A cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro
Ancora un commento sulla giurisprudenza di merito che continua imperterrita a condannare le strutture sanitarie a risarcire il danno subito dal paziente e dovuto a responsabilità contrattuale.
Il Tribunale di Modena, con sentenza del 15 settembre 2022, depositata in questi giorni ha stabilito, nel giudizio promosso da un paziente contro la casa di cura presso la quale era stato sottoposto a intervento chirurgico e a successiva profilassi anti-infettiva, da cui sarebbero derivati danni gravi alla persona, la esclusiva responsabilità della struttura.
Dagli accertamenti eseguiti era emerso che la profilassi antibiotica prescritta dai sanitari era nota per avere riflessi negativi sul sistema muscolo-scheletrico; in effetti, aveva portato alla rottura del tendine d’Achille.
Il Giudice di primo grado ha condannato la struttura sanitaria, ricordando che la medesima risponde, per responsabilità contrattuale, per il solo fatto di avere ricoverato il paziente e di avere assunto nei suoi confronti un’obbligazione di cura. Come prova liberatoria della responsabilità da risarcimento, la casa di cura deve provare di avere: “predisposto in maniera eccellente e tempestiva tutti i servizi e di essersi altresì avvalsa di personale competente e idoneo”.
Riguardo, invece, alla posizione del medico, chiamato in causa dalla casa di cura per ottenere, in via di regresso, il Giudice di merito ritiene che il suo eventuale inadempimento non costituisce mai causa di pieno esonero da colpa per l’ospedale o per la struttura sanitaria.
Quanto poi all’azione di regresso, la richiesta di restituire le somme pagate a titolo di risarcimento del danno al paziente, può essere accolta solo quando venga provato che il medico abbia agito con dolo o colpa grave, secondo l’articolo 9 della legge Gelli-Bianco.
Nel caso in questione, peraltro, era emerso come il medico si fosse attenuto alle direttive e ai protocolli farmacologici previsti dalla stessa struttura convenuta, escludendo quindi ogni condotta colposa qualificabile come “grave”. Viene quindi condannata solo la casa di cura per l’errato protocollo farmacologico, adottato dal medico attenendosi alle direttive dell’istituto.
Sarà interessante seguire l’iter giudiziale nelle eventuali fasi del secondo e terzo grado di giudizio, auspicando un quid novis da parte della giurisprudenza, soprattutto di legittimità.
La sentenza afferma un principio ancora più rigido di quello elaborato dalle linee della giurisprudenza di legittimità. Si era già avuto modo di commentare la sentenza 32972 del 9 novembre 2022, con la quale la Cassazione aveva affermato che il paziente deve provare, anche mediante presunzioni, il nesso eziologico fra la condotta errata dell’azienda ospedaliera (o struttura sanitaria privata) nella sua materialità e il danno lamentato.
L’azienda sanitaria deve invece provare o l’adempimento o che l’inadempimento
è stato determinato da impossibilità della prestazione a essa non imputabile.
Quanto invece al medico, la legge Gelli ha inteso liberare il professionista dai “lacci” della responsabilità contrattuale, spostando il baricentro della colpa in prima battuta sulla struttura sanitaria.
Di questo passo, però, la struttura sarà sempre responsabile determinando il ribaltamento del principio “ad impossibilia nemo tenetur” nel suo opposto e cioè in quello che per le strutture si attua una sorta di impossibilità di dimostrazione della prova contrario, del comportamento cosiddetto “eccellente” che viene richiesto.
Se, dunque, onore al merito di aver in parte sgravato la responsabilità dei singoli medici che rispondono per la responsabilità aquiliana e solo in casi di colpa grave, non si ritiene giusto non attuare dei correttivi per le strutture che sono (quasi) sempre ritenute responsabili.
Non era proprio questa la ratio della L. 24/2017!