a cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro
Il consenso informato è una “condicio sine qua non” per poter eseguire molte pratiche assistenziali quali un intervento chirurgico, una trasfusione, una diagnosi invasiva od altro. E’ la manifestazione di volontà che il paziente esprime liberamente in ordine ad un trattamento sanitario. Il termine “consenso informato” nasce dopo il processo di Norimberga, quando l’omonimo codice evidenziò il principio dell’inviolabilità della persona umana: la partecipazione di qualunque individuo ad una ricerca scientifica non sarebbe più avvenuta senza il suo volontario consenso.
Molte sentenze della Corte Cassazione hanno affrontato la problematica del consenso informato e della relativa responsabilità del curante, dando importanti spunti applicativi.
In particolare, la sentenza n. 16633/2023 offre un vero e proprio schema volto a dirigere la valutazione del Giudice al fine di adottare una vera e propria metodologia per accogliere o negare le richieste di risarcimento per violazione del consenso informato.
Innanzitutto l’informazione che il medico fornisce al paziente oltre che veritiera, deve avere altre caratteristiche come quella della consapevolezza, cioè, deve fornire una informazione adeguata, completa e recepita; della completezza, in quanto deve prevedere tutti rischi, compresi quelli statisticamente meno probabili con esclusione solamente di quelli assolutamente eccezionali ed altamente improbabili; ancora quella della globalità, poichè deve riguardare, non solo l’intervento nel suo complesso, ma anche ogni singola fase dello stesso; infine la caratteristica dell’esplicitazione, cioè l’informazione deve essere espressa, mai presunta o tacita.
L’eventuale deficit informativo deve essere comunque provato dal paziente, o dai parenti che chiedono il risarcimento, o, comunque il paziente deve allegare i fatti che a livello probatorio siano in grado di dimostrare che in caso di corretta informazione avrebbe optato per altra scelta.La mancanza o la carenza informativa preventiva determinano una relazione causale diretta con la violazione dell’interesse all’autonoma valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario.
Inoltre, la Suprema Corte richiede altre tre elementi: il primo riguarda la condotta lesiva da parte di colui che somministra le informazioni per il consenso informato che deve riguardare l’omissione o l’incompletezza delle informazioni fornite al paziente unitamente alla prova del presunto dissenso all’esecuzione dell’atto medico; il secondo, l’evento dannoso con carattere di plurioffensività, inteso come lesione del diritto alla salute e alla capacità di autodeterminazione; il terzo il danno conseguenza, ossia le concrete conseguenze pregiudizievoli, causalmente collegate alla mancanza o carenza di informazione.
Secondo la Suprema Corte il danno risarcibile a causa della lesione del diritto di autodeterminazione è previsto solo se, a causa della mancanza o carenza dell’informazione, il paziente abbia subito un pregiudizio patrimoniale o non patrimoniale, diverso dalla lesione del diritto di salute, in termini di sofferenza soggettiva e di contrazione della libertà di disporre si se stesso, danno da provarsi nel concreto