COMUNICATO 16 LUGLIO 2025
Il tema della responsabilità dei dirigenti delle Strutture sanitarie torna al centro del dibattito per l’aumentare degli obblighi di legge e dei rischi connessi a tale attività. Il medico dirigente, infatti, nell’ambito della sua funzione ha il dovere di vigilare sull’operato dei medici dipendenti, coordinare le attività diagnostiche e terapeutiche, garantire il rispetto delle linee guida e dei protocolli, adottare misure per la prevenzione degli errori medici e per la gestione dei rischi clinici. La sua funzione comprende anche gli aspetti che riguardano la correttezza delle comunicazioni con i pazienti e i suoi familiari, fornendo informazioni chiare e comprensibili soprattutto ai fini dell’ottenimento del consenso informato per le procedure mediche. Queste responsabilità si traducono, in sede giuridica, in un potenziale ampliamento della responsabilità civile, amministrativa e anche penale, tanto più in presenza di eventi avversi o presunti errori organizzativi. L’errore di chi dirige – per omissione, negligenza o scelte gestionali – può infatti concorrere causalmente al danno subito dal paziente, con conseguente esposizione personale a richieste risarcitorie. Naturalmente, il dirigente medico risponde della propria condotta professionale e delle eventuali mancanze nell’organizzazione e nella gestione dei servizi sanitari. Nell’ambito dei giudizi di responsabilità medica del dirigente la giurisprudenza si è concentrata sull’analisi del nesso causale tra la condotta del medico e il danno subito dal paziente, tenendo conto della specificità dei casi. Ed invero, la legge Gelli-Bianco (legge n. 24 dell’8 marzo 2017) prevede che non sussista la responsabilità del medico in assenza di colpa grave, soprattutto in presenza di problemi tecnici di particolare difficoltà. Viene riconosciuta la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, ma viene anche valutata la responsabilità extracontrattuale del medico, soprattutto se il danno deriva da una sua specifica negligenza o imperizia. Proprio la legge Gelli-Bianco stabilisce l’obbligo per le strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, di stipulare una copertura assicurativa per la responsabilità civile verso terzi. Questo obbligo si estende anche ai professionisti sanitari, inclusi i dirigenti sanitari, che devono assicurarsi per la “colpa grave”. La legge prevede che la struttura sanitaria possa essere chiamata a rispondere dei danni causati da errori medici, anche se commessi da professionisti che non sono dipendenti diretti della struttura stessa. Nello specifico le novità introdotte sono l’obbligo assicurativo per le strutture sanitarie e l’obbligo assicurativo per i professionisti sanitari. Pertanto, sia le strutture pubbliche che quelle private devono stipulare una polizza assicurativa che copra la loro responsabilità civile, mentre i professionisti sanitari, compresi i dirigenti, devono stipulare una polizza assicurativa specifica per la colpa grave che copra le azioni di rivalsa esercitate nei loro confronti dalla struttura o dalla compagnia assicurativa. La Suprema Corte ci fornisce, a tal proposito, indicazioni specifiche per identificare la “colpa grave”. In particolare, evidenziano i Supremi giudici che sì può parlare di colpa “grave” solo quando si sia in presenza di una “deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato, rispetto al parametro dato dal complesso delle raccomandazioni contenute nelle linee guida di riferimento”. Perché vi sia “colpa grave”, quindi, penalmente rilevante, il gesto tecnico deve risultare “marcatamente distante dalle necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia ed alle condizioni del paziente“. Conseguentemente, quanto più la vicenda risulti problematica, oscura, equivoca, tanto maggiore dovrà essere la propensione a considerare “lieve” l’addebito nei confronti del professionista che, pur uniformatosi ad una condotta accreditata dalla comunità scientifica, non sia stato in grado di produrre un trattamento adeguato o abbia determinato la negativa evoluzione della patologia. La legge non prevede alcuna sanzione a carico di chi non si assicura; alcuna sanzione a carico di chi non adotta «altre analoghe misure»; ed alcuna sanzione a carico di chi non faccia né l’una, né l’altra cosa. L’art. 10, comma 1, della legge è dunque quella che gli antichi avrebbero chiamato una lex imperfecta, ovvero un precetto senza sanzione. Sta di fatto che la la necessità di provvedere alla copertura assicurativa nasce da valutazioni anche di tipo etico: non è solo una scelta prudente ma un atto dovuto verso sé stessi, verso la propria equipe, verso i pazienti.