La discussione sull’attività cosiddetta “intramoenia”, cioè le visite a pagamento effettuate in ospedale oltre l’orario istituzionale, è tornata attuale, anche grazie alle recenti affermazioni del Ministro della Salute Orazio Schillaci che starebbe valutando una sospensione di questa possibilità dove generi diseguaglianze nell’accesso alle cure. Le attività intramoenia si realizzano, di fatto, quando i medici ospedalieri, fuori dall’orario ordinario di lavoro, svolgono visite o esami a favore di pazienti che desiderano scegliere un particolare specialista e sono disposti a pagare una tariffa aggiuntiva. Le prestazioni avvengono negli stessi spazi e con le stesse attrezzature degli ospedali pubblici, ma in regime di libera professione regolamentata. Una parte rilevante della tariffa resta all’azienda sanitaria, il resto va al medico. Questa possibilità fu introdotta negli anni Novanta per rendere più competitivo il SSN rispetto al privato puro e per offrire un canale parallelo in grado di garantire tempi più brevi e la possibilità di scegliere il proprio specialista. Attualmente l’incremento delle richieste di esami e visite attraverso questo canale è pari al 10% rispetto al passato recente: ciò testimonia quanto la popolazione utilizzi l’intramoenia come soluzione alle carenze del sistema tradizionale. Per risolvere l’emergenza delle liste d’attesa, il Ministro della Salute, nelle ultime ore, ha proposto di sospendere temporaneamente la libera professione all’interno delle strutture pubbliche quando i tempi di attesa per il pubblico diventano eccessivi, mentre quelli a pagamento restano contenuti. Il Ministro ha poi ribadito l’importanza della libera professione, affermando che: “La libera professione dei medici è un diritto, ma non può negare la prestazione pubblica”. “Il problema nasce quando ci sono più prestazioni a pagamento che nel Servizio sanitario nazionale, quando l’attesa pubblica è di sei mesi e l’intramoenia di due settimane. Se lo sbilanciamento nega il diritto alle cure, è verosimile ipotizzare una sospensione temporanea». Schillaci ricorda che «il patto è chiaro: prima il pubblico, poi il privato convenzionato». Riguardo alla crescita del dieci per cento dell’intramoenia negli ospedali, conferma che dove vengono rilevate criticità «interveniamo per garantire equità». In merito, poi, alla norma applicata dal Piemonte e da altre Regioni, che consente ai cittadini di rivolgersi gratuitamente al privato quando non ottengono prestazioni nei tempi dovuti, il Ministro afferma che si tratta di «una norma che serve proprio a dare una risposta concreta quando il pubblico non riesce a garantire i tempi», precisando però che «non può essere la soluzione strutturale». Dunque, la proposta in discussione parte da un presupposto preciso: è l’attività in intramoenia a “paralizzare” il servizio pubblico, sottraendo tempo e risorse e allungando, di conseguenza, le liste d’attesa. La soluzione, quindi, sarebbe quella di limitare drasticamente questa attività. Ma questo ragionamento, per quanto politicamente spendibile, rischia di confondere la causa con l’effetto. È molto più probabile che sia vero il contrario. E’ stato osservato, infatti, che sarebbero proprio le liste d’attesa infinite del SSN, causate da anni di tagli, blocco del turnover, carenza di personale e disorganizzazione, a creare il mercato per l’intramoenia. Il cittadino che non può aspettare sei mesi per una visita cardiologica sarebbe di fatto costretto a rivolgersi al medico a pagamento, anche se questo significa un sacrificio economico. L’intramoenia, quindi, più che la causa del problema, sarebbe il sintomo di un sistema pubblico che non riesce più a garantire una risposta tempestiva ai bisogni di salute dei cittadini. Attaccare il sintomo senza curare la malattia è un’operazione che potrebbe rivelarsi fallimentare.
avv. Rossella Gravina

