interpretativo opposto rispetto a quello enunciato dalle Sezioni Unite civili, ritenendo che ai fini della qualificazione del credito di imposta come inesistente, la sussistenza del duplice requisito della mancanza del presupposto e della non riscontrabilità mediante i controlli automatizzati, sia applicabile esclusivamente in sede tributaria e non in sede penale.

In conclusione, in sede penale, il credito indebitamente compensato andrà considerato sempre inesistente, dunque integrerà una sola fattispecie, quella più grave prevista al secondo comma dell’art. 10 quater del D.Lgs. 74/2000, anche nel caso in cui l’inesistenza sia riscontrabile mediante i controlli automatizzati operati dall’organo accertatore.

Anche se, apparentemente, il sistema potrebbe sembrare peggiorativo, in realtà concede maggiori margini di certezza, in quanto l’inesistenza è un concetto sostanzialmente e formalmente tangibile, diversamente dalla non spettanza che implicherebbe un’interpretazione non immediata come il giudice penale e prima di lui il Pubblico Ministero che esercita l’azione penale dovrebbe dare, interpretazione che esula dalla certezza del diritto.

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