Comunicati

Regioni italiane con il cappio al collo.

I vari tagli alla sanità hanno determinato fra le altre cose una diminuzione dei posti letto di terapia intensiva entro il 2026.

La Commissione Ue promuove la nuova versione del piano che ha comportato oltre ai tagli noti, quelli delle case di comunità, degli ospedali di comunità e delle centrali operative.

Il problema si pone per le Regioni che ancora non conoscono la distribuzione territoriale dei tagli.

Anche se il governo sembra rassicurare che le strutture che dovrebbero essere “tagliate” rivivrebbero con altri finanziamenti, non conoscendo l’entità e soprattutto la matrice degli stessi, la preoccupazione delle Regioni aumenta.

L’allarme è accentuato dal fatto che ad oggi nessun Presidente di Regione, così come nessun assessore alla Sanità è in grado di conoscere a quante strutture del territorio dovrà rinunciare rispetto al piano iniziale, peraltro in molti casi in fase avanzata di realizzazione. E poco rassicura ciò che giunge dalla voce della Commissione UE che nel valutare la revisione del piano da parte dell’Italia, tra l’altro, scrive che “alla luce delle modifiche proposte dall’Italia la missione 6 continua a rafforzare la prossimità dei servizi e la digitalizzazione del sistema sanitario nazionale”.

I tagli sembrano necessari a fronte dell’aumento dei costi e dei ritardi accumulati e, dunque, alcune parti del Paese rischierebbero diarrivare alla scadenza del 2026 con un’attuazione solo parziale del piano, ponendo a rischio i finanziamentieuropei. In questo nuovo scenario sono previste altre riduzioni che rischiano di impattare su un sistemasanitario già messo a dura prova dal Covid e dalla carenza di personale.

Nella versione rivista delPnrr le riduzioni riguardano, come si diceva, i posti letto di terapia intensiva, l’edilizia sanitaria, ma soprattutto, la riduzione degli ospedali e case di comunità oltre che delle centrali operative. Pertanto è la medicina territoriale a farne maggiormente le spese.  

Nel piano è anche previsto un aumento dei pazienti che verranno seguiti con la telemedicina che, però, deve essere supportata da apparecchiature diagnostiche di livello.

Il grande timore è dato dal fatto che in regioni già sofferenti possano giungere ulteriori tagli che sarebbero disastrosi per la sanità locale, laddove si parlava di potenziamento per evitare il costoso esodo verso regioni più virtuose, esodo che ricadeva sulle casse della regione abbandonata.

Dunque, in attesa del disegno di una road map da parte del Ministero della Salute, si prefigura, ottimisticamente, il mantenimento dei livelli attuali delle strutture previste, al massimo con possibili lievi ridimensionamenti.

Certo è che si sperava i tagli potessero non riguardare la sanità!

avv. Maria Antonella Mascaro

La fuga di medici e infermieri dal pubblico verso l’estero non accenna a rallentare

Un medico ospedaliero di Genova (che vuole restare anonimo) lavora in ospedale da più di 20 anni anni e sta valutando di spostarsi in Bahrain: gli offrono 20mila euro al mese, che sono dieci volte di più di quello che prende nell’ospedale ligure dove lavora, una casa e un’auto.

A livello nazionale la fuga di medici e infermieri all’estero non accenna a rallentare, anzi: secondo l’associazione dei medici di origine straniera in Italia (Amsi) e dell’Unione medica euro mediterranea (Umem) se tra maggio e agosto le richieste sono aumentate del 40%, il dato è schizzato del 65% da settembre.

Negli ultimi cinque anni sono circa diecimila le richieste di informazioni da parte di professionisti della sanità sulla possibilità di lavorare nei Paesi del Golfo. Una media di duemila l’anno. In sei mesi del 2023, da maggio al 30 ottobre, siamo arrivati a quota 1.700, per l’80% appartenenti a strutture pubbliche.

Medici e operatori sanitari in cerca di uno stipendio migliore, ma soprattutto di una qualità di vita più alta tra tempo a disposizione e soddisfazione professionale.

I professionisti della sanità in fuga dal sistema sanitario nazionale sono diversi: dai chirurghi in burnout soprattutto dopo il Covid, allo specializzando che teme di non avere un contratto adeguato, al primario stanco di uno stipendio sempre uguale, tra loro anche la coppia medico-infermiere (il 25%) che vuole scommettere su un’altra vita.

A una lettura superficiale può sembrare sia solo una questione economica, che sicuramente conta, ma non è solo questo: chi vuole lasciare la sanità italiana e partire, lo fa anche per le aggressioni sempre più frequenti, stress e mancanza di valorizzazione, la sanità pubblica – per chi ci lavora – non mantiene le promesse e si perde in burocrazia e ‘si è sempre fatto così’ per non parlare di veri e propri settori e reparti intoccabili.

Quasi nessuno si ferma al mero nodo dello stipendio, che pure conta: chi vuole partire lo fa perché stanco, per mancanza di sicurezza e per le aggressioni sul lavoro, per sfiducia, stress e mancanza di valorizzazione da parte di una sanità, soprattutto pubblica, che non mantiene le promesse e si perde in una burocrazia desolante. Per i più giovani, c’è soprattutto la voglia di fare pratica ed esperienza altrove ma anche la paura di ‘non farcela’ qui da noi o di restare incastrati in un meccanismo che scoraggia carriere e legittime aspirazioni personali.

I provvedimenti della sanità per la Calabria

La Camera dei Deputati ha approvato il Decreto Proroghe che ora è legge. Fra le diverse le misure in tema di sanità, emergono quelle che riguardano la Regione Calabria.

In sintesi alcune importanti proroghe. 

Innanzitutto viene prorogato al 31 dicembre 2024 il periodo di applicabilità delle misure a sostegno del servizio sanitario regionale calabrese.

Inoltre gli effetti delle disposizioni operano limitatamente alle unità con contratto di lavoro flessibile in servizio alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, nel limite di spesa di 193.000 euro per l’anno 2024.

Ancora, i Commissari straordinari decadono, ove non confermati con le procedure particolari indicate, il sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto.

Viene eliminata definitivamente la disposizione che attualmente esclude, fino al 31 dicembre 2025, la possibilità di azioni esecutive nei confronti degli enti ed aziende del Servizio sanitario della Regione Calabria, al fine di agevolare la definizione della infrazione n. 2023/400, per presunta violazione della direttiva 2011/7/UE, in relazione ai pagamenti dovuti dal servizio sanitario della regione Calabria.

Ulteriore provvedimento riguarda il fatto che il Commissario ad acta potrà avvalersi, ai fini dell’affidamento di appalti, di lavori e di forniture, degli strumenti di acquisto e negoziazione messi a disposizione non solo dalla Consip S.p.a. o, in alternativa della Stazione Unica Appaltante della Regione Calabria, ma anche dell’“Azienda Zero”.

E’, infine, autorizzata la spesa di 19,4 milioni di euro per il 2024 e di 38,6 milioni per il 2025, ai fini del completamento dei piani di riorganizzazione e di quelli derivanti dall’adeguamento ai nuovi requisiti, imposti dalla pandemia dovuta al Covid-19, delle progettazioni di alcune strutture sanitarie.

avv. Maria Antonella Mascaro

Le molte facce della sanità privata

La sanità in Italia oggi è “accreditata” con il SSN, è “classificata” (ospedali religiosi) in accreditamento in base ai “Patti Lateranensi” tra Stato della Chiesa e Stato Italiano, è in “outsourcing” nella gestione di servizi e strutture ed è “integrativa” in base al “Jobs Act”. Poi abbiamo la sanità privata “privata”. La sommatoria di queste diverse presenze fa già sì che in diverse Regioni importanti sia costituisca la maggior parte dell’offerta di servizi sanitari ai cittadini residenti.

Ad esempio nel Lazio abbiamo una forte presenza di Ospedali “Classificati” (”Gemelli”, Fatebenefratelli”, “Campus Biomedico”, “Israelitico”, etc.), diversi ospedali e Case di Cura “accreditate”, come molte RSA, Residenze di vario tipo e genere, Ambulatori e Centri diagnostici, per non parlare di tutte le attività in “outsourcing” delle ASL e in più tutte le reti “convenzionate” con Assicurazioni e Mutue nell’ambito dei contratti di “sanità integrativa” rinvenienti nel tempo dall’applicazione del “Jobs Act”.

Il consumo di risorse socio-sanitarie per le persone di oltre i 75 anni è 11 volte superiore alla classe di età 25-34 anni e i pazienti cronici rappresentano il 25% della popolazione ed assorbono il 70% della spesa. Constatazione che implicava il tema non trascurabile delle risorse da dedicare ai “Fondi per la non autosufficienza”. Fondi su cui non c’è mai stato un dibattito adeguato e quindi non abbiamo visto scelte conseguenti. Di fatto ci si affida al mercato, ovvero, all’offerta assolutamente “privata” e alle capacità di spesa dei singoli.

Peraltro questo è un tema con una forte differenziazione di modelli di risposta da Regione a Regione. Oggi è sempre più chiaro che intorno alla questione delle malattie croniche si gioca in primo luogo la salute di centinaia di milioni di persone e subito dopo la sostenibilità finanziaria dei sistemi sanitari. Il problema è in primo luogo politico. Pensare di contenere la spesa sanitaria attraverso risparmi/riduzioni degli sprechi (leggi ‘Spending review’), mantenendo lo stesso modello di organizzazione sanitaria (essenzialmente clinico-ospedaliera) è uno sforzo vano. Le soluzioni tecniche non mancano, e tra l’altro sono efficaci e relativamente poco costose, come descritto in numerosi documenti internazionali. Queste richiedono un netto cambiamento del modello di organizzazione sanitaria, più orientata alla prevenzione, centrata sulla persona, basata sulle Cure primarie e sulla sanità d’iniziativa.

Una idea ricorrente è quella che una “sana competizione” tra sanità pubblica e sanità privata avrebbe fatto crescere il livello di qualità della gestione delle strutture pubbliche.

L’assioma di partenza era che nei fondi a disposizione per il FSN avremmo dovuto recuperare per la “spesa buona” ben circa 25 miliari di euro che venivano sprecati in “inadeguato coordinamento” (mancanza di integrazione dei servizi), circa 2,97 mld, in “sovra utilizzo”, circa 7,42 mld, in “complessità amministrative”, circa 2,72 mld, in “sottoutilizzo”, circa 3, 45 mld, in “acquisti e costi eccessivi”, circa 3,21 md e, infine per “frodi e abusi” circa 4,95 mld [Il Sole 24 Ore-GIMBE]. In realtà non abbiamo visto adeguate politiche virtuose di successo su questi fronti. Peccato che pubblico e privato non hanno gli stessi vincoli gestionali e i manager pubblici non possono combinare i fattori produttivi in loro disponibilità come dovrebbero per raggiungere gli obiettivi a loro assegnati.

Inoltre secondo l’approccio/vulgata sulle leggi di mercato nel punto in cui la curva di domanda e offerta si incontrano il loro rapporto dovrebbe essere perfettamente bilanciato. Si dovrebbe produrre esattamente la quantità necessaria con il prezzo di mercato e il volume di produzione che rimangono stabili. Quanto sopra dovrebbe regolare le dinamiche anche del settore sanitario.

Invece si scopre che non esiste una concorrenza perfetta, ma anzi il mercato è dominato da concentrazioni finanziarie che inducono la domanda, la modificano e la orientano.

Intelligenza artificiale applicata al tumore della prostata.

Il tumore della prostata è il secondo più comunemente diagnosticato negli uomini. Gli studi mostrano che la prevalenza del tumore della prostata aumenta con l’età; la sua frequenza varia a seconda dei diversi contesti etnici e delle aree geografiche. Tra i fattori di rischio non modificabili ci sono: l’età, la genetica e la familiarità. Il tumore della prostata è tipico dell’età avanzata: più si invecchia e più si hanno probabilità che si sviluppi. Si stima che la maggioranza degli uomini di ottant’anni abbia una qualche forma di tumore della prostata, anche latente. I tassi di incidenza sono maggiori in Australia, Nord America, Europa occidentale, e Nord Europa, mentre sono minori in Asia orientale e centro-meridionale. La mortalità per tumore della prostata è diminuita nella maggior parte dei Paesi occidentali.

A tal proposito è stato istituito un consorzio di 11 partners internazionali: Francia, Belgio, Spagna, Gran Bretagna e Italia, per applicare l’intelligenza artificiale alla diagnosi precoce del tumore alla prostata, evitando biopsie inutili.

Il progetto si chiama FLUTE (Federate Learning and multi-party computation Techniques for prostate cancer). Fra gli undici partners internazionali uno è italiano. Il federate learning è una tecnica di machine learning collaborativo che sfrutta le conoscenze presenti in più banche dati, senza immagazzinarle. In questo modo i dati rimangono protetti nei centri, legittimi possessori e vengono usati per elaborare un algoritmo che può essere condiviso fra tutti, senza che vengano violati dati sensibili  

Il progetto è finanziato dalla Commissione Europea per circa sette milioni di euro, nell’ambito del programma quadro Horizon Europe ed è volto a promuovere l’assistenza sanitaria basata sui dati.

Il progetto FLUTE promuove lo sviluppo globale dello standard HL7 FHIR, standard di progettato per favorire lo scambio di dati sanitari clinici e amministrativi veloce ed efficiente. Il progetto definirà nuove linee guida per l’apprendimento federato (Federated Learning) transfrontaliero conforme al GDPR nel settore sanitario, assicurando la conformità normativa e la protezione dei dati.

avv. Maria Antonella Mascaro

La funzione sociale dei Pronto Soccorso e delle strutture sanitarie contro la violenza di genere.

La nostra è una società che avanza. Non si può negare che il progresso abbia fatto passi da giganti e nella sanità chi avrebbe mai pensato di parlare o di applicare l’intelligenza artificiale, ma purtroppo con il progresso e con la tecnologia tante forme di uso distorto della stessa avvengono anche per esercitare atti biechi e comunque vanno denunciati e condannati.

La statistica ci viene in soccorso anche se quello che elabora è un dato che non ci piace, ma ci può aiutare ad interpretarlo e a tentare di usarlo per tentare di cambiare la situazione.

Le forme più gravi di violenza contro le donne avvengono in ambiente familiare, da parte di partner, ex partner, amici, parenti. Dunque creare una rete di protezione è fondamentale, fondamentale segnalare alle prime avvisaglie.

I dati Istat dicono che prima di iniziare un percorso di uscita dalla violenza subìta il 40% delle donne si rivolge a parenti, il 30% alle forze di polizia e quasi il 20% fa ricorso al pronto soccorso e agli ospedali.

Il Ministro della Salute ha dichiarato che lo scorso anno, in Italia “sono stati 14.448 gli accessi di donne in pronto soccorso con indicazione di violenza, con un aumento del 13% rispetto al 2021. In Italia si stima che circa l’8,6 % delle donne vittime di violenza che si rivolge al pronto soccorso, accede più di una volta”.  

Ecco dunque che fra gli apparati di aiuto e sostegno quali misure sociali che siano degne e rispettose di uno stato di diritto, il pronto soccorso e le strutture sanitarie non hanno più soltanto una dimensione di cura, intesa come medicazione materiale, ma diventano un luogo dove è possibile accogliere la vittima e dove poterla indirizzare. La statistica è orrenda: i dati parlano di una donna su tre che ha subito violenza e in Italia il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito una qualche forma di violenza.

In ogni caso il Governo sta lavorando al decreto attuativo del bonus psicologico che deve essere esaminato in Conferenza Stato-Regioni nei prossimi giorni.

Le strutture italiane sono già abbastanza attrezzate, ma si dichiarano pronte a nuovi interventi per arginare il tremendo e dilagante fenomeno degli atti di violenza di genere. E’ allo studio un modo per creare un rafforzamento delle misure già in atto. Dunque, si vogliono realizzare in larga scala, nelle strutture, protocolli relativi a percorsi post-violenza; in quasi tutti i pronto soccorso misure diversificate e dimissioni protette nei casi di alto rischio; la figura di un referente del percorso e la creazione di un’equipe multidisciplinare dedicata; attività e percorsi di formazione sulla violenza per gli operatori sanitari. Inoltre, si tende di agevolare una tutela dei minori che accompagnano la vittima di violenza, già a partire dalla struttura alla quale la medesima si rivolge.

avv. Maria Antonella Mascaro

Accordo tra Regione e privati convenzionati: potenziare prestazioni e ridurre liste d’attesa

Accordo tra Regione e privati convenzionati per l’attribuzione di risorse, a valere sul 2023, per il potenziamento dell’offerta di prestazioni ambulatoriali finalizzate alla riduzione delle liste d’attesa. L’intesa è stata raggiunta nel corso di un incontro all’assessorato regionale della Salute, guidato da Giovanna Volo, tra il dirigente generale del dipartimento della Pianificazione strategica, Salvatore Iacolino, e le organizzazioni sindacali rappresentative del settore.

«Un ottimo risultato – commenta il presidente della Regione Siciliana Renato Schifani – che ci permette di garantire la continuità assistenziale e soddisfare i bisogni di salute dei siciliani».

Secondo l’accordo, 11,3 milioni di euro, derivanti dalla sovrastima delle prestazioni di emodialisi per l’anno 2023, saranno così distribuiti: 5,2 milioni ai laboratori di analisi, 3,8 milioni agli ambulatori di fisiokinesiterapia, 2 milioni a quelli per l’emodialisi e 300 mila euro agli ambulatori di odontoiatria. Inoltre, 6,5 milioni di euro saranno distribuiti alle Asp per il rimborso in quota parte delle prestazioni realizzate in più nel 2023, nelle categorie ritenute “critiche” dal ministero della Salute, nell’ambito del piano regionale di abbattimento delle liste d’attesa voluto dal governo Schifani. 

«Rafforziamo così l’assistenza territoriale – dice Iacolino – con particolare riferimento alle prestazioni di area critica, tra cui oncologia, cardiologia, endoscopia, radiodiagnostica, fisiokinesiterapia, endocrinologia. Un ulteriore passo avanti per una sanità più efficiente e più vicina ai cittadini».

Rapporto OMS e cure dentali in Italia: la sanità privata può aiutare.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato alla fine dello scorso anno l’ultimo rapporto globale sullo stato di salute orale dopo circa 20 anni dalla sua ultima pubblicazione. Il documento fornisce un quadro completo sulla prevalenza delle malattie orali e include profili relativi a dati acquisiti in 194 paesi. La relazione è preziosa per promuovere una buona salute orale e l’accesso alle cure dentistiche nei rispettivi paesi.

Secondo i dati raccolti, circa la metà della popolazione mondiale, ossia 3,5 miliardi di persone, soffre di malattie orali e tre persone su quattro vivono in paesi a basso e medio reddito. L’incidenza globale delle malattie orali è superiore ai disturbi mentali, al diabete e al cancro. La carie dentaria, la parodontite grave, la perdita dei denti e il cancro orale sono tra le malattie orali più comuni. Ogni anno sono diagnosticati 380.000 nuovi casi di cancro orale.

Il rapporto ha, anche, rilevato grandi disparità nell’accesso ai servizi di salute orale, rilevando enormi sperequazioni fra le persone che hanno redditi bassi, persone con disabilità, anziani che vivono da soli o in case di cura, e persone che vivono in comunità rurali o appartenenti a gruppi minoritari. L’accesso alle cure è ostacolato dai costi elevati, nonché dall’inefficacia degli interventi e delle politiche in materia di salute orale.

Il rapporto ha evidenziato facilitatori per migliorare lo stato della salute orale globale, enucleando i fattori di rischio comuni, attraverso un approccio di sanità pubblica, rafforzando sistemi e modelli di organizzazione.

Quanto al nostro paese ogni anno 5 milioni di italiani rinunciano ad andare dal dentista mettendo così a rischio la salute. Ciò accade perché, come documentato nel rapporto dell’OMS, le malattie orali, non curate, fanno aumentare di cinque volte il rischio di ammalarsi di diabete, malattie cardiovascolari e tumori, oppure di avere complicanze quando si è malati già.  Uno dei problemi è rappresentato dalla quasi inesistenza della sanità pubblica nelle cure dentali. Basti pensare che della spesa di circa 8 miliardi all’anno sostenuta dagli italiani, solo lo 0,07% è coperta dal Servizio sanitario nazionale.  L’implantologia o le semplici otturazioni possono essere erogate solo a pazienti con particolari vulnerabilità sanitarie o sociali.  Per questo motivo molti rinunciano a curarsi e rinunciano anche a sottoscrivere una assicurazione sanitarie, la quale per avere la copertura delle cure dentali   deve spendere almeno mille euro all’anno. 

Da questo tremendo fenomeno quali sono gli escamotage adottati: uno illegittimo per chi esercita la professione, cioè affidarsi, come avviene secondo dati certi, ad odontotecnici, che esercitano abusivamente la professione di odontoiatra o medico chirurgo specializzato (vecchio ordinamento), oppure espatriare nei vicini paesi dell’Est Europa, quali: Slovenia, Croazia, Serbia, Romania e Albania, dove i costi sono notevolmente più bassi, in quanto la tassazione non supera il 15% e i costi vivi di struttura sono di circa due terzi più bassi di quelli italiani. A volte le prestazioni sono in linea con gli standard del nostro paese, anche perché molti chirurghi decidono di fare interventi in quei paesi, a volte i pazienti sono scontenti per uso di materiali scadenti, oppure si possono trovare degli standard di sicurezza più bassi, tanto che, a volte sono costretti a ripetere l’intervento chirurgico in Italia.

La problematica non è di poco conto se si pensa che ancora una volta la risposta si può trovare attraverso il ristabilire i servizi che uno stato di diritto deve concedere per lo sviluppo dello stato sociale. E quando uno stato fatica, il sostegno può arrivare solo dal suo immediato vicino che è rappresentato dalla sanità privata che ancora una volta viene in soccorso della sanità pubblica, ma che dovrebbe avere un posto sul suo stesso scranno, come si sente dire da lungo tempo.

Se gli ospedali non sono in grado, oggi più di prima, dopo la pandemia, di venire incontro al cittadino che deve curarsi, a maggior ragione quando le cure non presuppongono un ricovero, perché non fare in modo che le strutture private accreditate possano accogliere i tanti pazienti che devono sostenere cure dentali?

Questo ristabilirebbe i principi di sanità equa ed universale, anche in questo campo, quello odontoiatrico che, per la ragioni spiegate e per i dati scaturiti dall’OMS, è molto vasto dal punto di vista del numero delle richieste di cura.

avv. Maria Antonella Mascaro

In vista dello sciopero indetto per il prossimo 17 novembre 2023, ACOP ha richiesto un parere all’avv. Maria Luisa Bellini sul comportamento che le strutture sanitarie dovranno tenere nei confronti dei dipendenti che intendano aderire.

I medici in rivolta

I medici hanno preannunciato battaglia contro i provvedimenti inclusi nella legge di bilancio: il fenomeno è abbastanza inusuale.

Dopo le misure sulle liste di attesa e le scarse misure sui nuovi contratti, il Governo vuole colpire le pensioni.

La legge di bilancio, ancora in discussione presso il Parlamento, non soddisfa in alcun modo il mondo della sanità.

Nella manovra è prevista una indennità extraorario di cento euro lordi destinata al taglio delle liste di attesa, ma che, a parere del mondo sanitario, è soltanto un pretesto in quanto tre anni di pandemia e dunque l’accumulo delle liste di attesa non possono essere cancellati da una misura così ridotta. Si auspicava, invece, in aumenti degli stipendi maggiori, anche fra i dirigenti, in modo da evitare, o comunque, frenare l’esodo dei professionisti all’estero, o il dover ricorrere a strutture private.

Il personale sanitario accusa stanchezza di turni impossibili che si sono sopportati duranti il Covid, ma che continuano incessantemente ad esistere.

L’aspettativa del mondo sanitario è anche relativa a previsioni non realizzate e concernenti il blocco ulteriore delle assunzioni, dal momento che non vi è stato sblocco del tetto di spesa per il personale accompagnato da un piano straordinario.

I fondi previsti, cioè oltre due miliardi, riguardano tutto il comparto sanità, non solamente quello ospedaliero, dunque una ridistribuzione per tutti, con piccolissimi incentivi, venduti come aumenti.

Sul tema pensioni, si è già nello specifico detto e scritto, in quanto la norma modifica il rendimento della quota retributiva delle pensioni che verranno liquidate nel 2024. Vengono ridotte le aliquote di rendimento dei contributi versati dal 1981 al 1995, con una perdita stimata in percentuale fra il cinque e il venticinque percento dell’assegno di pensione. Ciò riguarderebbe secondo le stime delle associazioni di categoria e le sigle sindacali, oltre cinquantamila dipendenti.

Altra argomentazione la mancata depenalizzazione dell’atto medico. In realtà se ne era parlato molto nei mesi immediatamente precedenti alla presentazione della manovra di bilancio, anche in consessi convegnistici molto accreditati, e pur se, da parte di addetti al settore, appariva come una riforma importante che avrebbe dato un colpo importante alla cosiddetta medicina difensiva, nessuna notizia proviene dalla Commissione presso il Ministero della Giustizia a riguardo.

Era stato chiarito dal giudice di legittimità che il medico risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali nei casi in cui l’evento si è verificato per colpa anche lieve dettata da imprudenza, negligenza o imperizia, nelle ipotesi in cui il caso non è regolato dalle linee guida o, manchino le buone pratiche clinico-assistenziali; oppure in quello di errore nell’individuazione della tipologia di intervento e delle relative linee guida non adeguate al caso concreto.

Dunque, si era cominciato a delineare un perimetro più ristretto che aveva suscitato il dibattito sulla depenalizzazione dell’errore medico, in particolare si tentava di tendere verso un modello europeo cosiddetto senza colpa, che avrebbe risparmiato costi ed evitato la fuga dei medici che per paura di subire un processo, migrano in altri paesi.

Tutte problematiche che verrebbero notevolmente migliorate, se realmente avvenisse quella inclusione della sanità privata accreditata in quella pubblica, non frutto di qualche sporadico esempio regionale, ma vero adempimento, a livello nazionale, dei principi sanciti nella costituzione.

avv. Maria Antonella Mascaro

Audizione ACOP alla V Commissione Senato

Il giorno 10 novembre 8 u.s. si è tenuta in Commissione Bilancio del Senato l’audizione di ACOP sulla Legge Finanziaria 2024.

La Delegazione era composta dai componenti del Direttivo Nazionale Emmanuel MIRAGLIA e Vincenzo SCHIAVONE. 

Dopo aver ringraziato il Presidente Sen. Calandrini per l’opportunità concessa, la delegazione ACOP ha precisato di parlare per la Ospedalità Privata Accreditata che, rendendosi conto dei limiti posti dal Governo al Bilancio dello Stato, intende limitarsi ad un chiarimento ed a due richieste di precisazioni all’interno dei limiti di Bilancio.

Innanzitutto, ACOP vuole chiarire e respingere le ripetute affermazioni di alcuni organi di stampa e di autorevoli parlamentari, di “regali” all’Ospedalità privata. Si è addirittura affermato, in occasione della finanziaria 2024 di “due miliardi dati ai privati” quando invece è notorio che “per legge” (Decreto Monti) da 10 anni i finanziamenti nel FSN ai Privati sono “bloccati”, così come sono ferme da 20 anni le Tariffe dei DRG.

E tutto questo produce un costo per l’Ospedalità Accreditata all’interno del Fondo Nazionale Ospedaliero pari al 15% a fronte di una produzione addirittura del 25%.

Questo il ruolo dell’Ospedalità Privata accreditata che ha innegabilmente contribuito a garantire in tutti questi anni la sopravvivenza del Servizio Sanitario Pubblico nel nostro Paese.

Passando alla richiesta di precisazioni, Miraglia ha dichiarato:

1) sul piano dei rapporti di lavoro è necessario precisare che nel finanziamento del rinnovo contrattuale degli ospedalieri siano anche compresi gli “ospedalieri”delle Strutture Accreditate;

2) Deve essere eliminata l’illogica, iniqua ed illegittima prassi secondo la quale nelle Regioni del sud alle strutture private accreditate la remunerazione delle prestazioni rese in favore dei cittadini residenti in Regioni diverse viene compresa nei cosiddetti tetti di spesa. Al contrario nelle Regioni del nord l’attività resa ai cittadini residenti altrove viene liberamente consentita oltre i tetti e naturalmente remunerata. Ciò comporta un’inaccettabile disparità di trattamento sia sul versante delle aziende (quelle del nord godono della giusta apertura, mentre altre, in particolare quelle del sud, non possono lavorare per cittadini extraregionali e non ricevono  la dovuta remunerazione), sia sul versante dei cittadini, ai quali  viene inibita la libera scelta di ricoverarsi in Strutture Accreditate della propria Regione, mentre vengono indotti solo a ricoverarsi in Strutture Accreditate di altre Regioni, in qualità di “pazienti extra regionali”.

È un principio di equità a costo zero per le Casse Pubbliche e che invece depaupera le Regioni del sud da 20 anni di oltre un miliardo di euro l’anno.

E con gravi sacrifici per i pazienti ed i loro familiari.

In conclusione, il Presidente sen. Nicola Calandrini ha manifestato apprezzamento per la chiarezza dei problemi illustrati e la loro rilevanza sul piano sociale.

Le disposizioni anticipate di trattamento e il modello campione della città di Pisa.

Le disposizioni anticipate di trattamento, cosiddette DAT, comunemente definite testamento biologico o biotestamento, sono regolamentate dall’art. 4 della L. 219/2017.

In sostanza, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle proprie scelte, la Legge prevede la possibilità per ogni persona di esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto su accertamenti diagnostici, scelte terapeutiche e singoli trattamenti sanitari che possono essere effettuate da persone maggiorenni e capaci di intendere e volere.

E’ fondamentale, prima di dare corso ad una DAT, acquisire adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle scelte relative al rifiuto o al consenso a determinati accertamenti diagnostici, scelte terapeutiche e singoli trattamenti sanitari (es. nutrizione artificiale e idratazione artificiale).

Non esistono moduli specifici, ma alcuni comuni hanno predisposto dei facsimili.

La redazione delle DAT può avvenire in diverse forme da quella presso un notaio (sia con atto pubblico, sia con scrittura privata in cui la persona scrive autonomamente le proprie volontà e fa autenticare le firme dal notaio), a quella presso l’ufficiale di stato civile del comune di residenza (con scrittura privata) che provvede all’annotazione in un apposito registro, ove istituito; ancora a quella  presso le strutture sanitarie competenti nelle regioni che abbiano regolamentato la raccolta delle DAT (con scrittura privata); da ultimo alla redazione presso gli Uffici consolari italiani, per i cittadini italiani all’estero.

Nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, le DAT possono essere espresse attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare.

Tutte le DAT, consegnate presso i notai, icComuni, le strutture sanitarie competenti e i consolati italiani all’estero sono trasmesse e inserite nella banca dati nazionale delle DAT istituita presso il Ministero della Salute dalla legge di bilancio 2018. La banca dati DAT è stata attivata a partire dal primo febbraio 2020.

La legge prevede la possibilità di indicare nella DAT un fiduciario, la cui scelta è rimessa completamente alla volontà del disponente. Il fiduciario deve essere maggiorenne e capace di intendere e di volere.  

Nessun trattamento sanitario può essere iniziato o perseguito senza il consenso libero e informato del paziente, il quale ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informato in modo completo e comprensibile sulla diagnosi, sulla prognosi, sui benefici e sui rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari che gli vengono proposti. Deve inoltre essere messo a conoscenza delle alternative e delle conseguenze di un rifiuto del trattamento sanitario o dell’accertamento diagnostico.

La novità in materia proviene dalla città di Pisa che ha proposto un modello campione, con l’inserimento delle DAT nella cartella sanitaria elettronica. In tal modo i medici curanti possano più facilmente consultare le Dat dei pazienti che non sono in condizione di esprimere le loro volontà. Dalla cartella sanitaria elettronica di ogni persona ricoverata sarà infatti possibile accedere direttamente alla banca dati del Ministero della Salute che, come detto sopra, conserva tutte le disposizioni registrate in Italia.

Si tratta, dunque, di una implementazione della cartella clinica elettronica dove, al momento del ricovero del paziente, si fanno confluire le disposizioni ai trattamenti dettate dal paziente.

Gli scopi più importanti riguardano l’obiettivo di rendere ai medici curanti più semplice il compito per accedere alla volontà dei pazienti e, forse prima ancora, contribuire a rendere effettivi i diritti costituzionali dei pazienti.

E’ auspicabile che questo modello campione venga adottato in tutto il paese quale presidio a tutela dei diritti del malato.

avv. Maria Antonella Mascaro

8 novembre 2023

La sanità calabrese avanza

La riflessione sulla sanità regionale calabrese effettuata sulla base di dati e di osservazione da parte del Vicepresidente di Acop, avv. Enzo Paolini, che spiega con chiarezza – in un’intervista al Quotidiano – come ai cittadini calabresi si stia restituendo dignità nelle cure, garanzia nella sostenibilità finanziaria dei livelli essenziali di assistenza, rafforzando la programmazione sanitaria nel pubblico e nel privato accreditato.

Due le novità speculari: l’arrivo di sessanta ambulanze ed altri presidi salvavita e le denunce di varie ruberie ad alcuni amministratori che hanno fatto tutt’altro che il loro dovere, ma che sono alcuni e non tutti.

Da due anni a questa parte le cose stanno cambiando con l’avvicendarsi di una classe dirigente competente che programma, rafforza le regole per l’accreditamento dei privati, stabilisce l’esclusività di rapporto dei medici con il servizio pubblico, rilancia l’integrazione socio-sanitaria, agendo in maniera da invertire la tendenza dell’emigrazione sanitaria.

La Calabria vuole e deve uscire dal Commissariamento, lo vuole il suo Presidente, lo chiedono a gran voce i cittadini e se il piano di programmazione continua ad andare nella direzione nella quale è stato indirizzato, molto presto potrà accadere.

Alcune iniziative del Presidente della Regione, prima criticate, come quello dell’introduzione dei medici cubani nella sanità calabrese, ora in totale controtendenza sono indicate come modelli da seguire.

Ancora la creazione del portale www.sanibook.it creato dalla Regione e attraverso il quale possono essere fatte segnalazioni e denunce dai cittadini calabresi, hanno fatto sì che si potesse dal piccolo verso il grande cominciare a risolvere le problematiche della sanità territoriale.

Per far questo, però, non si può dimenticare che si scontano anni nei quali si è assistito ad una deospedalizzazione e a varie chiusure di centri di eccellenza nella logica di tagli che nella realtà non erano tali.

Nessun senso ha avuto chiudere e degradare ospedali in territori isolati e difficili, demotivando gli operatori sanitari e costringendoli ad una vera e propria migrazione, prima di potenziare la medicina territoriale, la rete dei medici di famiglia e dei pediatri di base, la prevenzione, la specialistica ambulatoriale e il settore urgenze ed emergenze.

Oggi sembra che la classe dirigente sanitaria voglia invertire la tendenza e lasciare un segno positivo in un territorio che non ha più voglia di essere additato come il fanalino di coda della sanità.

avv. Maria Antonella Mascaro

7 novembre 2023

6 novembre 2023

Medici in fuga per le pensioni

Il primo problema del servizio sanitario pubblico – è oramai appurato – riguarda la carenza di personale. Per questo va scongiurata la corsa alla pensione anticipata, con un’azione trasversale per trattenere i medici senza penalizzarli con la norma introdotta nella finanziaria nazionale che taglia in maniera sostanziosa i futuri assegni. Dopo il taglio alla spesa del 2019 e quota 100 con la leva delle pensioni, ancora una volta si spingono i medici a lasciare anticipatamente il lavoro, indebolendo ulteriormente un sistema già sofferente da tempo. I medici non vanno penalizzati e lasciati scappare, ma piuttosto premiati e trattenuti. È opportuno che le Regioni intervengano sul governo per bloccare la riforma e si attivino per migliorare le condizioni di lavoro nelle aziende sanitarie.

Una sforbiciata maldestra, che rischia di avere contraccolpi anche sul numero di professionisti in forza al sistema sanitario regionale. Il presidente della Toscana Eugenio Giani suona un campanello di allarme riguardo alla misura sulla modifica dei rendimenti della quota retributiva delle pensioni dei dipendenti degli enti locali, degli ufficiali giudiziari, degli insegnanti di asilo nido e scuole elementari parificate e della sanità pubblica proposta dal Governo nazionale nella manovra di bilancio e che si applicherebbe sui trattamenti liquidati dal 2024 in poi.

La misura riguarda chi ha iniziato a lavorare tra il 1981 e il 1995.

Il provvedimento – comunque non ancora varato – riguarda chi lascerà il servizio con una quota di pensione retributiva inferiore ai 15 anni, ossia chi ha cominciato a lavorare tra il 1981 e il 1995. Che percepirà dai 4 ai 10 mila euro (e oltre: per taluni si toccheranno i 26 mila euro) all’anno in meno in base all’anzianità e al reddito. Una vera e propria stangata, insomma, che potrebbe innescare un effetto valanga: per evitare di subire almeno in parte le conseguenze dei tagli, infatti, migliaia di pensionandi potrebbero anticipare la quiescenza, rassegnandole dimissioni entro il 31 dicembre 2023. Cosa significa? Che alcuni settori già in crisi, come la sanità, subirebbero un esodo di professionisti.

2 novembre 2023

I tagli ai sanitari della manovra finanziaria

I sanitari italiani manifesteranno contro la proposta di legge sulle pensioni contenuta nella Manovra finanziaria.

Nella nuova Legge di Bilancio si prevedono tagli alle pensioni dei dipendenti pubblici che smetteranno di lavorare nel 2024 e non ci sono risorse sufficienti a sostenere il Servizio Sanitario Nazionale. I sindacati di categoria hanno dichiarato lo stato di agitazione e hanno programmato una giornata di sciopero nella prima opportunità disponibile. Saranno organizzate assemblee sindacali in tutte le strutture sanitarie, durante le quali verranno illustrate le conseguenze della manovra sulle pensioni. Si parla di una possibile riduzione dell’assegno pensionistico per almeno 50.000 persone, con un impatto che potrebbe raggiungere fino a 26.347 euro all’anno per il resto della loro vita. Un vero e proprio attacco ai diritti acquisiti, in quanto si ridurrebbero le aliquote di rendimento dei contributi versati prima del 1996, colpendo così quasi il 50% del personale attualmente in servizio con una perdita stimabile che varia dal 5% al 25%dell’assegno annuale.

Questa misura inferirebbe un duro colpo ai diritti sociali e condurrà all’organizzazione di uno sciopero generale, come è accaduto in altri paesi europei.

Peraltro i sindacati esprimono preoccupazione per la mancanza di investimenti adeguati per il Servizio Sanitario Nazionale, soprattutto alla luce delle attuali esigenze e dell’incremento del tasso inflattivo. Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro 2022-2024 comporterà ulteriori perdite del 10% del potere d’acquisto per i professionisti del settore sanitario.  

Insieme ai sanitari, le categorie più colpite sono gli insegnanti di asilo e delle scuole elementari parificate.

La manovra finanziaria abolisce quota 103 per quota 104, ovvero la possibilità di andare in pensione anticipata con almeno 63 anni di età (erano 62 nel 2023) e 41 anni di contributi, dunque più penalizzante per i lavoratori. Restano Ape sociale e Opzione donna ma con requisiti ancor più rigidi.

Quanto ad Opzione donna, le donne lavoratrici che hanno raggiunto almeno 35 anni di contributi entro il 2023, potranno accedere alla pensione purché abbiano compiuto 61 anni, requisito ridotto di un anno per ogni figlio fino a un massimo di due.  

Sarà invece possibile accedere all’Ape sociale per tutto il 2024. Per i disoccupati, le persone con invalidità almeno del 74%, i lavoratori impegnati in attività gravose e i lavoratori che assistono persone con handicap in situazione di gravità si potrà accedere allo strumento con almeno 63 anni e cinque mesi.  

Il rischio è rappresentato dal fatto che dal 2025 potrebbero non bastare più 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 e 10 per le donne per andare in pensione. indipendentemente dall’età anagrafica.

Lo scotto lo pagheranno i giovani che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996, i quali potranno accedere alle pensioni a 64 anni con 20 anni di contributi, ma con assegni non proprio dignitosi.

avv. Maria Antonella Mascaro

31 ottobre 2023

L’applicazione dell’intelligenza artificiale alle neuroscienze e relativi disturbi

Sono rivoluzionari i progetti in atto in Italia per la convergenza del metaverso e dell’intelligenza artificiale. L’applicazione di questi sistemi modificherà il modo di curare alcuni disturbi e tenterà di porre rimedio ad alcune malattie che oggi sembrano incurabili.

Si assiste, pertanto, all’avvento di una nuova era di innovazione, efficienza e cura dei pazienti. 

Il cosiddetto metaverso si sta aprendo alla cura dei disturbi psicologici. Il meccanismo funziona come la nostra mente: il cervello viene descritto come un simulatore che ha sviluppato la capacità di prevedere eventi sensoriali prima che vengano realmente vissuti. Il metaverso funziona in modo simile, cioè cerca di prevedere le conseguenze sensoriali delle azioni degli utenti mostrando lo stesso risultato che il cervello si aspetta nel mondo reale.

Il primo progetto in tal senso si chiama “Covid feel good”, nato presso l’Università Cattolica e diventato, in poco tempo, un’applicazione tradotta in 19 lingue. Si tratta di una realtà virtuale in cui il paziente si immerge per ridurre l’ansia e la depressione che sono divenute patologie molto comuni dopo la pandemia. Dunque, si usa la tecnologia al fine di interiorizzare virtualmente le paure cui il paziente va incontro.

La psicologia clinica insegna che quando si ha paura di qualcosa, il modo migliore per riuscire a guarire è quello di essere esposto progressivamente allo stimolo pauroso in modo tale che il sistema emotivo riduca l’intensità della risposta, così da diminuire l’ansia.

Il metaverso può essere utilizzato come strumento per andare a impattare sulla dimensione emotiva dei soggetti, infatti l’area in cui questa realtà è più utilizzata è quella dei disturbi d’ansia, delle fobie e dei disturbi alimentari.

Funziona quasi come un gioco virtuale: nel metaverso si possono costruire delle esperienze virtuali su cui il soggetto ha il controllo totale e che si adattano alle sue caratteristiche, così da permettergli di gestire le situazioni che nella vita reale gli creano ansia.

Alcune applicazioni di questo “gioco virtuale” fanno parte di un progetto che ha l’obiettivo di effettuare diagnosi precoci per le malattie

neurodegenerative, come l’Alzheimer e la demenza.

Personalizzare sul singolo paziente è il primo grande vantaggio del metaverso. Portare il paziente in un mondo parallelo, non reale per insegnargli a gestire il momento di panico che lo assale, attraverso la raccolta di dati che riguardano il singolo e vengono elaborati da algoritmi.

Un lavoro di equipe che impegna medici, psicologi, ingegneri e informatici, ma certamente progetti che potrebbero rivoluzionare la cura dei disturbi e delle malattie mentali, nonché di quelle di natura neurologica e non solo.

Infatti, un altro progetto in comune fra le Università di Padova e Genova sta studiando le applicazioni del metaverso e intelligenza artificiale per la cura della ludopatia, che secondo dati ufficiali del Ministero della Salute, riguarda oltre un milione di soggetti nel nostro paese.

Ulteriore applicazione si sta studiando per diminuire il dolore nei malati terminali di cancro, insomma una vera rivoluzione.

avv. Maria Antonella Mascaro

30 ottobre 2023

Costituisce danno erariale non addivenire a una transazione palesemente vantaggiosa

Con la Decisione n. 9/2022 la Corte dei Conti dell’Umbria, Sezione Giurisdizionale, Perugia, ha stabilito che costituisce danno erariale non addivenire a una transazione palesemente vantaggiosa. Tale danno va determinato in misura pari alla differenza tra il costo complessivo sostenuto per la soccombenza e quello che sarebbe derivato dalla conciliazione.

La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per l’Umbria, con la delibera pubblicata, decidendo con la massima indicata, si è pronunciata sul caso della asserita cattiva gestione di una vicenda contenziosa giuslavoristica, che aveva visto la soccombenza di un’Azienda U.S.L.

Le condotte contestate dalle Procura, produttive del danno erariale, sono state, in particolare, rimproverate ai direttori generali succedutisi nell’incarico nel tempo, per avere ritirato l’adesione a un accordo transattivo già raggiunto tra le parti, che avrebbe consentito un contenimento significativo e precisamente quantificato dei costi. Dopo avere ricordato che, secondo la giurisprudenza in materia, così come è sindacabile la scelta di addivenire a una transazione palesemente svantaggiosa per l’amministrazione, altrettanto sindacabile è la scelta di non concludere una transazione palesemente vantaggiosa, in applicazione del principio generale in base al quale il limite all’insindacabilità delle scelte discrezionali della Pubblica Amministrazione risiede nella “esigenza di accertare che l’attività svolta si sia ispirata a criteri di ragionevole proporzionalità tra costi e benefici”, il Giudice Contabile ha accolto la domanda della Procura regionale e condannato i soggetti imputati.

In tema di soluzioni transattive delle controversie di lavoro in ambito pubblico, la Corte dei Conti ha esaminato il caso in cui, a seguito del ricorso di alcuni infermieri dipendenti della Ausl per il riconoscimento della retribuzione per il c.d. “tempo tuta”, l’azienda aveva proposto un accordo transattivo, revocando poi tale disponibilità anche per effetto di un mutamento della dirigenza. Successivamente, l’Ausl era stata condannata dal giudice del lavoro a pagare una somma significativamente superiore. Il giudice contabile ha condannato due dirigenti al risarcimento, nei confronti della P.A., della somma pari al differenziale tra quanto l’Ente ha dovuto sostenere per la soccombenza in giudizio e l’importo precedentemente pattuito per definire la controversia.

Nel giudizio di merito, il Tribunale di Perugia aveva accolto le richieste dei ricorrenti, dichiarando che il tempo necessario ad indossare la tenuta da lavoro dovesse essere considerato come turno lavorativo e, per l’effetto, condannato l’azienda a corrispondere 117.954,44 Euro, quale sommatoria degli importi riconosciuti ai ricorrenti vittoriosi, delle spese di lite, di contributo unificato e dei compensi in favore del codifensore in appello.

La Procura aveva poi convenuto in giudizio i dirigenti, ritenendo che dai fatti rappresentati emergesse prova della cattiva gestione della vertenza del contenzioso lavoristico, dalla quale sarebbe derivato un danno per l’erario. Nello specifico, perché era stata ritirata l’adesione ad un accordo transattivo già raggiunto tra le parti, che avrebbe consentito un contenimento in misura pari a 87.854,44 Euro (pari al differenziale tra i 117.954,44 Euro che l’ente ha dovuto sostenere per la soccombenza ed i 30.100 Euro pattuiti per definire la controversia).

La Corte dei Conti ha rilevato che:

– la giurisprudenza ha più volte ritenuto sindacabile una transazione “ove irragionevole, altamente diseconomica o contraria ai fini istituzionali” (v., fra tante, Corte dei Conti, Sez. giur. Lombardia, n. 127/2016; Sez. giur. Campania, n. 250/2012 e Sez. giur. Abruzzo, n. 1/2012). Tale principio è applicabile alla fattispecie de qua “nel senso che, così come è sindacabile la scelta di addivenire ad una transazione palesemente svantaggiosa per l’Amministrazione, altrettanto sindacabile è la scelta di non concludere una transazione palesemente vantaggiosa, in applicazione dell’ancor più generale principio in base al quale il limite all’insindacabilità delle scelte discrezionali della Pubblica Amministrazione risiede nella esigenza di accertare che l’attività svolta si sia ispirata a criteri di ragionevole proporzionalità tra costi e benefici” (così, Corte dei Conti, Sez. III, n. 132/2019 e n. 147/2019; nonché Sez. II, n. 91/2017);

– nello specifico, il danno risarcibile va identificato nel differenziale tra il costo che l’ente ha dovuto sostenere a seguito della soccombenza e quanto avrebbe potuto essere pattuito per definire la controversia in via bonaria. Tale ammontare rappresenta il danno ingiusto e quindi risarcibile all’Amministrazione, “posto che si rileva irragionevole la mancata adesione alla soluzione transattiva”;

– il danno risarcibile complessivo, nel caso concreto, ammonta a 87.854,44 Euro, pari alla differenza tra il costo complessivo sostenuto per la soccombenza e quello che sarebbe derivato dalla conciliazione (la quota da addebitare alla condotta di ognuno dei convenuti, è stata poi parametrata in ragione dell’apporto causale fornito al realizzarsi dell’evento).

26 ottobre 2023

Manovra finanziaria: aumenti per cure palliative

Nella bozza della manovra finanziaria all’ art. 51 si legge: “Per garantire quanto previsto dalla legge 38/2010 in tema cure palliative e terapia del dolore, a decorrere dal 2024, l’importo è incrementato di 10 milioni di euro annui”.

Si tratta di un notevole impegno economico per l’accesso alla terapia del dolore e delle cure palliative.

Con la legge n. 38/2010 l’Italia ha adottato un quadro organico di principi e disposizioni normative per garantire un’assistenza qualificata appropriata in ambito palliativo e della terapia del dolore, per il malato e per la sua famiglia.
Si tratta di una legge quadro, tra le prime adottate in Europa, che ha incontrato il consenso dei professionisti, degli esperti, delle organizzazioni non profit e del volontariato, che hanno attivamente contribuito alla sua definizione e successivamente alla sua attuazione. La legge è posta a tutela della dignità della persona e sancisce il sacrosanto diritto di accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore di ciascuno, esplicitando un modo di intendere il diritto alla salute che guarda alla globalità della persona.

Per cure palliative si intende: “L’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici”.

La legge 38/2010 permette l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore in tutti gli ambiti assistenziali, in ogni fase della vita e per qualunque patologia ad andamento cronico ed evolutivo, per le quali non esistono terapie o, se vi sono, risultano inadeguate ai fini della stabilizzazione della malattia. Nella sostanza la sofferenza perde potenza nel percorso di una malattia, è assume una dimensione che ridona umanità alla persona ed ai care givers.

La legge ha introdotto profonde innovazioni, tra le quali: la ridefinizione dei modelli assistenziali, la creazione di specifiche reti assistenziali, l’attenzione alla specificità pediatrica e la semplificazione delle procedure di accesso ai medicinali impiegati nella terapia.

Pertanto, si auspica che il testo relativo all’art. 51 della bozza della manovra finanziaria venga approvato, in modo da rendere effettivo questo stanziamento di cui, purtroppo, c’è necessità, considerata la notevole richiesta, non accompagnata, al momento, da una copertura finanziaria adeguata.

avv. Maria Antonella Mascaro

25 ottobre 2023

Crisi del Pronto Soccorso: scenari apocalittici.

Secondo di dati Cimo-Fesmed oggi in Italia sono 111 gli ospedali chiusi, 38.684 posti letto persi, 29.284 professionisti in meno nel SSN, 282,8 milioni di prestazioni non erogate sul territorio e 2,8 milioni di ricoveri ospedalieri in meno.

Queste carenze strutturali hanno, via via, affollato i pronto soccorso.

Cosa accadrebbe se anche i pronto soccorso non fossero più in grado di offrire una risposta adeguata alle richieste di assistenza dei cittadini? “Di qui a poco – sottolineano gli esponenti Simeu  (Società italiana della medicina di emergenza-urgenza) – l’assistenza specialistica in urgenza potrebbe scomparire”.

Presto avremo un solo specialista ogni 125mila abitanti

A supportare il timore dei medici di emergenza-urgenza ci sono i recenti dati sugli ingressi nelle Scuole di specializzazione: sono oltre 6mila le borse andate perdute e il 76% dei posti di specialità per la Medicina d’emergenza-urgenza resteranno non assegnati.  Ma non è tutto: “Si è verificato un peggioramento del 15% rispetto ai bandi del 2022 che – aggiunge la Simeu -, sommato al rischio di abbandono storicamente registrato durante gli anni di specializzazione calcolato attorno al 20%, significa che nei prossimi 5 anni si avrà un solo specialista in medicina di emergenza-urgenza ogni 125mila abitanti. Il rischio vero – ammoniscono gli specialisti – è la scomparsa dell’assistenza specialistica in urgenza, garanzia insostituibile per la sopravvivenza stessa dei cittadini”.

Ad analizzare i complessi scenari che caratterizzano i Pronto soccorso e il 118 del nostro Paese saranno i primari di Medicina d’emergenza-urgenza italiani, ospedalieri e universitari dell’Accademia dei direttori Simeu, in una due giorni a Roma, in programma per il 16 e il 17 novembre. Secondo i vertici della Simeu, “chi pensava che la pandemia Covid-19 segnasse il momento di massima difficoltà del SSN purtroppo si sbagliava: dal mondo dell’emergenza urgenza risulta infatti che il momento di peggiore crisi è invece proprio quello in corso. La situazione – continuano – si correggerà solo con un deciso intervento che riveda ruolo e organizzazione del sistema extra-intra ospedaliero nella direzione della peculiarità e soprattutto delle ambizioni professionali dei giovani specialisti, a partire dalle motivazioni che generano questo dato”.

Per invertire la rotta è necessario che la medicina dell’emergenza-urgenza riconquisti la sua attrattività: “Un sistema che continua a impiegare in Pronto soccorso medici di varia provenienza, ma si priva del prezioso apporto di specializzandi degli ultimi anni di corso – sostengono i medici Simeu – rivela una stortura inaccettabile per la salute stessa dei cittadini, per la gestione economica della sanità, per la dignità di chi sceglie la professione”. A rincarare la dose ci sono i dati legati alle altre specialità mediche: il rischio di un Ssn ingestibile è reale.  In Chirurgia generale il 56% delle borse di studio non sono state assegnate, il 53% in Anestesia e Rianimazione, il 46% in Medicina interna, il 72% in Anatomia patologica.

“Senza un deciso intervento strutturale ci chiediamo chi, nei prossimi anni, manterrà in vita gli ospedali per acuti?”, chiede il past president Simeu, Salvatore Manca. Secondo Andrea Fabbri, che dirige l’Osservatorio nazionale Simeu, “gli investimenti annunciati non saranno incisivi, se non accompagnano progetti di riforma che possono cambiare la visione del futuro”. Ed è per questo che la Simeu chiede alla politica “segnali incisivi e coraggiosi”, tra i quali: riforme di contesto che permettano giusta dignità ai professionisti della salute, riforma delle Scuole di specializzazione che offra orizzonti dignitosi e attrattivi ai nuovi medici, azioni chiare e decise sul contenzioso medico-legale, riconoscimento delle nuove competenze degli infermieri e la riforma dell’intero sistema dell’emergenza-urgenza. Obiettivi per i quali l’Accademia dei direttori Simeu, oltre alla denuncia, è pronta ad offrire “un contributo fattivo nella direzione delle possibili soluzioni”.

24 ottobre 2023

Fuga dalle scuole di specializzazione

Oltre seimila posti vuoti nelle scuole di specializzazione. Sono tanti, troppi!

Nessun giovane laureato in medicina vuole più lavorare negli ospedali pubblici. Questo vale per la medicina di emergenza e urgenza, per anestesia e rianimazione, per anatomia patologica, per patologia clinica, per microbiologia.

Diversamente avviene per scuole di specializzazione come dermatologia, endocrinologia, cardiologia, chirurgia plastica e pediatria, perché riguardo a queste specialità ci sono prospettive per esercitare la libera professione, per inserirsi in strutture private, in sostanza per incrementare l’allontanamento dagli ospedali pubblici.

Proviamo a dare una giustificazione a questo depauperamento di frequenza e di richiesta. La risposta non è univoca. Le ragioni sono tante e più volte denunciate nei comunicati di Acop e risiedono nei contratti, nel mancato riconoscimento degli straordinari, nella turnazione troppo lunga e comunque troppo pesante a causa di carenze di organico, nel fenomeno dei medici “a gettone”, dunque nel carico di enorme responsabilità, nel pericolo di subire un procedimento civile, per non parlare di uno penale. In sostanza, tutti elementi che rendono poco accattivante la professione del medico, che dopo anni di studio, abbia il desiderio di avere il giusto riconoscimento per la sua professione e professionalità.

Riguardo ai posti messi a bando per il 2023, che sono circa diciassettemila, tra contratti statali, regionali o di altro tipo, più di seimila sono rimasti vuoti.

Per medicina di urgenza ed emergenza, cioè i pronto soccorso la percentuale di non assegnazione dei contratti è del 76%, segue radioterapia con l’87% di posti vacanti, farmacologia e tossicologia clinica: 88% e microbiologia e virologia 89%.

D’altronde come poter dare giudizi ai gettonisti che con un fine settimana di turno al mese (dunque due giorni e mezzo) guadagnano quello che normalmente si guadagnerebbe in due mesi.

Allora non si comprende perché su questo problema – se ne parla da due anni – dal post pandemia, il governo, o ancor meglio, il legislatore non prenda provvedimenti, in ordine ad una nuova regolamentazione del fenomeno gettonista, che, lo si ricorda, prima della pandemia era vietato. Si spendono milioni di euro per i gettonisti!

La risposta non è facile da trovare, ma certamente, oggi, il sistema non potrebbe fare a meno dei medici a gettone, perché, come si vede anche dalle scuole di specializzazione si sta assistendo ad una desertificazione degli ospedali pubblici.

Forse non basterebbe, ma intanto occorre riformare il sistema della formazione allineandoci al resto dell’Europa con i contratti di formazione-lavoro con i quali a una responsabilizzazione crescente corrisponde una retribuzione crescente.

Il settore privato va meglio, ma soffre, anch’esso, di una situazione pubblica che non va.

Servirebbe in tempi rapidi un tavolo interministeriale per contrastare carenze che si ripercuotono sulla qualità del servizio sanitario nazionale, evitando, magari, esodi delle nostre eccellenze italiane.

avv. Maria Antonella Mascaro

23 ottobre 2023

Rapporto annuale AGENAS sulla qualità del SSN

Presentato il Rapporto sulla Qualità degli Outcome clinici negli Ospedali italiani 2023, elaborato da Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) e Aiop (Associazione italiana ospedalità privata), che propone una valutazione comparativa tra le strutture di diritto pubblico e le strutture di diritto privato del Servizio Sanitario Nazionale da cui si evince la qualità offerta dalla sanità italiana, con un focus sulla variabilità tra regioni e all’interno delle stesse, sulla base dei risultati del Programma Nazionale Esiti (PNE) 2022.

Dall’analisi del documento è evidente che le strutture siciliane operanti nell’area oncologica presentano risultati migliori rispetto a quelle delle regioni del Nord o del Centro Italia.

Chirurgia oncologica: in Sicilia le strutture con livello di qualità bassa/molto bassa raggiungono il 53% tra le pubbliche e l’11% tra le accreditate. Quelle che presentano un livello di conformità alto o molto alto rispetto allo standard sono il 42% nel pubblico e il 78% nel privato.

In Lombardia, per esempio, il 38% delle strutture di diritto pubblico e il 64% di quelle di diritto privato presentano un alto/molto alto livello di conformità agli standard, mentre, rispettivamente, il 56% e il 24% hanno livelli di qualità inferiori all’atteso.

Area di sistema cardiocircolatorio: in Sicilia la proporzione di strutture di qualità bassa o molto bassa è analoga tra pubblico e privato accreditato (13%) mentre le strutture che presentano un livello di conformità alto o molto alto rispetto allo standard raggiungono il 39% nel pubblico e il 69% nel privato.

Nella comparazione con regioni come il Lazio, emerge che 12 strutture laziali di diritto privato (41% delle accreditate) presentano una qualità alta o molto alta mentre lo stesso livello è raggiunto da 19 strutture pubbliche (61% del comparto).

In Lombardia, invece, il 45% delle strutture di diritto pubblico e il 74% di quelle di diritto privato presentano un alto/molto alto livello di conformità agli standard.

Area di sistema nervoso: ancora in Sicilia, delle 15 strutture pubbliche valutate, il 60% presenta uno standard di qualità basso o molto basso e solo il 15% un livello di qualità alta o molto alta. Diversi, invece, i numeri delle strutture di diritto privato: su cinque strutture valutabili, le quattro valutate presentano uno standard di qualità alta o molto alta, un dato che rappresenta l’80%.

In Lombardia invece il 59% delle strutture di diritto pubblico e il 67% di quelle di diritto privato presentano un alto/molto alto livello di conformità agli standard, mentre, rispettivamente, il 9% e il 7% hanno livelli di qualità inferiori all’atteso.

Nel Lazio due strutture pubbliche (17% del comparto) e tre di diritto privato (60% delle accreditate) presentano una qualità alta o molto alta, mentre, rispettivamente, il 17% e il 20% hanno livelli sub-standard.

Il quadro che emerge da questa fotografia è quello di una disomogeneità qualitativa tra strutture pubbliche e private accreditate nel Nord piuttosto che nel Sud Italia: qualità maggiore del privato accreditato nelle regioni meridionali, in particolare in Sicilia, contro qualità maggiore degli ospedali del settentrione rispetto alle strutture private. Il Mezzogiorno sconta l’inefficienza della sanità pubblica, senza riuscire a recuperare la migrazione sanitaria, a causa della gabbia dei tetti di spesa che affligge la sanità privata. Nessuna struttura privata riesce infatti ad intercettare i pazienti insoddisfatti delle cure ospedaliere per mancanza di fondi, già troppo esigui per soddisfare quella fetta di popolazione che storicamente si rivolge al privato accreditato per ottenere efficienti risposte di salute. Tante le occasioni di confronto sulla dialettica pubblico o privato, una dialettica che deve potersi sviluppare in una prospettiva che non è tanto quella della della competizione, della concorrenza, ma piuttosto deve essere quella della cooperazione, della corresponsabilità. Il pubblico e il privato accreditato sono due gambe dello stesso organismo, che ha la responsabilità di assolvere la funzione di tutela della salute della popolazione generale.

19 ottobre 2023

Liste di attesa: il ruolo paritario della sanità privata

Nella manovra finanziaria 2024 il governo ha deciso di portare avanti una battaglia contro le liste d’attesa per visite ed esami specialistici.
Il problema delle liste di attesa è pluridenunciato da oltre tre anni. Nel corso della pandemia si è più volte detto di come le diagnosi e gli accessi ad esami specialistici, terapie oncologiche e quant’altro siano stati quasi totalmente negati, anche e soprattutto per una questione di sicurezza dei pazienti, considerata la situazione di emergenza.
Ovviamente la ripresa della normalità ha condotto ad un accumulo ancora, tutt’altro che esaurito, di liste di attesa anche per visite ed esami specialistici di routine.
Ma oggi è impensabile morire perché non si può avere accesso a tac o risonanze magnetiche, o, a cure specialistiche che hanno sempre costituito un fiore all’occhiello del sistema sanitario italiano.
Ma i tempi si allungano, anche per la carenza cronica di infermieri e medici, a fronte di un quadro drammatico della sanità italiana, che segna un profondo rosso disperato, e si prepara a subire altri tagli, in particolare in alcune regioni.
Non è peregrino ricordare la fuga dei medici a “gettone”, in aumento insieme al vero e proprio esodo di tutto il personale sanitario (medici e infermieri) all’estero, soprattutto nei paesi arabi, dove la costruzione di grandi ed efficienti ospedali e le condizioni di vita molto agiata, attirino le grandi competenze sanitarie italiane. Pertanto, la risposta del governo, con la presentazione della manovra 2024, risponderebbe con lo stop ai tempi biblici che oggi ogni italiano deve attendere per poter effettuare un esame o una visita in una struttura sanitaria pubblica. La manovra aggiunge più di due miliardi di euro alla sanità, i quali serviranno al rinnovo dei contratti del comparto sanitario, alla detassazione degli straordinari e dei premi di risultato legati a obiettivi di abbattimento delle liste d’attesa.
Cosa cambierebbe dal 2024 per le liste d’attesa di visite ed esami?
Il governo intende risolvere l’annosa questione della sanità lenta e moribonda, attraverso la sanità privata accreditata (soprattutto), che, si spera finalmente possa trasparentemente affiancare, come garantito dalla carta costituzionale, la sanità pubblica. Le regioni insieme alle asl locali e agli ospedali devono stabilire i tempi massimi che intercorrono tra la richiesta della prestazione e la sua esecuzione.
Di fatto esiste una legge del 1998 che stabilisce che, se la lista di attesa per una visita medica specialistica o per effettuare esami diagnostici è troppo lunga, è possibile ricorrere al privato pagando solo il ticket. Quando i tempi sono lunghi, i pazienti si rivolgono alle strutture private. Ma anche lì, nel privato, che sia convenzionato o meno, l’abbattimento delle liste d’attesa avviene sempre attingendo a fondi del servizio sanitario nazionale.
Con la manovra 2024 il Fondo Sanitario nazionale, con 136 miliardi di euro, raggiunge il più alto investimento mai previsto per la sanità.
Con l’auspicio che le previsioni della manovra saranno realizzate, la sanità privata diventerà a pieno titolo e, non più solo a parole, l’altra metà della mela del servizio sanitario italiano.

avv. Maria Antonella Mascaro

18 ottobre 2023

Gentile associato,
Fondazione E.N.P.A.M. con delibera n. 64 del 7 luglio 2022 ha introdotto, a partire dall’anno di
fatturato 2023, un contributo specifico del 4% a carico degli iscritti beneficiari del versamento di cui
all’art. 1, comma 39 della legge 23 agosto 2004 n. 243.
Tale contributo “è commisurato alla quota di fatturato annuo, ascrivibile all’attività professionale degli
iscritti, prodotto dalle strutture accreditate con riferimento alle prestazioni specialistiche rese nei
confronti del SSN, al netto degli abbattimenti previsti”.
Dalla lettura del testo che precede, è pacifica l’interpretazione da dare al fatturato di riferimento, che
sarà quello prodotto dal medico libero professionista presso la struttura accreditata.
Assodata questa interpretazione, della quale attendiamo la conferma di ENPAM per il quesito posto
in maniera specifica, resta da affrontare la scottante tematica della trattenuta di tale contributo.
Con successiva delibera n. 23 del 16 marzo 2023 E.N.P.A.M. ha individuato termini e modalità del
versamento di detto ulteriore contributo.
In particolare, la struttura accreditata effettuerà, entro il 31 marzo di ciascun anno, la consueta
dichiarazione del fatturato prodotto nell’anno precedente, indicando i nominativi dei singoli
beneficiari del contributo del 2%. Una volta ripartito il contributo del 2%, la procedura individuerà – in
automatico- la base imponibile di fatturato ascrivibile a ciascun professionista e determinerà l’entità
del contributo del 4% a carico di ogni singolo medico.
Tale contributo ENPAM chiede che venga trattenuto dalla struttura sanitaria e versato entro il 31
marzo dell’anno successivo.
È chiaro l’intento di E.N.P.A.M. di interporre la struttura sanitaria tra sé e i medici, avendo a che fare
con un unico interlocutore che funga da raccoglitore, piuttosto che con una pletora di iscritti.
ACOP ha già comunicato le proprie perplessità su due tematiche fondamentali:

  • Anzitutto la funzione di sostituto d’imposta che non trova alcun fondamento e/o legittimità
    nella unilaterale disposizione della Fondazione con la delibera di marzo 2023;
  • Inoltre, la trattenuta che si richiede alle strutture sanitarie sull’anno 2023 dovrebbe partire da
    una data successiva alla comunicazione fatta da E.N.P.A.M. alle strutture sanitarie della
    delibera di marzo. Per effetto di tale ultima considerazione, trattandosi di trattenuta annuale,
    non potrebbe che partire (la trattenuta) dall’anno 2024 e portata in dichiarazione nell’anno
    2025.
    ACOP ha perciò comunicato alla fondazione E.N.P.A.M. la disponibilità ad una collaborazione nel
    sollecitare gli associati alla trattenuta delle somme relative al contributo 4%, nei confronti di quei
    professionisti che prestino il loro consenso, a partire dal 01.01.2024, in considerazione dell’annualità
    del contributo deliberato secondo le modalità stabilite nel 2023.
    Si allega lo schema di trasmissione ai medici della circolare E.N.P.A.M., con cui farsi autorizzare alla
    trattenuta.

ACOP

Il Direttore Generale

           dott. Gianluca Maccauro

17 ottobre 2023

Decreti attuativi della legge Gelli-Bianco

Dopo sei anni dall’entrata in vigore della legge Gelli-Bianco forse vedrà la luce il primo decreto attuativo della stessa. Riguarderà due temi: quello assicurativo e quello relativo alla tabella unica nazionale che, già prevista dall’art 138 del Codice delle assicurazioni, dovrebbe consentire una valutazione più sicura, in termini di certezza, dei danni gravi da responsabilità sanitaria

Si tratta di due tematiche centrali, finora non ancora trattate per la intuibile difficoltà di conciliare diverse esigenze e diverse voci, spesso divergenti, dei protagonisti del complesso mondo sanitario: strutture sanitarie, professionisti, compagnie assicurative e pazienti.  

E’ importante sottolineare come i due temi siano stati annunciati nello stesso tempo, trattando materie tra loro fortemente connesse come quella del danno risarcibile e quella della copertura del rischio.

Il regolamento assicurativo, aveva superato il vaglio del Consiglio di Stato già nello scorso aprile.

Il provvedimento – che mette in atto l’articolo 10 comma 6 della legge Gelli-Bianco  che (“Con decreto del Ministro dello sviluppo  economico,  da  emanare entro centoventi  giorni  dalla  data  di  entrata  in  vigore  della presente legge, di concerto con il Ministro della  salute  e  con  il  Ministro dell’economia e delle finanze,  previa  intesa  in  sede  di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le province  autonome  di  Trento  e  di   Bolzano,   sentiti   l’IVASS, l’Associazione nazionale fra  le  imprese  assicuratrici  (ANIA),  le Associazioni nazionali rappresentative delle  strutture  private  che erogano  prestazioni  sanitarie  e  sociosanitarie,  la   Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli  odontoiatri,  le Federazioni nazionali degli ordini e dei  collegi  delle  professioni sanitarie e le organizzazioni sindacali maggiormente  rappresentative delle categorie professionali interessate, nonchè le associazioni di tutela dei cittadini e dei pazienti,  sono  determinati  i  requisiti minimi delle  polizze  assicurative  per  le  strutture  sanitarie  e sociosanitarie pubbliche e private e per gli esercenti le professioni sanitarie, prevedendo l’individuazione di classi di rischio a cui far corrispondere massimali differenziati. Il medesimo decreto stabilisce i requisiti  minimi  di  garanzia  e  le  condizioni   generali   di operatività delle altre analoghe misure, anche di assunzione diretta del rischio, richiamate dal comma 1; disciplina  altresì  le  regole per il trasferimento del rischio nel caso di subentro contrattuale di un’impresa di assicurazione nonchè la previsione nel bilancio  delle strutture di un fondo rischi e di un fondo costituito dalla  messa  a riserva  per  competenza  dei  risarcimenti  relativi   ai   sinistri denunciati.  A tali fondi si applicano le disposizioni di cui all’articolo 1, commi 5 e 5-bis, del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 marzo 1993, n.67”) – disciplina le modalità di copertura del rischio da responsabilità civile sanitaria. In particolare, il decreto attuativo stabilisce i requisiti minimi tanto delle polizze assicurative (delle strutture sanitarie e dei professionisti) che delle altre misure analoghe di copertura del rischio da parte degli enti che intendano seguire la via della cosiddetta “autoritenzione”.

La promulgazione della tabella unica nazionale dovrebbe, invece, colmare il vuoto normativo protrattosi da quasi vent’anni (legge delle Assicurazioni) e divenuto a maggior ragione inaccettabile dopo che la legge 24/2017 (si riporta l’art. 7 della l. 24/2017: “Responsabilità civile   della   struttura   e   dell’esercente   la professione sanitaria

 1. La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorchè non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose.

 2. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonche’ attraverso la telemedicina.

3. L’esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell’adempimento di   obbligazione contrattuale   assunta   con   il   paziente.   Il   giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell’esercente la professione sanitaria ai sensi dell’articolo 5 della presente legge e dell’articolo 590-sexies del codice penale, introdotto dall’articolo 6 della presente legge.

4. Il danno conseguente all’attività della struttura sanitaria  o sociosanitaria, pubblica o privata, e dell’esercente  la  professione sanitaria e’ risarcito sulla base delle tabelle di cui agli  articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private, di cui  al  decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, integrate, ove necessario,  con la procedura di cui al comma 1 del predetto articolo 138 e sulla base dei criteri  di  cui  ai  citati  articoli,  per  tener  conto  delle fattispecie da esse non previste, afferenti alle attività di cui  al presente articolo.

5.  Le disposizioni del presente articolo costituiscono norme imperative ai sensi del codice civile”).

Con l’entrata in vigore delle due misure annunciate la legge 24/2017 acquisirà dunque maggiore profondità, colmando lacune improrogabili e rendendo ancora più concreta la propria azione. L’auspicio è che i principi e i valori di fondo che la animano – sicurezza delle cure e prevenzione – possano ritrovarsi nelle regole di copertura delle responsabilità descritte nell’emanando decreto assicurativo. Regole che sono state scritte anche con l’obiettivo di valorizzare il contributo degli operatori della sanità alla creazione di un modello virtuoso di gestione del rischio.

Dunque, strutture sanitarie, veri e propri enti, nei quali il risk assestment, diventa perno sul quale ruota e si incardina tutta la catena di responsabilità, sempre che questa esista, in linea con tutte le normative di matrice nazionale e sovranazionale che impongono la valutazione del rischio sulla organizzazione dell’azienda.

La tabella unica di valutazione dei danni gravi da lesione, dovrebbe essere utile alla tenuta finanziaria del sistema, rendendo più prevedibili e chiare le ricadute economiche dei risarcimenti, almeno questo è l’auspicio, e, comunque rappresenta un incipit da cui partire per definire una materia molto controversa che, come più volte si è detto, porta ad un eccessivo contenzioso, non più facilmente gestibile.

avv. Maria Antonella Mascaro

16 ottobre 2023

ENPAM – Sindacato radiologi

Facendo seguito al nostro comunicato del 20 settembre, col quale esprimevamo le nostre perplessità sul contributo ENPAM recentemente deliberato, che è stato oggetto di incontro con la Fondazione, in attesa di chiarimenti, Vi trasmettiamo anche il comunicato del sindacato dei radiologi, col quale rappresentano la loro doglianza a Enpam, dimostra come non ci sia acquiescenza all’imposizione così come notificata.

“Il giorno 11 u.s. la delegazione SNR formata dai dottori Accarino, Mandoliti e dal segretario Pinto, assistiti dagli avvocati Rossano e Villani, sono stati ricevuti a seguito di formale richiesta formulata il 13 luglio u.s. e successiva sollecitazione del 14.09 u.s. dal dr. Pulci e dai suoi collaboratori presso l’Enpam, per discutere dell’introduzione del nuovo contributo previdenziale pari al 4% a carico degli specialisti convenzionati esterni.

Nel corso della riunione il Sindacato ha rappresentato l’assoluta assenza di comunicazione nei confronti degli specialisti destinatari dell’imposizione, che è stata diretta solo alle associazioni e alle società professionali e/o di capitali operanti in regime di accreditamento con il SSN nella qualità di datori di lavoro.

La discussione ha riguardato le motivazioni di tali imposizione – che si aggiunge a quella del 2% (unica prevista da una Legge dello Stato)- e la scelta di individuare le società presso le quali opera lo specialista  libero professionista quale sostituto di imposta.

I rappresentati dell’Enpam hanno esposto che la necessità dell’ulteriore prelievo previdenziale si sarebbe resa necessaria a causa di un deficit del Fondo di previdenza a favore degli specialisti esterni e che la percentuale del 4% consentirebbe un ripiano del fondo nel giro di qualche anno.

Quanto all’indicazione delle società operano in accreditamento con il SSN quali soggetti tenute ad operare il prelievo e rimetterlo all’ENPAM, pare che tale scelta sia stata determinata da una maggiore comodità nell’interloquire con un numero minore di soggetti, pur non essendo questi i reali destinatari del provvedimento.

L’incontro avvenuto e le tematiche dibattute sembrano essere solo un primo passo verso ulteriori interlocuzioni, che, comunque, non escludono altre e diverse azioni da parte del Sindacato tese anche ad avere contezza del ruolo dei Ministeri vigilanti sulla scelta operata dall’ENPAM.

A tal proposito è stata richiesta tutta la documentazione a corredo della disposizione per valutarne la portata.

Vi terremo informati sui passi successivi allo stato in corso di elaborazione.”

12 ottobre 2023

6° Forum Giuridico in Sanità

Molto interessante il 6° Forum Giuridico in Sanità, tenutosi lo scorso 9 ottobre, presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Tor Vergata, al quale ha partecipato ACOP con il Vicepresidente, avv. Enzo Paolini.

Le tematiche dibattute sono state suddivise in diverse sessioni che si sono svolte nel corso della mattinata e del pomeriggio.

Innanzitutto la depenalizzazione dell’atto medico, argomento molto discusso negli ultimi mesi.

Molti dei presunti errori medici che sfociano in un processo penale, si concludono con un nulla di fatto, cioè con un’assoluzione del medico, dopo che un meccanismo poco virtuoso viene messo in moto dalla denuncia di un paziente che mira ad un risarcimento. Questo genera, in ogni caso, un meccanismo perverso, a volte prodotto a causa di professionisti che mal consigliano il loro cliente, e che, in effetti potrebbe essere risolto con un buon sistema preventivo di gestione del rischio, poi del sinistro e infine, se possibile un accordo transattivo.

L’intervento dei relatori di prestigio, giuristi e medici, ha enfatizzato e auspicato una soluzione in tal senso, che, però, è stata mitigata dall’intervento in collegamento on line del Vice Ministro Senatore Francesco Paolo Sisto, il quale ha realisticamente escluso una totale depenalizzazione dell’atto medico, ma ha dichiarato l’intenzione del Governo circa la limitazione degli atti rilevanti (con interventi di modifica dell’attuale legge Gelli-Bianco cui la Commissione da lui presieduta sta lavorando) ai casi di colpa grave con l’introduzione di una causa di esclusione della punibilità del medico qualora, in caso di imperizia, il sanitario abbia, comunque, seguito le linee guida.

Si è, pertanto, fatto richiamo alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che  hanno chiarito che il medico risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali nei casi in cui l’evento si è verificato per colpa anche lieve dettata da imprudenza, negligenza o imperizia nelle ipotesi in cui il caso non sia regolato dalle linee guida o manchino le buone pratiche clinico-assistenziali; oppure in quello di errore nell’individuazione della tipologia di intervento e delle relative linee guida non adeguate al caso concreto. Una delle ipotesi che è emersa è che le linee guida debbano riguardare ogni singola struttura ed essere ritagliate addosso come un vestito su misura.

Dunque la necessità sempre più sentita di un aggiornamento della legge n. 24/2017 sul punto e in relazione agli obblighi assicurativi con l’emanazione dei decreti attuativi che ancora non sono entrati in vigore e si attendono dal 2017.

Il primo dei decreti attuativi stabilisce i requisiti minimi tanto delle polizze assicurative (delle strutture sanitarie e dei professionisti) che delle altre misure analoghe di copertura del rischio da parte degli enti che intendano seguire la via della cosiddetta autoritenzione. Ma, anche su questo punto, si registra grande disagio da parte degli stakeholders interessati (strutture sanitarie, professionisti della sanità, Compagnie assicurative e, non ultimi, i pazienti).

Nelle altre sessioni si è parlato oltre che di rischio da valutare dal punto di vista civilistico e penalistico, anche di quello amministrativo che obbliga i dirigenti sanitari alla denuncia presso la Procura Generale della Corte di Conti nel caso in cui si tratti di risarcire con soldi pubblici un danno “clinico”.

I numeri dei contenziosi in campo civile e penale sono ormai da anni rilevantissimi e si concorda da parte di tutte le forze in campo sull’idea di riformare.

Nel corso di una tavola rotonda pomeridiana sono stati enunciati anche i dati dell’esperienze dei centri regionali di gestione del rischio clinico.

avv. Maria Antonella Mascaro

11 ottobre 2023

Intelligenza artificiale A.I. e Telemedicina

L’intelligenza artificiale (AI) è al centro della rivoluzione digitale che stiamo attraversando. Nato nei laboratori di ricerca, si è ormai affermato in quasi tutti i settori ed è diventato parte integrante della nostra economia e della nostra vita. Comprendere l’intelligenza artificiale è un compito complesso, poiché implica l’utilizzo di concetti come mente, intelligenza, “intelligenza non umana”, razionalità, adattività e autonomia, e persino il concetto di cosa significhi essere un essere umano. Oggi ogni settore, azienda e persino professione ha una propria comprensione e definizione di AI, una circostanza che crea confusione e rende difficile la necessaria discussione sull’AI.

L’intelligenza artificiale (IA) ha fatto grandi progressi negli ultimi anni, aprendo nuove possibilità in diversi settori, tra cui la telemedicina.

La combinazione di queste due tecnologie sta rivoluzionando il modo in cui i pazienti accedono alle cure mediche, migliorando l’efficienza e l’accessibilità dei servizi sanitari. In questo articolo, esploreremo come l’IA sta trasformando la telemedicina e quali benefici può offrire ai pazienti e ai professionisti sanitari.

L’IA nell’analisi dei dati medici.

L’IA può analizzare grandi quantità di dati medici in modo rapido ed efficiente, consentendo ai medici di ottenere diagnosi più accurate e tempestive. Grazie all’apprendimento automatico e all’elaborazione del linguaggio naturale, l’IA può analizzare i sintomi dei pazienti, confrontarli con database di casi precedenti e fornire raccomandazioni diagnostiche. Questo aiuta i medici a prendere decisioni informate e a fornire cure personalizzate.

Monitoraggio remoto dei pazienti.

L’IA può anche essere utilizzata per il monitoraggio remoto dei pazienti, consentendo ai medici di tenere traccia delle loro condizioni di salute senza la necessità di visite fisiche frequenti. Attraverso dispositivi indossabili e sensori intelligenti, l’IA può raccogliere dati vitali come la pressione sanguigna, la frequenza cardiaca e i livelli di glucosio. Questi dati vengono quindi analizzati dall’IA per identificare eventuali anomalie o segnali di avvertimento, consentendo ai medici di intervenire tempestivamente.

Assistenza virtuale e consulenza medica.

Grazie all’IA, i pazienti possono accedere a consulenze mediche virtuali, riducendo la necessità di spostarsi fisicamente presso uno studio medico. I chatbot alimentati dall’IA possono rispondere alle domande dei pazienti, fornire informazioni sui sintomi e consigliare azioni appropriate da intraprendere. Questo non solo migliora l’accessibilità alle cure mediche, ma riduce anche il carico di lavoro dei professionisti sanitari, consentendo loro di concentrarsi su casi più complessi.

Privacy e sicurezza dei dati.

Nonostante i numerosi vantaggi offerti dall’IA nella telemedicina, è fondamentale garantire la privacy e la sicurezza dei dati dei pazienti.

Le informazioni mediche sono estremamente sensibili e devono essere protette adeguatamente. Gli sviluppatori di IA e i fornitori di servizi sanitari devono adottare misure di sicurezza robuste per garantire che i dati dei pazienti siano protetti da accessi non autorizzati.

In conclusione, l’intelligenza artificiale sta rivoluzionando la telemedicina, offrendo nuove opportunità per migliorare l’accessibilità e l’efficienza delle cure mediche. Dall’analisi dei dati medici al monitoraggio remoto dei pazienti e all’assistenza virtuale, l’IA sta trasformando il modo in cui si pratica l’assistenza sanitaria, in continua evoluzione.

10 ottobre 2023

La parità di generi in sanità

Dopo i progetti “Alias” avviati nelle scuole e tesi a mettere a proprio agio gli orientamenti di genere degli studenti che non si riconoscono nel genere assegnato alla nascita e che consiste nella possibilità di utilizzare in classe il nome scelto, anche nel mondo sanitario si adottano accortezze e regole.

A questo proposito l’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato un vademecum per gli operatori sanitari dal titolo “Linee di indirizzo per la comunicazione del personale sanitario con i/le pazienti lgbt+”.

Il documento, approvato dall’osservatorio di medicina di genere, contiene le linee guida per consentire ai medici di avere gli strumenti per comunicare con i pazienti lgbt+.

Il protocollo riguarda, in parte, le medesime cautele che si stanno adottando in virtù dell’applicazione dei progetti Alias nelle scuole e si concentra sull’eliminazione degli ostacoli nell’accesso e nell’utilizzo dei servizi sanitari e, più dettagliatamente, sull’uso di pratiche inclusive per la cura dei pazienti.  

Dunque, il personale sanitario dovrebbe creare un ambiente accogliente a partire dall’utilizzo di cartelli, e brochure accoglienti negli studi e nelle sale d’aspetto. Un altro suggerimento è quello di affiggere, una dichiarazione di non discriminazione in cui si affermi che le prestazioni sanitarie erogate presso il Servizio sono uguali per tutti i pazienti a prescindere dall’età, dall’etnia, dalla religione, dall’orientamento sessuale e dall’identità/espressione di genere.

Sul piano pratico dovrà essere utilizzato un linguaggio neutro e si dovrà prevedere un servizio igienico non destinato ad uno specifico genere (come è attualmente dove è indicato solo quello femminile e maschile)

Nel caso di ricovero in una struttura sanitaria di una persona transgender, ove possibile, sarà necessario verificare la disponibilità dell’uso di una camera singola, a garanzia della privacy della persona interessata.

Dunque, uso di un linguaggio assolutamente neutral e disuso dei termini come madre/padre, semmai sempre sostituiti con quello di genitore.

Per quanto riguarda i minori e la comunicazione da adottare non si potrà dire ai giovani pazienti che stanno attraversando una “fase”, un periodo della loro giovane vita, in quanto l’orientamento sessuale lesbico/gay/bisessuale/asessuale, così come quello eterosessuale, è una variante naturale della sessualità umana.    

Il documento termina con un glossario che comprende termini come trigender (chi si identifica non con due ma con tre identità di genere), pangender, eterosessuale e quant’altro.

avv. Maria Antonella Mascaro

9 ottobre 2023

Rapporto Crea – “miseria sanitaria”

Non può sfuggire a nessuno lo stato di rilevante sofferenza in cui versano molti ospedali e presidi accreditati, che erogano assistenza sanitaria sul territorio nazionale ed è sempre più drammaticamente reale l’aver raggiunto una situazione veramente pericolosa, un punto in cui la carenza di infermieri e medici minaccia seriamente la qualità dell’assistenza da garantire ai malati ricoverati e alle persone che necessitano di trattamenti ambulatoriali.

Secondo il recente Rapporto Crea, l’Italia è carente di 30mila medici e 250mila infermieri. Per colmare questo divario, sarebbe necessario assumere 15mila medici ogni anno per i prossimi dieci anni, solo per avvicinarci ai livelli di personale sanitario presenti nel resto d’Europa. Questa è una valutazione statistica che deve far riflettere su quella che è diventata una vera “miseria sanitaria” nel nostro Paese per il malsano esproprio finanziario attuato dai Governi che si sono avvicendati negli ultimi 30 anni e forse più, e che sarà un sicuro calvario per quei cittadini meno abbienti che, comunque, non potranno accedere ai costosi trattamenti erogati nelle più attrezzate e lussuose cliniche private.

È vero che, su iniziativa del ministro Schillaci, iniziano ad arrivare infermieri indiani per sopperire a queste carenze così vistose, ma quello che è ancora più grave è apprendere che molti dei pochi infermieri nostrani, che escono dal percorso di laurea breve, si trasferiscono all’estero, dove ricevono gratificazioni e paghe da professionisti, mentre qui in Italia si reclutano infermieri e medici stranieri che non conoscono la lingua ed è facile immaginare quante criticità si registreranno nelle corsie ospedaliere. 

Questa crisi non è sorta dal nulla. È il risultato della disattenzione e dell’indifferenza della classe politica alle esigenze degli operatori sanitari, che sono da troppo tempo sottopagati rispetto ai loro omologhi europei e sottoposti a turni fin troppo stressanti. È tempo che la Politica faccia il suo mestiere e riconosca che la salute dei cittadini non può essere sacrificata per risparmiare sul bilancio pubblico, così come imposto dai vertici europei. I nostri ospedali e il nostro sistema di assistenza territoriale, stanno crollando sotto il peso di questa indifferenza e accertata irresponsabilità.

Questo non è solo un problema degli operatori sanitari, è un problema che riguarda la popolazione, riguarda ogni singolo cittadino.

Nel riconoscere ancora una volta l’inservibilità dell’arruolamento di infermieri e medici stranieri, sarebbe oltremodo necessario comprendere l’urgenza di un vigoroso cambiamento su tutta la questione e riformare radicalmente il nostro sistema sanitario che, da subito, va urgentemente finanziato adeguatamente e che gli operatori sanitari siano retribuiti convenientemente per il loro lavoro professionale e specialistico per evitare che questa situazione agonizzante si trasformi in coma irreversibile per la nostra Sanità Pubblica.

5 ottobre 2023

La classifica delle regioni per i livelli essenziali di assistenza.

Si è stilato in questi giorni un confronto fra la spesa pro capite di ogni Regione e i risultati ottenuti dalla propria sanità territoriale nelle tre aree indagate dai Livelli essenziali di assistenza: qualità dei servizi negli ospedali, assistenza distrettuale (cioè sanità territoriale, dai medici di base alle cure domiciliari) e attività di prevenzione. Il tutto viene tradotto in un punteggio sintetico che va da 0 a 100 con sufficienza a 60, come negli esami di stato delle scuole secondarie di secondo grado.

I risultati sono interessanti, o forse sarebbe meglio dire preoccupanti.

Secondo i Livelli essenziali relativi al 2021, appena calcolati dal Ministero della Salute, sette Regioni e Province autonome su 21hanno servizi insufficienti in uno o più settori.

Il quadro meno rassicurante arriva dagli estremi del Paese: la Valle d’Aosta e la Calabria, dove tutti e tre gli ambiti indagati si fermano largamente sotto la sufficienza, in Sardegna solo la prevenzione arranca poco sopra quota 60 punti.

Altre quattro regioni mancano il target in una sola area: la Sicilia e la provincia di Bolzano nella prevenzione, il Molise nell’area ospedaliera, la Campania nella sanità territoriale.

Diversamente l’Emilia Romagna primeggia ovunque anche nell’area distrettuale, pur spendendo meno della Sardegna che, invece, occupa il penultimo posto.

Umbria e provincia di Trento dispiegano le strategie più efficaci in termini di prevenzione, ma con differente spesa, molto inferiore quella della provincia autonoma.

In medicina territoriale Lombardia e Veneto spendono meno di Puglia e Sardegna con risultati migliori.

Insomma fanalino di coda invariato rispetto all’anno precedente, raggiunto tristemente dalla più piccola regione italiana, geograficamente ai poli opposti. Dunque se non divisa a metà, nord e sud, si tratta di un paese, l’Italia, a differenti velocità quanto ai livelli minimi per la sanità e, per alcuni versi, ancora più preoccupante: un paese a scacchiera per il cittadino che, almeno sulla salute (e sull’istruzione) non dovrebbe risentire di differenze territoriali.

avv. Maria Antonella Mascaro

4 ottobre 2023

Spaccatura interna a Confindustria Sicilia

Nelle scorse settimane si sono accavallate le notizie dell’acuirsi delle turbolenze interne alla confederazione regionale, come non se ne vedevano da anni.

Terreno di scontro Confindustria Catania che ha visto ritirare la propria iscrizione della quasi totalità delle imprese associate alla sezione Sanità.

Si tratta del Policlinico Morgagni, Centro Catanese di Medicina e Chirurgia, Istituto clinico Vidimura, Mater Dei, Casa di cura Valsalva, Sant’Agata e Gibiino, folto gruppo imprenditoriale, che conta circa 150 milioni di euro di fatturato, coprendo l’80% dei posti letto in accreditamento della provincia. 

La motivazione è stata dettata dalla elezione del dott. Domenico Musumeci, appoggiato dalla Cittadini di AIOP, come espressione dell’unico gruppo imprenditoriale rimasto nella Confindustria oggi presieduta dall’anziano imprenditore dei trasporti Angelo Di Martino, già fortemente contestato per aver scelto un board di presidenza dal quale ha tenuto fuori i settori del Turismo e, appunto, della Sanità.

Gli imprenditori del settore non hanno gradito le recenti modalità di elezione del vertice della sezione sanità e ancor meno le azioni di marginalizzazione subite nel corso degli ultimi mesi, con uno sbilanciamento di premialità di alcuni settori di maggiore interesse a scapito di altri.

3 ottobre 2023

Regione Marche: nasce un osservatorio per le violenze contro i sanitari

Nel Piano Socio Sanitario della Regione Marche si è voluto fortemente inserire il tema della sicurezza degli operatori sanitari, in linea con gli inasprimenti delle pene previsti dal codice penale. Attraverso una costante interlocuzione con i rappresentanti degli operatori sanitari è stata concordata una linea d’azione che procederà per step e che è confluita nel testo finale del Piano socio sanitario della Regione.

Il punto di partenza per la nascita di questo organismo è scaturito dai recenti avvenimenti che nella Regione, come in tutta Italia, hanno visto coinvolti in episodi di violenza alcuni operatori sanitari, in particolare dei Pronto Soccorso.

L’osservatorio regionale per la sistematica raccolta dei dati di rilevazione di episodi di violenza a danno degli operatori sanitari è un’iniziativa in linea con l’operato del Governo nazionale che ha proprio annunciato il ritorno del presidio delle forze dell’ordine all’interno degli ospedali.

Sulla base dei dati raccolti – nel secondo step di lavoro – saranno implementati specifici interventi per la tutela della sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie: azioni concrete e necessarie per porre fine agli episodi di aggressione e violenza nei confronti di medici, infermieri ed operatori in generale.

Accanto alla sicurezza degli operatori sanitari, attraverso il lavoro dell’Osservatorio e la presenza delle forze dell’ordine si potrà anche arginare un’ulteriore emergenza che, sempre più frequentemente, è stata segnalata dai pazienti e da eventuali accompagnatori, quali episodi di furti e borseggi avvenuti nella sala d’attesa del Pronto soccorso dei presidi ospedalieri regionali.

Per quanto inaccettabile che in un momento di angoscia per la salute del malato, ci si debba anche preoccupare di difendere i propri oggetti personali, queste segnalazioni allarmano gli utenti e i lavoratori del settore.

Dunque l’attenzione che si pone al fenomeno che fa capo ad una campagna di potenziamento della sicurezza, non può non far riflettere sui cambiamenti del nostro sistema che si è sempre basato sulla prevenzione e non sulla difesa, ma è necessario che si possa andare sul luogo di lavoro senza la preoccupazione che svolgendo la propria attività lavorativa si corra un rischio ulteriore, diverso da quello, ad esempio, di contrarre infezioni e cioè subire lesioni volontarie da terzi: pazienti, loro accompagnatori o altri ancora.

Sarà necessario un giusto bilanciamento di interessi, ma è importante verificare l’incidenza del rischio anche per comprendere se occorre tutelarlo.

Un ennesimo problema che non va al passo con i tagli alla sanità.

avv. Maria Antonella Mascaro

2 ottobre 2023

Ministero della Salute 2023-2025 Stato di Previsione – nota integrativa

Con riguardo alla programmazione strategica, per il periodo 2023-2025, si è tenuto conto delle manovre di contenimento della spesa pubblica attuate negli ultimi anni nonché della circolare n. 22 del 18 maggio 2022 della RGS recante le previsioni di bilancio per l’anno 2023 e per il triennio 2023-2025.

Inoltre, il percorso di programmazione strategica è stato caratterizzato anche dall’applicazione delle modifiche introdotte dai due decreti legislativi del 12 maggio 2016: il n. 90, sulla riforma della struttura del bilancio dello Stato e il n. 93 sul rafforzamento del bilancio di cassa, così come modificato dal d. lgs. n. 29/2018, nonché da quelle intervenute con l’approvazione della legge 4 agosto 2016, n.163, di modifica della legge n.196 del 2009 in tema di contenuto della legge di bilancio. 

In merito al funzionamento dell’apparato amministrativo saranno implementate azioni volte a perseguire le finalità del d.lgs. n. 150/2009, recentemente modificato dal d.lgs. n.74/2017 e della legge n. 190/2012, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza, integrità, anticorruzione e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, con l’obiettivo di incidere sulla qualità ed efficienza dell’azione pubblica, in termini di miglioramento dei servizi resi agli stakeholder. Nel triennio 2023-2025 l’amministrazione curerà la realizzazione dei seguenti obiettivi: 

  • Miglioramento dell’azione amministrativa attraverso un più efficace coordinamento anche in materia di formazione del personale sanitario, e interventi in materia di emergenze sanitarie internazionali; 
  • Miglioramento dell’efficacia degli interventi e delle procedure in materia di dispositivi medici (DM), medicinali ed altri prodotti di interesse sanitario e servizio farmaceutico; 
  • Miglioramento dell’efficacia degli interventi e delle procedure in materia di organizzazione delle risorse umane; 
  • Valorizzare le competenze dei professionisti sanitari e vigilare sul corretto esercizio delle loro attività, favorendo la crescita professionale e la collaborazione sinergica tra le categorie, nell’ambito dei nuovi modelli organizzativi del servizio sanitario nazionale;
  • Sviluppo di metodologie per migliorare il monitoraggio e la programmazione degli interventi da adottare in materia di assistenza sanitaria in ambito europeo ed internazionale; 
  • Migliorare la conoscenza dei Servizi sanitari regionali ai fini della programmazione del Servizio sanitario nazionale per promuovere l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizioni di efficacia e di efficienza; 
  • Potenziamento di prevenzione e sorveglianza epidemiologica; 
  • Ottimizzazione del percorso di individuazione dei fabbisogni informativi in materia di tutela della salute e di realizzazione dei connessi sistemi informativi; 
  • Promuovere il ruolo dell’Italia per la tutela della salute in ambito internazionale, anche in coerenza con le linee strategiche definite a livello comunitario e internazionale; 
  • Garantire il ristoro ai danneggiati da emotrasfusione, emoderivati, vaccinazioni e assicurare le attività in materia di vigilanza sugli enti e consulenza medico-legale; 
  • Rafforzare la tutela della salute attraverso interventi di comunicazione nelle aree di preminente interesse; 
  • Migliorare la vigilanza, la prevenzione e la repressione nel settore sanitario tramite l’attività istituzionale del Comando Carabinieri per la tutela della salute 
  • Ottimizzare gli interventi a supporto del funzionamento degli organi collegiali consultivi operanti presso il Ministero e per la valutazione del rischio fisico, chimico e biologico; 
  • Benessere animale e regolazione dei farmaci veterinari; 
  • Miglioramento della capacità di attuazione delle disposizioni legislative del Governo; 
  • Consolidamento e potenziamento degli interventi e programmi nazionali, intersettoriali e multidisciplinari in nutrizione e sicurezza alimentare;
  • Miglioramento dell’efficacia degli interventi in materia di ricerca sanitaria e riqualificazione della spesa nell’ottica dell’incremento qualitativo dell’attività scientifica realizzata dagli enti di ricerca finanziati dal Ministero; 
  • Garantire una sanità pubblica veterinaria efficiente e rispondente ai reali fabbisogni operativi del Servizio Sanitario Nazionale;
  • Miglioramento degli interventi a supporto delle attività di valutazione e controllo strategico;
  • Ottimizzazione degli interventi di prevenzione primaria, secondaria e terziaria nei confronti di individui e collettività, presenti nel paese a qualsiasi titolo, in tutte le età della vita;
  • Ottimizzazione degli interventi in materia di materia di igiene, sicurezza e adeguatezza nutrizionale degli alimenti;
  • Miglioramento degli interventi e delle relative procedure nell’ambito delle attività in materia di prevenzione e promozione della salute, in particolare ai fini del potenziamento delle attività connesse all’assistenza sanitaria al personale navigante e dell’efficacia dei controlli igienico-sanitari di pertinenza degli Uffici USMAF-SASN; 
  • Garantire una efficiente gestione della spesa per beni e servizi attraverso lo strumento della gestione unificata delle spese strumentali.

28 settembre 2023

Ok all’India

Ormai, sembra invalsa la pratica che ogni volta che si cercano soluzioni per fronteggiare l’emergenza nella quale ancora oggi si trova l’Italia, i più sono scontenti ed è subito polemica.

Ci si riferisce alla novità, che novità non è, secondo la quale il Ministro della Salute Schillaci, avrebbe chiuso un accordo con l’India per impiegare diverse migliaia di infermieri di nazionalità indiana nel territorio italiano.

La novità non c’è, poiché da mesi si parla della chiusura di accordi internazionali fra Italia e Tunisia, Etiopia, Cuba, India, per il reperimento di forza-lavoro in ambito sanitario, ma gli infermieri professionisti italiani, attraverso la voce dei sindacati, esprimono preoccupazione e disapprovazione.

E’ chiaro che la sanità pubblica e privata accreditata stia vivendo un prolungato periodo di vera e propria emergenza; ogni giorno si legge dei Pronto Soccorso “in codice rosso”, di liste di attesa infinite, di carenza di farmaci, di mancanza dei livelli essenziali di assistenza, ma un rimedio o, comunque, un tentativo in tal senso deve essere attuato.

Ed allora si deve guardare ad altre realtà che al momento stanno funzionando. Per esempio i medici cubani in Calabria hanno, inizialmente, scatenato grandi polemiche, poi, rientrate perché funzionano.

Dunque, senza enfatizzare alcuna parte o opinione politica, e senza pensare a chi fa bene e a chi fa male, se la soluzione definitiva tarda ad arrivare, più che altro perché non esiste una soluzione tombale al momento, allora bisogna cercare i rimedi immediati che possano far rimettere in moto il sistema.

Se vi è carenza di medici, di infermieri e di operatori sanitari, la preoccupazione non è quella che vengano chiamati, formati e assunti altri cittadini del mondo, anche lontani, ma quello di rendere di nuovo efficiente e ben funzionante il sistema sanitario nazionale.

Si potrebbe obiettare alla polemica sulle nuove eventuali assunzioni che c’è un esodo, come sottolineato nei nostri comunicati della settimana scorsa, di medici ed infermieri non solo con spostamenti da sud a nord e con inversione di tendenza per il personale infermieristico, ma verso l’estero, fenomeno se vogliamo ancora più grave, perché più difficilmente reversibile.

Dunque, si ritorna alla spiacevole questione dell’aumento salariale e della detassazione dello stipendio. Quindi le problematiche legate al gap linguistico dell’infermiere estero, facilmente superabile dalla somministrazione di corsi in lingua italiana accelerati, unitamente alla falsa questione della diminuzione dei posti di lavoro per gli italiani, si risolve, con tutto il rispetto, al giusto riconoscimento in busta paga di un lavoro che è diventato raro e prezioso.

Riportato a questa giusta ottica, però, e salvaguardando il sacrosanto e costituzionalmente garantito diritto al lavoro dignitoso, rimane il problema della mancanza di personale che deve essere reperito.

L’unica soluzione immediata non può che essere quella di assunzioni di cittadini esteri, in attesa che si attui una definitiva apertura alle specializzazioni.

A tale proposito stop definitivo al numero chiuso!

Il diritto all’istruzione, anche nelle formazioni universitarie è anch’esso costituzionalmente garantito, pertanto si allarghi la maglia, come nei tempi passati. Se questo dovesse avvenire, l’Italia deve comunque prepararsi ad una decina di anni, o forse più, di carenze di assunzioni, pertanto assumere e prima formare personale estero vuol dire cercare di trovare una soluzione.

Nel frattempo occorre stabilizzare i contratti, migliorarli e porre fine ai fenomeni “a gettone”, con una stringente regolamentazione, avendo sempre in mente come guida ispiratrice la Costituzione ed in questo caso il lavoro dignitoso.

avv. Maria Antonella Mascaro

27 settembre 2023

Da ottobre vaccini gratuiti in Puglia

Il vaccino anticovid sarà disponibile gratuitamente per tutti, anche per chi non rientra nelle fasce di età per cui è raccomandato. La fine dell’emergenza pandemica apre una pagina nuova, ma da lunedì anche in Puglia riparte la campagna vaccinale che riguarderà, oltre che il Covid, anche l’influenza. Ieri Pfizer ha confermato alla Regione la prima consegna del vaccino Comirnaty, nelle varie concentrazioni in base alle fasce d’età (neonati, bambini e over 12): in tutto arriveranno circa 40mila dosi, di cui 9.600 per uso pediatrico.

La campagna vaccinale – sulla base delle indicazioni del ministero della Salute – si basa sulla volontarietà. Per questo non ci saranno liste d’attesa, né gli accessi prioritari che tante polemiche hanno causato durante la pandemia: chi vuole potrà presentarsi nei centri vaccinali (sulla base delle indicazioni che arriveranno dalle singole Asl) oppure dai medici di famiglia. In un caso e nell’altro la somministrazione del vaccino avverrà volontariamente previo controllo della data dell’ultima vaccinazione o del tempo trascorso dall’ultimo contagio registrato.

Ieri il dipartimento Salute guidato da Vito Montanaro ha inviato alle Asl e alle associazioni di categoria la circolare con le indicazioni operative per gestire la campagna vaccinale relativa a Covid e influenza. Si prevede, tra l’altro, che le Asl dovranno garantire entro lunedì la consegna dei vaccini ai medici di famiglia e ai pediatri di libera scelta, e dovranno far partire la nuova piattaforma informatica Valore che sostituirà il Giava utilizzato durante la pandemia. Ai medici di famiglia dovrebbe inizialmente essere riservata una quota di dosi di antinfluenzale pari ad almeno il 30% degli assistiti over 65 in carico. Per i bambini sarà disponibile il nuovo vaccino spray (ne sono state comprate 50mila dosi), in alternativa al quadrivalente tradizionale. A differenza dell’anticovid, l’antinfluenzale sulla carta è gratis soltanto per le fasce a rischio che sono però estremamente ampie.

La Regione ha dato anche indicazioni relative agli operatori sanitari. Anche in questo caso le regole appaiono meno stringenti rispetto al passato. Resta sempre in vigore l’obbligo vaccinale (previsto dalle norme regionali): chi si sottrae potrà essere dichiarato non idoneo alle mansioni svolte normalmente. La novità è che i positivi asintomatici possono rimanere in servizio, ma se lavorano in reparti sensibili «devono essere adibiti temporaneamente» ad attività a basso rischio, mentre in tutti gli altri casi «devono evitare tassativamente il contatto diretto con tutti i pazienti e gli ospiti e con i colleghi». La vaccinazione deve essere effettuata anche dal personale delle strutture private e delle farmacie.

I dati aggiornati segnalano un aumento dei contagi Covid in tutta Italia, ma con numeri assoluti estremamente bassi. In Puglia risultano al momento 51 ricoveri, di cui due in terapia intensiva. Non c’è dunque alcun tipo di pressione sul sistema ospedaliero. Ma i medici consigliano comunque la vaccinazione in particolare per gli anziani, per i malati cronici e per chiunque si trovi in situazioni di rischio.

26 settembre 2023

Nuovo codice di comportamento dei dipendenti pubblici

Da oltre un ventennio la legislazione italiana sta orientando i propri principi verso la codificazione dei comportamenti etici. Eppure da sempre professionisti autonomi e dipendenti pubblici sono obbligati, anzitutto moralmente, a tenere comportamenti che non avrebbero bisogno di essere etichettati o stigmatizzati in vere e proprie leggi. Se così il legislatore ha ritenuto di fare, ciò può significare soltanto che il buon comportamento del lavoratore non è tale, o, si potrebbe avere un’altra chiave di lettura e cioè che nella gestione della cosa pubblica le cose non vanno come dovrebbero andare e dunque, da qui, la necessità di dover codificare ulteriormente ciò che dovrebbe essere la luce che guida qualsiasi professione: l’etica.

Nel luglio di quest’anno è entrato in vigore il nuovo codice di comportamento dei dipendenti pubblici con alcune importanti modifiche del D.P.R. del 2013.

Il testo ha avuto un iter un po’ travagliato: dopo una prima approvazione nell’aula dei ministri lo scorso dicembre era stato successivamente rigettato dal Consiglio di Stato. I giudici amministrativi, tra le varie obiezioni, avevano espresso riserve in merito alle nuove regole di condotta dedicate rispettivamente all’utilizzo delle tecnologie informatiche e all’utilizzo dei mezzi di informazione e dei social media. Norme che, per il CdS, si caratterizzavano per una “indeterminatezza delle condotte sanzionabili, favorita anche dall’utilizzo di espressioni linguistiche, molte delle quali tratte dal linguaggio tecnico e lasciate prive di definizioni atte a esplicitarne il significato”.

Tuttavia, dopo l’intesa in sede di Conferenza unificata e un nuovo parere positivo della Sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato, il Consiglio dei ministri ha approvato lo scorso 7 giugno, in esame definitivo, il nuovo Codice, poi entrato in vigore nel luglio.

Il nuovo Codice adatta all’attuale contesto socio-lavorativo quello del 2013. Innanzitutto promuove il divieto di ogni forma di discriminazione legata alle “condizioni personali del dipendente”, dall’orientamento sessuale al genere, passando per disabilità e differenze etniche e religiose. Concetto, questo, che viene codificato, ma che in realtà è mutuato dalla nostra Costituzione, scritta nel 1946.

In ogni caso, da un lato, l’Amministrazione garantisce ad ogni dipendente il diritto alla tutela da qualsiasi atto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole e discriminazioni di genere, anche in via indiretta. Dall’altro spetta ai dipendenti, nei rapporti interpersonali, contribuire alla promozione e al mantenimento di un ambiente e di una organizzazione del lavoro che siano ispirati e fondati su principi di correttezza, libertà, dignità ed uguaglianza.

Quale novità e forma ulteriore di controllo, si introduce un richiamo all’utilizzo responsabile degli strumenti informatici, attraverso un corretto utilizzo di tecnologia, mezzi d’informazione e social media.

Per quanto riguarda gli strumenti di proprietà dell’ente pubblico possono essere usati per incombenze personali, ma senza doversi allontanare dalla sede di servizio e purché l’attività sia contenuta in tempi ristretti e senza pregiudizio per i compiti istituzionali.

Inoltre si vieta di diffondere e pubblicare, anche tramite social network, notizie ed informazioni di cui sia a conoscenza per ragione del proprio ufficio. Ugualmente, ci si deve astenere dal pubblicare dichiarazioni offensive nei confronti dell’amministrazione, dei colleghi e collaboratori. Anche le opinioni del dipendente nei semplici post social devono essere espresse a titolo personale e senza coinvolgere la Pa di appartenenza. Lo stesso vale per i messaggi di posta elettronica che, sia all’esterno che all’interno dell’ente, non potranno contenere frasi minacciose, oltraggiose o discriminatorie.

Nel nuovo Codice, adottato in attuazione di quanto previsto dal PNRR 2 (D.L. n. 36/2022), si sottolinea anche il nuovo ruolo cruciale del dirigente pubblico.

Questa figura ha la responsabilità diretta per la crescita professionale dei collaboratori: deve, dunque, favorire la formazione e le opportunità di sviluppo di tutte le posizioni organizzative; spetta a lui curare il benessere organizzativo nelle proprie sedi, favorendo l’instaurarsi di rapporti cordiali e rispettosi tra i collaboratori.

Inoltre, si pone attenzione al testo all’espressa previsione della misurazione della performance dei dipendenti anche sulla base del raggiungimento dei risultati e del loro comportamento organizzativo. Una misurazione che passa anche da un altro tassello fondamentale: quello di garantire al personale della PA continue opportunità di formazione e crescita professionale e umana, da cui emerge la valorizzazione anche delle cosiddette soft skills (capacità relazionali e comportamentali).

Infine i comportamenti dei dipendenti pubblici dovranno essere in linea con le logiche di contenimento dei costi, in particolare, sul consumo energetico e della sostenibilità ambientale, in linea con gli obiettivi dell’agenda 2030. Pertanto i dipendenti dovranno in prima persona contribuire alla riduzione del consumo energetico e della risorsa idrica, ma la misura è adottata anche  per limitare i rifiuti e incentivarne il riciclo.

avv. Maria Antonella Mascaro

25 settembre 2023

Rivoluzione Emilia-Romagna per i pronti soccorso.

Fortissimamente voluta dall’assessore regionale alla sanità, Raffaele Donini, e da tutta la giunta guidata da Stefano Bonaccini, la riforma sanitaria prevede la nascita dei CAU (Centri di Assistenza per l’Urgenza) formati da un’equipe medica non specialistica, che dovrà occuparsi dei casi meno gravi (codici bianchi e verdi) lasciando le emergenze vere e proprie ai pronto soccorso (codici gialli e rossi: esempi infarti, ictus, traumi). Attorno ai CAU sono nate mille polemiche, sopratutto in merito alle modalità di accesso, e sono stati definiti anche pronto soccorso di serie B.

I CAU dovrebbero nascere all’interno di Case della Comunità, presso le attuali sedi dei punti di primo intervento o anche nelle strutture ospedaliere in prossimità dei pronto soccorso, con percorsi di accessi ben definiti. Sono in corso in questi giorni incontri presso le Ausl della regione per ascoltare i vari professionisti e definire anche il numero dei CAU e dei pronto soccorso.

La prima obiezione è che il cittadino si faccia la diagnosi da solo e decida se andare al pronto soccorso o al Cau.

Tutto sommato già oggi sono i cittadini ad identificare un bisogno, che può andare dalla più banale puntura d’insetto al più importante dolore toracico. Nel 75% dei casi si presentano nel luogo di cura che ritengono più adeguato, che di solito è il punto di soccorso più vicino alla propria residenza.

Degli oltre 200 accessi all’ora che oggi vengono effettuati nei pronto soccorso dell’Emilia-Romagna, almeno 140 sono composti da bisogni che le persone percepiscono come importanti e vorrebbero risolvere velocemente ma che non costituiscono un pericolo di vita e non hanno i caratteri della tempo-dipendenza. Così facendo, si rischia di innescare, nei grandi numeri, un meccanismo di intasamento del sistema.

Per tale motivo, se non si corre pericolo di vita, al Pronto Soccorso si rischia di fare code infinite.

La trave del progetto è superare l’impasse del paziente che si fa l’autodiagnosi. Non deve essere il cittadino a scegliere una delle due vie.

La soluzione prospettata è rendere disponibile, 24 ore su 24, un sistema di risposta telefonica in grado di indirizzare il cittadino nel luogo più consono al suo bisogno.

Il numero di telefono sarà 116117. Il cittadino verrà orientato da un operatore rispetto al proprio bisogno. Nel corso del tempo ci aspettiamo che tutti i cittadini chiamino questo numero e che quindi l’auto presentazione al pronto soccorso o nei CAU si riduca sino ad azzerarsi. Ovviamente esisterà pur sempre la chiamata diretta al 118.

L’operatore specializzato che risponde sarà un operatore tecnico selezionato mediante una procedura selettiva concorsuale. Serve almeno un diploma di istruzione secondaria di secondo grado e bisogna superare tre prove di selezione su argomenti specifici elencati nel bando.

Tuttavia, oggi al pronto soccorso il primo controllo lo fa un infermiere al triage, non un operatore.

Nel progetto invece la struttura è ben definita. L’operatore tecnico attraverso un algoritmo di intervista predefinito determina l’esigenza e l’eventuale bisogno di approfondimento con professionisti sanitari. In continuo contatto con gli operatori ci saranno un medico e un infermiere. Qualora dall’intervista derivi che il bisogno riguarda una condizione di emergenza sanitaria, la richiesta viene passata al 118. È una procedura che funziona già, e benissimo, in Danimarca e Regno Unito.

Il rischio di questa iniziativa è che la medicina, sempre più difensiva, può comportare che gli operatori rimandino tutti ai pronto soccorso e saremmo punto e accapo.

Vedremo i risultati di questa iniziativa e manterremo aggiornati gli associati.

21 settembre 2023

Il fenomeno dei medici a gettone dilaga anziché essere fermato

Se ne è parlato numerose volte nel corso di questo lungo anno, ma lungi dal diminuire, il fenomeno “medico a gettone” ha preso piede spostandosi geograficamente dal solo nord anche al centro del paese.

Indicati anche come medici a chiamata,si tratta di dottori che vengono richiesti per svolgere un singolo turno di lavoro, generalmente non superiore alle 12 ore, ma ormai, a seconda delle richieste e delle organizzazioni che effettuano un vero e proprio smistamento, anche per un intero fine settimana. In caso di assenze improvvise o mancanza di personale, in periodi intensi, rappresentano l’ancora di salvezza per ambulatori e reparti ospedalieri. 

Dunque, professionisti che non esercitano un servizio continuativo, ma vengono semplicemente chiamati all’occorrenza, motivo da cui deriva l’espressione. Un metodo di lavoro che può apparire disorganizzato, ma curiosamente molto redditizio.

I medici a gettone sono generalmente iscritti a delle cooperativeche fanno da intermediarie fra le aziende ospedaliere e i professionisti. Non c’è distinzione di età: si pesca fra i giovani e i meno giovani, anche medici in pensione; l’importante è l’iscrizione all’Ordine dei Medici e quindi l’abilitazione allo svolgimento della professione.

Il turno canonico per questi dottori è in giornata piuttosto che in orario notturno e copre dodici ore. Considerate le esigenze degli ospedali vengono chiamati più di frequente nel fine settimanae durante i periodi di festa. In generale dunque quando una parte del personale è assente e si occupano soprattutto di situazioni di emergenza.

Se è vero che a risaltare è più la cooperativa responsabile che il singolo medico, è vero che i turni singoli propongono una retribuzione di tutto rispetto. Si arriva a circa 1.000 euro per le 12 ore (più di 80 euro l’ora), ma se si arriva a 48 ore con il turno accoppiato il guadagno può superare i 3.000 euro. Il compenso orario però dipende anche dal reparto in cui è richiesto.

Guardando alle regioni italiane pare che i medici a gettone siano richiesti soprattutto in Veneto, dove l’80% degli ospedali fa ricorso a questi dottori. Anche in Liguria sono un fenomeno diffuso anche se si scende leggermente al 70%. Il Piemonte pare che vi ricorra nel 50% delle aziende ospedaliere, almeno per lo scorso anno, ma quest’anno il fenomeno è ancora mutato: per esempio le Marche, in particolare la provincia di Pesaro-Urbino fa frequentemente ricorso ai medici a gettone.

Il quadro descritto sopra appare preoccupante soprattutto considerato che i medici a chiamata hanno meno responsabilità rispetto al personale fisso. Esiste il rischio che alcuni si adagino e non svolgano il proprio lavoro al meglio. Oltre al fatto che si occupano spesso di pazienti che vedono per la prima volta, si può creare un disagio per chi è ricoverato, considerato che il professionista disponibile può variare ogni giorno. Il problema, però, è generato anche dal fatto che molti medici a chiamata sono giovani e hanno poca esperienza. Impreparati e magari destinati subito al Pronto Soccorso, magari abilitati da poco, possono peggiorare situazioni già difficili, senza volerlo. Un rischio davvero grosso per chi arriva in condizioni gravi nel nosocomio.

Peraltro, questi dottori, se sono iscritti da un tempo breve ad una cooperativa, potrebbero conoscere poco la struttura in cui andranno a fare i turni, non orientarsi bene, non capire a chi rivolgersi e dove trovare il necessario per l’assistenza che devono prestare. Tutti aspetti che rallentano il lavoro e mettono a rischio la salute del paziente e la responsabilità della struttura. 

Si è già detto dei numeri, anche se si tace il guadagno delle cooperative, che crescono a dismisura. Valga aggiungere il dato che in generale per il Pronto Soccorso un turno di 12 ore viene retribuito circa900 euro, considerando, però, solo i codici bianchi e verdi, ma si arriva fino al doppio di questa tariffa se i medici a gettone si dirigono al reparto di rianimazioneo se devono operare come anestesisti.

Se da una parte, dunque, i dottori in questione servono a “tappare” i buchi di un sistema in grave difficoltà, dall’altra si denota un divario poco professionale e assai poco morale fra i contratti nazionali e le prestazioni a gettone, cui la politica continua a non porre rimedio. Se il fenomeno non si ferma con una regolamentazione, se non si torna ad una legislazione pre-pandemia che non consentiva questo tipo di prestazioni, si assisterà ad un esodo sanitario verso questo tipo di prestazioni para-legalizzate che inevitabilmente porterà, insieme agli altri fattori critici, molto spesso denunciati, anche in questa sede, alla fine del sistema sanitario nazionale.

avv. Maria Antonella Mascaro

20 settembre 2023

Pronto soccorso in affanno in tutta Europa

Inadeguati per lavorarci e forse anche per essere curati, secondo la Società europea di medicina d’emergenza i pronto soccorso sono in affanno in mezza Europa.

I reparti di pronto soccorso sono attualmente luoghi non sicuri sia per i professionisti che per i pazienti, non solo in Italia ma in tutta Europa, secondo i risultati di un’indagine internazionale realizzata per conto della Società europea di medicina d’emergenza (Eusem) e pubblicato sullo European Journal of Emergency Medicine.
Le ragioni principali sono attribuite alle carenze di personale e al sovraffollamento, dovuti alla non disponibilità di posti letto nei reparti. Gli intervistati al sondaggio hanno anche ritenuto di non avere un supporto sufficiente da parte dei responsabili della gestione ospedaliera.

Circa il 90% del personale sanitario interpellato denuncia che a volte il numero di pazienti nei centri di emergenza-urgenza supera la loro capacità di fornire cure sicure e che questo sovraffollamento è un problema regolare. È ben noto che, oltre a causare disagio ai pazienti e ai professionisti e ostacolare la loro capacità di fornire assistenza, il sovraffollamento comporta un rischio sostanziale di danni per la salute degli assistiti e un aumento della mortalità.

Un analogo sondaggio è stato condotto tra i pazienti: i risultati sono ancora da pubblicare ma gli autori anticipano che sono ancora più allarmanti. Gli intervistati hanno dichiarato che al pronto soccorso erano stati assistiti da personale “arrabbiato” o “scortese”. «È probabile che questo sia dovuto a esaurimento e frustrazione – ha affermato in un editoriale James Connolly, presidente dell’Eusem – dato che la stragrande maggioranza di coloro che hanno risposto al sondaggio tra i professionisti ha dichiarato di essere orgoglioso di lavorare in un reparto di emergenza-urgenza».

Gli infermieri, rispondendo al sondaggio, hanno evidenziato una maggiore insicurezza rispetto ai medici, specie quando si trovano a dover trattare con pazienti con problemi di salute mentale. «Dal momento che in generale restano a contatto con i pazienti per periodi di tempo più lunghi, questo è comprensibile – hanno commentato i ricercatori – ma comunque preoccupante».

I giovani medici sono i più vulnerabili

Del resto, già un’indagine svolta lo scorso anno dall’Eusem, che si era focalizzata sul burnout tra gli operatori sanitari dei pronto soccorso europei, aveva fornito risultati allarmanti, mostrando che i professionisti più giovani e meno esperti avevano maggiori probabilità di esserne colpiti rispetto al personale più anziano ed esperto e avevano subito in modo più marcato l’impatto della pandemia di Covid-19.
«È preoccupante la scoperta che il burnout colpisce gli specialisti e i tirocinanti in medicina di emergenza più giovani in misura maggiore rispetto a quelli più anziani e con più esperienza – aveva commentato Abdo Khoury dell’Università di Besançon, in Francia –. Le esperienze negative durante la formazione possono portare al burnout e alla depressione più avanti nella carriera. Eppure questi saranno i professionisti di domani. Sempre che non decidano di abbandonare: i giovani colpiti da burnout sono infatti più propensi a pensare di lasciare il posto di lavoro. E, naturalmente, la carenza di personale che ciò potrebbe provocare non farebbe che peggiorare le cose».

Lontani anni luce dalla situazione ideale

«È inquietante vedere che questo schema di cattiva organizzazione si ripete – ha dichiarato Connolly – ed è inaccettabile che si siano intraprese così poche iniziative per porvi rimedio. Anzi, la situazione sembra ancora peggiore rispetto al passato».

Il 54,2% dei professionisti ha dichiarato di essere costantemente sotto pressione esterna e di temere che questo potrebbe avere conseguenze nell’assistenza ai pazienti. Il supporto della direzione dell’ospedale è stato percepito come inadeguato: il 35% ha risposto che i dirigenti ospedalieri non hanno mai proposto né supportato l’introduzione di miglioramenti e il 47% ritiene che le procedure implementate per migliorare il flusso di lavoro nel reparto non siano mai state realmente efficaci.

«I professionisti dedicati avrebbero bisogno del supporto e dell’ambiente adatti a svolgere al meglio il proprio lavoro e i pazienti dovrebbero sentirsi fiduciosi di ricevere il trattamento migliore, ma attualmente siamo lontani da questa situazione ideale. I governi e le autorità sanitarie devono rimediare subito, prima che la situazione peggiori ulteriormente e diventi troppo tardi per arrestare la spirale di declino», ha concluso Connolly.
Certamente il tema non è nuovo, ma evidentemente le richieste di intervento non hanno finora trovato soluzioni soddisfacenti.

In Germania, risale a otto anni fa un position paper in cui medici del settore segnalavano problemi finanziari e organizzativi nei reparti di pronto soccorso tedeschi e sollecitavano un maggior riconoscimento dell’importanza delle cure di emergenza nel sistema sanitario. Le proposte comprendevano un cambiamento del finanziamento ospedaliero in direzione di un sistema maggiormente basato sul budget, una migliore pianificazione strutturale per le cure di emergenza regionali, una cooperazione intensificata dei medici di medicina generale con i servizi di emergenza, una migliore rappresentanza organizzativa delle cure d’urgenza all’interno degli ospedali e un avanzamento della medicina d’urgenza nell’istruzione medica post-laurea.
Il tema tocca evidentemente tutti i sistemi sanitari europei. Le soluzioni da adottare sono in gran parte note, ma le risorse economiche, e non solo in Italia, prendono un’altra strada.

19 settembre 2023

Scadenza dei contratti: non si pone rimedio

Contratti scaduti da anni e stipendi ridotti ai minimi termini dall’inflazione. La situazione è al collasso. Più di sette milioni di lavoratori nel settore privato si trovano in questa situazione. Nel corso dei comunicati, Acop ha già affrontato il problema, parlando delle trattative del rinnovo dei contratti dei medici e del personale sanitario, ma la situazione è preoccupante. In pratica più di un lavoratore su due ha il contratto scaduto: questo è quanto hanno rappresentato i dati ufficiali del CNEL a fine giugno.

Molti contratti sono scaduti da anni e ai ritardi ordinari si è aggiunta la difficile congiuntura iniziata nel 2020. La pandemia ha congelato la contrattazione per due anni e l’esplosione dei prezzi ha acuito la distanza tra le richieste – legittime – dei lavoratori e la disponibilità delle aziende, preoccupate per il rallentamento dell’economia a livello globale.

Il risultato è una paralisi che si ripercuote sull’intero sistema produttivo con i consumi in forte calo perché le famiglie si vedono costrette a procurarsi lo stretto necessario e non possono investire, poiché non rimane nulla per il risparmio.

A fronte di un’inflazione all’8,7% gli stipendi in Italia sono cresciuti appena del 2% nel 2022. E se quest’anno la forbice è destinata con ogni probabilità a ridursi, il potere d’acquisto perso in questi anni non verrà recuperato.

Continuano le trattative per il rinnovo del contratto privato della sanità che coinvolge circa centocinquantamila persone e che potrebbe essere firmato entro fine mese. Il contratto triennale è scaduto nel 2018 e si prospetta un aumento medio di 241euro lordi al mese oltre ad arretrati compresi tra i seimila e i diecimila euro. Ma i medici chiedono soprattutto il potenziamento degli organici e un tetto alle ore extra in ospedale.

Si assiste ad una nuova e negativa tendenza del fatto che alcuni contratti collettivi nazionali vengono contrattualizzati da sigle sindacali fantasma con condizioni peggiorative. Si tratta dei cosiddetti contratti “pirata” che apparentemente professano condizioni più favorevoli ed, in realtà, prevedono situazioni peggiorative.

Per questo motivo le più note sigle sindacali stanno cercando in tutti i settori, ma nei più colpiti a maggior ragione, di far approvare un meccanismo di incentivazione che promuova il rinnovo a scadenza, per arginare quella che è, ormai, una vera e propria emergenza salariale.

La pandemia e la crisi energetica non possono diventare alibi per non rinnovare i contratti e le conseguenze dell’inflazione non possono essere pagate sempre dai lavoratori che hanno visto ridotto il loro potere d’acquisto.

La situazione più spinosa riguarda i lavoratori del terziario, dei servizi e dello spettacolo con un potere contrattuale debole.

Un esempio virtuoso, invece, è arrivato dall’industria che ha rinnovato in pratica tutti i contratti con aumenti significativi, superiori ai 130 euro in più in busta paga. Nell’industria metalmeccanica si è attuato un meccanismo con una clausola che lega gli aumenti all’aumento dell’inflazione nei casi di scostamento notevole.

Un esempio che potrebbe essere di emulazione per tutti gli altri casi.

Uno dei pericoli, in questa situazione incerta e frammentata, è che si allarghi nuovamente la piaga del lavoro irregolare nei settori più deboli, faticosamente e gradualmente portati ad emergere negli ultimi anni come nel caso del settore dei servizi.

D’altronde il problema riguarda anche il settore sanitario, se si pensa al fenomeno dei “medici a gettone”, che, lungi dall’essere sradicato, è in continuo aumento.

avv. Maria Antonella Mascaro

18 settembre 2023

Carenza infermieri: “Vanno presi dall’estero”

Il Ministro della Salute presente alla festa nazionale di Italia Viva: “Entro l’anno firmeremo un nuovo Piano pandemico e faremo una campagna perché soprattutto le persone fragili devono vaccinarsi. Però non ci vuole terrorismo la malattia è diversa da prima e soprattutto mi dispiace che spesso anche sui media si parla tanto di COVID lasciando da parte tanti altri problemi importanti della sanità italiana penso alla prevenzione”.

“Il covid – ha specificato il Ministro – è stata un’esperienza tragica, sono morte tantissime persone e tante famiglie hanno sofferto, ma credo che l’unica cosa positiva del COVID sia che ha rimesso al centro dell’attenzione politica l’importanza della salute. Proteggiamo i fragili, proteggiamo gli anziani, proteggiamo gli operatori sanitari però guardiamo anche a non lasciare indietro tutto ciò che c’è penso agli screening, alla prevenzione che è mancata in questi anni con un aumento tragico dell’incidenza delle neoplasie anche nel nostro paese quindi non facciamoci distrarre dal covid”.

Il Ministro ha parlato anche della manovra assicurando che le risorse “arriveranno” ma che “non è solo un problema economico è anche un problema di organizzazione”. E sul punto si è focalizzato sul problema delle liste d’attesa: “Dobbiamo intanto far sì che i medici che operano nel sistema pubblico siano pagati di più per le ore in più che fanno in modo tale che le ore in più siano finalizzate all’abbattimento delle liste di attesa”. E ancora: “Molte prestazioni non sono messe nei cup regionali e noi dobbiamo costringere tutte quante le aziende pubbliche e tutti gli operatori del privato convenzionato a mettere dentro le agende al servizio dei cittadini gli esami che possono erogare”. E poi la riduzione delle liste d’attesa dev’essere anche “uno degli obiettivi dei direttori generali”. Tema caldo anche l’appropriatezza delle cure: “Abbiamo un 20-30% di inappropriatezza. Se uno ha mal di schiena non si deve fare la risonanza magnetica, deve andare dal medico che lo visiti e capisca quale sia l’esame da fare”.

E poi sulla carenza di personale il Ministro ha specificato: “Il vero problema è che i giovani, e ormai questo è abbastanza chiaro a tutti, non vogliono purtroppo più fare alcune specializzazioni e, se andate a vedere le specializzazioni che i giovani non vogliono fare, sono tutte quelle specializzazioni nelle quali purtroppo, mi dispiace dirlo, non è possibile fare facilmente un’attività privata e questo è un qualcosa sulla quale io credo che anche a livello di università di comunità medica bisogni agire”.

Ma il Ministro ha sottolineato che la vera emergenza sia la carenza di infermieri: “Non ce ne sono e questo è un problema di molti paesi europei”. Per questo occorre “rivalutare la professione dell’infermiere. Oggi gli infermieri hanno percorsi di studio che durano 5 anni ed è chiaro che rivendicano giustamente anche delle competenze professionali diverse rispetto a quelle che hanno avuto fino adesso, però nell’immediato noi non possiamo pensare di avere subito un numero congruo di infermieri, se vogliamo veramente rafforzare la medicina territoriale. Dobbiamo far sì che la professione diventi più appetibile, con nuovi modelli organizzativi e con incrementi salariali e stipendiali. D’altro canto però, nel breve periodo di tempo, le case di comunità vanno completate entro il 2026 e noi dobbiamo avere accordi con paesi stranieri, per far sì che ce ne sia un numero adeguato”. A tal proposito il Ministro ha confermato che è in corso un’interlocuzione con l’India.

14 settembre 2023

Tamponi Covid 19: nuove regole

La nuova circolare del Ministero della Salute non prevede più tamponi per gli asintomatici che entrano in Pronto Soccorso, diversamente per i sintomatici si eseguono test anche per ricerca altri virus. 

Dunque, per i pazienti che non presentano sintomi compatibili con COVID-19 al triage, effettuato all’accesso al Pronto Soccorso, non è indicata l’esecuzione del test per SARS-CoV-2.

Differentemente, per quelli che presentano sintomi con quadro clinico compatibile con COVID-19 è indicata l’effettuazione di test diagnostici per SARS-CoV-2.  In questi casi è opportuno attivare un percorso più ampio di sorveglianza e, dunque, di ricerca di altri virus, quali ad esempio: virus influenzali A e B, VRS, Adenovirus, Bocavirus, Coronavirus umani diversi da SARS-CoV-2, Metapneumovirus, virus Parainfluenzali, Rhinovirus, Enterovirus.

Per i pazienti che all’anamnesi dichiarano di aver avuto contatti stretti con un caso confermato COVID-19 e, in particolare, siano stati esposti al contagio nei cinque giorni precedenti, permane l’indicazione dell’effettuazione di test diagnostici per SARS-CoV-2.

Per i pazienti, pur asintomatici, che devono effettuare ricovero o un trasferimento (sia programmato che in emergenza) in reparti o , comunque, strutture ad alto rischio (es. reparti nei quali sono presenti pazienti immunocompromessi e fragili, strutture protette, RSA, etc.) è indicata l’effettuazione di test diagnostici per SARS-CoV-2.

Il tampone, invece, sarà effettuato per il paziente che deve essere trasferito da una struttura all’altra.  Il test è, altresì, necessario anche per l’ingresso nelle Rsa.

Se, chiunque, presenta sintomi quali febbre, raffreddore, mal di gola, tosse ecc. è espressamente e, comunque, fortemente caldeggiato di evitare l’ingresso nelle strutture sanitarie.

Fermo restando il rispetto delle misure di igiene e protezione personale, utili alla riduzione del rischio di trasmissione dei virus respiratori, come previsto dalle ordinanze del Ministro della Salute e dalla Circolare n. 25613 dell’11 agosto 2023, si precisa che i visitatori/accompagnatori che presentano sintomi compatibili con COVID-19 devono evitare di accedere nelle strutture sanitarie; gli operatori addetti all’assistenza sanitaria e socio-sanitaria che presentano sintomi compatibili con COVID-19 devono evitare di accedere in setting assistenziali, sia di degenza che ambulatoriali, dove sono presenti pazienti immunocompromessi e fragili, secondo le modalità e le procedure adottate dalle direzioni delle strutture.

In ogni caso, resta ferma la responsabilità e la possibilità da parte del direttore sanitario della struttura o del clinico che ne ravvisi la necessità, di definire ulteriori indicazioni per l’effettuazione dei test e misure di prevenzione e protezione aggiuntive rispetto a quelle di seguito riportate.

avv. Maria Antonella Mascaro

13 settembre 2023

Ministero della Salute e Fondazione CDP insieme per i progetti del PNRR nella ricerca scientifica

Siglato il primo Memorandum d’Intesa tra le due istituzioni sul bando della Fondazione per facilitare la realizzazione di iniziative di ricerca in ambito sanitario.

Le risorse, fino a 1 milione di euro, sono destinate agli Istituti di Ricerca italiani già destinatari di fondi PNRR

Roma, 12 settembre 2023 – Collaborare al raggiungimento degli obiettivi del bando “In Sistema Ricerca”, lanciato da Fondazione CDP e dedicato ai progetti già destinatari di fondi PNRR nel settore della ricerca scientifica sanitaria. Questo il principale scopo del primo Memorandum of Understanding (MOU) siglato tra il Ministero della Salute e Fondazione CDP.

Il bando “In Sistema Ricerca”, aperto fino al 29 settembre, prevede una dotazione fino a 1 milione di euro a sostegno di richieste di finanziamento addizionali per iniziative di ricerca che siano già sovvenzionate da fondi PNRR da parte del Ministero della Salute. Le risorse messe a disposizione da Fondazione CDP saranno infatti finalizzate a coprire spese diverse da quelle già finanziate dai fondi PNRR, ma comunque fondamentali per il completamento del progetto di ricerca, con una soglia massima che non superi i 100.000 euro. In base alle graduatorie del Ministero della Salute, sono circa 170 i progetti di ricerca attualmente in corso in tutta Italia che potranno partecipare al bando.

Rivolto a ricercatori operanti presso istituti italiani pubblici o privati non-profit e Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS), il bando vuole contribuire a sostenere il raggiungimento degli obiettivi che il Paese si è fissato in questo settore, in un’ottica di addizionalità rispetto ai fondi già messi a disposizione dalla Commissione Europea attraverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Secondo quanto stabilito nel MoU, il Ministero della Salute e Fondazione CDP collaboreranno anche nel processo di valutazione e assegnazione dei fondi del bando, al fine di selezionare le richieste di finanziamento a più alto potenziale, in un’ottica di sinergia che vede per la prima volta le due istituzioni lavorare congiuntamente.

“Attraverso il bando In Sistema Ricerca, Fondazione CDP conferma la propria volontà di svolgere un ruolo addizionale rispetto al sistema per sostenere la ricerca, in linea con uno dei pilastri fondamentali del nostro Piano Strategico. Con questa iniziativa ci proponiamo infatti di portare a completamento progetti importanti per il settore. La collaborazione instaurata con il Ministero della Salute conferma che le sinergie tra attori diversi possono essere una chiave per affrontare le complesse sfide del Paese, soprattutto in ambiti di importanza strategica come quello della ricerca sanitaria, su cui l’Italia può giocare un ruolo da protagonista”, ha dichiarato la Direttrice Generale della Fondazione CDP, Francesca Sofia.

“Il sostegno alla ricerca è una delle priorità del Ministero della Salute e l’impegno della Fondazione CDP contribuisce alla piena realizzazione di uno degli investimenti del PNRR relativo alla valorizzazione e potenziamento della ricerca biomedica del servizio sanitario nazionale. Il protocollo siglato per l’attuazione del bando ‘In Sistema ricerca’ rappresenta un ulteriore strumento per il rafforzamento della ricerca sanitaria, leva strategica per il miglioramento delle cure e dell’assistenza delle persone” le parole di Marco Mattei, Capo della Segreteria tecnica del Ministero della Salute.

12 settembre 2023

La sanità digitale in Europa

Alla vigilia di una rivoluzione come quella cui si sta assistendo nella sanità si deve, assolutamente, evitare di incorrere in disuguaglianze.

Le persone con competenze digitali limitate o inesistenti sono quelle che possono trarre i maggiori vantaggi dagli strumenti e dagli interventi sanitari digitali: gli anziani, i disabili. Così si è visto, ad esempio, per l’applicazione della telemedicina.

La pandemia ha accelerato l’adozione di strumenti sanitari digitali, ma questa adozione è stata disomogenea.

E’ l’OMS Europa a porsi il problema rispetto ad un nuovo rapporto di riferimento sullo stato della salute digitale nel nostro continente. Il rapporto afferma che, sebbene negli ultimi anni siano stati compiuti notevoli progressi nel campo della salute digitale, esistono sfide e lacune significative che devono essere affrontate per liberare il pieno potenziale degli strumenti e degli interventi digitali al fine di migliorare la salute e il benessere generale, ridurre l’onere per il personale sanitario e salvaguardare la privacy delle persone.

L’Europa parte avvantaggiata ma l’adozione di strumenti sanitari digitali è stata disomogenea e spesso su uno o più casi specifici, piuttosto che strategica e a lungo termine. Una tendenza ricorrente è stata la mancanza di risorse finanziarie per finanziare l’indispensabile monitoraggio e valutazione degli interventi di salute digitale.

Solo 19 Paesi hanno sviluppato una guida su come valutare gli interventi di salute digitale e solo il 60% dei Paesi ha sviluppato una strategia sui dati nel settore sanitario. Ma l’ascesa e l’adozione dell’intelligenza artificiale devono essere attentamente regolamentate e gestite per garantire equità e trasparenza.

Quindi, innanzitutto, si deve garantire che la banda larga sia affidabile, a basso costo e possa raggiungere ogni famiglia e ogni comunità presente sul territorio. In secondo luogo, i governi e le autorità sanitarie devono iniziare a considerare la salute digitale come un investimento strategico a lungo termine, e non un vantaggio per pochi.

Ancora, bisogna creare fiducia nella sanità digitale, in modo tale da avere una maggiore collaborazione e condivisione delle conoscenze a livello internazionale. Gli strumenti di sanità digitale, comprese le cartelle cliniche elettroniche, devono essere in grado di comunicare tra loro attraverso i confini nazionali e internazionali – devono essere interoperabili – per essere efficaci dal punto di vista dei costi e dell’impatto.

Quindi, in sintesi: connettività, investimenti, fiducia e cooperazione.  

avv. Maria Antonella Mascaro

11 settembre 2023

Conferenza Stato Regioni chiede la proroga

Con una nota del 7 settembre 2023 indirizzata al Ministro della salute Orazio Schillaci, avente ad oggetto il Decreto Ministeriale 19 dicembre 2022 “Valutazione in termini di qualità, sicurezza ed appropriatezza delle attività erogate per l’accreditamento e per gli accordi contrattuali con le strutture sanitarie”, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha riferito una serie di perplessità emerse nella seduta del 6 settembre precedente, con riguardo all’attuazione della nuova disciplina che richiederebbe una completa revisione dei sistemi regionali dall’autorizzazione all’esercizio all’accreditamento fino agli accordi contrattuali.

La preoccupazione emersa in Conferenza, è riferita al rischio che strutture private accreditate già appartenenti a reti e/o PDTA regionali possano perdere l’accreditamento o non riescano ad accedere al contratto attraverso la procedura prevista.

Per tale motivo Massimiliano Fedriga ha rappresentato, attraverso la nota allegata, la necessità di prevedere una proroga di sei mesi del termine fissato al 30 settembre 2023 entro il quale le Regioni e le Province autonome devono adeguare il proprio ordinamento alle disposizioni di cui all’articolo 8-quater, comma 7 e all’articolo 8-quinquies, comma 1-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992 e il proprio sistema di controllo, vigilanza e monitoraggio delle attività erogate.

Inoltre è stato anche richiesta l’istituzione di un Tavolo di confronto con le Regioni e le altre Amministrazioni centrali interessate, al fine di individuare soluzioni condivise alle problematiche attuative della normativa vigente.

07 settembre 2023

Realtà Aumentata, impatto sulla sanità

Nell’era digitale, la tecnologia gioca un ruolo sempre più centrale in ogni aspetto della nostra vita, e il settore sanitario non fa eccezione. Una delle innovazioni tecnologiche più rivoluzionarie degli ultimi anni è senza dubbio la Realtà Aumentata.

Questa tecnologia, che sovrappone informazioni digitali al mondo reale, sta cambiando il modo in cui medici e pazienti interagiscono, offrendo nuove opportunità per migliorare la formazione medica, gli interventi chirurgici, le terapie e il supporto ai pazienti.

La Realtà Aumentata offre ai medici la possibilità di visualizzare e interagire con rappresentazioni tridimensionali dei pazienti, migliorando la precisione e l’efficacia delle diagnosi e degli interventi chirurgici.

Ma la Realtà Aumentata può anche rivoluzionare la formazione medica, offrendo agli studenti di medicina e ai professionisti sanitari la possibilità di apprendere e praticare procedure complesse in un ambiente sicuro e controllato, azzerando i rischi per i pazienti.

Realtà Aumentata, il nuovo volto della formazione medica

La formazione medica è uno dei campi in cui la Realtà Aumentata può avere un impatto considerevole. Gli studenti di medicina, medici e chirurghi possono impiegare la Realtà Aumentata per apprendere e praticare procedure mediche in un ambiente simulato, contribuendo a ridurre gli errori e migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria.

Attraverso l’impiego della Realtà Aumentata, è possibile addestrare il personale sanitario, permettendo agli operatori di testare pratiche e strumenti e disporre di feedback in tempo reale dei risultati delle proprie azioni. Questo tipo di formazione immersiva può accelerare il processo di apprendimento e migliorare la competenza del personale sanitario.

Inoltre la Realtà Aumentata semplifica l’aggiornamento delle competenze del personale per quanto riguarda il training su nuove apparecchiature diagnostiche e l’addestramento per la visualizzazione sui dataset di immagini diagnostiche, ad esempio quelle relative alla risonanza magnetica e tomografia. Queste tecnologie semplificano la formazione e l’apprendimento delle risorse, oltre che la comunicazione con il paziente.

In ambito pre-chirurgico, la simulazione immersiva in una sala operatoria virtuale sulla strumentazione e sulle procedure chirurgiche per gli infermieri strumentisti è un altro esempio di come la Realtà Aumentata può migliorare la formazione medica, migliorando l’assistenza e il servizio offerto ai pazienti. Allo stesso modo, la simulazione realistica di scenari è un altro strumento efficace per il training di medici e infermieri, ad esempio per quanto riguarda la stabilizzazione di pazienti in condizioni critiche.

Realtà Aumentata al servizio della chirurgia di precisione

La Realtà Aumentata avrà un impatto decisivo anche sulle pratiche chirurgiche, offrendo nuove opportunità per migliorare la precisione e l’efficacia degli interventi. Ma non solo: la possibilità di replicare e visualizzare modelli 3D dei pazienti e delle loro problematiche cambieranno sensibilmente le procedure pre operatorie e di ricovero.

La visualizzazione in Realtà Aumentata di modelli 3D può migliorare sensibilmente la capacità degli operatori di diagnosticare e visualizzare eventuali criticità, oltre a migliorare la precisione e l’efficacia degli interventi chirurgici, riducendo gli errori e l’invasività delle procedure.

Infine, la Realtà Aumentata potrebbe offrire ai medici uno strumento per ottenere in tempo reale un supporto remoto “live” da altri colleghi e collaboratori. Attraverso l’impiego di Smart Glasses, le equipe mediche potranno condividere visivamente lo stesso teatro operativo e partecipare da remoto alle attività svolte sul campo.

06 settembre 2023

Emergenza infermieri

Il fenomeno di esodo che ha riguardato e continua a riguardare i medici si sta verificando con dati peggiori nella preziosa categoria degli infermieri.

In questo caso si assiste, però, a due differenti tipi di esodo.

Gli infermieri fuggono dagli ospedali del nord verso quelli del sud, con una sorta di inversione di rotta rispetto ai medici.

A lanciare l’allarme è il sindacato nazionale Nursing up, che spiega il fenomeno con l’aumento del costo della vita, insostenibile nelle regioni del nord Italia. Pertanto si assiste ad un fenomeno di migrazione di ritorno nei paesi o nelle città di origine.

A causa di questo particolare effetto migratorio, i pronto soccorso e i reparti nevralgici degli ospedali, in special modo nelle regioni della Liguria e dell’Emilia-Romagna, stanno perdendo infermieri che si dimettono per tornare a Sud. 

Svariate decine di operatori sanitari, dal 2022 a oggi, hanno scelto di dimettersi, con rinuncia a contratti a tempo indeterminato nella sanità pubblica. 

Certamente influisce su questo esodo il costo della vita; anche se va sottolineato l’enorme caos degli ospedali del sud con situazioni di violenza perpetrate nei confronti del personale sanitario molto frequenti.

Il problema, però, è che, a parità di condizioni, lo stipendio medio di un infermiere si aggira intorno ai millequattrocento euro, a volte neanche netti, che non consente ad un giovane infermiere di mantenersi in città come Bologna, Genova, ma anche Rimini, Forlì o La Spezia.

Il secondo tipo di esodo, cui si accennava di sopra, è ancora più impegnativo, in ordine ad una vera e propria emigrazione in paesi lontani.

Ad esempio ad Abu Dhabi il Cleveland Clinic Abu Dhabi figura tra i primi 250 ospedali al mondo in termini di qualità, grandezza, professionalità e ricchezza nella classifica stilata da Newsweek che rivela anche che entro il 2030, in Arabia Saudita serviranno quattrocentoquarantaquattromila medici e ottantacinquemila infermieri. 

Negli Emirati Arabi i compensi includono servizi e casa, inserimento scolastico per i figli e agevolazioni fiscali. Un infermiere può guadagnare fra i tremila e seimila dollari al mese.

Come poter contrastare questo doppio esodo è piuttosto problematico, in un sistema nel quale vengono immessi pochi finanziamenti o, comunque, insufficienti a far rimanere il personale e a creare incentivi di studio per la specializzazione.

Innanzitutto va segnalato che il numero di coloro che in Italia scelgono di diventare infermiere è inferiore alla necessità.  Vi sono alcune proposte tese alla formazione di nuove figure, che dovrebbero in qualche modo andare a compensare questa carenza, ma sono poco chiare e non spiegano di cosa dovrebbero occuparsi. Ad esempio c’è una proposta di legge tesa al varo di una figura detta dell’assistente alla salute, ma nel testo non è spiegato quale sia il livello di intervento di questa figura.

Nel 2001 venne introdotta la figura dell’operatore socio sanitario che oggi opera con buona disinvoltura, appropriatezza e competenza nell’area medica e chirurgica. Ma non si può pensare di tappare buchi con figure non altamente specializzate, oppure senza delineare il perimetro di azione.

Dunque si ritorna sempre al problema dell’investimento sulla salute e probabilmente il governo italiano non ha saputo sfruttare al meglio nel settore salute la grande opportunità del PNRR.

Rimane il fatto che è una sconfitta generale, e quindi anche della politica, mettersi a costruire una figura alternativa all’infermiere con meno formazione e con meno competenze, come le proposte di legge attuali vorrebbero fare.

avv. Maria Antonella Mascaro

05 settembre 2023

Regione Abruzzo: via alla digitalizzazione sanitaria

L’Abruzzo ha aderito al Polo Strategico Nazionale, rivoluzionando, in tal modo, la programmazione sulle scelte amministrative.

Il Polo Strategico Nazionale è una società di nuova costituzione partecipata da Tim, Sogei, Leonardo, Cassa Depositi e Prestiti, che ha sottoscritto con il Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Convenzione per l’affidamento della progettazione, realizzazione e gestione dell’infrastruttura per l’erogazione di servizi cloud per la pubblica amministrazione.

La giunta regionale abruzzese, su proposta dell’assessore alla Salute, ha approvato l’adesione della Regione al Polo Strategico Nazionale (Psn) nei giorni scorsi con un provvedimento che segna un ulteriore punto di svolta nell’ammodernamento delle infrastrutture tecnologiche al servizio del sistema sanitario digitale per i servizi della sanità.

Il percorso era iniziato già con il governo regionale del 2021, attraverso un imponente processo di adeguamento sul fronte dell’innovazione.

L’Abruzzo scontava anni di ritardi legati a scelte del passato non propriamente innovative, anni recuperati con una serie di atti iniziati con il piano della sanità digitale, cui sono seguite iniziative specifiche di qualificazione tecnologica, come ad esempio i servizi on line, l’anagrafe vaccinale, il sistema di gestione degli screening, la cartella unica regionale, il fascicolo sanitario.

Sul Psn sarà possibile migrare tutti i dati sanitari su un sistema cloud avanzato, che garantisce maggiore sicurezza, stabilità e operatività dei sistemi della pubblica amministrazione.

Il progetto è finanziato con la rimodulazione delle risorse gestite per questi scopi dalle Asl territoriali e consentirà di potenziare i servizi sanitari in ambito vaccinale, oncologico, sportivo, farmaceutico, veterinario e della salute mentale. Un’attenzione particolare sarà dedicata all’evoluzione dei servizi on line al cittadino.

Inizialmente il polo affiancherà gli uffici regionali nella fase della transizione al cloud, fornendo tutto il supporto necessario alla migrazione verso il nuovo sistema. Questo permetterà all’amministrazione regionale di disporre di un flusso di informazioni utili anche per rafforzare i servizi sanitari sul territorio, garantire equità dal punto di vista dei diritti e degli interessi della comunità territoriale.

avv. Maria Antonella Mascaro

04 settembre 2023

Modifiche alla dirigenza sanitaria pubblica e Piano oncologico nazionale e Registro Tumori

La legge 10 agosto 2023, n. 112, avente a oggetto “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 giugno 2023, n. 75, recante disposizioni urgenti in materia di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, di agricoltura, di sport, di lavoro e per l’organizzazione del Giubileo della Chiesa cattolica per l’anno 2025”, è stata pubblicata nella GU Serie Generale n. 190 del 16-08-2023, entrando in vigore il 17/08/2023.

I provvedimenti normativi in evidenza recano importanti novità in materia sanitaria. Le più rilevanti sono di seguito sintetizzate:

  • Articolo 6 (Incremento del Fondo risorse decentrate del Ministero della salute)
  • Articolo 6-bis (Norme in materia di accesso ai concorsi per la dirigenza chimica)

L’articolo disciplina in via transitoria i requisiti di accesso ai concorsi per la dirigenza chimica fino al 31 dicembre 2025. Mediante l’inserimento del comma 7-bis all’articolo 8 delle Legge 11 gennaio 2018, n. 3, in alternativa alla specializzazione, è requisito di accesso l’aver maturato, sei mesi prima rispetto alla scadenza del bando, almeno tre anni di servizio anche non continuativo, con contratti a tempo determinato o indeterminato, con esercizio di funzioni proprie della professione sanitaria di chimico presso le agenzie per la protezione dell’ambiente o presso le strutture del SSN.

  • Articolo 7 (Ente Strumentale alla Croce Rossa Italiana in liquidazione coatta amministrativa).
  • Articolo 8 (Disposizioni in materia Piano oncologico nazionale e per l’attuazione del Registro tumori)

L’articolo 8 disciplina la normativa vigente in materia di riparto delle risorse già stanziate per l’operatività delle reti oncologiche regionali. L’articolo prevede l’intesa in sede di Conferenza Stato-regioni sul decreto di riparto delle risorse, ammettendo al finanziamento tutte le regioni e le province autonome, in deroga alle disposizioni legislative vigenti in materia di compartecipazione della spesa sanitaria.

  • Articolo 8-bis (Disposizioni in materia di dirigenza sanitaria, amministrativa, professionale e tecnica del SSN)
  • comma 1: in ragione del perdurare delle necessità organizzative e funzionali conseguenti alla cessata emergenza epidemiologica da Covid-19, nonché dell’esigenza di garantire il raggiungimento degli obiettivi del PNRR, anche al fine di non disperdere le competenze e le professionalità acquisite, fino al 31 dicembre 2025, è elevato a 68 anni il limite anagrafico per l’accesso all’elenco nazionale e agli elenchi regionali dei soggetti idonei alla nomina di direttore generale di Asl, Ao (aziende ospedaliere) ed altri enti del SSN. Inoltre, fino al termine di validità degli elenchi pubblicati ai sensi della presente disposizione, non si applicano i limiti anagrafici attualmente previsti, per il direttore sanitario ed amministrativo dall’articolo 3, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502;
  • comma 2: dispone l’abrogazione del comma 687, art. 1, della L. di Bilancio 2019 (L. n. 145/2018).
  • Articolo 8-ter (Disposizioni in materia di procedure elettorali e di composizione del consiglio nazionale e dei consigli territoriali, nonché dei relativi organi disciplinari, dell’Ordine degli psicologi)

Si prevede una nuova disciplina per il procedimento elettorale degli organi dell’ordine degli psicologi e le specifiche modalità per l’integrazione degli organi disciplinari anche istruttori, mediante apposito decreto di natura regolamentare del Ministro della salute, sentito il Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi.

  • Articolo 43, commi 4-bis e 4-ter (Adeguamento strutture sanitarie di emergenza per il Giubileo 2025)

Anche per l’accoglienza dei pellegrini in occasione del Giubileo 2025, oltre che per dare immediata attivazione alla procedure di affidamento per i lavori di adeguamento e di ristrutturazione, oltre che alle annesse tecnologie sanitarie, dei presidi sanitari sede di DEA (dipartimenti di emergenza e accettazione) e Pronto Soccorso che fanno parte della rete del sistema di emergenza del Servizio sanitario della regione Lazio, è autorizzato un progressivo aumento di spesa complessiva (anni 2023, 2024, 2025, 2026), di cui si prevede specifica copertura. Per le predette finalità, entro 90 giorni a far data dall’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge, il Commissario straordinario per il Giubileo, sentito per gli aspetti di competenza il Ministero della salute, propone l’aggiornamento del DPCM e dei relativi allegati adottati ai sensi dell’art. 1, comma 422, della legge di bilancio per il 2022 (L n. 234 del 2021).

31 agosto 2023

Il rinnovo del contratto dei medici e il miglioramento del personale infermieristico

Nel mese di luglio scorso le due principali sigle sindacali della dirigenza medica e sanitaria si erano rifiutati di firmare la nuova proposta contrattuale.

Le trattative riprenderanno a partire dal 5 settembre, ma proprio i due maggiori sindacati che si erano opposti: ANAAO-ASSOMED e CISMO-FESMED, hanno stilato un accordo con proposte congiunte che, in caso di accoglimento, consentiranno di arrivare rapidamente alla firma di un nuovo contratto con grande attesa della categoria dei sanitari interessati.

I punti principali riguardano alcuni temi fondamentali sui quali non si era trovata una sintesi nei mesi scorsi, tanto è vero che l’accordo non era stato siglato e il testo proposto a luglio non era stato accettato. Per questo motivo si era proposto di rimandare la discussione a settembre.

Quali i nodi da sciogliere: l’orario di lavoro, i fondi contrattuali, il servizio fuori sede, la rappresentatività ed il patrocinio legale.

Se si vuole tentare di frenare la fuga dei professionisti dalla sanità pubblica occorre migliorare le condizioni di lavoro e la qualità della vita di medici e dirigenti sanitari, impedendo alle Aziende di pretendere gratuitamente centinaia di migliaia di ore di lavoro extra-orario, anche attraverso l’utilizzo improprio delle risorse stanziate per ciascun fondo contrattuale.

Peraltro, la questione va al passo con le anticipazioni sulla prossima manovra finanziaria, che non solo continuerà ad ignorare la grande crisi del Servizio sanitario nazionale negando oltre quattro miliardi necessari a garantirne la sopravvivenza, ma che non sarà nemmeno in grado di adeguare all’inflazione gli stipendi dei dipendenti della Pubblica amministrazione nei contratti relativi al triennio 2022-2024.

Il discorso va a braccetto con la carenza del personale infermieristico sul quale FNOPI proponealcune le priorità che dovranno trovare spazio nelle prossime leggi, a partire da quella di Bilancio e che riguardano la valorizzazione della formazione infermieristica e delle specializzazioni universitarie; la previsione di lauree magistrali a indirizzo clinico, in risposta ai bisogni del sistema salute e della popolazione; la correlazione strutturale dei posti del corso di laurea abilitante e delle lauree specialistiche adeguandoli al fabbisogno del sistema salute.

avv. Maria Antonella Mascaro

30 agosto 2023

Ministero della Salute – Report sul personale SSN

Nel 2021 sono 617.246 i dipendenti del Servizio sanitario nazionale, personale delle Asl e degli Istituti di ricovero pubblici ed equiparati (Asl, Aziende ospedaliere, Aziende ospedaliere universitarie integrate con il SSN, Aziende ospedaliere integrate con Università). Nel 2019 erano in totale 603.856.

In particolare, nel 2021 lavorano per il SSN 102.491 medici e odontoiatri (erano 102.316 nel 2019) e 264.768 infermieri (256.429 nel 2019). Il rapporto fra infermieri e medici, a livello nazionale, si attesta sul valore di 2,6 infermieri per ogni medico.

È quanto si legge nella monografia Personale delle ASL e degli Istituti di ricovero pubblici ed equiparati – Anno 2021, a cura dell’Ufficio di statistica – Direzione generale della digitalizzazione del sistema informativo sanitario e della statistica.

Nel 2021, il 69,1% del personale del SSN è composto da donne, contro il 30,9% degli uomini.

Il 72,5% (447.359 dipendenti) appartiene al ruolo sanitario, il 17,7% al ruolo tecnico (analisti, statistici, sociologi, assistenti sociali, etc.), il 9,6% al ruolo amministrativo e lo 0,2% a quello professionale (avvocati, ingegneri, architetti, etc.).

Con particolare riferimento al ruolo sanitario, il 59,2% è rappresentato da infermieri, il 22,9% da medici e odontoiatri e il 17,9% da altre figure professionali sanitarie (dirigenti professioni sanitarie, personale tecnico-sanitario, personale funzioni riabilitative, personale vigilanza e ispezione).

“Niente di nuovo dal fronte della sanità. Il Report che il Ministero della Salute ha reso pubblico sul personale in servizio per il SSN con contratti a tempo indeterminato presso le Asl e gli istituti di ricovero pubblici ed equiparati tra il 2019 e il 2021 dimostra che neppure l’emergenza covid è servita a dare impulso alle assunzioni per fronteggiare le croniche carenze d’organico”. Queste le parole del Segretario Nazionale della UGL Salute Gianluca Giuliano. “L’incremento è irrisorio e sconfortante perché si è passati da 603.856 unità del 2019, distribuiti tra operatori sanitari, tecnici ed amministrativi, ai 617.246 del 2021. Un quadro desolante con percentuali vicine allo zero per i medici e odontoiatri, con un misero + 0,17%, e poco più alte per gli infermieri che hanno visto aumentare i contratti a tempo indeterminato del 3,2%. Le conseguenze di queste politiche del passato sono sotto gli occhi di tutti, con un SSN che oggi arranca sempre di più non riuscendo a soddisfare le minime esigenze in termini di assistenza ai cittadini. Il Ministro Schillaci sta combattendo una dura battaglia per aumentare le risorse per la sanità in modo da poter avviare una nuova stagione con stabilizzazioni e nuove assunzioni. Ci preoccupa però verificare come dopo l’ottimismo di qualche mese fa, si era addirittura parlato di 4 miliardi per il 2024, all’approssimarsi della discussione sulla Legge di Bilancio il rischio che la sanità, nonostante gli sforzi del Ministro Schillaci, sia ancora la grande penalizzata aleggia nell’aria.  Per rilanciare il SSN non basta inseguire la chimera del rafforzamento della medicina del territorio”.

29 agosto 2023

Il Covid non è ancora un sogno

Tamponi in aumento, tasso di positività salito al 9,2%, sintomi simili all’influenza, anche con febbre molto alta; in conclusione il covid che sembrava scomparso dal panorama delle notizie italiane, con il suo odioso bollettino quotidiano sul numero degli infettati, dei malati, dei decessi, fa parlare di sé e non è nell’oblio.

Dal 17 al 23 agosto più di undicimila casi, quasi il doppio rispetto alla settimana precedente. Certamente può aver influito il fatto che nella settimana di mezzo agosto i flussi di gente che si è spostata per le vacanze sia stata molto superiore, ma i dati preoccupano e pertanto il passaggio dal 6,5 al 9,2 di percentuale di casi positivi è un fatto non trascurabile.

Se è vero che il virus appare meno aggressivo, da nord a sud della Penisola arrivano diverse segnalazioni di sintomi simili a una pesante influenza con febbre a 38-38 e mezzo e tosse persistente che si risolvono, in genere, nel giro di 5 giorni.

I livelli di incidenza dell’infezione sono bassi, così come il numero dei ricoveri, ma come sempre ci si trova all’inizio delle prossime attività scolastiche che ospitano gli studenti nelle stesse strutture di sempre e non adeguate a seguito dell’emergenza e con il timore per le persone fragili, gli anziani, le donne in gravidanza che dovranno osservare le cautele di sempre.

Stesso discorso per gli operatori sanitari che non hanno mai abbassato la guardia.

Intanto novità sul fronte dei vaccini: i booster contro il Covid saranno disponibili a metà settembre negli Stati Uniti, secondo fonti di agenzie del governo americano comunicate alla Cnn.

In arrivo per ricevere il sì definitivo della Food and drug administration (Fda) e, subito dopo, dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie(Cdc). Si tratta di due richiami dei vaccini mRna della Pfizer e di Moderna, che dovrebbero ottenere l’autorizzazione piena, con doppi controlli.

I due vaccini con licenza piena verranno consigliati alle persone dai 12 anni in poi. Per i bambini al di sotto degli 11 anni, la Novavax prevede autorizzazione tradizionale.

I booster sono formulati per contrastare le nuove versioni della variante Omicron del virus del Covid: tutti e tre i prodotti hanno dimostra-

to di essere un buon match contro le varianti più recenti: la XBB.i.5. ed

anche la EG.5.

avv. Maria Antonella Mascaro

28 agosto 2023

Scomparsi i 4 miliardi previsti per la sanità

Alla fine, il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, lo ha fatto capire chiaramente: i 4 miliardi di euro che il ministro della Salute Orazio Schillaci ha chiesto per cercare se non di sollevare, quantomeno di evitare il rischio di sprofondamento della sanità pubblica non saranno previsti nella manovra finanziaria che il governo si appresta a mettere nero su bianco. Nonostante le rassicurazioni di Giorgetti sul fatto che la sanità sia una “priorità” per l’Esecutivo, il pressing del titolare della Salute è stato arginato: Schillaci, se tutto andrà bene, potrà portare a casa poco più della metà di quanto richiesto.

Il governo, infatti, sembra avere ben altre priorità. Martedì scorso lo stesso Giorgetti, in occasione del Meeting di Rimini, ha messo le mani avanti, annunciando che la legge di Bilancio – su cui pesa anche il tema delle nuove regole del Patto di stabilità -, sarà estremamente “complicata”. Il Ministro ha offerto pubblicamente una serie di anticipazioni sui contenuti del provvedimento: “Certamente dovremo intervenire a favore dei redditi medio-bassi” e “usare le risorse a disposizione per promuovere la crescita e premiare chi lavora, siano essi gli imprenditori o i lavoratori”, ha detto, riproponendo anche il tema della natalità, ritenuto fondamentale poiché, con i numeri che ha oggi l’Italia, “non c’è nessuna riforma o misura previdenziale che tiene nel medio e lungo periodo”. Insomma, chiosa il Ministro, il governo è chiamato “a decidere delle priorità: non si potrà fare tutto”. E infatti il tema della Sanità, almeno in questa occasione, non è stato menzionato e per un settore in grande difficoltà sarà sempre più difficile assicurare un’assistenza di qualità, tra liste di attesa, servizi territoriali deboli, ospedali da rimodernare. Intanto, difficilmente si risolverà il problema del personale. In molti reparti e servizi territoriali mancano medici e infermieri. Il lavoro è sempre più duro e lo stesso Schillaci ha più volte detto che bisogna dare compensi migliori ai professionisti. “Siamo stanchi di essere mortificati professionalmente ed economicamente, di garantire assistenza in condizioni precarie e disumane, per il malato e per noi stessi”: sono parole dei medici del Cardarelli di Napoli, che hanno deciso di lavorare con il lutto al braccio. Solo uno dei tanti segnali del disagio che attraversa il mondo sanitario. 

Più soldi vorrebbero dire anche compensi migliori per i professionisti. Stipendi o comunque progressioni di carriera più frequenti ridurrebbero (azzerarle è difficilissimo) le uscite verso l’estero di giovani neo laureati ma anche di figure più esperte, così come gli spostamenti nelle strutture private e pure il fenomeno dei gettonisti. Questi liberi professionisti, che si spostano da una struttura all’altra, tengono ancora in piedi i pronto soccorso in molte Regioni. Nel decreto “Bollette” di fine maggio era stato inserito un articolo per ridurre il fenomeno, ma per ora non se ne vedono gli effetti. Si dava alle Asl un ultimo anno di tempo per arruolare i gettonisti, ma solo in casi di emergenza. E soprattutto si prevedeva la stesura di un tariffario per evitare sfide al rialzo tra le Asl per accaparrarsi i medici. Per ora il tariffario non c’è. 

Ma il governo Meloni non ha intenzione di aumentare i soldi destinati alla spesa sanitaria, che secondo le previsioni dell’esecutivo arriverà addirittura al 6,2%, dato tra i più bassi di sempre. Per chiedere più fondi e addirittura promuovere una legge che porti il rapporto spesa/Pil al 7% (vorrebbe dire 16-17 miliardi in più) si è mossa l’Emilia-Romagna, che potrebbe essere seguita dalla Toscana. Intanto, però, ci vorrebbero almeno quei 4 miliardi. L’assessore alla Salute dell’Emilia Romagna, Raffaele Donini, spiega di aver organizzato una mobilitazione con tutti i sindacati e le società scientifiche dei medici, gli Ordini e i Comuni, anche quelli amministrati dalla Lega. “Il ministro dell’Economia Giorgetti — dice — è apparso timido rispetto alle richieste del suo collega Schillaci, ma una volta fatta la Finanziaria sarà troppo tardi. Bisogna muoversi subito, questa è una battaglia bipartisan”.

3 agosto 2023

Ecoansia

I tremendi e repentini cambiamenti climatici che si manifestano attraverso forti temporali, nubifragi, alluvioni, così come la siccità che facilita gli incendi, non sono solo situazioni critiche dal punto di vista ambientale, ma hanno ripercussioni sulle persone, sulla loro psiche. Questo fenomeno si registra ancor più fortemente nella popolazione giovane.

La crisi climatica sta generando quella che gli psicologi definiscono “ecoansia”, la cui catalogazione proviene nel nostro paese da un gruppo di studiosi della regione marchigiana.

Il fenomeno non è peregrino e non va sottovalutato: le catastrofi climatiche si riflettono sulle persone determinando stati di stress, ansia, tristezza ma anche di paura per il futuro e, di conseguenza, di mancanza di progettazione.

Questi episodi, come l’alluvione in Romagna, gli incendi in Sicilia e in Calabria, i temporali e nubifragi nelle Marche e in Lombardia – per citarne alcuni – irrompono, improvvisamente nella vita quotidiana degli esseri umani, lasciandoli letteralmente annichiliti e, dunque, generando stati di ansia e di tristezza che si tramutano in vera e propria depressione.

Questo tipo di disturbo, ancora poco noto, affligge diverse persone, soprattutto quelle che vivono in zone facilmente soggette a problemi idrogeologici, con variazioni climatiche estreme che oscillano tra siccità e nubifragi, talvolta nel corso della stessa stagione. Anche una semplice avvisaglia meteorologica può provocare uno stato di stress che scatena stati di ansia e di paura. Paura per il pericolo imminente di perdere tutto: casa, beni, affetti ed effetti personali, ma anche paura per il futuro, nel senso di vivere alla giornata, al momento, rinviando decisioni importanti, come ad esempio nei giovani di decidere per il loro futuro: scegliere o no l’università, sportarsi o meno per motivi di lavoro, acquistare o non acquistare casa.

A questo proposito, dal momento che la problematica, il disturbo connesso alle intemperie non è proprio nella sua fase embrionale, ma, anzi, sta acquisendo connotazioni sempre più importanti ed evidenti, anche perché i fenomeni metereologici sono in continuo aumento, i suggerimenti provenienti dagli psicologi sono quelli di chiedere aiuto, di confrontarsi anche con persone vicine: familiari e amici, fino a rivolgersi a persone specializzate, al fine di non sottovalutare questo tipo di disturbo che ha assunto la connotazione ed il nome di ecoansia.

Dunque: confronto, supporto di amici e familiari, attività fisica, meditazione, limitazione di essere esposti a news negative e finanche dispensare il proprio aiuto in attività che si occupano proprio del cambiamento climatico, possono essere dei validi aiuti da porre al fianco dell’aiuto specialistico, che, in ogni caso, deve essere ricercato e mai rifuggito nel momento del bisogno.

avv. Maria Antonella Mascaro

2 agosto 2023

d.m. 70/2015 e del d.m. 77/2022

Oggi si tenuta presso il Ministero della Salute la prima convocazione del tavolo tecnico per lo studio delle criticità emergenti dal d.m. 70/2015 e del d.m. 77/2022.

Il coordinamento è stato affidato al Direttore Generale della Programmazione presso il Ministero della Salute dott. Lorusso. Presenti le associazioni di categoria maggiormente rappresentative del comparto della sanità privata sia ospedaliera, sia territoriale.

ACOP è intervenuta con il Direttore Generale dott. Gianluca Maccauro, che ha presentato spunti di riflessione per una revisione del d.m. 70/2015 alla luce del d.m. 77/2012, che ha riscritto l’organizzazione della sanità territoriale all’interno del SSN.

Sono intervenuti anche il dott. Andrea Piccioli per ISS, Mons. Bebber per ARIS, il dott. Cicchetti per l’Università Cattolica, il dott. Mantoan per AGE.NA.S. Ancora presenti Anisap, Unindustria, Cittadinanza Attiva, Aiop, Federsanità, Fiaso, Areu.

ACOP ha espresso

la necessità di superare la contraddizione tra contingentamento della spesa sanitaria (budget di struttura) e l’indice di occupazione minimo di posti letto che potrebbe non essere raggiunto per il blocco delle attività in concomitanza con il raggiungimento del limite di spesa attribuito;

la necessità di superare il disallineamento tra rete ospedaliera dell’emergenza -che presenta i diversi livelli di operatività- e le strutture private che, pur inserite in tutte le reti tempo-dipendenti, sono classificate ci ne presidi ospedalieri di base. Occorre pertanto una definizione più dettagliata ed organica delle strutture ospedaliere, ancor più di quelle appartenenti alla rete ospedaliera dell’emergenza;

la necessità di superare le criticità in tema di volumi ed esiti: ad esempio nel caso degli interventi chirurgico per frattura di femore, l’indicatore dovrà necessariamente tener conto della differenziazione tra struttura dotata di presidio di pronto soccorso e struttura non dotata di tale presidio;

Infine la soglia minima di efficienza ospedaliera (prevista dall’art. 8-quater comma 3 lettera “b” del D. Lgs. 502/92), quindi della classificazione della struttura, non può essere verificata sull’anacronistico requisito del numero di posti letto, ma deve essere esaminata rispetto al setting assistenziale, al tasso di occupazione del posto letto, alla durata della degenza media e al case mix medio delle prestazioni erogate (come del resto è riconosciuto nello stesso Regolamento ed in tutte le recenti normative nazionale e regionali).

Questo primo appuntamento si è concluso con un aggiornamento al 6 settembre prossimo, data nella quale si analizzerà la sintesi delle istanze che ciascuna associazione datoriale presenterà al Ministero entro il giorno 16 di agosto, per procedere agli approfondimenti del caso.

1 agosto 2023

Anziani fragili e soli: i rimedi ad hoc

Dopo il codice calore che si è aggiunto ai codici bianco, verde, azzurro, arancione e rosso nei pronto soccorso ospedalieri, il potenziamento delle guardie mediche, ambulatori territoriali operative 7 giorni su 7 per 12 ore al giorno, vengono riattivate in alcune regioni le Unità di continuità assistenziali (USCAR), impiegate durante il Covid.

Queste sono le decisioni di alcuni provvedimenti adottati dalle regioni per far fronte alle ondate di calore e mettere in sicurezza soprattutto i più fragili, le persone anziane, come indicato nella circolare del Ministero della Salute diffusa il 17 luglio 2023.

Il personale medico sanitario non si pone ovviamente in contrasto con queste disposizioni, che comunque, al momento si riferiscono a poche regioni, ma fanno rilevare che la situazione non può essere risolta nell’immediato e da provvedimenti di urgenza, ma deve essere frutto di azioni programmate e valide nel lungo periodo. 

Non è facilissimo ripristinare le unità di continuità assistenziali – non a caso la parla continuità fa pensare a periodi lunghi –  in breve tempo, in luogo di creare ambulatori sul territorio.

In Italia ci sono più di quattro milioni di persone non autosufficienti, pertanto l’ottica del governo, pur se territoriale, deve essere quella della programmazione anticipata e non quella dei provvedimenti ad hoc.

Intanto riaprono le Uscar nelle Marche e nel Lazio, appositamente per favorire l’assistenza domiciliare ed evitare accessi impropri nei Pronto Soccorso.

avv. Maria Antonella Mascaro

31 luglio 2023

Il federalismo può distruggere il Sistema Sanitario Nazionale

Il principio della sussidiarietà ha mostrato tutti i suoi limiti.

Tre gli aspetti qualificanti dei cambiamenti avvenuti nel corso degli anni nel SSN: il decentramento delle responsabilità; l’introduzione del concetto di mercato e di competitività tra strutture sanitarie; il passaggio da un’assistenza sanitaria uniforme su tutto il territorio a una limitata solo ai Lea, i Livelli essenziali di assistenza.

Tutto questo ha generato un’autonomia imperfetta. La legge 56/2000 ha introdotto il federalismo fiscale, che in ambito sanitario non ha (ancora) avuto la sua piena attuazione perché le Regioni continuano ad avere numerosi vincoli, come quello sull’assunzione del personale o sui posti letto ospedalieri. Inoltre, al momento le Regioni non possono aumentare l’imposizione fiscale.

Il 22 ottobre 2017, in Lombardia e Veneto si sono tenute due consultazioni sull’autonomia. Ai cittadini venne chiesto se volessero che la propria Regione si impegnasse nel richiedere allo Stato centrale maggiore autonomia, di fatto dando gambe a quanto previsto dalla riforma del Titolo V che prevedeva, tra le altre cose, che le Regioni con i conti in ordine potessero vedersi assegnare maggiori competenze.

Benché previsto dalla Costituzione, il passaggio non è tuttavia automatico.

Dopo un lungo periodo di stop legato prima all’arrivo del Movimento 5 Stelle al Governo e poi alla pandemia, negli ultimi mesi sono ripresi gli incontri per concretizzare l’autonomia regionale. A fine 2022, il ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli ha presentato un disegno di legge sull’autonomia differenziata. Il documento è stato approvato dal governo nel mese di febbraio, ma l’iter legislativo che dovrebbe portarlo a diventare legge appare in salita, anche per la quantità di passaggi da compiere.

Sebbene l’autonomia si stia perfezionando, è chiaro che i tempi non saranno brevi. Si creerebbero 21 sistemi sanitari regionali diversi, con il Mezzogiorno sicuramente indietro.

Proprio per tutelare tutte le aree del Paese, è stato previsto il fondo di perequazione, che tuttavia non appare sufficiente.

Il tema cruciale è il finanziamento al Servizio sanitario nazionale: in Italia quest’anno è stato destinato poco più del 6% del Pil, una delle percentuali più basse all’interno dell’Unione europea. La sanità è un settore altamente tecnologico e l’innovazione nel breve e medio periodo è molto costosa. Difficilmente in futuro riusciremo a finanziare farmaci e servizi destinando una percentuale così bassa del Pil.

La sanità del futuro non potrà prescindere dall’integrazione pubblico-privato, con l’auspicata parità di trattamento nell’economia del quasi mercato introdotta con la riforma della sanità del 1992.

Il quadro attuale non fa loro che premiare le aree del Paese che già stanno meglio, acuendo le disuguaglianze.

In Campania la popolazione sta significativamente peggio rispetto al resto del Paese. Solo dopo aver risolto il nodo delle risorse, si potrà agire sul problema dell’organizzazione.

È stato osservato che per molti tumori, per esempio, la mortalità diminuisce laddove funzionano di più gli screening. La via della prevenzione è sicuramente vincente. Inoltre occorre mettere le persone giuste al posto giusto, quindi maggiore efficienza organizzativa.

27 luglio 2023

Sicurezza e rischi specifici in sanità

La sicurezza sul lavoro è un tema di fondamentale importanza in ogni settore lavorativo, ma diventa ancora più cruciale quando si deve applicare al settore sanitario. Medici e infermieri, infatti, sono esposti a rischi specifici legati alla loro attività quotidiana, rischi che possono portare a gravi conseguenze per la loro salute e per quella dei pazienti. 

Il Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro è disciplinato dal D.lgs n. 81/2008 e prevede l’obbligo di valutare preventivamente i rischi presenti in azienda. In campo sanitario la legge ha avuto come obiettivo quello di fissare regole, procedure e misure di prevenzione da adottare per rendere più sicuri gli ambienti lavorativi, quali essi siano. Lo scopo è quello di evitare o comunque minimizzare il livello di esposizione dei lavoratori a rischi correlati alla mansione svolta per evitare infortuni o incidenti o, contrarre una patologia professionale. Il D.lgs. 81/08 si concentra sulla prevenzione, definendo gli obblighi dei Datori di Lavoro, Dirigenti, Preposti, lavoratori e del Medico competente aziendale.

Di fondamentale importanza la formazione e informazione dei lavoratori per la prevenzione dei rischi sul lavoro. I lavoratori devono frequentare corsi obbligatori per la salute e la sicurezza.

In particolare è di rilievo evidenziare una novità legislativa che comporta modifiche al Testo Unico sulla Sicurezza del lavoro (L. n. 81/2008): l’obbligo di formazione anche per il datore di lavoro, così come previsto dalla legge n. 215/2021.

Secondo il Decreto Legislativo 81/2008, ogni lavoratore deve impiegare correttamente i DPI messi a disposizione dal datore di lavoro, evitando di rimuoverli o modificarli senza autorizzazione. Inoltre, è importante adottare comportamenti adeguati a prevenire la contaminazione da contatto.

I Datori di Lavoro devono destinare ogni DPI ad uso personale.

Altra figura di rilievo è il Medico Competente aziendale, che è un professionista in possesso dei requisiti previsti dalla legge per collaborare alla valutazione dei rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori. Ha la responsabilità della sorveglianza sanitaria, che include la visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori e la valutazione dell’idoneità del lavoratore alla propria mansione. Il medico competente deve riportare i risultati delle sue valutazioni e visitare almeno una volta l’anno i luoghi di lavoro per valutare l’assenza di rischi ambientali. Inoltre, ha il compito di istituire e custodire le cartelle sanitarie dei lavoratori con salvaguardia del segreto professionale.

I rischi specifici per medici e infermieri nell’ambiente sanitario includono il rischio biologico, chimico, fisico. Il principale rischio nelle strutture sanitarie è quello biologico che si concretizza contraendo malattie infettive con epatite B, epatite C, HIV e TBC. L’esposizione a germi patogeni attraverso lesioni o microlesioni durante procedure che generano aerosol rappresenta un rischio biologico significativo. Le punture di aghi e le ferite da taglio sono i rischi maggiori presenti in ambito sanitario.  Nel corso di un prelievo di sangue il sanitario si può infettare e molti incidenti accadono quando si smaltiscono aghi e oggetti taglienti contaminati.  L’esposizione a sostanze chimiche come anestetici per inalazione, chemioterapici, disinfettanti e composti chimici usati nei laboratori di analisi patologica e ricerca costituiscono il rischio chimico. Invece, il rumore, le radiazioni ionizzanti, i campi elettromagnetici e l’elettricità rappresentano il rischio fisico. Lo stress correlato al lavoro: il rischio psico-sociale. Il personale turnista si stanca prima degli altri. Il personale sanitario è esposto frequentemente ad episodi di aggressione fisica e verbale e per questo sono state varate norme che inaspriscono le pene.

La somministrazione di farmaci comporta sempre un certo rischio per il paziente, ma spesso questo aspetto viene trascurato per quanto riguarda gli effetti che possono avere sull’operatore sanitario addetto alla preparazione. L’esposizione professionale ai farmaci può provocare effetti allergici o iatrogeni, come dermatiti, asma bronchiale, rinite e congiuntivite.

Dunque, è fondamentale una corretta e accurata informazione sui rischi specifici del settore per prevenire incidenti sul lavoro. Inoltre, le normative e le procedure di sicurezza dovrebbero essere costantemente aggiornate e rispettate per garantire un ambiente di lavoro sicuro.

Informazione, formazione, individuazione dei presidi di controllo e aggiornamento sono alla base della prevenzione e della evitabilità dei rischi.

A questo proposito le varie strutture devono dotarsi obbligatoriamente di presidi e di figure quali quelle indicate nel testo unico della sicurezza sul lavoro, e possibilmente integrarle con quelle previste dal D.lgs 231/2001 che concerne la responsabilità amministrativa degli enti, per mettere in atto tutti i mezzi che evitino i rischi da incidente e da commissione di reati.

avv. Maria Antonella Mascaro

26 luglio 2023

Certificazione delle strutture sanitarie per l’eccellenza, l’Italia si allinea all’Europa

Arriva anche in Italia il modello EFQM per la certificazione d’eccellenza delle strutture sanitarie pubbliche, private o private accreditate che mirino all’eccellenza e vogliano che questa sia riconosciuta. A favorirne l’applicazione nel nostro Paese è l’azienda italiana Nomos, che ha realizzato una pubblicazione finalizzata a facilitarne l’interpretazione dei criteri e soprattutto a definirne l’adattabilità al SSN italiano, che presenta le sue specificità. L’Italia così si mette in corsa per eguagliare altri Paesi europei che già adottino questo modello; in termini pratici, visti gli obiettivi di sostenibilità ambientale, sociale ed economica e il coinvolgimento di tutti gli attori coinvolti, si potrà realizzare un miglioramento delle performance: le strutture sanitarie impegnate in questo percorso si doteranno di tecnologie all’avanguardia, sviluppo della ricerca, assistenza ai pazienti, supporto a famiglie e caregiver, solo per citare alcuni esempi.

Il Modello EFQM si sviluppa attraverso una sorta di “roadmap di domande e idee” su come si possano realizzare progressi, affrontare il cambiamento, rispondere ai bisogni della società. In ambito sanitario, si riferisce a una prospettiva olistica, all’ampia visione dell’ecosistema e degli stakeholder, all’attenzione ai processi operativi e al forte orientamento a risultati eccellenti; non è prescrittivo, ma orientato alle opportunità di miglioramento.

Per avviare questo percorso, è necessario “interpretare” i criteri, i sotto-criteri e i punti di attenzione del Modello EFQM, considerando i processi delle strutture sanitarie e utilizzando un linguaggio adeguato alle caratteristiche del settore. A farsi portatori del modello sono i vertici di ogni azienda sanitaria, che può applicare queste buone pratiche al proprio management sanitario e amministrativo.

Per un’applicazione efficace e un’interpretazione corretta dei criteri del Modello EFQM in Sanità, è appena stato pubblicato il volume ‘Il Modello EFQM per l’eccellenza in sanità’: un insieme di testi esplicativi che facilitano l’interpretazione rispetto al settore sanitario con particolare riferimento a quello italiano. Il Modello assicura il principio di terzietà mediante certificazione da Ente terzo indipendente; non è ispettivo, ma collaborativo e tra pari; propone una diagnosi (di adeguatezza, di livello, di performance, ecc.) che si estrinseca in un rapporto con punti di forza e aree di miglioramento, arricchito di considerazioni critiche e di proposte. Lo schema di certificazione prevede un percorso dinamico e flessibile, con un livello di entrata e più livelli di eccellenza, il cui raggiungimento è legato a parametri di sostenibilità che coinvolgono tutti gli attori della filiera: pazienti, familiari, caregiver, personale, partner, fornitori, società, organismi di governo. Una visione collettiva confermata dal fatto che i test della percezione coinvolgono questi stessi interlocutori.

L’azienda romana Nomos che ha curato la pubblicazione è partner tecnico-commerciale privilegiato, riconosciuto dal Consorzio SCIRE per il settore Sanità sull’intero territorio nazionale. Nomos è impegnata da decenni a diffondere la qualità eccellente in sanità e ha rilevato nell’incontro con il Modello EFQM un’ulteriore opportunità per la creazione di valore sostenibile con le organizzazioni sanitarie, nei percorsi di miglioramento e cambiamento verso l’eccellenza.

25 luglio 2023

Estate e crisi dei pronto soccorso

Le ferie del personale sanitario che lavora nei Pronto Soccorso e nei reparti di Emergenza-Urgenza stanno acuendo la situazione già drammatica che vivono questi reparti della sanità ospedaliera, provati dall’atavica carenza di personale e dal burnout. E a farne le spese sono i cittadini, ma anche gli stessi operatori, come sottolineano dalla Società italiana di Medicina d’Emergenza Urgenza.

“Nei Pronto Soccorso italiani si continua a operare come sempre. Eroghiamo le stesse prestazioni del periodo non estivo. L’unica vera differenza è l’organico, assai ridotto perché anche noi cerchiamo di prendere le due settimane consecutive di ferie estive”, previste dal contratto di lavoro, “che sono una piccola boccata d’ossigeno per riprenderci dallo stress e dai turni massacranti che abbiamo sostenuto nei mesi precedenti”, così il presidente della Società italiana di Medicina d’Emergenza Urgenza (Simeu) Fabio de Iaco.

Che però evidenzia come il prezzo del riposo di soli 15 giorni è molto alto. “Per arrivare alle tanto agognate ferie estive i medici di Pronto Soccorso hanno lavorato indefessamente per mesi, su turni molto impegnativi e spesso facendo anche tanti straordinari per coprire almeno in parte la carenza di personale che da anni caratterizza questo tipo di reparto ospedaliero. E che oggi è divenuta, se possibile, ancora più pesante a causa del burnout che porta gli specialisti alle dimissioni e talvolta al lavoro privato nelle cooperative”.

I cosiddetti medici gettonisti, a cui la sanità pubblica è costretta sempre più spesso a rivolgersi per tappare le falle. Ma che, a detta dei diretti interessati, non è efficace per il raggiungimento dello scopo: in effetti i gettonisti assoldati dai pronto soccorso pubblici non sono medici in più che entrano di turno, ma sono sostanzialmente quelli che se ne sono andati. Tirata la riga dei più e dei meno il risultato delle teste che lavorano nelle Emergenze Urgenze è sempre lo stesso.

Diversamente da quanto accade in alcuni reparti di chirurgia e internistica dove d’estate si riduce molto e talvolta si sospende l’attività perché non ci sono medici a sufficienza, nei pronto soccorso le prestazioni erogate, che per definizione rispondono alle situazioni emergenziali, non si possono tagliare. Il che implica che chi resta mentre altri colleghi sono in ferie deve sobbarcarsi il relativo carico di lavoro. Che va così ad aumentare la stanchezza e lo stress, già a livelli oltre la soglia di guardia.

Si potrebbe pensare però che d’estate i pronto soccorso registrino un minor afflusso di ‘clienti’, giacché i cittadini vanno anch’essi in vacanza. E invece no: nelle città gli accessi al pronto soccorso restano invariati perché a quelli dei cittadini partiti per la villeggiatura si sostituiscono quelli di coloro che restano. E che spesso sono persone sole, anziane, pazienti cronici privi dell’usale assistenza dei caregiver familiari. E che non vedono dove altro andare per ricevere assistenza sanitaria se non da noi. Talvolta anche rappresentando accessi inappropriati, identificabili più come richieste di assistenza sociale che vere e proprie domande di salute insoddisfatta di tipo urgente.

Diversa la situazione nelle località di vacanza. Qui infatti il numero di accessi aumenta moltissimo rispetto al resto dell’anno soprattutto per la piccola traumatologia. E va comunque gestita. Mentre in alcune zone come sulla costa emiliano-romagnola gli ospedali riescono ad aumentare l’organico almeno un po’ delocalizzandolo da altre strutture meno sotto pressione, in altre regioni come la Liguria ciò non è possibile. Conseguenza: altro lavoro e altro stress per i pochi medici che restano in corsia. Di conseguenza allungamento delle liste d’attesa al triage.

Nuove leve che non possono essere prese dalle cooperative, perché non vanno a cambiare il conto complessivo delle teste. Ma che potrebbero invece derivare da serbatoi diversi come le scuole di specialità. Da pochi mesi è possibile che i medici entrino in corsia prima del termine della specializzazione come liberi professionisti. È un primo piccolo sblocco della situazione, che però non è ancora risolutiva perché i numeri da coprire sono molto elevati. Tuttavia questa nuova opportunità non è ancora andata a regime.

24 luglio 2023

Regione Calabria: proroga per infermieri e operatori socio sanitari

A proposito di carenze e di problemi relativi a nuove assunzioni o stabilizzazioni nel reparto sanitario, la Giunta Regionale della Calabria ha approvato il disegno di legge 204/12 che concerne le misure di proroga delle graduatorie in scadenza nel 2023 relative alle professioni di infermiere e operatore socio sanitario del servizio sanitario regionale.

In tal modo il reclutamento di personale sanitario sarà più veloce e si adeguerà ai tempi attuali nei quali la carenza di personale sanitario è diventata una piaga del paese.

La proroga riguarda la graduatoria degli operatori socio sanitari pubblicata nel 2021 e in scadenza nel mese di luglio 2023, e quella degli Infermieri in scadenza a dicembre 2023.

In virtù della proroga si dà la possibilità alle aziende sanitarie regionali di attingere nell’immediato e direttamente dalle graduatorie esistenti senza dover attendere le procedure e i tempi lunghi per bandire nuovi concorsi. Dunque un notevole risparmio di tempo al fine reperire immediatamente personale sanitario nelle due categorie espresse con ricadute positive in termini di prestazioni delle strutture ospedaliere e di mantenimento dei livelli occupazionali.

In questo modo la Calabria tenta di sopperire all’immediato reperimento del personale sanitario che certamente va in regime di proroga e non conduce ad una stabilizzazione immediata, ma risolve parzialmente l’urgenza ormai dilagante.

In pratica la Calabria si pone all’avanguardia per questi provvedimenti. Il Presidente della Regione sta cercando di intervenire anche sull’immissione e dunque la proroga dei medici cubani, al fine del potenziamento degli organici.

Certamente, in un futuro non troppo lontano, si seguirà la stessa linea di prorogatio anche per la categoria dei medici venuti dall’estero che, dopo un corso di formazione, sono stati assunti a tempo determinato.

Dopo iniziali critiche, il modello calabrese è stato esportato in varie regioni del paese e presto diventerà provvedimento del governo dal momento che medici e personale sanitario estero si integrerà con quello italiano. Ci sono accordi dell’Italia già con diversi paesi europei come Albania, Grecia, Cipro e extraeuropei, fra cui alcuni stati dell’Africa e ovviamente dell’America centrale e meridionale.

Dunque un provvedimento importante che afferma sempre più fortemente il ruolo del Presidente della regione quale commissario con delega alla sanità sulla scia di un percorso di riorganizzazione di questa difficile materia.

avv. Maria Antonella Mascaro

20 luglio 2023

L’unione farà la forza?

Sembra, ormai, una cantilena: sanità pubblica e privata accreditata sono la stessa cosa: due facce della stessa medaglia, due metà di una mela, un tutt’uno.

L’ulteriore intervento del Ministro della Salute all’assemblea di Acop, ha nuovamente confermato la sua vicinanza alla sanità privata accreditata e tutte le agenzie di stampa e le più importanti testate giornalistiche hanno ribadito questo concetto nel corso della passata settimana.

Al di là di ogni irrigidimento e al di fuori di ogni polemica è stato più volte sostenuto in questi mesi che entrambe le componenti svolgano un ruolo cruciale nel sistema sanitario complessivo, meritando perciò attenzione e sostegno.

La sanità pubblica è il fiore all’occhiello della società moderna. Nel sistema sanitario nazionale italiano, non ci sono altri scopi che quelli di promuovere e proteggere la salute della popolazione attraverso l’educazione, la prevenzione delle malattie e comunque di curare i cittadini. Dunque la promozione di un diritto universale, costituzionale che contribuisce all’equità della salute.

Dall’altra parte, la sanità privata svolge un ruolo importante nell’integrazione dei servizi sanitari offerti dal settore pubblico. Le strutture sanitarie private accreditate offrono vantaggi notevoli. Hanno dato enormi contributi durante la pandemia e contribuiscono, oggi, alla diminuzione delle liste di attesa e alla garanzia dei livelli essenziali assistenziali. Inoltre, garantiscono maggiore flessibilità nelle scelte del medico, tempi di attesa ridotti e servizi di alta qualità. Peraltro, l’integrazione del settore privato nel sistema sanitario oltre ad alleviare la pressione sul settore pubblico, crea concorrenza tra fornitori privati che, a sua volta, genera miglioramento della qualità delle prestazioni e promuove innovazione e miglioramento.

Dunque, appare assodato che sussista un binomio fra pubblico e privato, apparentemente indissolubile, ed è altrettanto chiaro che la sanità pubblica non possa più fare a meno di quella privata, dal momento che il sistema da solo è in codice rosso, ma occorrono provvedimenti che consentano di rivolgersi all’una o all’altra indifferentemente, garantendo la salute del cittadino e la sua libera scelta senza aggravarlo da costi in spese sanitarie.

È quindi di fondamentale importanza garantire una regolamentazione adeguata per mantenere l’equità per l’accesso alle cure mediche e assicurare che tutti possano beneficiare di servizi sanitari di alta qualità.

E allora perché non iniziare dal nome? Per esempio perché non chiamare le cliniche private o le case di cura: ospedali? I pazienti si sentirebbero più rassicurati. Potrebbe essere un’idea per cominciare, un segnale che la sanità privata accreditata è uguale o molto vicina a quella pubblica. In fin dei conti alcune realtà già applicano questa nomenclatura, magari occorre adottarla con un provvedimento nazionale.

avv. Maria Antonella Mascaro

19 luglio 2023

Codice Calore nei Pronti soccorso e negli ambulatori

Il Ministero della Salute ha istituito il codice calore in Pronto Soccorso per chi presenta malesseri e malori legati al caldo.

Il codice calore è un percorso assistenziale preferenziale e differenziato, destinato a tutti coloro che manifestano segni e sintomi causati da malesseri e malori legati alle elevate temperature, di gravità ed intensità variabili, che stanno colpendo molte persone in queste settimane di caldo intenso.

Poiché secondo le previsioni metereologiche tali condizioni climatiche potrebbero durare ancora a lungo, si è reso urgente inserire, all’interno del piano caldo per l’estate 2023, ulteriori provvedimenti invitando le Regioni a valutare la predisposizione di azioni organizzative così da rafforzare la risposta ordinaria alla richiesta di assistenza sanitaria, soprattutto da parte delle persone più vulnerabili.

Oltre al nuovo codice, il Ministero esorta ad aprire ambulatori territoriali dedicati aperti 7 giorni su 7 per 12 ore al giorno, a potenziare il servizio della Guardia Medica e a riattivare le USCAR per favorire l’assistenza domiciliare ed evitare l’accesso improprio in Pronto soccorso.

Le USCAR sono le Unità Speciali di Continuità Assistenziale Regionali, nate inizialmente come USCA per fronteggiare la pandemia di Covid-19 e poi estese anche a piccole comunità residenziali e alle carceri per prevenire i focolai infettivi di Sars-CoV2. Istituite nel 2020 con il decreto legge n.14, queste unità speciali, fatte di uomini e donne della sanità e mai del tutto dismesse, possono ora essere riattivate per far fronte all’insidia del grande caldo.

Il codice calore si affianca agli altri cinque – di colore e numerici – in vigore dal 9 gennaio 2023 secondo le nuove linee di indirizzo nazionale per il triage intraospedaliero, emanate dalla Direzione Generale della programmazione sanitaria del Ministero della Salute.

Si tratta di 5 codici di priorità che permettono di valutare il livello di criticità del problema di salute, la complessità clinico organizzativa e l’impegno assistenziale. Assegnati al momento del Triage, tali codici consentono di attivare un adeguato percorso di presa in carico del paziente, ottimizzando la cura sia nei modi che nei tempi.

Ogni codice già noto ha la sua linea preferenziale e differenziata.

Codice 1 – Rosso, è la massima criticità nell’urgenza ed emergenza medica. Identifica tutte quelle condizioni pericolose per la vita in cui una o più funzioni vitali sono interrotte o gravemente compromesse. Niente passa davanti ad un codice rosso.

Codice 2 – Arancione, indica un paziente acuto in cui le funzioni vitali sono a rischio.

Codice 3 – Azzurro, viene assegnato a tutte le urgenze differibili ossia a tutte quelle condizioni di sofferenza ma stabili che richiedono approfondimenti diagnostici e visite specialistiche complesse che possono tuttavia essere eseguite in un secondo momento dalla presa in carico.

Codice 4 – Verde, urgenza minore, in cui le condizioni sono stabili senza rischio evolutivo.

Codice 5 – Bianco, non dovrebbe nemmeno accedere in un Pronto soccorso, poiché non presenta nessun carattere di urgenza e dovrebbe pertanto essere valutato in un contesto diverso dall’area critica.

18 luglio 2023

Nuovo documento per la cura della persona e del lavoro nella sanità

Parte dall’accordo delle più importanti sigle sindacali la redazione di un documento per affrontare le emergenze e le altre necessità della sanità.

Riassuntivamente le proposte riguardano:

  1. Assicurare sostegno economico alla crescita del FSN per rafforzare il Servizio sanitario nazionale;
  2.  Intervenire sulle carenze degli organici per garantire servizi di qualità alle persone;
  3.  Rinnovare i contratti nazionali di lavoro sia per il settore della sanità pubblica che per quello della sanità privata;
  4.  Risorse PNRR e medicina territoriale;
  5.  Adeguamento delle retribuzioni alla media di altri Paesi europei;
  6.  Ripristino del tavolo tecnico Agenas;
  7.  Ristabilire un corretto rapporto tra i posti letto pubblici e privati;
  8.  Depenalizzazione dell’atto medico;
  9.  Sicurezza nei posti di lavoro;
  10. Rafforzamento della formazione del personale sanitario;
  11.  Revisione dei criteri di cui al DM 70/2015;
  12.  Incremento delle risorse per l’assistenza intermedia post acuzie;
  13.  Integrazione sociosanitaria e riforma della non autosufficienza.

Sostanzialmente una riforma che tocca tutti i punti trattati in questi anni post pandemia, periodo nel quale il paese ha retto la pressione e ha fatto sforzi sovraumani, presentando attualmente un conto troppo alto.

Dunque, innanzitutto, tentare di dare dignità al lavoro e dunque alle persone del sistema sanitario, con rinnovi di contratti e nuove assunzioni, investimenti nella formazione, sicurezza del posto di lavoro, potenziamento della medicina territoriale e livelli essenziali di assistenza garantiti, anzi potenziati.

Solo così si può ridare dignità ad un paese sul suo territorio, ma anche secondo quanto richiesto a livello internazionale dalla Unione Europea.

avv. Maria Antonella Mascaro

17 luglio 2023

Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è sottofinanziato, soprattutto in confronto al resto d’Europa

L’analisi parte dal PNRR, nasce come strumento di breve-medio periodo e di certo rappresenta una grande opportunità perché stanzia delle risorse che rispetto al finanziamento ordinario del SSN sono aggiuntive. È questo il nodo centrale: il PNRR stanzia delle risorse che si aggiungono e sono da spendere nel breve-medio periodo, con scadenze controllate e monitorate dalla Commissione Europea necessarie affinché questo finanziamento possa effettivamente avvenire, entro il 2026.

Il SSN è sottofinanziato.

I problemi ci sono ed è inutile cercare di nasconderli. Uno è legato alle risorse e al regime del finanziamento ordinario, che, al di là dell’ammontare più o meno ingente, consiste di risorse pubbliche che per definizione sono vincolate. Con questo dovremo fare i conti sempre e per fortuna, perché il nostro SSN è costruito per essere pubblico, universalistico, equo e accessibile a tutti i cittadini. Un altro grande problema è legato anch’esso alle risorse, ma in misura maggiore alla governance e al personale: la carenza di medici di medicina generale, specialisti e infermieri,  testimoniata dai dati del ministero della Salute, che fa venire anche delle preoccupazioni per il futuro per il turnover, visto che la differenza fra professionisti del SSN in uscita e in entrata nei prossimi anni è un rapporto negativo.

Per quanto riguarda la messa a terra proprio della Missione 6 del PNRR – perché al di là delle strutture sono le persone, le competenze e le funzioni che svolgono a poterne garantire l’operatività e il raggiungimento degli obiettivi – questi sono degli scogli e non possiamo far finta che non esistano, così come un altro problema è l’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA), perché una riforma più di lungo periodo del SSN non può prescindere dalla capacità di aggiornare in maniera flessibile e tempestiva le prestazioni e servizi che vengono erogati ai cittadini; altrimenti si va verso uno scollamento fra la domanda di cure delle persone e quello che il SSN è capace di erogare, indipendentemente dal fatto che costruiremo o meno delle strutture diverse o daremo a esse un’organizzazione diversa. Però c’è da dire che siamo abbiamo appena cominciato.

Il PNRR non va visto come qualcosa che dall’oggi al domani stravolgerà il sistema, bensì come un processo da accompagnare passo passo e che deve essere partecipato. Nel PNRR, così come nel DM 77, che poi è la vera riforma della parte quantomeno di assistenza territoriale, ci sono delle  linee guida che, giuste o sbagliate che possano sembrare, di fatto indicano degli standard; ma questo non significa che il relativo processo di attuazione, che deve avvenire piano piano nel tempo, non possa essere partecipato. Tutti coloro che sono coinvolti in questo processo devono continuare a contribuire e a collaborare l’uno con l’altro per trovare soluzioni fino a dove possono essere individuate.

Questo vale anche per tutti gli spazi di collaborazione fra pubblico e privato, che poi oggi non è più solo una collaborazione ma una partnership cross settoriale. Al processo di decisione e anche di investimento allora devono partecipare il pubblico, il privato, il terzo settore, i cittadini, la politica, gli amministratori locali: in un contesto di risorse pubbliche comunque limitate, la compartecipazione del livello sia decisionale che operativa deve essere tra tutti gli stakeholder del settore.

Ci si aspetta un grande sforzo da parte delle Regioni, che sono i primi soggetti attuatori del PNRR. Questo sforzo deve essere di avere una visione sulla pianificazione sanitaria e sulla programmazione che va oltre la mera attuazione della Missione 6 e deve essere accompagnato da un intervento a livello centrale che renda possibile innanzitutto l’aggiornamento dei LEA, perché senza di esso non avremo prestazioni e servizi adeguati alla domanda di salute.

L’altro sforzo enorme che serve a livello centrale è quello rivolto a rendere veramente possibile la raccolta e l’utilizzo dei dati sanitari per la stratificazione della popolazione e il monitoraggio dei bisogni di salute per guidare la pianificazione sanitaria. Oggi siamo pieni di dati e la possibilità di raccoglierli c’è. C’è una tema di tutela di privacy molto importante perché i dati sanitari sono particolarmente sensibili, però si può gestire nei confini della normativa europea e nazionale. Anche questa, insieme ai LEA, è una conditio sine qua non per poter rispondere in maniera adeguata alle esigenze della popolazione e sapere chi bisogna andare a prendere in carico, dove e perché.

13 luglio 2023

Chiarimenti per l’Iva agevolate delle strutture sanitarie

Dopo il Decreto Semplificazioni, l’Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti sulle novità in materia di IVA in sanità con la circolare n. 20/E del 7 luglio ultimo scorso, dopo circa un anno dal decreto.

Viene confermata l’esenzione IVA per le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione del paziente, rese nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie, in linea con l’orientamento della Corte di Giustizia UE.

L’agevolazione viene estesa anche alle prestazioni nell’ambito di ricoveri o di cura presso strutture private, qualora a fornirle sia un terzo professionista.

Nel rapporto trilaterale tra paziente, struttura privata e professionista, l’esenzione IVA si applicherà alla prestazione di ricovero. Ciò vuol dire che, qualora la prestazione sanitaria sia fornita al paziente nell’ambito di un ricovero in una delle strutture, appositamente individuate, avvalendosi di un professionista, in un rapporto trilaterale, che veda detta prestazione fatturata dal professionista alla struttura e da quest’ultima al paziente, l’esenzione si applicherà per entrambi i rapporti, nel limite normativamente previsto.

Le novità in materia di esenzione IVA si applicano, dunque, anche alle strutture sanitarie diverse dagli enti ospedalieri, cliniche e case di cura convenzionate, società di mutuo soccorso con personalità giuridica ed enti del terzo settore di natura non commerciale.

Rientrano nell’ambito di applicazione della norma anche le cliniche e case di cura convenzionate che operino anche fuori convenzione, per le prestazioni rese in regime privato.

Le novità introdotte dal Decreto Semplicazioni evitano che, in caso di ricovero presso strutture private, il costo previsto per il paziente sia gravato da un’imposta che non sarebbe invece dovuta in caso di prestazioni presso strutture pubbliche, convenzionate o direttamente presso medici.

Questo l’obiettivo della norma indicato dall’Agenzia delle Entrate, la quale spiega quindi che qualora un professionista esegua una prestazione sanitaria nei confronti di un soggetto ricoverato, ad esempio, presso una casa di cura non convenzionata, e tale prestazione venga dallo stesso fatturata alla struttura medesima in esenzione da IVA, la casa di cura sia tenuta a rendere esente al soggetto ricoverato la prestazione di ricovero e cura alla concorrenza del corrispettivo dovuto al professionista.

Questo rapporto trilaterale agevola senza dubbio il paziente, ma l’esenzione è subordinata alla condizione che la struttura acquisti la prestazione di cui ha bisogno il paziente da un professionista terzo, dunque l’agevolazione non opera per le prestazioni effettuate da professionisti dipendenti dalla struttura.

L’obiettivo è quello di far sì che il malato non sia onerato di costi che non pagherebbe nel ricovero presso una struttura pubblica.

Meno imposte sulla sanità privata anche per le prestazioni diverse da quelle totalmente esenti, per le quali la normativa prevede l’applicazione dell’IVA al 10%.

Inoltre, l’estensione dell’IVA agevolata è rivolta anche nei confronti degli

accompagnatori dei soggetti ricoverati.

avv. Maria Antonella Mascaro

12 luglio 2023

Nuove farmacie dei servizi

Con i progressi della telemedicina e il know-how dei distributori, le farmacie ampliano l’offerta di prestazioni mediche, dalla diagnostica per immagini al consulto in tempo reale.

Solo quattro persone su dieci, tra quelle che si recano in farmacia, vanno esclusivamente per comprare i medicinali prescritti. Solo quattro anni fa, nel 2019, erano la metà degli utenti, mentre nel 2006 erano il 69%. Il superamento della concezione della farmacia come semplice distributore di farmaci è stato uno dei temi più importanti trattati durante la terza edizione di Retail4Pharma, una serie di incontri organizzati da iKN Italy e dal Retail Institute per approfondire l’evoluzione del rapporto tra cliente e farmacista. 

Si parla allora dell’utilità già raggiunta dalla farmacia per tanti servizi, come la farmaco sorveglianza, o la somministrazione dei vaccini. Ma, secondo Stefania Fregosi, Head of Healthcare di Ipsos Italia, l’elenco di nuove prestazioni potrebbe presto arricchirsi. Sempre più farmacisti chiedono di poter implementare la loro offerta con nuove attività, come la fisioterapia o i consulti psicologici.

Questo ruolo della farmacia era, in realtà, già stato definito da una legge del 2009, per favorire l’integrazione tra le prestazioni mediche e quelle farmaceutiche. Ma è stato con la pandemia di Covid che si è diffuso davvero su larga scala il modello di “Farmacia dei servizi”. Oggi nel nostro paese settemila farmacie offrono servizi di telemedicina, e per il territorio circostante sono ormai simili a dei veri presidi medici, capaci di alleggerire il carico del sistema sanitario nazionale e di ridurre i suoi tempi di attesa.

Il ricorso agli strumenti digitali sta cambiando profondamente anche le relazioni tra clienti e brand. Il report “Keys Pharma Trends Italy 2023” pubblicato da Captify, una società specializzata in market research, indica tra gli autori di questa trasformazione, insieme alla digitalizzazione, anche la personalizzazione dell’offerta, l’utilizzo dei dati e la nuova importanza della prevenzione. In rete le ricerche sui temi sanitari riguardano problematiche specifiche e personali, ed è spesso possibile avere una risposta su misura, come succede con le diete personalizzate. I nuovi dispositivi indossabili, come gli smartwatch, permettono, inoltre, l’osservazione costante del proprio stato di salute, fornendo una quantità enorme di dati, che facilitano, in caso di necessità, un intervento tempestivo. Ma l’immediata disponibilità di tutti i parametri vitali può aiutare anche ad evitare una richiesta di cure o di trattamenti, se i consumatori sono abituati a controllare autonomamente il loro stato di salute.

Oggi, secondo alcuni osservatori, la stessa importanza del farmacista è messa in discussione dall’arrivo dell’intelligenza artificiale. Nemmeno l’alto livello di specializzazione della professione sembra davvero indispensabile, se si considera che chatGPT, testata in campo medico, è riuscita superare con ottimi risultati l’esame di ammissione a Medicina e Odontoiatria. Ma, secondo Francesco Zaccariello, il fondatore di eFarma, non è davvero possibile sostituire la figura del farmacista. L’AI può essere di grande aiuto in diverse fasi dell’attività, come la gestione degli ordini, o l’organizzazione dei turni. Nella relazione con il cliente, tuttavia, rimane centrale l’aspetto umano.

Il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato (farmacista) ha sostenuto che per abbattere le liste d’attesa in Sicilia bisognerebbe garantire le analisi di base, in accreditamento con il Servizio sanitario nazionale, anche nelle farmacie, presentando l’impegnativa del medico di medicina generale.

Un “no” convinto e totale alle analisi cliniche nelle farmacie è stato espresso dal presidente Acap Salute Sicilia, Salvatore Pizzuto, il quale ha dichiarato: “Noi laboratori di analisi da anni abbiamo abbattuto le liste di attesa e siamo presenti in tutto il territorio regionale siciliano, soprattutto nelle zone disagiate. I laboratori analisi hanno tutti i requisiti e hanno ottenuto l’accreditamento e la contrattualizzazione. Ritengo quindi fuori luogo questa ipotesi di fare gli esami nelle farmacie”.

8 luglio 2023

Impiego di infermieri esteri: può diventare una realtà

Il Ministro della Salute ha incontrato alcune importanti associazioni di categoria con l’obiettivo di reperire all’estero infermieri da destinare alle strutture socio sanitarie.

Il futuro dell’assistenza ai più fragili passa per la disponibilità di personale motivato e formato: al riguardo alcune delle associazioni di categoria più in vista dell’ospedalità privata, quali ARIS e UNEBA hanno evidenziato la necessità di semplificare l’iter di accesso.

Si ripercorre, in tal senso, un modello inizialmente criticato, poi seguito da diversi territori locali, come quello che alcuni Presidenti di Regione, in primis il Presidente della Regione Calabria, hanno adottato, assumendo i medici provenienti da paesi esteri.

Il progetto presentato al Ministro Schillaci mira ad agevolare l’inserimento di infermieri professionali laureati, esteri, nelle strutture sanitarie e sociosanitarie. Certamente il personale da assumere andrà adeguatamente formato, secondo la legislazione italiana, ma, come si vuole ribadire, il modello è già stato testato e, per quanto si possa trattare di soluzioni provvisorie, certamente con la situazione sanitaria attuale dove il primo problema è rappresentato dalla mancanza di personale, questo vuole rappresentare un primo aiuto al funzionamento del sistema nazionale.

E’ stato sottolineato che è necessario finalizzare l’assistenza sanitaria, definendo i requisiti strutturali e gestionali a livello nazionale per le nuove strutture residenziali, stabilendo percorsi per la transizione delle strutture esistenti.

 Vi è la necessità di attivare il processo per la sottoscrizione dei contratti sullo stile di quelli collettivi nazionali del lavoro, ma è necessario un accordo fra stato, associazioni e sindacati.

Puntare ai nuovi contratti è fondamentale onde evitare che il personale lasci le strutture per andare a lavorare altrove, nonché per favorire un clima aziendale migliore, prendendo in carico realmente il personale sanitario infermieristico.

L’esigenza, dunque, di stipulare un nuovo contratto socio sanitario è molto sentita, anche se all’orizzonte ci sono alcuni importanti problemi da risolvere, come, ad esempio, l’assoluta garanzia di copertura dei maggiori oneri, che esiste per le strutture pubbliche, mentre per le strutture private non ancora e, comunque, non totalmente.

Si rende assolutamente necessario che venga introdotto un riconoscimento anche a favore delle strutture sociosanitarie private, in modo tale che la copertura parziale dei maggiori oneri diventi un finanziamento strutturale e non solo episodico.

A tal proposito deve farsi riferimento ai decreti delegati della Legge Anziani e alla legge di Bilancio 2024 per l’avvio di finanziamenti concreti verso il settore in considerazione.

avv. Maria Antonella Mascaro

7 luglio 2023

Campania la più efficiente e virtuosa, nonostante manchino 320 milioni di euro.

Il direttore generale Age.Na.s, Domenico Mantoan, intervenuto al Laboratorio Sanità 20/30 a Città della Scienza, ha sottolineato quanto la regione CAMPANIA abbia messo in campo “la maggiore quantità di investimenti per tecnologia e innovazione di tutto il Paese mettendosi così in pari con le altre regioni e potendo così giocare un ruolo determinante nelle politiche sanitarie in Italia”. A tirare la volata sul fronte dei successi ospedalieri è l’Università Federico II e l’Ospedale del mare, che è il primo ospedale d’Italia per tempi di intervento nell’area cardio vascolare. 

“Tutto questo – ha continuato Mantoan – accade in una fase importante per il Paese che dopo il periodo di crescita degli investimenti in sanità dovuto all’emergenza covid, vede una continuità di fase espansiva con una crescita prevista di oltre 2 miliardi l’anno per il prossimo triennio (fonte legge bilancio Nel periodo 2018-2021 il fondo nazionale sanità è cresciuto da 111 miliardi a 123 miliardi, ma sono rimaste le dise nella ripartizione anche della crescita, infatti il fondo nazionale è cresciuto del + 10% mentre il riparto ha portato in Campania 881 milioni in più cioè solo l’8%, il che significa che mancano all’appello come importo di crescita 220 milioni solo per la crescita e 331 milioni per il dislivello dovuto ai criteri. Nel periodo 2018/2021 in Italia si osserva un aumento del valore pro capite del finanziamento ordinario. La Regione CAMPANIA si attesta sempre su valori sotto la media, nonostante gli incrementi di valori al pari di tutte le regioni. Ancora nello stesso arco temporale si è visto un aumento del finanziamento ordinario pro-capite 240,00 euro mentre per la Campania è stato di 221,00 euro”. 

Nelle tabelle presentate dal direttore Age.Na.S Mantoan si dimostra che se tra i criteri di riparto venisse utilizzato il criterio “popolazione secca” (UNO vale UNO) – come accade nella maggior parte dei paesi europei – anziché quello in uso in Italia cioè dell’85% popolazione pesata e del 15% popolazione secca, la Campania salirebbe nel contributo del fondo sanitario indistinto da 11,046 miliardi a 11,367 miliardi, con un incremento fisso annuale di 321 milioni di euro registrando così allo stato un minor finanziamento per ogni cittadino campano di 57,00 euro. La classifica delle diseguaglianze per regioni vede – con questi vecchi criteri – Liguria +76 euro, Friuli +45 euro, Umbria +40 euro, Piemonte + 36 euro e agli ultimi posti Campania -57 euro, Sicilia -29 euro, Calabria – 19 euro , Puglia -16 euro. E anche se dovesse utilizzare il criterio – più verosimile – 98% popolazione secca e indice di multicronicità e limitazioni gravi per maggiori di 75anni – la Campania recupererebbe 380 milioni di euro.

Nella relazione basata su oggetti dativi emergono la “virtuosità” della CAMPANIA e la si può leggere anche scorrendo i dati del biennio 2021-2022: l’incremento dei costi di produzione pro capite della Campania è tra i più bassi d’Italia con un meno 3 euro per cittadino spesi, una percentuale di riduzione del costo del personale del 3.32% mentre in Italia il costo del personale è sceso nello stesso periodo solo dell’1.29%. Infine sempre in tema di personale mancano all’appello migliaia di infermieri medici e altro personale, registrando numeri ancora di svantaggio per la Campania: in Emilia Romagna e in Toscana ci sono 35 medici specialisti ogni 10.000 abitanti, in CAMPANIA come anche in Lombardia appena 31.

6 luglio 2023

La Regione Liguria capofila per la “Farmacia dei Servizi”

E’ da tempo che l’Acop offre uno spaccato importante del territorio locale, regionale. Questa volta le novità arrivano dalla Regione Liguria, la quale si presenta come territorio che sperimenta per primo la cosiddetta “Farmacia dei Servizi”.

Si tratta di un programma di attività sperimentali che si svolgeranno in farmacia, iniziato da lunedì 3 luglio. In sostanza i cittadini hanno la possibilità di effettuare un elettrocardiogramma o un holter cardiaco o pressorio, recandosi in farmacia.

La Giunta regionale, su proposta dell’assessore alla Sanità della Liguria, ha approvato il programma delle attività sperimentali delle farmacie.

Molti servizi, come quelli citati e non solo, si potranno effettuare in farmacia e saranno finanziati da un apposito fondo nazionale, volto a trasformare le farmacie in veri e propri presidi sanitari territoriali.

La maggior parte del fondo è stato destinato, di comune intesa tra farmacie e Regione Liguria, alle prestazioni di telecardiologia, con l’obiettivo di ridurre le liste d’attesa. Le prestazioni, con alcune distinzioni, sono a carico del servizio sanitario regionale e nazionale dietro presentazione della ricetta medica. Ovviamente le prestazioni sanitarie non sono infinite e sono limitate dalla disponibilità del budget finanziato dal fondo.

Si tratta di migliaia di esami fino ad esaurimento delle risorse disponibili, con l’obiettivo di rendere questo servizio convenzionato, non solo presso le strutture pubbliche o i centri accreditati, ma anche in farmacia.

Dopo la distribuzione dei farmaci salvavita, la dematerializzazione della ricetta, la distribuzione dei presidi per il monitoraggio della glicemia, la Liguria si presenta come regione capofila per i servizi in farmacia.

Oltre, però, a quanto segnalato va ricordato che nuovi esperimenti sono in atto su vari territori locali, non tutti ancora convenzionati o convenzionabili, ma certamente numerosi.

Per esempio in alcune farmacie, in via sperimentale, viene messo a disposizione uno psicologo professionista, iscritto all’Albo, che offre aiuto e sostegno o valutazioni, al fine, poi, di intraprendere un eventuale percorso, a prezzi molto basici o comunque concorrenziali.

Lo scopo è sempre quello di offrire un maggior numero di presidi territoriali, soprattutto dove alcuni servizi sono stati soppressi o diminuiti. Si pensi ai consultori delle aziende sanitarie locali, che offrono servizi pubblici di ostetricia- ginecologia, psicoterapia da quella infantile, a quella di coppia o familiare e altro, i quali hanno sofferto un notevole dimensionamento.

avv. Maria Antonella Mascaro

5 luglio 2023

Il 4,7% degli italiani con diabete, ma si spende di più in ricoveri e complicanze

Gli odierni sistemi innovativi di monitoraggio del diabete possono consentire la presa in carico del paziente, riducendo gli accessi in pronto soccorso.

In Italia il 4,7% della popolazione fra i 18 e i 69 anni riferisce di una diagnosi di diabete. La prevalenza cresce con l’età (è inferiore al 3% nelle persone con meno di 50 anni e supera il 9% fra quelle di 50-69 anni). La patologia è più frequente fra gli uomini che fra le donne (5,3% vs 4,1%), e nelle fasce di popolazione più svantaggiate per istruzione o condizioni economiche. Tuttavia il 50-70% della spesa va in ricoveri e complicanze.

Secondo i dati dell’ISS, si stima che almeno un diabetico su sei venga ricoverato in ospedale almeno una volta all’anno. Un tasso che è doppio rispetto alla popolazione normale (235 ogni mille persone contro 99). Inoltre, questi pazienti rimangono in ospedale in media una giornata e mezza in più rispetto agli altri, con un evidente aggravio di costi per il SSN. Se la spesa attribuibile al diabete mellito nel Sistema Sanitario Nazionale si colloca attorno ai 10 miliardi di euro, la quota più importante della spesa (50-70%) è legata proprio ai ricoveri ospedalieri e alle complicanze.

In particolare, i pazienti una volta dimessi hanno bisogno di un percorso assistenziale. Ne hanno parlato ieri in Senato specialisti, Istituzioni e soprattutto pazienti. L’obiettivo è realizzare un network tra territorio, rete di assistenza e paziente diabetico per prevenire le complicanze croniche dei malati. Oltre al miglioramento dello stato di salute, si ridurrebbero anche i costi per il Servizio Sanitario Nazionale, liberando le strutture del Pronto Soccorso dai casi non urgenti ed evitabili.

La tecnologia viene in aiuto, perché i sistemi innovativi di monitoraggio del diabete possono consentire una presa in carico del paziente. Ciò ridurrebbe il rischio di eventi acuti e complicanze croniche, e quindi di accessi in pronto soccorso. L’idea è passare “da un concetto di sanità d’attesa, e quindi di cura della malattia, ad un concetto di sanità di iniziativa, e quindi di formazione e prevenzione di pazienti e caregivers”. 

Le raccomandazioni sono emerse da uno studio realizzato da Bhave su oltre 100 strutture ospedaliere in tutta Italia e su circa 300mila accessi in Pronto Soccorso. I risultati sono stati presentati in Senato nell’incontro dal titolo “Diabete in pronto soccorso: e dopo?”. Politici e tecnici del settore hanno fatto il punto sul follow up di coloro che accedono alle strutture in situazioni di emergenza.

Il Senatore Mario Occhiuto, Presidente dell’Intergruppo Parlamentare qualità di vita nelle città, ha dichiarato: “bisogna potenziare i pronto soccorsi nelle realtà urbane, come presidi sanitari indispensabili per le comunità locali. Se oltre il 70 per cento degli accessi presso queste strutture di emergenza è definito codice bianco o verde, ossia non urgente, significa che i cittadini hanno perso punti di riferimento territoriali e si riversano negli ospedali, dove l’attenzione è focalizzata verso le urgenze. Il sovraffollamento dei pronto soccorsi – ha concluso il Presidente Occhiuto – è il sintomo di una malattia più grande, che possiamo fermare solo attraverso azioni concrete e strutturali.”

“I cittadini hanno diritto ad un adeguato servizio a tutela della salute – ha sottolineato la Senatrice Daniela Sbrollini, Vice Presidente della 10ª Commissione permanente del Senato e Presidente dell’Intergruppo parlamentare obesità, diabete e per le malattie croniche non trasmissibili –.

L’organizzazione della medicina sul territorio deve liberare il Pronto Soccorso dai casi che non sono urgenti e che sono gestibili al di fuori dei presidi ospedalieri. Sono due punti fermi sui quali la sanità Nazionale sta mostrando seri limiti di efficienza. Sono estremamente preoccupata – ha proseguito la parlamentare – perché questi servizi stanno mostrando ogni giorno carenze che non possono essere imputate agli operatori sanitari. La cronicità e il diabete in particolare rappresentano casi emblematici di come il territorio deve interfacciarsi con le strutture specialistiche, per ridurre al minimo le problematiche relative agli accessi ai pronto soccorsi, relative alle urgenze per ipo e iperglicemie gravi”.

“I pronto soccorso sono uno snodo vitale della nostra sanità e devono essere posti dove l’operatore sanitario deve poter svolgere la propria attività con serenità e nel rispetto delle vere urgenze – ha affermato il Senatore Guido Quintino Liris, Intergruppo Parlamentare per la prevenzione delle emergenze e l’assistenza sanitaria nelle aree interne, componente 5ª Commissione permanente del Senato – rafforzando l’organico del personale sanitario, soprattutto nei servizi di emergenza/urgenza, rendendo più attrattivo e sicuro il lavoro nei reparti di pronto soccorso. Nel contempo, non bisogna dimenticarsi delle urgenze sanitarie nelle aree interne marginali, dove spesso il ricorso al pronto soccorso è difficile e complesso. Vogliamo lavorare per consentire a tutti un accesso alle cure, nel rispetto del lavoro degli operatori sanitari – ha concluso il senatore Liris – e potenziando la presa in carico del paziente cronico e diabetico”.

Presentando i dati principali dello studio, il Dott. Francesco Pugliese, Direttore del Dipartimento Emergenza presso l’Ospedale Pertini di Roma, ha sottolineato una non adeguata gestione del paziente diabetico ospedalizzato. Ha affermato che il Pronto Soccorso molto spesso si deve occupare di complicanze relative a patologie croniche non adeguatamente gestite dalla medicina territoriale. Questo fenomeno, grava pesantemente su queste strutture anche in termini di efficienza della spesa sanitaria. “La soluzione può venire solo da un percorso diagnostico terapeutico assistenziale specifico ed efficiente – ha continuato il Dott. Francesco Pugliese – che veda un’adeguata formazione del personale ospedaliero e territoriale, l’informazione del paziente/caregiver e degli operatori sanitari, oltre ad una reale presa in carico del paziente diabetico che deve prevedere un percorso assistenziale multiprofessionale, multidisciplinare, condiviso con tutti gli attori, compreso il paziente stesso e senza discontinuità. Un percorso oggi più agevolmente perseguibile anche con l’ausilio delle nuove tecnologie”.

4 luglio 2023

La Regione Piemonte crea l’Osservatorio per le risorse della sanità

Il Piemonte sigla un accordo fra la dirigenza medica e sanitaria e le varie sigle sindacali dei medici fra cui CGIL, CISL e Uil medici, nonché le rappresentanze degli infermieri, degli operatori socio sanitari e dei  tecnici amministrativi, al fine di creare il primo Osservatorio regionale per le risorse umane.

Lo scopo è innanzitutto quello di definire il piano di potenziamento del personale sanitario per il biennio 2023/2024, utilizzando tutti gli strumenti finanziari disponibili, nonché quelli legislativi, offerti dal Decreto Calabria e dal D.L. n. 34/2023. In virtù delle disposizioni citate la regione ha stabilizzato oltre la metà del personale che è stato impiegato a tempo determinato durante la pandemia, oltre ad impiegare risorse aggiuntive.

L’Osservatorio, che si insedierà nel mese corrente, è presieduto dal Presidente della Regione, con la partecipazione dell’assessore alla sanità, unitamente ad un gruppo di persone provenienti dal mondo sanitario e coinvolgerà nelle sue attività le direzioni delle aziende sanitarie. Si riunirà a cadenza mensile per il monitoraggio continuo del trend occupazionale del personale in sanità e l’analisi e l’avanzamento degli obiettivi occupazionali.

In base all’accordo tra Regione e sindacati, l’Osservatorio opererà in materia di politiche rivolte alle assunzioni e ai percorsi di valorizzazione del personale medico. In particolare si occuperà di analizzare tutte le risorse economiche-finanziarie stanziate e impiegate relativamente ai tetti di spesa sia riferiti al Decreto Calabria, oltre che  a quelle extra tetto previste dal D.L. 34, finalizzate alla assunzione del personale sanitario. Ancora prenderà in considerazione progetti di internalizzazione dei servizi sanitari da parte delle aziende sanitarie, di procedure di stabilizzazione del personale avente i requisiti richiesti dalla normativa, del mantenimento del trend di crescita occupazionale, del miglioramento delle graduatorie in essere e del loro utilizzo.

avv. Maria Antonella Mascaro

3 luglio 2023

Il progetto “Le Performance Regionali”, promosso da C.R.E.A. Sanità (Centro per la Ricerca Economica Applicata in Sanità), sin dal 2012 si è proposto di fornire un contributo alla definizione delle politiche sanitarie e sociali, con la finalità ultima di promuovere miglioramenti nelle opportunità di tutela socio-sanitaria (intesa in senso lato) offerte nei diversi luoghi di residenza regionale.

L’affinamento della metodologia, come anche il sistema di valutazione è supportato da un Expert Panel multistakeholder (Istituzioni, Management Aziendale, Professioni sanitarie, Utenti e Industria medicale) a cui, nel 2023, hanno aderito oltre 100 componenti.

L’indice unico di Performance viene determinato sulla base della metodologia sviluppata da C.R.E.A. Sanità, che assegna un ruolo centrale al Panel, chiamato a:

  • Individuare le aree “qualificanti” nella valutazione dei servizi socio-sanitari;
  • Individuare le Dimensioni di Performance (ad oggi Equità, Esiti, Appropriatezza, Innovazione, Esiti e Sociale)
  • Individuare gli indicatori che le rappresentano
  • Esprimere (mediante un processo di elicitazione) le proprie preferenze (ovvero i “pesi” attribuiti ai singoli indicatori e Dimensioni di valutazione, nonché le possibilità di “scambio” fra di essi).

In particolare, fanno parte del Panel:

  • 18 rappresentanti delle Istituzioni: 5 nazionali e 8 regionali e 4 locali
  • 10 rappresentanti degli Utenti/Cittadini: fra questi 9 Presidenti/Coordinatori nazionali di Associazioni dei pazienti
  • 35 rappresentanti delle Professioni sanitarie: tutti Presidenti Nazionali di Società Scientifiche.
  • 33 componenti del Management di aziende sanitarie: 29 Direttori Generali di aziende sanitarie, 5 Direttori Sanitari di aziende sanitarie, 1 Presidente di fondazione sicurezza in Sanità.
  • 9 rappresentanti dell’Industria: 8 Dirigenti di aziende medicali (farmaci e dispositivi medici) e 1 Presidente di Associazione di categoria.

L’approccio metodologico adottato, operativamente, ha previsto cinque fasi:

  • individuazione delle aree di valutazione della Performance
  • individuazione delle Dimensioni della Performance
  • individuazione di un set di indicatori di Performance
  • elicitazione del “valore” che i componenti del Panel attribuiscono alle determinazioni degli indicatori
  • elicitazione del “valore relativo” attribuito dai componenti del Panel ai diversi

indicatori.Nella edizione 2023 (XI) il Panel si è anche interrogato sulla possibilità in futuro di estendere la metodologia ai fini di monitorare gli effetti dei processi di eventuale implementazione di forme di autonomia differenziata in Sanità.

La valutazione 2023 delle Performance regionali, in tema di tutela socio-sanitaria offerta ai propri cittadini residenti, oscilla da un massimo del 59% (fatto 100% il risultato massimo raggiungibile) ad un minimo del 30%: il risultato migliore lo ottiene il Veneto ed il peggiore la Calabria.

Dalle valutazioni, quindi, si evince come, a parere del Panel, le Performance regionali risultino ancora significativamente distanti da una Performance ottimale.

Il divario del ranking fra la prima e l’ultima Regione è rilevante: quasi un terzo delle Regioni non arriva ad un livello pari al 30% del massimo ottenibile.

Tre Regioni (verde nella mappa), tutte del Nord-Est, sembrano avere livelli complessivi di tutela significativamente migliori dalle altre: Veneto, P.A. di Trento e P.A. di Bolzano superano la soglia del 50% (rispettivamente 59%, 55% e 52%).

Nel secondo gruppo (verde chiaro), troviamo cinque Regioni, con livelli dell’indice di Performance compresi tra il 47% e il 49%: Toscana, Piemonte, Emilia Romagna, Lombardia e Marche.

Nel terzo gruppo (arancione) troviamo Liguria, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Umbria, Molise, Valle d’Aosta e Abruzzo, con livelli di Performance abbastanza omogenei, ma inferiori, compresi nel range 37-43%.

Infine, 6 Regioni (rosso), Sicilia, Puglia, Sardegna, Campania, Basilicata e Calabria, hanno livelli di Performance che risultano inferiori al 32%.

Osserviamo come la composizione del gruppo delle Regioni che si situano nell’area dell’”eccellenza”, come anche quella del gruppo, numericamente rilevante, delle Regioni (tutte meridionali) che purtroppo rimangono nell’area intermedia e critica, rimane pressoché costante negli anni.

Analizzando i risultati per Dimensione, osserviamo come le tre Dimensioni Appropriatezza, Equità e Sociale contribuiscano per oltre il 60% alla Performance: 24,9%, 22,6% e 15,6% rispettivamente; segue la Dimensione Esiti (13,9%); le Dimensioni Economico-finanziaria ed Innovazione, contribuiscono rispettivamente per il 12,1% e l’11,5%.

Sebbene con alcune apprezzabili differenze quantitative, l’Equità e l’Appropriatezza (quest’ultima con l’eccezione dei rappresentanti delle Istituzioni) sono nelle prime tre posizioni per tutte le categorie di stakeholder; la Dimensione Sociale anche, ad eccezione dei rappresentanti dell’Industria Medicale.

Indice di Performance (0 Perf. peggiore -1 Perf. ottima).

28 giugno 2023

I numeri per le future professioni sanitarie

Come preannunciato dal Ministro della Salute e dalle emergenze nazionali, è previsto l’aumento dei posti per entrare al corso di laurea in Medicina a numero chiuso. Per l’anno accademico 2023.2024 saranno messi a disposizione più di diciottomila posti, duemila in più dell’anno precedente. Anche per gli infermieri i numeri sono notevolmente migliorati, quasi ventisettemila.

Un aiuto per la soluzione al gravoso problema della carenza di medici e del personale sanitario in generale che non potrà bastare, ma che offre un contributo per un futuro non immediato.

Questi i numeri che necessitano di conferma di pubblicazione ufficiale: innalzare la soglia degli accessi alla facoltà di Medicina e Chirurgia del 20/30%, dunque oltre diciottomila ingressi, cui si aggiungono oltre milleduecento per la Facoltà di Veterinaria e oltre millecinquecento per quella di Odontoiatria. I numeri dovrebbero essere replicati ogni anno almeno fino al 2030, in tal modo si arriverebbe a trentamila ingressi in più del previsto in sette anni. 

I test per l’ammissione alla facoltà, non più quiz, ma tolc potevano essere eseguiti una sola volta su base nazionale, attualmente lo si può effettuare, fino a due volte e a partire dal quarto anno della scuola superiore di secondo grado. Partecipando alle due sessioni, i candidati raddoppieranno le chance, poiché si entrerà con il punteggio migliore. Successivamente andrà riformata la seconda parte che subentra dopo la laurea in Medicina e cioè la scuola di specializzazione, che non può fungere da imbuto sostitutivo rispetto alle iscrizioni alla facoltà.

Venendo, poi, alle altre professioni sanitarie, in particolare gli infermieri i numeri sono notevoli: oltre ventisettemila i corsi di laurea. Nell’area della riabilitazione i posti sono oltre novemila di cui circa tremila in fisioterapia, circa duemila per educatori professionali e altre duemila circa per la formazione magistrale. Nell’area tecnico-diagnostica e tecnico-assistenziale i posti sono più di seimila, per quella della prevenzione più di duemila.

avv. Maria Antonella Mascaro

27 giugno 2023

Massima qualità delle strutture per le indagini cliniche

Il Decreto del Ministero della Salute del 20 marzo 2023, entrato in vigore il 15 giugno 2023, è stato emesso in relazione ai requisiti delle strutture idonee allo svolgimento di indagini cliniche nel rispetto del regolamento UE 2017/745.

Si ritiene sia di interesse per le strutture associate e a tal fine viene segnalato, in quanto prevede disposizioni concernenti la regolamentazione della effettuazione di esami o indagini cliniche da compiere con i dispositivi e le apparecchiature mediche con o senza dicitura CE.

Pertanto il decreto limita le indagini cliniche su menzionate alle sole strutture che rispettino determinate condizioni quali: una esperienza in materia di studi clinici e di sperimentazione, documentata da pubblicazioni in ambito scientifico e deposito di brevetti; utilizzo di dispositivi medici della stessa classe e tipologia da parte di personale qualificato, preso la struttura dove si svolge la sperimentazione.

Ancora viene disciplinata l’individuazione delle strutture idonee allo svolgimento delle indagini cliniche. Queste devono dimostrare la conformità del possesso dei dispositivi della classe terza o dei dispositivi ad alta classe di rischio. Dunque tra le strutture rientrano gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, gli istituti sanitari privati identificati quale presidio delle ASL (su tutto il territorio nazionale) e le case di ricovero e cura private accreditate purchè ci si attenga agli standard e alle prescrizioni che fanno parte dell’allegato 1, punto 2 del Decreto Ministeriale n. 70 del 2015; siano sede di UO di alta specialità, secondo quanto delineato dal Decreto del Ministro della Sanita del 29.1.1992; fonti normative, queste (D.M. 70/2015 e decreto 29.1.1992) che si invita a consultare.

Riguardo, invece, alle indagini cliniche volte a dimostrare la conformità dei dispositivi di classe prima o di cosiddetta bassa classe di rischio, queste possono essere effettuate anche presso presidi specialistici o polispecialistici ambulatoriali delle ASL (del territorio nazionale) e presso le strutture territoriali ricomprese nel D.M. n. 77 del 2022.

Altra importante novità è rappresentata dal fatto che il rappresentante legale della struttura deve attestare il possesso dei requisiti richiesti dalla legge, mediante una dichiarazione redatta secondo il modello pubblicato sul sito del Ministero della Salute.

Ovviamente si deve fare notevole attenzione nella compilazione della suddetta dichiarazione, poichè avrà la valenza di un atto attestativo, dunque con potere certificatorio, con le relative conseguenze in caso di falsa dichiarazione.

Nelle ipotesi di indagini cliniche, da effettuare con dispositivi digitali esterni alla struttura interessata, devono essere garantiti i livelli di qualità e di sicurezza.

avv. Maria Antonella Mascaro

26 giugno 2023

Incentivi di pronto soccorso – Lazio apripista

Incentivi ai medici del pronto soccorso, 100 euro in più all’ora (lordi) per scongiurare la fuga dalla medicina di emergenza. È il contenuto dell’accordo raggiunto tra Regione Lazio e sindacati e accolto con soddisfazione dalla categoria. La situazione dei pronto soccorso è allo stremo: personale carente, turni massacranti e crescenti aggressioni per i sanitari, file per i pazienti e servizi essenziali di assistenza spesso non garantiti – il quadro delineato dal presidente Francesco Rocca – .

Diverse le firme sindacali che hanno siglato l’accorso, Anaao, Fp CGIL, UIL Fp e Cisl Medici. Ricordiamo che i recenti concorsi per primario di pronto soccorso sono andati quasi deserti. Due esempi per tutti, quello della Asl Roma 2 e del San Giovanni. 

Il compenso aggiuntivo per i medici dell’emergenza parte da un minimo di 340,00 euro per 65 ore mensili con almeno un turno notturno o un festivo, fino a un massimo di 1.040,00 euro per almeno 150 ore con cinque notturni o festivi.

Gli incentivi valgono ovviamente solo per gli ospedali pubblici, in quanto il decreto ministeriale non prevede alcuna copertura finanziaria per il settore privato accreditato, a differenza di quello ospedaliero. Al momento a Roma, il 40% delle richieste di accoglienza in pronto soccorso vengono assorbite dal Policlinico Casilino, dal Gemelli, e, dall’ospedale pediatrico Bambino Gesù.

La direzione assunta dal governo centrale e regionale, stimolerà sicuramente una fuga di medici dalle strutture private verso il settore ospedaliero, attratti dagli incentivi economici previsti.

Acop ha sollevato le perplessità al Ministero della Salute sule scelte messe in piedi per arginare le difficoltà del servizio sanitario nazionale. Si tratta di scelte che generano una sperequazione a totale danno dei contribuenti, i quali si troveranno a finanziare le coperture per lo straordinario dei medici in area di emergenza urgenza, al fine di risolvere unicamente il problema della presenza dei medici nelle strutture ospedaliere. Questa soluzione infatti si tradurrà in un travaso di medici dal settore privato a quello ospedaliero, anziché incrementare il numero assoluto di medici, con un reclutamento ad esempio dalle scuole di specializzazione nella fase formativa, scelta che potrebbe generare i medesimi risultati senza aumento di costi.

22 giugno 2023

Dalla Intelligenza artificiale all’avatar

I modelli basati sull’intelligenza artificiale che vengono utilizzati per creare nuovi contenuti hanno fatto registrare una crescita esponenziale.

Per avvicinarsi un po’ a questo mondo, che tempo fa si sarebbe considerato più vicino alla fantascienza, si deve far riferimento ai modelli generativi che sono quelli che permettono di creare immagini partendo da un testo in linguaggio naturale. Questi modelli sfruttano due reti, la prima funziona, sostanzialmente in questo modo: il modello riceve tramite un input una descrizione di testo e da questa genera un’immagine che corrisponde alla descrizione testuale; la seconda rete invece valuta la qualità dell’immagine prodotta. In pratica le due reti lavorano in contrasto con lo scopo di migliorare il prodotto finale.

Con la funzione text-to-image un’applicazione diventa un generatore di avatar installabile e utilizzabile sui dispositivi Android e iOS.

Incredibilmente, almeno così fino ad una decina di anni fa, queste applicazioni stanno trovando spazio e possibilità di successo anche nel mondo sanitario.

A tal proposito la Regione Toscana si è proposta come antesignana nella creazione dell’avatar “Sara”, che risponde a chi prenota una visita o paga un ticket.

E’ una guida digitale che aiuta i pazienti a prenotare visite mediche, verificare esenzioni. Con sembianze umane, in realtà si tratta di un assistente digitale virtuale che con l’applicazione della intelligenza artificiale interagisce con i pazienti, rispondendo ai quesiti.

Pur essendo un primo approccio, l’avatar in parola è soggetto a miglioramenti, soprattutto perché non è immaginabile, almeno al momento, la risposta a troppi quesiti, ma è già in atto un upgrade del prototipo.

La risposta è rivoluzionaria, ma scatena diversi problemi in ordine a protezione dei dati, privacy e tutto il mondo legato a queste importanti tematiche.

Tutto ciò è rivoluzionario, ma deve osservarsi che alcuni modelli predecessori degli avatar, ancora molto elementari, quali gli assistenti digitali via chat, collocati al posto di esseri umani in carne ed ossa nei call center o digitando un numero verde, hanno, in realtà, avuto scarso successo. Si pensi all’assistente digitale delle banche o istituti di credito on line con i quali è impossibile, o quasi, avere delle risposte che non siano già preconfezionate e che, nella realtà dei fatti, non danno risposta al quesito specifico proposto dall’utente.

Pertanto, grande fiducia alla tecnologia, ma l’essere umano deve ancora molto guidare la mano virtuale.

Inoltre non bisogna dimenticare che l’utente, quando è un paziente, necessita del contatto umano e questa non è una considerazione di scarso rilievo.

avv. Maria Antonella Mascaro

21 giugno 2023

Il Ministro della Salute ha incontrato le parti sindacali.

Si è temuto ieri l’incontro tra il Ministro della Salute Orazio Schillaci, il Sottosegretario Marcello Gemmato e i sindacati confederali e di categoria Cisl, Fp Cisl e Cisl Medici, per affrontare tematiche urgenti come il rinnovo dei contratti pubblici e privati, l’integrazione tra sistema ospedaliero e territoriale, una valutazione sulle risorse disponibili nel Fondo Sanitario Nazionale.

“Oggi è stata una riunione importante, abbiamo avviato un tavolo permanente di consultazione e di confronto con le più importanti sigle sindacali. Vogliamo continuare in questo confronto con loro, credo che sia importante ribadire che non abbiamo nessun interesse e nessuna voglia di definanziare la sanità pubblica, una sanità che abbiamo trovato ingolfata e con tanti problemi”.

Così il ministro della Salute, Orazio Schillaci, parlando con i giornalisti al termine dell’incontro.

“Vogliamo investire sul capitale umano e dare ai cittadini una sanità migliore. Per fare questo, oltre ad avere più risorse – ha proseguito il ministro – è necessario ristrutturare completamente il sistema che abbiamo trovato, incentivare gli operatori e superare il grave problema delle liste d’attesa. Siamo pronti per questa sfida, che comprende anche la medicina territoriale, investire bene i fondi del PNRR, tra tante difficoltà, e riuscire finalmente ad avere anche una sanità territoriale e di prossimità che permetta di superare i problemi che causano per esempio l’ingolfamento che quotidianamente vediamo nei Pronto soccorso”.

Il Ministro ha sottolineato la perdita del Fondo Sanitario Nazionale nell’ultimo decennio di oltre 35 miliardi, che ha contribuito a indebolire il sistema sanitario. “Nonostante i 15 miliardi individuati dal PNRR – ha aggiunto – siamo ancora lontani dal compensare questa storica emorragia e la pesantezza dei tagli lineari operati dai precedenti Governi”.

In ogni caso al tavolo il Ministro ha annunciato la volontà di individuare in Legge di Stabilità le dotazioni necessarie a rinnovare i contratti pubblici e l’intenzione di costruire insieme ai sindacati alcuni percorsi tematici: il primo sui contratti settoriali pubblici, l’altro, unitamente a Regioni, Associazioni Datoriali di settore e OO.SS, sui rinnovi di quelli privati.

Le rappresentanze sindacali Cisl UGL Confsal e Cisl, presenti hanno valutato positivamente gli impegni assunti e la ripartenza di un dialogo, che deve però tradursi in fatti concreti. La ripartenza non può che fondarsi sulla valorizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori, attraverso l’incremento del Fondo Nazionale, su di una massiccia campagna di nuove assunzioni e stabilizzazioni del precariato, superando vincoli e tetti di spesa.

Unica nota fuori dal coro è stata quella della CgiL con il suo segretario generale Maurizio Landini.

“L’unico risultato di questo incontro è nuovi tavoli che il governo intende convocare nel mese di luglio. È stato un incontro molto deludente perché sui punti di fondo non abbiamo avuto alcuna risposta, abbiamo chiesto l’aumento del fondo sanitario nazionale e il rinnovo dei contratti. Naturalmente saremo ai tavoli di confronto, ma il governo deve sciogliere il nodo se si apre o no una trattativa. Non siamo disponibili ad accettare una progressiva privatizzazione della sanità. Non abbiamo ottenuto risultati. Una ragione in più per manifestare e scendere in piazza sabato 24 a Roma per la difesa e il rafforzamento della sanità pubblica, aggiunge rimarcando la completa contrarietà all’autonomia differenziata, già vediamo i disastri di avere tante sanità regionali”.

20 giugno 2023

News Dall’Unione Europea

La Commissione Politiche UE, avvia l’esame del disegno di legge n.755 di conversione del decreto-legge n. 69/2023, recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi derivanti da atti dell’Unione europea e da procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano”, annunciato in Aula nella seduta del 13 giugno.

Il decreto-legge è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 13 giugno 2023. Nasce dalla necessità ed urgenza di prevenire l’apertura di nuove procedure di infrazione e l’aggravamento di quelle pendenti, attraverso l’immediato adeguamento dell’ordinamento nazionale al diritto dell’Unione e alle sentenze della Corte di giustizia dell’Unione Europea.

Pertanto, il provvedimento è volto a favorire la riduzione del numero complessivo delle procedure di infrazione avviate dalla Commissione europea nei confronti del nostro Paese che, ad oggi, è superiore alla mediadegli altri Stati membri dell’Unione Europea.

Per le strutture associate si segnala l’art. 6 che concerne le disposizioni in materia di pubblicità nel settore sanitario. Il decreto interviene al fine di arginare le informazioni che le strutture sanitarie private (e gli iscritti agli Albi professionali) possono fornire, limitando le comunicazioni alle informazioni previste dal I comma dell’art. 2 del D. L. n. 223/2006 e alla legge di conversione dello stesso/ l. n. 248/2006).

Per comodità espositiva si riporta il citato art. 6, che titola: Disposizioni in materia di pubblicità nel settore sanitario. Caso NIF 2020/4008:

1. All’articolo 1 della legge 30 dicembre 2018, n. 145,il comma 525 è sostituito dal seguente:«525. Le comunicazioni informative da parte delle strutture sanitarie private di cura e degli iscritti agli albi degli Ordini delle professioni sanitarie di cui al capo II della legge 11 gennaio 2018, n. 3, in qualsiasi forma giuridica svolgano la loro attività, comprese le società di cui

all’articolo 1, comma 153, della legge 4 agosto 2017, n. 124, possono contenere unicamente le informazioni di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, funzionali a garantire il diritto ad una corretta informazione sanitaria, restando escluso, nel rispetto della libera e consapevole determinazione dell’assistito, della dignità della persona e del principio di appropriatezza delle prestazioni sanitarie, qualsiasi elemento di carattere attrattivo e suggestivo, tra cui comunicazioni contenenti offerte, sconti e promozioni, che possano determinare il ricorso improprio a trattamenti sanitari”

Il I comma dell’art. 2 del D.L.  n. 223/2006 recita: “In conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonché al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali:

a) ((lettera abrogata dalla l. 21 aprile 2023, n. 49));

b) il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall’ordine;

c) il divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti, fermo restando che l’oggetto sociale relativo all’attività libero-professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità”.

Pertanto, al fine di evitare procedure di infrazioni o aggravamento di quelle esistenti la pubblicità deve limitarsi a questi dettati normativi. Inoltre, come indicato nell’art. 6 del nuovo D.L. è categoricamente escluso che le pubblicità informative possano contenere elementi di alcun modo attrattivi o suggestivi, comprese offerte, sconti, promozioni o comunicazioni che possano determinare il ricorso improprio a trattamenti sanitari.

Tutto ciò in funzione di rendere le comunicazioni con carattere divulgativo degne di garantire una corretta informazione sanitaria, nel rispetto, sempre, della libera determinazione e libertà del paziente.

avv. Maria Antonella Mascaro

19 giugno 2023

PNRR e sanità territoriale

Con l’aumentare della popolazione anziana, la rete sanitaria sarà sottoposta a maggiore pressione. 
L’analisi di Openpolis rileva che in l’Abruzzo, l’età invecchia di più che nel resto del paese.

Per questo il Pnrr destina oltre 87 milioni di euro alla sanità territoriale in regione, prevedendo tra le altre cose 11 nuovi ospedali di comunità e 40 case di comunità. In questo numero, sono considerati 14 hub – quelle principali che erogano anche attività specialistiche e di diagnostica – e 26 spoke (65% del totale), che garantiscono solo l’assistenza primaria.

Sono 6 i comuni in cui dovrebbero arrivare risorse per oltre 3 milioni di euro per finanziare gli interventi previsti. Si tratta di Roseto degli Abruzzi, in provincia di Teramo, con una casa della comunità hub di nuova costruzione. Un intervento riguardante una superficie di 1.360 metro quadro per un finanziamento da circa 3,8 milioni di euro. 

Seguono Sulmona (L’Aquila), con 3,5 milioni di euro per l’abbattimento e la ricostruzione di una casa della comunità hub, Pescara (3,4 milioni) e Montesilvano (3,4 milioni), entrambe con un intervento ciascuno. Chieti è il quinto comune con più risorse complessive previste per le case della comunità, però ripartite su due progetti. Uno per una struttura di tipo hub, in via Valignani (2,4 milioni di euro), l’altro per una casa spoke per 810mila euro. Sopra i 3 milioni complessivi anche Teramo, dove è prevista la realizzazione di una casa hub del valore di 3,1 milioni di euro. Sono invece 11 gli ospedali di comunità previsti nella regione, sugli oltre 400 previsti per l’intero paese. Come già visto a queste piccole strutture, intermedie tra il ricovero a casa e quello in ospedale, il Pnrr destina 1 miliardo di euro. 

Mentre ammontano a poco meno di 26,2 milioni le risorse previste per la regione. In 8 casi si tratterà di interventi di ristrutturazione, mentre per 3 progetti è prevista una nuova costruzione o l’ampliamento di una struttura esistente. L’intervento più corposo previsto dal contratto di sviluppo della regione è quello di Teramo. Oltre 4 milioni di euro per una superficie di intervento di 1.140 metri quadri. Cifra comparabile per l’ospedale di comunità da realizzare a Chieti (3,9 milioni di euro).

15 giugno 2023

Salviamo la sanità pubblica

È lo slogan con cui oggi scendono in piazza medici, operatori sanitari e cittadini. In 34 città si stanno svolgendo sit-in, assemblee e incontri per denunciare i pericoli che minano la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale e “sollecitare interventi per scongiurare il collasso del sistema”. A Roma è previsto un sit-in davanti al Ministero dell’Economia e delle Finanze a cui partecipano i segretari nazionali delle sigle promotrici: Anaao Assomed, Cimo- Fesmed, Aaroi-Emac, Fassid, Fp Cgil Medici, Federazione Veterinari e Medici, Coordinamento area medica, Uil Fpl e Cisl medici. Manifestazioni si terranno in tutte le regioni, in particolare nelle città di Pescara, Cosenza, Potenza, Bologna, Napoli, Udine, Genova, Milano, Ancona, Campobasso, Isernia, Termoli, Asti, Bari, Cagliari, Catania, Firenze, Trento, Bolzano, Bressanone, Brunico, Merano, Perugia, Aosta, Padova, Portogruaro, Conegliano, Legnago, Jesolo, Malcesine, Marzana, San Bonifacio, San Donà d Piave.

A motivare la manifestazione, spiegano i sindacati, la crescita delle liste d’attesa, con conseguente aumento della spesa privata e della rinuncia alle cure. Una tendenza che va di pari passo al calo di investimenti in sanità rispetto al Pil, la fuga dei medici e la scarsa assistenza sul territorio. Per questo, sindacati e associazioni chiedono a tutte le forze politiche “un chiaro impegno in difesa del Servizio Sanitario Nazionale pubblico e universale”.

14 giugno 2023

Sanità pubblica e privata sempre più vicine

Una buona notizia: l’Italia si trova fra i primissimi posti al mondo per la qualità della sanità. Il risultato è stato ottenuto grazie anche al rapporto con la sanità privata e accreditata. I dati sono ufficiali

Ci sono, ovviamente, dei campanelli d’allarme all’orizzonte: primo fra tanti il problema delle liste di attesa, la carenza di personale sanitario, il divario sanitario che si crea a livello territoriale. Nonostante esistano questi problemi innegabili, la sanità italiana continua ad essere un’eccellenza, grazie anche alla presenza su tutto il territorio nazionale di centri di cura di eccellenza con esperti, medici e scienziati che sono apprezzati a livello mondiale.

La pandemia ha certamente scoperto i nervi su tutte le problematiche di sopra evidenziate, ma il progresso quotidiano, espletato anche attraverso la digitalizzazione ha permesso di valutare quali sono gli indicatori in grado di fotografare le esigenze più urgenti del sistema sanitario. Fra gli indicatori si può annoverare il precoce invecchiamento della popolazione e l’impatto che sul SSN hanno avuto le malattie croniche, come la demenza senile, il diabete, nonché i rischi emergenti come i disturbi psichici e alimentari nella popolazione giovanile. Tutto ciò deve essere collegato ad un potenziale peggioramento del quadro generale, anche dal punto di vista del carico economico, collegato ai costi delle prestazioni.  

Pertanto si assiste al fatto che i costi delle spese private per i soggetti che dovrebbero, invece, usufruire dei servizi coperti dal servizio sanitario nazionale sono in aumento.  

Allora ci si domanda quale senso abbia leggere quotidianamente che i territori e i Presidenti di alcune Regioni, che sono anche Commissari ad acta in materia sanitaria, due fra tanti: la Regione Lazio e la Regione Calabria, trovino un modo per integrare la sanità pubblica con la sanità privata.

La dizione non è necessariamente dicotomica, bisogna smetterla di pensare alle accezioni pubblico e privato come alternative, ma anzi guardare i numeri e rendersi conto che si tratta di una cooperazione, di una collaborazione, o, in termini attuali, un co-working che salverà il sistema sanitario nazionale.

Già dagli anni Novanta, una cosa è chiaro che i due sistemi non possono mai essere in netta contrapposizione. Questo grazie all’avvio di sperimentazioni gestionali che hanno portato il privato nel mondo pubblico e che hanno decretato uno scambio di conoscenze e piani per una maggiore efficienza del Sistema Sanitario nazionale.

Forse la pandemia, se ha avuto un merito, è quello di far capire dove si trovano le falle del sistema e chi ha operato per colmarle.

Infatti già il riconoscimento in una legge sostanziale di riconoscimento dei rimborsi ai privati accreditati che hanno gestito l’ordinario nel lungo periodo della pandemia esprime il senso di presa di coscienza che il governo nazionale ha cominciato ad avere nei confronti del privato.

Anche se il fenomeno può essere interpretato a doppio senso basta considerare la capacità di alcune regioni di attirare pazienti da altri territori che se da un lato è vista come una migrazione, cui si sta cercando di porre rimedio, dall’altra deve essere interpretata con un grazie al settore privato che porta efficienza e affianca il sistema pubblico, con costi da servizio pubblico e non privato, come piace scrivere ad alcuni per fare notizia.

Il pubblico e il privato sono due compartimenti stagni che dialogano ancora troppo poco. Un ospedale pubblico non può, infatti, stringere oggi un accordo con una struttura privata per condividere percorsi di cura cosiddetti di “specialità”.

Ma perché non farlo, perché non renderlo possibile, normarlo.

L’obiettivo di un imprenditore della sanità privata si può benissimo sposare con quello del benessere pubblico e dunque erogare il servizio sanitario come servizio pubblico, ma facendolo attraverso una struttura propria. Non è necessario demonizzare o criminalizzare il privato che deve fare profitto, se questo è raggiunto lo stesso, erogando servizi che non pesano sul paziente, ma che diventano parte della spesa pubblica, nella considerazione che pubblico e privato siano la stessa cosa e agiscano per un unico obiettivo: la salute del paziente.

L’erogazione dei servizi deve, infatti, essere sempre prevalentemente di tipo pubblico, ma la gestione delle strutture può essere anche di tipo privato, con un sistema che garantisce gli stessi standard qualitativi con risorse investite dai privati, diminuendo la spesa pubblica e agevolando, magari con notevoli sgravi fiscali, il privato.

avv. Maria Antonella Mascaro

13 giugno 2023

Novità fiscali dalla legge di conversione del Decreto Bollette per le start up e gli enti territoriali.

Ulteriori novità introdotte dalla L. n. 56 del 26.5.2023 che ha convertito il cosiddetto Decreto Bollette (D.L. n. 34/2023), di cui si era già parlato.

Le novità giungono ora sul fronte fiscale, in particolare dei crediti di imposta.

Per le start up operanti nei settori: ambiente, energia e fonti rinnovabili e sanità, che si sono costituite a partire dal primo gennaio del 2020 è previsto un credito di imposta per le spese sostenute per attività di ricerca e sviluppo che abbiano le caratteristiche di garantire la sostenibilità ambientale e la riduzione dei consumi energetici.

Il credito d’imposta viene riconosciuto in misura non superiore al 20% delle spese sostenute e documentate e comunque per un imposto non superiore ai duecentomila euro, da utilizzarsi in compensazione.

Pertanto si fa monito alle aziende interessate di essere molto caute nella progettazione della ricerca, onde non incorrere in controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate che possano indurre a ritenere le compensazioni non spettanti, o, addirittura, inesistenti ed in tal modo rischiare di incorrere nelle contestazioni di sanzioni tributarie e finanche di segnalazioni di natura penale.

Il credito, infatti, deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno di imposta nel quale il medesimo venga riconosciuto ed in quelle successive fino alla conclusione del suo utilizzo.

Per quanto riguarda le regioni e gli altri enti locali, nel caso di riscossione diretta e tramite concessionario del MEF, per le restituzioni a stralcio e le rottamazioni dei ruoli come previsto dalla legge di bilancio 2023 possono stabilire il numero delle rate in cui può essere ripartito il pagamento e le varie scadenze, le modalità con le quali il debitore manifesti la volontà di avvalersi della definizione agevolata, i termini per la presentazione dell’istanza nella quale il contribuente deve indicare: il numero di rate del pagamento, la pendenza dei giudizi cui la situazione debitoria fa riferimento, impegnandosi a rinunciare alle azioni (es: ricorso in commissione tributaria), da ultimo, enti o riscossore, possono stabilire il termine entro il quale venga trasmessa al debitore la comunicazione in cui è indicato l’ammontare complessivo e le singole rate delle somme relative  alla definizione agevolata.

Anche per le provincie autonome di Trento e Bolzano la disciplina è ammessa, nei limiti e secondo la compatibilità con quanto previsto dai loro statuti.

Con la presentazione della domanda sono, ovviamente, sospesi tutti i termini di prescrizione e di decadenza per il recupero delle somme. Il non pagamento, il pagamento tardivo, irregolare o insufficiente della rata unica, oppure di una delle rate previste nella domanda fa sì che i termini suddetti ricomincino a decorrere e la definizione non produca effetti. Le somme eventualmente versate fino a quel momento vengono trattenute quale acconto sul totale dovuto.

I provvedimenti adottati dagli enti territoriali hanno efficacia dalla pubblicazione sul sito istituzionale dell’ente di riferimento.

Infine, va segnalata una modifica dei termini in materia di definizione agevolata delle controversie tributarie, in quanto il debitore può scegliere, successivamente al versamento delle prime tre rate della somma oggetto della definizione, di effettuare il pagamento con un versamento mensile, fino ad un massimo di cinquantuno rate, tutte dello stesso importo. Le scadenze delle rate saranno l’ultimo giorno lavorativo di ciascun mese, a partire da gennaio 2024, ad eccezione del mese di dicembre per il quale il termine è il giorno 20.

avv. Maria Antonella Mascaro

12 giugno 2023

L’Italia ai primissimi posti al mondo per la qualità della sanità

Nonostante problemi innegabili, la sanità italiana continua ad essere un’eccellenza, grazie anche alla presenza su tutto il territorio nazionale di centri di rilevanza internazionale, con esperti, medici e scienziati che ci invidiano in tutto il mondo. La panoramica a livello internazionale è infatti per ora ottima, migliore addirittura di Paesi oltreoceano.

L’Italia ai primissimi posti al mondo per la qualità della sanità.

Il nostro sistema sanitario ha oggettivamente dei risultati ai primissimi posti a livello mondiale, migliori rispetto a quelli americani o a quelli dello stesso modello inglese al quale ci ispiriamo. I nostri principali competitors, a noi vicini e confrontabili, sono Svizzera, Spagna, Francia e Svezia, mentre oltre l’Europa, tra i paesi OCSE, possiamo annoverare il Giappone, l’Australia e la Corea del Sud, che negli ultimi è stata protagonista di notevoli miglioramenti. Purtroppo però si prevedono nubi all’orizzonte: Sicuramente controversa è invece la proiezione in futuro di alcuni indicatori che gettano già oggi forti preoccupazioni, parametri che riguardano in modo particolare l’invecchiamento, l’impatto per il Sistema Sanitario Nazionale delle malattie croniche, quali demenza senile e diabete, e i rischi emergenti per le categorie portatrici di fattori di rischio, quali i livelli di obesità infantile. Tutti questi fattori avranno un peso forte sulla futura erogazione dei servizi.

Si prevede quindi un potenziale peggioramento del quadro generale, anche dal punto di vista del carico economico collegato ai costi delle prestazioni. Questo è in particolare riferito alle persone fragili. Nei confronti internazionali, i costi delle spese private per i soggetti che dovrebbero invece usufruire dei servizi coperti dal SSN sono in forte aumento. Anche le liste d’attesa rappresentano un fattore di preoccupazione per il nostro sistema.

La pandemia ha scoperto questi nervi tesi e ha inevitabilmente suscitato nuove sfide da affrontare, legate anche alla crescente carenza di personale nel settore sanitario. La digitalizzazione, rispetto agli anni scorsi, ci permette di valutare con maggiore frequenza gli indicatori in grado di “fotografare” in tempo reale la situazione del nostro sistema, che sicuramente è sotto sforzo e che sta lanciando preavvisi di allarme.

Altro ambito particolarmente preoccupante è rappresentato dal divario tra regioni: non solo tra regioni, ma anche tra territori inseriti in una stessa regione. In Lombardia, ad esempio, abbiamo un’aspettativa di vita media di 81 anni, ma una variabilità tra province di 79- 82 anni, che può ulteriormente diversificarsi nelle aree più deprivate. Questa variabilità di risultati, che per molti indicatori possono comportare differenze di decine di punti percentuali, è estremamente preoccupante per il futuro della nostra sanità decentrata.

8 giugno 2023

Alcune novità legislative per le Regioni

Il 29 maggio 2023 è stato pubblicato il DL n. 57 che concerne le misure urgenti per gli enti territoriali e la tempestiva attuazione del PNRR per il settore energetico.

A questo proposito andrà segnalato un elemento importante per le strutture associate che riguarda, innanzitutto, gli enti del servizio sanitario della regione Calabria, i quali potranno adottare il bilancio d’esercizio 2023 entro il 30 giugno 2023 e deliberare i bilanci pregressi entro il 31dicembre 2024.

Tutto ciò sarà possibile in virtù delle informazioni contabili aziendali e di quelle depositate nel Nuovo Sistema Informativo Sanitario.

Per quanto concerne le regioni e le provincie autonome di Trento e Bolzano che per il 2021 non si siano avvalse della facoltà prevista dall’art. 1, comma 495, della Legge 178/2020 – il quale prevedeva che le stesse in funzione dell’andamento del Covid potevano sospendere le attività ordinarie e riconoscere alle strutture private accreditate destinatarie di apposito budget fino ad un massimo del 90% del budget assegnato nel 2021 nell’ambito degli accordi e dei contratti – possono concedere
un contributo una tantum alle strutture private accreditate, quale ristoro per i costi fissi sopportati a seguito delle eventuali sospensioni delle attività ordinarie.

Il contributo può essere concesso con alcune restrizioni in quanto può provenire solo da risorse presenti nel bilancio autonomo regionale e non può gravare sul SSN; è necessario uno specifico provvedimento regionale; non può superare il 90% del budget assegnato per l’anno 2021; se la produzione del volume di attività è superiore al 90%, non si da luogo al contributo e il riconoscimento si parametra all’effettiva produzione nell’ambito del budget assegnato per l’annualità.

Ancora per le regioni a statuto ordinario che hanno un disavanzo pro capite al 31.12.2021 superiore ad € 1.500 possono ripianarlo dal 2023.

A tal proposito è necessaria una delibera consiliare che preveda un piano di rientro, con parere del collegio dei revisori. La delibera andrà allegata al bilancio di previsione 2023/2025 unitamente all’impegno da parte della regione di evitare ulteriori disavanzi.

Se l’impegno non verrà rispettato il ripianamento pluriennale decadrà. Inoltre, il Presidente della Giunta Regionale dovrà trasmettere al Consiglio una relazione semestralmente concernente lo stato del piano di rientro.

avv. Maria Antonella Mascaro

7 giugno 2023

Mobilità sanitaria interregionale: pubblicati i dati aggiornati al 2020

Pubblicato dall’Osservatorio presso la Fondazione GIMBE, il Report dedicato al tema della mobilità sanitaria interregionale nell’anno 2020 (edizione marzo 2023).

Il documento introduce il tema della mobilità sanitaria interregionale, ricordando come il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) garantisca l’assistenza ai cittadini iscritti presso le strutture sanitarie della propria Regione di residenza. Tuttavia, ogni paziente può comunque esercitare il diritto di essere assistito anche in altre Regioni.

Il fenomeno si distingue in:

  •  Mobilità attiva: identifica l’indice di attrazione di una Regione, ovvero le prestazioni sanitarie erogate a cittadini non residenti.
  • Mobilità passiva: esprime l’indice di fuga da una Regione, ovvero le prestazioni sanitarie erogate ai cittadini in Regione diversa da quella di residenza.

Orbene, dopo una analisi accurata dei vari profili inerenti al tema, anche mediante l’ausilio di schede grafiche, il documento conclude che il valore della mobilità sanitaria interregionale nel 2020 è stato pari a € 3.330,47 milioni, ossia a una percentuale apparentemente contenuta (2,75%) della spesa sanitaria totale. Ciò nondimeno, essa assume particolare rilevanza perché:

  • impatta sull’equilibrio finanziario di alcune Regioni, sia in saldo positivo, sia in saldo negativo;
  • oltre il 50% dei ricoveri e prestazioni ambulatoriali in mobilità viene erogato da strutture private accreditate;
  • incide sui residenti nelle Regioni in cui la carente offerta di servizi induce a cercare risposte altrove.

I flussi economici della mobilità sanitaria si registrano, per lo più, da Sud a Nord e in particolare verso le Regioni che hanno già sottoscritto i pre-accordi con il Governo per la richiesta di maggiori autonomie.

6 giugno 2023

Aggiornamenti ANAC per l’attestazione di assolvimento degli obblighi di pubblicazione

In continuità con quanto pubblicato nel mese di ottobre 2022 per gli adempimenti richiesti alle strutture dall’ANAC si deve far riferimento alla delibera n. 203 del 17.5.2023 che si allega al presente comunicato.

L’ANAC ha fornito indicazioni relative alla predisposizione dell’attestazione concernente l’assolvimento degli obblighi di pubblicazione dei dati.

In particolare, il documento illustra gli obblighi di pubblicazione oggetto di attestazione per le diverse tipologie di enti, pubblici e privati, e fornisce indicazioni sulle modalità di predisposizione delle
attestazioni da parte degli OIV, o degli organismi con funzioni analoghe.

La delibera contiene, inoltre, indicazioni sull’attività di vigilanza da parte dell’ANAC che sarà effettuata nel corso del 2023 anche a seguito
dell’analisi degli esiti delle predette attestazioni.  

Ciò riguarda la disciplina relativa all’accesso civico, agli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, contenuta nel D.Lgs. 33/2013, che è stata estesa, in quanto compatibile, alle associazioni, alle fondazioni e agli enti di diritto privato, anche privi di personalità giuridica, con bilancio superiore a 500.000,00 euro, che svolgono funzioni amministrative, erogano servizi pubblici, svolgono attività di produzione di beni e servizi a favore di pubbliche amministrazioni (secondo quanto previsto dall’art. art. 2-bis, comma 3, secondo periodo, D.Lgs. 33/2013).

Pertanto fra i soggetti tenuti all’attestazione di cui alla delibera rientrano anche le strutture private accreditate che presentino un bilancio superiore a 500.000,00 euro.   

Al fine di verificare l’effettiva pubblicazione dei dati previsti dalla normativa, l’ANAC ha individuato specifiche categorie di dati dei quali gli Organismi Indipendenti di Valutazione (OIV), o gli organismi con funzioni analoghe nelle amministrazioni e negli enti di diritto privato che non siano dotati di un OIV, sono tenuti ad attestare la pubblicazione entro il 30 giugno 2023, precisando che l’attestazione, completa della scheda delle verifiche di rilevazione, dovrà essere pubblicata sul sito web delle strutture entro il 31 luglio 2023.

Il documento dovrà contenere un’attestazione relativa all’assenza di filtri e/o altre soluzioni tecniche finalizzate ad impedire ai motori di ricerca web di indicizzare ed effettuare ricerche all’interno delle predette sezioni.

Di conseguenze gli OIV o i soggetti analoghi dovranno attestare che la pubblicazione dei dati sia avvenuta al 30.6.2023 in particolare per:

  1. Attività e procedimenti, ai sensi dell’art. 35 D.lgs. n. 33/2013;
  2.  i bilanci, ex art. 29 del D.lgs. n. 33/2013;
  3.  i servizi erogati, ex art. 32 del D.lgs. n- 33/2013 e, solo per il SSN, anche ex art. 41, comma 61 del D.lgs n. 33/2013.

Successivamente, entro il 31 luglio 2023, gli enti dovranno pubblicare le attestazioni e le schede delle verifiche di rilevazione predisposte sul proprio sito web, dandone specifica evidenza nella home page.  Nel caso in cui non esista un proprio sito, l’attestazione potrà essere pubblicata nella sezione “Amministrazione trasparente” dell’amministrazione per cui svolgono funzioni amministrative, erogano servizi pubblici e svolgono attività di produzione di beni e servizi.

Le verifiche sull’assolvimento degli obblighi di trasparenza dovranno essere effettuate tramite una applicazione web messa a disposizione da ANAC previa registrazione. Ciò permetterà di documentare la pubblicazione dei dati e la loro completezza.

Sempre attraverso applicazione si dovranno aggiornare le schede di monitoraggio aggiornate al 30.11.2023 (adempimento previsto già per l’anno precedente), scheda che andrà pubblicata per il 10.12.2023 nella sezione “Amministrazione trasparente”.

Acop monitorerà le evoluzioni per gli eventuali vari aggiornamenti.

avv. Maria Antonella Mascaro

5 giugno 2023

SICILIA: BONUS ENERGIA
Un importante risultato per ACOP Sicilia. L’Assessore alla Sanità Siciliana, la Dott.ssa Volo, con delibera n.460 del 2023 ha recepito quanto previsto dal decreto legge n. 144 del 23/09/23.

Nel decreto il Governo nazionale assegnava risorse aggiuntive alle regione a copertura dei maggiori costi sostenuti per l’energia.

Per l’Ospedalita’ Privata è previsto un contributo una tantum pari allo 0,8% del tetto di spesa del 2022.

Per le Case di Cura Siciliane il contributo complessivo è di oltre 4.4milioni di euro, sicuramente insufficiente a coprire gli incrementi stimati 5 volte superiori ma ancora una volta la Regione è si dimostrata sensibile alle problematiche del comparto ospedaliero sollevate da Acop come fu per il rinnovo del CCNL e dei rimborsi Covid.

31 maggio 2023

Illecito l’invio di una e-mail contenente dati sanitari a un indirizzo non appartenente all’interessata

Con Provvedimento, Registro dei provvedimenti n. 85 del 23 marzo 2023, il Garante della Protezione dei Dati Personali (GPDP) ha deciso su un reclamo relativo alla trasmissione, da parte di una ASL, di una e-mail rivolta alla reclamante a un indirizzo e-mail non appartenente alla stessa.

La comunicazione, oltre ai dati anagrafici della reclamante, affetta da patologie non curabili nel territorio della Regione, conteneva il provvedimento con il quale l’Ufficio ricoveri extra regione ne autorizzava il ricovero extra regione e, dunque, l’indicazione dell’Istituto ospedaliero presso il quale effettuare le cure mediche e una serie di altri elementi, come, a esempio, la presenza dell’accompagnatore.

Nel provvedimento, il GPDP ha, innanzitutto, ricordato la nozione di “dati relativi alla salute”, ossia dati personali attinenti alla salute fisica o mentale di una persona fisica, compresa la prestazione di servizi di assistenza sanitaria, che rivelano informazioni relative al suo stato di salute.

Successivamente, l’Autorità ha evidenziato che la disciplina di settore prevede – in ambito sanitario – che le informazioni sullo stato di salute possono essere comunicate a terzi sulla base di un idoneo presupposto giuridico o su indicazione dell’interessato stesso, previa delega scritta di quest’ultimo.

In ogni caso, peraltro, è obbligatorio il rispetto dei principi di integrità e riservatezza.

Sulla base delle premesse giuridiche, il GPDP ha giudicato la condotta della ASL, di comunicazione di dati relativi alla salute della reclamante, contrastante con i principi di base ricordati e, in definitiva, di trattamento illecito di dati personali, con conseguente condanna della ASL a sanzione amministrativa pecuniaria e a sanzione accessoria

30 maggio 2023

Le novità in “pillole” sulla sanità del DL Bollette.

Il Dl Bollette è diventato legge con l’approvazione definitiva in Senato.

In sintesi: mancano norme sulle misure strutturali per la sanità; si va verso una esternalizzazione dei servizi; è prevista una riduzione della base imponibile del contributo sugli extraprofitti energetici; scudo fiscale per omessi versamenti Iva.

Quali sono i risvolti per la sanità? Le novità più rilevanti riguardano, innanzitutto l’istituzione di un fondo per le regioni e le province autonome, cui poter attingere, in caso di superamento dei tetti di spesa dei dispositivi medici. Ai fini, poi, del ripianamento del fondo è prevista la possibilità di finanziamenti, assistiti da garanzia, del Fondo istituito presso il Mediocredito.

Viene disciplinato l’affidamento a terzi dei servizi medici ed infermieristici per sopperire alle carenze di organico con limiti e modalità. I medici “gettonisti” potranno essere impiegati nei servizi di emergenza-urgenza e anche negli altri reparti. È stato comunque previsto che i servizi potranno essere affidati ai gettonisti per un periodo non superiore a 12 mesi. Secondo il Ministro della Salute la misura era necessaria per disciplinare il settore evitando abusi.  A tale proposito le Asl e gli enti del SSN possono ricorrere alle prestazioni aggiuntive previste dalla contrattazione collettiva nazionale per il personale medico ed infermieristico.

Si stabilisce un regime temporaneo per l’ammissione ai concorsi per l’accesso ai concorsi dirigenziali della medicina di emergenza. La disciplina transitoria in tema di stabilizzazione viene estesa al personale tecnico e professionale.

Anche per i medici specializzandi e altri professionisti in corso di specializzazione vi è una modifica in tema di reclutamento che sarà possibile a tempo determinato e con orario a tempo parziale. La deroga riguarda anche coloro che intendano esercitare una professione medica, sanitaria o un’attività di interesse sanitario presso strutture sanitarie o socio-sanitarie pubbliche, o private accreditate o puramente private, in base a qualifiche professionali conseguite all’estero.

Particolare deregulation per il settore della medicina sportiva e per la professione di odontoiatra.

Per questi ultimi laureati, anche per i medici chirurghi abilitati alla professione di odontoiatria, viene abolito il requisito della specializzazione ai fini della partecipazione ai concorsi pubblici per dirigente medico odontoiatra e ai fini dell’accesso alle funzioni di specialista odontoiatra ambulatoriale del SSN.

Peraltro è consentito loro di esercitare alcune attività di medicina estetica e viene abrogata l’impossibilità di iscriversi in due diversi Albi.

Ulteriore introduzione di sanzioni per le lesioni non aggravate procurate agli esercenti le professioni socio-sanitarie nell’esercizio delle funzioni e la possibilità di istituire presidi fissi di Polizia di Stato presso le strutture ospedaliere pubbliche e convenzionate dotate di un servizio di emergenza-urgenza.

29 maggio 2023

Sanità e Metaverso

La pandemia di Covid-19 ha spinto il settore sanitario verso una rapida digitalizzazione grazie all’ascesa della teleassistenza, della diagnostica a distanza, dell’Intelligenza Artificiale predittiva e della tecnologia indossabile.

Le tecnologie emergenti ed immersive come la Realtà Aumentata e la Realtà Virtuale stanno diventando sempre più di routine per la formazione professionale, l’assistenza chirurgica e il trattamento di disturbi psicologici e neurologici. Nel settore farmaceutico e dei dispositivi medici queste tecnologie stanno accelerando la scoperta di farmaci e ottimizzando la produzione e l’efficienza della supply chain.

Quali sono gli altri vantaggi che queste tecnologie immersive potrebbero apportare?

Ad esempio il Metaverso potrebbe migliorare l’accesso alle cure per tutti i pazienti, indipendentemente dalla loro ubicazione. L’uso della telemedicina ha avuto un’impennata di popolarità durante la pandemia di Covid 19 e da allora la domanda di soluzioni digitali per accedere ai servizi sanitari è rimasta elevata. L’accesso alle cure per le persone disabili o anziane potrebbe migliorare in modo significativo.

I consulti di telemedicina attraverso la Realtà Virtuale consentirebbero ai pazienti di accedere ai migliori specialisti ovunque, senza limitazioni legate alla posizione geografica. La holoportation – una nuova tecnologia per la “cattura” dei modelli 3D di individui, riprodotti con una qualità elevata – potrebbe potenzialmente permettere a medici e pazienti di condividere lo stesso spazio virtuale e persino di esaminare un paziente attraverso una proiezione 3D.

Le farmacie virtuali, inoltre, potrebbero consentire ai pazienti di ritirare le prescrizioni direttamente nel metaverso e di farsi consegnare i farmaci a casa. La catena di farmacie statunitense CVS ha già depositato nel Metaverso  il proprio marchio e quelli dei suoi prodotti virtuali e dei servizi sanitari.

Di contro, l’accesso da remoto ai servizi sanitari nel Metaverso è legato alla disponibilità tecnologica degli utenti, che non è uniforme.

Inoltre, non tutti i pazienti hanno già un atteggiamento positivo nei confronti di un eventuale trattamento online o a distanza. Le fasce di età più anziane hanno difficoltà ad adattarsi e ad abbracciare le moderne tecnologie.

Infine, l’uso della telemedicina e la realizzazione di ospedali virtuali comportano problemi di riservatezza dei pazienti. Saranno necessari sistemi di sicurezza avanzati per garantire che i dati dei pazienti siano accessibili solo al personale ospedaliero abilitato.

26 maggio 2023

Sanità e Metaverso

La pandemia di Covid-19 ha spinto il settore sanitario verso una rapida digitalizzazione grazie all’ascesa della teleassistenza, della diagnostica a distanza, dell’Intelligenza Artificiale predittiva e della tecnologia indossabile.

Le tecnologie emergenti ed immersive come la Realtà Aumentata e la Realtà Virtuale stanno diventando sempre più di routine per la formazione professionale, l’assistenza chirurgica e il trattamento di disturbi psicologici e neurologici. Nel settore farmaceutico e dei dispositivi medici queste tecnologie stanno accelerando la scoperta di farmaci e ottimizzando la produzione e l’efficienza della supply chain.

Quali sono gli altri vantaggi che queste tecnologie immersive potrebbero apportare?

Ad esempio il Metaverso potrebbe migliorare l’accesso alle cure per tutti i pazienti, indipendentemente dalla loro ubicazione. L’uso della telemedicina ha avuto un’impennata di popolarità durante la pandemia di Covid 19 e da allora la domanda di soluzioni digitali per accedere ai servizi sanitari è rimasta elevata. L’accesso alle cure per le persone disabili o anziane potrebbe migliorare in modo significativo.

I consulti di telemedicina attraverso la Realtà Virtuale consentirebbero ai pazienti di accedere ai migliori specialisti ovunque, senza limitazioni legate alla posizione geografica. La holoportation – una nuova tecnologia per la “cattura” dei modelli 3D di individui, riprodotti con una qualità elevata – potrebbe potenzialmente permettere a medici e pazienti di condividere lo stesso spazio virtuale e persino di esaminare un paziente attraverso una proiezione 3D.

Le farmacie virtuali, inoltre, potrebbero consentire ai pazienti di ritirare le prescrizioni direttamente nel metaverso e di farsi consegnare i farmaci a casa. La catena di farmacie statunitense CVS ha già depositato nel Metaverso  il proprio marchio e quelli dei suoi prodotti virtuali e dei servizi sanitari.

Di contro, l’accesso da remoto ai servizi sanitari nel Metaverso è legato alla disponibilità tecnologica degli utenti, che non è uniforme.

Inoltre, non tutti i pazienti hanno già un atteggiamento positivo nei confronti di un eventuale trattamento online o a distanza. Le fasce di età più anziane hanno difficoltà ad adattarsi e ad abbracciare le moderne tecnologie.

Infine, l’uso della telemedicina e la realizzazione di ospedali virtuali comportano problemi di riservatezza dei pazienti. Saranno necessari sistemi di sicurezza avanzati per garantire che i dati dei pazienti siano accessibili solo al personale ospedaliero abilitato.

25 maggio 2023

L’OBLIO ONCOLOGICO

La Comunità Europea ha chiesto a tutti gli stati membri di avere entro il 2025 una legge che riguarda l’oblio oncologico, cioè il diritto soggettivo secondo il quale le persone guarite dal cancro possono scegliere di non fornire informazioni sulla loro malattia pregressa, evitando così di ricordare la propria storia clinica.

La legge dovrà riguardare il malato oncologico guarito da dieci anni e da cinque se si tratta di under ventuno.

L’emanazione di questa legge provocherà non pochi problemi, poiché si dovrà trovare un accordo con le Regioni e le associazioni dei malati per individuare le modalità per il rispetto del diritto all’oblio oncologico, coinvolgendo tutte le strutture interessate. Queste saranno obbligate dalla legge a non rendere disponibili i dati e le informazioni relative alla persona guarita dal tumore.

Il punto, come sempre, in campo di privacy e tutela dei dati sensibili, è assicurarsi che chi detiene le informazioni sugli ex pazienti neghi l’accesso a qualunque tipo di informazione sulle pregresse malattie.

Ci si potrebbe chiedere perché è così importante l’oblio, la cancellazione di questi dati. La risposta è più semplice di ciò che appare, perché l’interlocutore dell’ex paziente oncologico potrebbe essere condizionato dalla conoscenza di avere di fronte una persona che in passato era malata di cancro. Ad esempio un datore di lavoro, oppure un intermediario finanziario che deve erogare un mutuo o un prestito sarebbe certamente condizionato dalla persona che ha di fronte al punto tale di non assumerlo oppure di non fargli credito.

Questi pericoli devono essere scongiurati, come avviene già in alcuni paesi europei maggiormente antesignani e progressisti, ma il monito della Comunità Europea non è indifferente all’Italia, dove esistono già quattro disegni di legge che dovranno confluire in un testo unico.

Certamente la tecnologia immagazzina tutto ed è difficile cancellare completamente la memoria di un database.

Gli ex pazienti di tumore sono oltre un milione di persone. Ci sono ancora molte difficoltà sulla conoscibilità da parte di terzi del passato di una persona e anche il Piano Oncologico Nazionale prevede di rimuovere ogni ostacolo che possa generare disuguaglianze.

Il Ministro della Salute assicura che ci sarà convergenza fra le forze di maggioranza e di opposizione su un testo che accontenti tutti, ma intanto lo scetticismo è grande perché la tecnologia, grande agevolatore dei nostri tempi, non consente intimità, privacy, riservatezza.

avv. Maria Antonella Mascaro

24 maggio 2023

Il blocco della riforma delle specializzazioni sarà un danno per medici e pazienti

“Le pressioni di alcuni Universitari sul Governo italiano affinché revochi la riforma epocale del sistema formativo medico, rischiano di arrecare un gravissimo danno sia al diritto dei medici a una adeguata formazione sia a quello alla salute dei cittadini”

La Conferenza Permanente delle Facoltà e delle Scuole di Medicina e Chirurgia e la Conferenza Permanente dei Collegi di Area Medica presentano una mozione con modifiche al decreto Bollette di recente approvato in prima lettura dalla Camera.

Nel testo, in particolare, si esprime “forte preoccupazione” per gli effetti che il provvedimento potrebbe comportare sulla “corretta attuazione del percorso formativo degli assistenti in formazione delle Scuole di Specializzazione di area medica”. E questo perché ai fini di un’adeguata formazione, “la frequenza degli assistenti in formazione presso i presidi ospedalieri e le strutture territoriali del Servizio Sanitario Nazionale debba prevedere un’adeguata rotazione tra le strutture delle reti formative delle Scuole di Specializzazione accreditate in base ai requisiti strutturali e di qualità di cui ai citati D.I. 68/2015 e 402/2017, tra l’altro obbligatoriamente prevista dal DI 138/2023 e che tale rotazione sarebbe di fatto resa impossibile dall’assunzione dal medico in formazione specialistica presso una singola struttura dal terzo anno in poi”.

Viene ritenuto “legittimo e necessario” mantenere la possibilità per il SSN di assumere a tempo determinato i medici in formazione specialistica, secondo quanto già disposto dalla manovra 2019 e così come già previsto fino a tutto il 2025 ed “eventualmente prevedere un ulteriore proroga a tutto il 2026, anno in cui l’aumento delle borse per i contratti dei medici informazione specialistica messo in essere dal 2021 in poi produrrà i suoi effetti in termini di aumento reale del numero degli specialisti disponibile, ma che non esiste alcuna giustificazione ad ulteriori proroghe di una norma evidentemente emergenziale al momento che l’emergenza non è più presente”.

E, proprio alla luce di questo, viene evidenziata “l’irritualità dell’inserimento di una norma senza alcun carattere di urgenza, stante che ad oggi a possibilità per il SSN di assumere a tempo determinato i medici in formazione specialistica”.

Infine, un’ulteriore criticità riguarda l’abolizione del requisito della specializzazione per l’accesso ai ruoli della dirigenza medico in ambito odontoiatrico. Il timore è che questo “possa determinare un abbassamento del livello formativo dei dirigenti odontoiatri e degli specialisti ambulatoriali e come la normativa proposta possa mettere in dubbio il necessario e doveroso mantenimento dei dirigenti odontoiatri privi di specializzazione nell’ambito contrattuale della dirigenza medica”.

Alla luce di ciò si chiede in sede di conversione in legge del decreto che il comma 1 dell’articolo 14 sia eliminato o preveda in alternativa “una proroga, al massimo, fino a tutto l’anno 2026, ai fini della salvaguardia della qualità della formazione medica specialistica e dell’assistenza erogata dal nostro SSN; l’art 15-ter, ove mantenuto cosi come proposto dalle commissioni, preveda, ai fini concorsuali, un’adeguata valorizzazione dei titoli di specialista in disciplina odontoiatrica e l’esplicita ed inderogabile permanenza dei dirigenti odontoiatri nell’ambito della dirigenza medica”.

“Il decreto Calabria, pur garantendo adeguato spazio anche alla formazione teorica svolta presso le Università, che continuano a svolgere un ruolo di coordinamento delle attività didattiche e di ricerca, ha scardinato il vecchio paradigma formativo italiano, in precedenza polarizzato verso un insegnamento esclusivamente teorico, incentrando la formazione specialistica dei medici verso l’insegnamento pratico che in medicina appare di importanza imprescindibile”.

23 maggio 2023

Antibiotici a rischio

Il 29 maggio si terrà un vertice che vedrà coinvolte Farmindustria, Aifa e il Ministero della Salute sull’annosa questione farmaci e relative carenze di disponibilità.

I prezzi bloccati hanno eroso i margini della produzione industriale farmaceutica e, pertanto, come nel post Covid è accaduto per principi attivi come azitromicina e ibuprofene, ora è a rischio l’amoxicillina: un principio attivo fra i più noti e usati da tutte le fasce di età, soprattutto dai bambini.

La problematica riguarda un pò tutta la produzione di antibiotici, dal momento che le spese per le aziende produttrici sono aumentate del 50%, considerando packaging, distribuzione, costi energetici e non ultima l’inflazione.

Citando dati del Sole 24 ore: il maggiore produttore italiano di amoxicillina che deteneva il 40% delle quote di mercato ha interrotto la produzione per scarsa convenienza. L’antibiotico, in generale, l’amoxicillina, in particolare, è per il 90% a carico del SSN.

Il dato significativo è che da grossi produttori di questo principio attivo, le importazioni sono aumentate di oltre il 15% e la maggior parte provengono dalla Cina e dall’India, due paesi che stanno diventando leader nella produzione.

Quanto sta accadendo ha notevoli ricadute sulla nostra economia, non solo dal punto di vista del PIL, ma anche per l’aumento ponderale delle importazioni rispetto alle esportazioni su questo prodotto. Dunque si dovrebbero attuare politiche protezioniste, a favore delle industrie del farmaco, rendendole attrattive, poiché è ovvio che nella politica di mercato l’imprenditore agisce nella logica del profitto e questo viene meno con l’aumento vertiginoso dei costi.

Il rischio del blocco o del taglio del prezzo del farmaco per l’imprenditore comporta la diminuzione o l’annullamento della produzione, ma per le famiglie diventerebbe un sovraccarico, considerando che il costo aggiuntivo potrebbe ricadere su di loro.

Contemperare le diverse esigenze è sempre difficile, ma il problema non è piccolo considerato che è l’argomento cardine del summit del 29 maggio.

Si seguirà l’evento con grande attenzione. Nel frattempo i farmacisti ospedalieri e quelli preparatori (SIFO e SIFAP) hanno pubblicato utili istruzioni per la preparazione del farmaco amoxicillina, affinché il paese non ne rimanga privo, ma le preparazioni galeniche sono sottoposte a diverse procedure ed autorizzazioni.

avv. Maria Antonella Mascaro

22 maggio 2023

Prenotazioni scritte a mano

Esami che viaggiano su carta. Tempi dilatati. Dopo l’attacco ransomware di inizio maggio, l’Asl 1 dell’Abruzzo è tornata all’anno zero dell’informatica. La violazione perpetrata dalla cybergang Monti ha portato al furto di 522 giga di dati sanitari, tutti diffusi in rete, e al blocco degli apparati dell’azienda sanitaria locale di Avezzano, Sulmona e L’Aquila. A due settimane da quando i criminali hanno rivendicato online l’attacco, l’operatività quotidiana in Asl 1 arranca ancora.

Quella subìta dall’azienda sanitaria locale è una delle più gravi violazioni della privacy mai avvenute in Italia, come ha certificato l’Agenzia nazionale per la cybersicurezza, i cui esperti sono intervenuti a sostegno dell’azienda sanitaria. La gang Monti ha messo le mani su dati personali delicatissimi: analisi genetiche, valutazioni psicologiche di minori, cartelle cliniche di persone affette da Hiv, documenti del reparto di neonatologia o di quello di trapianti. E poi le informazioni dei dipendenti della Asl, documenti riconducibili ad appalti pubblici e acquisti, password e chiavi di accesso ai sistemi informatici. Un bottino che dal 15 maggio è stato diffuso in rete nella sua interezza, dopo che i criminali non hanno ottenuto il riscatto che reclamavano per decrittare i dati rubati. Un meccanismo chiamato doppia estorsione: i criminali sottraggono le informazioni, le esfiltrano e le mettono sotto chiave. A quel punto o la vittima paga o i dati finiscono in rete.

Oltre a questo danno la Asl 1 paga conseguenze sulla tenuta delle sue infrastrutture informatiche, messe ko dall’attacco. Il ripristino procede a rilento. Tra il 17 e il 18 maggio in parte è stata sbloccata la situazione dei centri unici di prenotazione, ma dentro i presidi ospedalieri e negli uffici amministrativi la situazione è bloccata.

La Asl 1 dell’Abruzzo impiega circa quattromila persone, tra personale medico, infermieristico, amministrativi e altre figure. Serve un bacino di 320mila persone nella provincia dell’Aquila, che da sola occupa circa la metà del territorio regionale. A essa fanno capo quattro ospedali e due presidi territoriali di assistenza (pta). Una macchina ferma da due settimane, che fatica a ripartire. “L’attacco ha messo in ginocchio il sistema.

Nemmeno i lavoratori dell’Asl 1 dell’Abruzzo hanno idea di quando la situazione tornerà alla normalità. I dipendenti della divisione informatica sono una decina e l’azienda sanitaria si è rivolta a una società di Roma per le attività di ripristino. Le ripercussioni del blocco comportano anche i mancati pagamenti ai fornitori, lo stop alle gare e agli appalti, difficoltà a processare i ticket dei pazienti. E poi ci sono i rischi, gravissimi, per i pazienti. Ricatti per non diffondere informazioni delicate, come una infezione da Hiv o un aborto. Oppure trappole costruite usando i documenti pre-compilati dalla Asl per mietere altre vittime.

18 maggio 2023

Dall’infermiere di famiglia alla intelligenza artificiale

Si è già affrontato da parte di Acop il tema: infermiere di famiglia e di comunità (acronimo IFeC), nuova figura professionale, introdotta nel 2020 per potenziare l’assistenza territoriale, da una legge dello
Stato che ha stanziato appositi fondi.

La nuova figura professionale dovrebbe fare da ponte fra la medicina territoriale esercitata dai medici e pediatri di base, dalle ASL o dagli ambulatori e il domicilio del paziente. In sostanza una figura di assistenza, di facilitazione, presente in ambito locale. Non si occupa unicamente di prestazioni di routine, ma anche del miglioramento dello stile di vita del paziente, letteralmente recandosi presso il suo domicilio.

Come avviene con il medico di famiglia, l’infermiere di famiglia e comunità dovrebbe essere in numero di uno ogni tremila abitanti, dunque la legge prevedeva l’assunzione di 9.600 persone, mentre i dati ufficiali di Agenas, di aprile/giugno 2021, riportano 1.062 infermieri di famiglia assunti sul territorio di 14 regioni. I dati sono sostanzialmente conferenti e si discostano di poco da quelli indicati dal Ministero, poiché si parla di 1.380 assunti, all’epoca, a fronte del 9.600 previsti e finanziati anche dal PNRR.

Ad oggi si stimano circa 3.000 infermieri di famiglia e comunità assunti, ma non in tutte le regioni, numero ben al di sotto di un terzo rispetto a quelli indicati e previsti dalla legge.

Un vero peccato, fra i tanti, se si pensa anche all’utilità della figura professionale, specialmente quando un paziente è in dimissione dall’ospedale, poiché, molto spesso ancora non autosufficiente e bisognoso di cure anche quotidiane che non gli permettono spostamenti e che devono essere rese a domicilio.

Nell’ambito dei LEA il DPCM 12.2.2017, all’art. 22 prevede che lo stato garantisca alle persone non autosufficienti e in condizioni di fragilità, con patologie in atto o esiti delle stesse, prestazioni domiciliari, anche infermieristiche, a seconda delle condizioni di salute.

Il medico di base, in genere, fa istanza alla ASL, ma la prestazione e/o l’intervento dell’infermiere di famiglia possono essere richiesti, anche, dal paziente stesso o da un suo stretto familiare.

La questione è di notevole pregio ed importanza per la somministrazione di cure palliative e della terapia del dolore, soprattutto in ambito oncologico.

In questo campo giova ricordare quanto l’uso della tecnologia abbia fatto passi da gigante. Dall’uso delle app ai computer, fino alla telemedicina, per non parlare dell’ascesa di ChatGPT, l’ondata tech può davvero dare una risposta concreta ai problemi dei pazienti domiciliati.

Sull’intelligenza artificiale applicata a questo campo è in atto uno studio presso l’Istituto Pascale di Napoli, dove un gruppo di
medici anestesisti esperti in terapia del dolore, sta offrendo ai pazienti affetti da dolore oncologico, il supporto dell’intelligenza artificiale per rendere oggettive le loro percezioni, attraverso la telemedicina.

E’ stato dimostrato, per esempio, come ansia, paura e stress possano aumentare la percezione del dolore, mentre altri soggetti tendono a sottovalutare l’entità del sintomo. In entrambi gli scenari la calibrazione della terapia diventa una problematica complessa.

Allora figure di collegamento, di facilitazione, ponte, se così si può definirle, come l’infermiere di famiglia possono non solo essere fondamentali per la cura del paziente a domicilio, ma diventare il collante fra l’applicazione della medicina tradizionale e quella “tecnologica”.

avv. Maria Antonella Mascaro

17 maggio 2023

Rottamazione quater

Con D.L. N. 51 del 10 maggio 2023, pubblicato il 10 maggio 2023 in Gazzetta
Ufficiale alla rubrica “Disposizioni urgenti in materia di amministrazione di enti
pubblici e società, di termini legislativi e di iniziative di solidarietà sociale” è stato prorogato il termine, stabilito legge di bilancio 2023 (n. 197 del 2022), concernente la presentazione delle domande relative alla cosiddetta rottamazione quater.

In particolare la domanda, per tutti coloro che intendano aderire alla definizione agevolata, dovrà essere presentata entro il 30 giugno 2023, anziché, come previsto precedentemente il 30 aprile 2023. La domanda è relativa ai carichi degli agenti della riscossione dal 1.1.2000 al 30.6.2022.

In altre parole tutti i debitori, destinatari di cartelle di pagamento entro il periodo indicato, possono, attraverso il portale dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione (www.agenziaentrateriscossione.gov.it), richiedere la definizione agevolata.

A sua volta l’Agenzia delle Entrate comunicherà la possibile definizione entro il 30.9.2023 (prima 30.6.2023).

Di conseguenza il pagamento potrà essere effettuato in un’unica soluzione entro il 31.10.2023 (prima 31.7.2023), oppure si potrà rateizzare l’importo fino ad un numero massimo di diciotto rate, di cui la prima e la seconda pari al 10% delle somme dovute con scadenza 31.10.2023, la prima e 30.11.2023, la seconda.

Le residue rate, di uguale ammontare, avranno scadenze 28 febbraio, 31 maggio, 31 luglio e 20 novembre di ciascun anno a decorrere dal 2024, con pagamento dell’interesse del 2% a decorrere dal 1.11.2023 (prima 1.8.2023).

16 maggio 2023

Il modello calabrese esportato anche in Sardegna

Dopo una lunga critica al Presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, per aver assunto, attualmente 52 medici cubani, fatto sul quale anche trasmissioni di inchiesta come Report e Presadiretta, si sono ricredute, il modello Calabria viene imitato ed esportato fuori regione.

Il problema è che non ci sono altre soluzioni, in attesa che governo e parlamento attuino una vera e propria riforma sanitaria, se come declamano da mesi, questa diventerà l’unica possibilità da perseguire, nel frattempo i territori regionali devono trovare una soluzione, criticabile o meno.

E allora, occorre domandarsi, meglio essere curati da medici specializzati anche esteri, oppure non essere curati e nei casi più gravi perire? La domanda è retorica!

Anche la Regione Sardegna apre al reclutamento di medici e infermieri stranieri. L’assessorato regionale alla sanità sarda ha emanato un pubblico avviso per costituire un elenco regionale dei professionisti disponibili e in possesso dei requisiti per l’esercizio temporaneo delle professioni sanitarie di medico e infermiere che vogliano esercitare l’attività sul territorio sardo secondo le prescrizioni della legge.

I professionisti potranno prestare la propria opera tanto nelle strutture pubbliche, quanto in quelle private accreditate, comprese case di cura, strutture residenziali per anziani, per minori, psichiatriche e delle dipendenze che fanno parte della rete regionale.

Ovviamente gli incarichi sono provvisori e anche per la documentazione ci sono differenze fra i cittadini dell’Unione Europea e quelli extracomunitari che dovranno essere dotati di permesso di soggiorno che consenta di svolgere attività lavorativa, ma la procedura per accedere all’elenco è semplificata e basta un invio alla pec certificata della regione sarda per essere valutati.

Da questi esempi ci si devono porre tante domande prima di criticare asetticamente.

I territori regionali, quelli del sud, in particolare sono in grave difficoltà e la soluzione tarda ad arrivare.

Medici a gettone, numero chiuso alle facoltà universitarie, riforma delle specializzazioni sono tutte tematiche che devono essere risolte dall’alto, ma nel frattempo i territori non posso stare con le braccia conserte.

avv. Maria Antonella Mascaro

15 maggio 2023

DDL semplificazione approvato in Consiglio dei Ministri.

“Abbiamo reso strutturale la ricetta elettronica, sia quella rossa che quella bianca – ha affermato il ministro della Salute Orazio Schillaci – molto apprezzata da cittadini e medici. Abbiamo ritenuto che fosse giusto porre fine alla sperimentazione e alle proroghe per semplificare il lavoro dei medici di famiglia e la vita dei cittadini, che non dovranno recarsi negli studi medici ma potranno ricevere la ricetta tramite mail o altri canali sul proprio cellulare”. Allo stesso tempo, per i medici di famiglia si alleggerisce il carico di lavoro amministrativo a vantaggio della cura dei pazienti.

Annullate quindi le attese negli studi dei medici di medicina generale per ricevere la prescrizione di un farmaco. Entra infatti a regime, dopo un periodo di sperimentazione, la ricetta elettronica o dematerializzata. La si potrà ricevere direttamente sul cellulare. Con una novità importante per i malati cronici: la ricetta dematerializzata sarà valida per un anno e permetterà di fare scorta di farmaci per 30 giorni di terapia, sempre in base alle indicazioni del medico.

Ricetta elettronica «strutturale», misure per far fronte alle carenze di medicinali, semplificazione della pubblicità dei farmaci e possibilità, per i dentisti, di eseguire attività di medicina estetica in specifiche parti del viso.

Lo stesso provvedimento opera sul fronte delle carenze di medicinali agevolando l’approvvigionamento dei farmaci. In particolare il provvedimento uscito dal Consiglio interviene per rendere disponibili medicinali di rilevanza clinica non ancora dotati di autorizzazione all’immissione in commercio (Aic) in un contesto regolamentato e per semplificare la pubblicità legale relativa ai farmaci, eliminando gli adempimenti connessi alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e consentendo la pubblicazione sul sito dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). Inoltre punta a semplificare le procedure autorizzative delle acque minerali naturali (destinate ad imbottigliamento e ad uso termale); ad «assicurare facilità di accesso dei cittadini ai servizi sanitari e sociali e garantire la presa in carico delle persone con cronicità»; e chiarisce alcune norme relative ai medicinali “transitati” dalla sezione A alla D del prontuario, all’obbligo per il farmacista di annotare sulle ricette la data di spedizione e il prezzo praticato e per prevedere l’obbligo di indicare sulla ricetta non ripetibile il codice fiscale del paziente solo ove lo stesso lo richieda.

Secondo quanto previsto nel disegno di legge per la semplificazione gli odontoiatri potranno effettuare anche le attività di medicina estetica non invasiva o mininvasiva, relative a specifiche parti del viso.

Maglie meno rigide rispetto alle previsioni iniziali per l’utilizzo dei medici gettonisti, possibilità di istituire posti di Polizia fissi negli ospedali e stabilizzazione dei ricercatori del Servizio sanitario nazionale. Arrivano invece dal decreto bollette, per il quale è stato completato l’esame degli emendamenti da parte delle commissioni riunite Finanze e Affari sociali della Camera, ulteriori cambiamenti in ambito sanitario. Il testo, con le modifiche apportate, approderà in Aula alla Camera il 17 maggio.

11 maggio 2023

Il ministero della Salute: sui medici a gettone nessun allentamento della stretta

È stato completato l’esame degli emendamenti da parte delle commissioni riunite Finanze e Affari sociali della Camera al testo del decreto bollette. Il testo, con le modifiche apportate, approderà in Aula alla Camera il 17 maggio per l’avvio della discussione generale. Confermata l?indennità per medici e infermieri dei servizi di emergenza-urgenza. L’indennità verrà coperta dall’1 giugno 2023 al 31 dicembre 2023 con un importo di 100 milioni di euro complessivi di cui 30 milioni per la dirigenza medica e 70 milioni per il personale del comparto sanità. È poi giunto il via libera alla possibilità di istituire postazioni fisse di Polizia nelle strutture ospedaliere per il contrasto degli episodi di violenza contro il personale sanitario, ciò in considerazione del “bacino di utenza e del livello di rischio della struttura”.

Sul fronte dei medici gettonisti, probabilmente la misura più attesa, si allenta la stretta inizialmente annunciata. Le aziende ospedaliere potranno infatti fare ricorso ai cosiddetti medici gettonisti non soltanto nei servizi di emergenza-urgenza ospedaliera, come si indicava nel testo iniziale del decreto, ma anche in altri reparti se necessario. I servizi potranno essere esternalizzati a medici a gettone solo per un periodo non superiore a dodici mesi, ed il personale medico e infermieristico utilizzato dovrà essere in possesso dei requisiti di professionalità contemplati dalle disposizioni vigenti. Non c’è alcun allentamento della stretta sui gettonisti. Questo governo, con la norma approvata nel decreto energia il 28 marzo, ha disciplinato in modo rigoroso il ricorso ai medici a gettone ponendo condizioni chiare per evitare l’abuso delle esternalizzazioni. È quanto precisa una nota del Ministero della Salute. L’emendamento approvato dalle commissioni riunite Finanze e Affari Sociali serve esclusivamente ad estendere la possibilità di deroga, per massimo 12 mesi, dell’attuale situazione anche agli altri reparti e non più soltanto ai Pronto soccorso. Con questa modifica si dà una risposta alle istanze arrivate dalle Regioni relative ad esternalizzazioni necessarie per fronteggiare le emergenze in tutti i reparti ospedalieri. Il ricorso ai gettonisti – continua la nota – sarà quindi consentito ormai per un periodo non superiore a 12 mesi, solo in caso di necessità e urgenza, verificata l’indisponibilità di personale interno e accertato il possesso dei requisiti professionali previsti per legge. Tale deroga di 12 mesi non avrà possibilità di proroga.

“Dovevamo mettere un freno a questa cosa e lo abbiamo fatto – ha commentato il ministro della Salute Orazio Schillaci – ora è chiaro che questo processo va portato a termine, ma con un minimo di attenzione. Se togliamo i gettonisti dall’oggi al domani, infatti, rischiamo di far franare qualche reparto e questo non lo vogliamo fare per i pazienti, ma è chiaro che il fenomeno dei gettonisti deve finire”. Critici i sindacati medici Cimo e Fp-Cgil, che parlano di “marcia indietro”.

Il decreto bollette emendato prevede, inoltre, che la tariffa oraria per le prestazioni aggiuntive sia aumentata fino a 100 euro anche al personale medico e infermieristico operante nei pronto soccorso pediatrici e ginecologici afferenti ai presìdi di emergenza-urgenza. Sul fronte delle aziende, poi, un emendamento approvato prevede che le industrie fornitrici di dispositivi medici che nell’ambito del payback sanitario non abbiano attivato contenziosi, possano estinguere il pagamento dovuto per gli anni 2015-2018 con “l’integrale e tempestivo versamento” della quota ridotta per loro prevista (pari al 48% dell’importo). Inoltre, sono previsti fino a 2 milioni di risorse per il 2023 per riconoscere alle start up innovative che si occupano di ambiente, energie rinnovabili e sanità un credito di imposta per le attività di ricerca e sviluppo.
Approvati anche gli emendamenti che prevedono la stabilizzazione dei ricercatori sanitari di Ircss pubblici e Izs. 

10 maggio 2023

Assemblea ACOP Calabria

Si è riunita oggi, presso la sede della Regione Calabria, l’Assemblea regionale di Acop Calabria.

Erano presenti tutte le case di cura e le strutture sanitarie calabresi. All’incontro ha partecipato anche il Governatore della Regione Calabria Roberto Occhiuto.

L’Assemblea è stata presieduta dal Presidente Nazionale on. Michele Vietti e, dopo una introduzione del Vicepresidente nazionale, avv. Enzo Paolini, l’on. Occhiuto ha illustrato il suo programma in materia di sanità regionale, con specifico riferimento ai rapporti con le case di cura private. In questo contesto, ha confermato la piena integrazione dell’ospedalità privata nell’ambito del SSN, ringraziando sia il Presidente Vietti, sia il Vicepresidente Paolini per il grande sostegno dato dalle case di cura private per il rilancio della Sanità nella regione calabrese.

In particolare ha ricordato la firma dei contratti triennali con l’impiego di risorse derivanti dal recupero della mobilità interregionale ed ha garantito il suo pieno sostegno a tutti gli interventi che la sanità privata calabrese sta mettendo in campo e continuerà a produrre sul versante della qualità.

Il Presidente Vietti ha ricordato che Acop nasce con una esplicita vocazione a collaborare con il SSN, in particolare in quelle regioni in difficoltà per carenze storiche, come la Calabria.

Il Presidente Vietti ha altresì confermato il convinto impegno di tutte le strutture private della Calabria per consentire la realizzazione degli ambiziosi programmi del Presidente Occhiuto, in termini di abbattimento delle liste di attesa e di recupero della migrazione sanitaria.

Il Vicepresidente Paolini ha sottolineato come, sulla base di un recente rapporto Innogea su dati Agenas, la Regione Calabria, da molti considerata la Cenerentola della sanità, è in realtà posizionata, per oltre il 50% degli indicatori, nella parte alta della classifica delle regioni.

In conclusione, dopo gli interventi di molti partecipanti, l’Assemblea ha confermato per acclamazione alla Presidenza regionale l’avv. Enzo Paolini, coadiuvato da un Consiglio di Presidenza composto dai cinque Presidenti delle relative provincie calabre, nonché dal direttore generale dott. Bernardino Scarpino.

Il Presidente Occhiuto e il Presidente Vietti si sono dati appuntamento per un nuovo incontro, nella seconda fase del percorso di giunta, nel quale potranno essere ulteriormente confermati i passi in avanti che la Regione Calabria riuscirà a realizzare sul versante sanitario.

9 maggio 2023

L’era del virus

Pur se l’Organizzazione Mondale della Sanità ha dichiarato da qualche giorno la fine dell’emergenza, con un bilancio di venti milioni di morti in tutto il mondo, di fatto decretando la sconfitta del virus, in realtà il virus persiste, evolve e mette a rischio le persone fragili, ma il livello di preoccupazione si è di molto ridotto.

Qualche studioso afferma che una pandemia finisce quando ne comincia un’altra. E in verità nella scorsa settimana ci sono state nel mondo tremila vittime di Covid, che comunque è un numero basso, così come basso si tiene l’indice. Ci sono di contro miliardi di persone non vaccinate, ma è indubbia la vittoria della scienza che ha elaborato e distribuito a livello mondiale più di un vaccino, permettendo alla popolazione mondiale di proteggersi, in soli otto mesi.

Dopo il vaccino che ha sconfitto la polio, nel dopoguerra, la diffidenza nei confronti dei vaccini è aumentata, tanti sono coloro che scelgono di non vaccinare i propri figli, eppure tanti bambini in quei tremendi anni erano letteralmente paralizzati da quella malattia, debellata, appunto, per l’avvento del vaccino.

Solo la spagnola aveva portato alla morte di oltre cinquantamilioni di persone, pertanto da allora i piani anti pandemia non sono stati attuati, ma probabilmente, anzi certamente, nessuno avrebbe previsto la totale clausura, il piano lockdown.

Oggi con l’esperienza, si spera irripetibile trascorsa, si va avanti e si studiano piani che non possano più permettere ai virus di confinarci fuori dal mondo. Inizialmente proprio organismi mondiali come l’OMS non avevano previsto neanche l’uso delle mascherine, diventate successivamente il primo presidio medico di salvezza, seguito, poi, dall’avvento dei vaccini, che solo un isolato e anche sparuto gruppo di persone ha permesso di contestare.

Il Covid è stato molto di più che una crisi sanitaria, ha causato una crisi economica di proporzioni gigantesche, gettando milioni di persone nella povertà, oltre che a cambiare il modo di vivere e di lavorare della gente.

Ma la comunità scientifica avverte che il rischio di nuove varianti o l’avvento di nuovi virus può essere vicino.

Un recentissimo studio di “Nature” ha parlato di un virus che circolerà in tutte e quattro le stagioni e che si rivelerà a piccole ondate di contagi e di morti.

Pertanto il Ministro della Salute ha firmato un decreto che rivede tutti i meccanismi del monitoraggio del Covid. Si è compreso, però, che il sistema della salute pubblica a livello nazionale e territoriale non può essere lasciato scoperto. Va, pertanto, sostenuto, potenziato, finanziato.

La verità è che la pandemia è stato un avvertimento che non deve essere dimenticato.

avv. Maria Antonella Mascaro

8 maggio 2023

AGENAS pubblica dati di approfondimento sulle prestazioni di specialistica ambulatoriale

L’UOSD Statistica e flussi informativi sanitari dell’AGENAS svolge un ruolo di supporto tecnico-metodologico a favore delle strutture dell’Agenzia. In particolare predispone il report da inviare al Ministero della Salute. Le linee di attività maggiormente caratterizzanti la UOSD sono l’analisi della “Mobilità sanitaria interregionale” e il “Monitoraggio dei tempi di attesa in regime libero professionale (ALPI)”.

AGENAS pubblica sul Portale Statistico dati di approfondimento sulle prestazioni di specialistica ambulatoriale richieste dai pazienti residenti nelle Regioni per gli anni 2019, 2021 e 2022, suddivise in:

Ecografia Addominale, Ecografia Ginecologica, Elettrocardiogramma, Prime Visite altre tipologie, Prima Visita Ginecologica, Prima Visita Neurologica, Prima Visita Oculistica, Risonanza Magnetica Muscoloscheletrica, TC del Capo e Visita di Controllo.

In particolare, nel Portale Statistico sono rappresentate le seguenti visite: numero di prestazioni per 100 abitanti richieste dai cittadini residenti nelle Regioni, variazione della domanda rispetto al 2019 e tra il 2022 e 2021, proporzione tra le Prime Visite e le Visite di Controllo e domanda delle prestazioni per Regione confrontate con il livello nazionale.

Di seguito la domanda di prestazioni di specialistica ambulatoriale (2022) per 100 abitanti a livello nazionale (tra parentesi le variazioni rispetto al 2019):

– Ecografia Addominale:             5,96 (-10,12%);
– Ecografia Ginecologica:            3,26 (-6,14%);
– Elettrocardiogramma:              6,75 (-22,73%);
– Prima Visita Ginecologica:       3,51 (-14,46%);
– Prima Visita Neurologica:        1,68 (-13,53%);
– Prima Visita Oculistica:            3,88 (-24,90%);
– Prime Visite altre tipologie:    31,03 (-14,43%);
– RM Muscoloscheletrica:          2,17 (+4,69%);
– TC del Capo:                                1,44 (+6,85%);
– Visita di Controllo:                     45,57 (-15,83%).

4 maggio 2023

Finanziare la sanità: contraddizioni fra governo centrale e territoriale

Nel Documento di Economia e Finanza le Commissioni Sanità di Camera e Senato hanno approvato pareri di maggioranza sull’incremento del Fondo Sanitario Nazionale, il tutto condito sempre da profonde critiche e divisioni dell’opposizione.

Si tratta, se ne era già parlato nelle newsletter di Acop, del progressivo potenziamento del Fondo sanitario nazionale.

La X Commissione alla Sanità del Senato si era già espressa sul rafforzamento dell’assistenza sanitaria con una riduzione delle differenze territoriali in ordine ai livelli di assistenza, prevenzione e cura.

Il DEF conferma l’intenzione del Governo di proseguire nei prossimi anni ad incrementare il su citato Fondo Sanitario Nazionale con una previsione di oltre due miliardi di euro per l’anno in corso, di 2,3 miliardi per il 2014 e addirittura di 2,6 miliardi per il 2025. A queste risorse si devono aggiungere quelle stanziate dal DL n. 34 del 2023, attualmente in fase di conversione, di 1,4 miliardi.

Ciò a dimostrazione del fatto che l’impegno del Governo è serio nell’assicurare una gestione efficace del servizio sanitario e soprattutto una compenetrazione fra relazioni finanziarie nel rapporto fra Stato e le Regioni, specialmente in tema di programmazione.

Il DEF delinea chiaramente l’intenzione del Governo di affrontare in modo decisivo la questione del personale sanitario, con l’indicazione di procedere ad una effettiva rivalutazione del trattamento economico che ha il duplice scopo di dare un maggiore riconoscimento e ristoro al lavoro in campo sanitario da una parte e attrarre nuovi professionisti e nuove assunzioni dall’altra.

Ma allora come è possibile dare una chiave di lettura così netta in questo senso e leggere sulle varie rassegne stampa di questi giorni di provvedimenti quantomeno curiosi di alcune autorità in ambito regionale e/o territoriale, siano presidenti, commissari straordinari o persone di importanza strategica nei vari territori del paese.

Nei giorni scorsi il Presidente della Regione Lazio ha deciso con ordinanza che le aziende sanitarie e ospedaliere dovranno richiedere una preventiva autorizzazione regionale per decretare nuove assunzioni e scorrimenti in graduatoria. Sembra che sia necessario valutare la coerenza con il Piano di fabbisogno approvato dalla Regione, con i vincoli economico-finanziari, con gli atti di pianificazione e di programmazione.

Ancora, il Commissario straordinario della AST di Macerata, ha prorogato fino al 30 giugno 148 contratti a tempo determinato che scadevano nei mesi di aprile e maggio, dunque soltanto di un mese, pur sottolineando e garantendo che i suddetti contratti verranno stabilizzati, in attesa dell’insediamento dei nuovi direttori generali.

Il Veneto dichiara di essere pronto alla collaborazione fra pubblico e privato per smaltire le liste di attesa, ma nel concreto non sembrano arrivare segnali dal governo centrale.

La Calabria, in positivo, ha messo in atto una serie di bandi per far sì che medici e personale sanitario non fugga in altre regioni.

Non si vuole trarre alcuna conclusione, ma solo fare una riflessione su quanto si legge in queste ultime settimane, con un governo che da una parte si mostra lavoratore indefesso, senza pause nei giorni festivi e dall’altro un territorio regionale che ha certamente autonomia e decentramento, costituzionalmente garantiti, ma che appare slegato, se non, a volte, in contraddizione con lo stato centrale, dalle cui decisioni non dovrebbe mai dstaccarsi.

avv. Maria Antonella Mascaro

3 maggio 2023

Scadenza del “Decreto Calabria”

La Calabria sta cercando faticosamente di rimontare la china. La sfida più importante è quella che si gioca in campo sanitario. Come è noto, dal suo mandato il Presidente della Regione è anche Commissario per la sanità calabrese e certamente gli impegni sono stati numerosi, anche in termini di rassicurazioni.

Nel mese di gennaio erano stati nominati e anche confermati i direttori-commissari delle varie ASP regionali, nonché delle Aziende Ospedaliere. Ma il Decreto Calabria ha i giorni contati.

Lunedì 8 maggio scadono i termini di efficacia del decreto che ha reso possibile un regime speciale per la sanità della Calabria.  La proroga doveva essere oggetto del Consiglio dei Ministri tenutosi il primo maggio, ma è stata stralciata dall’ordine del giorno per una sorta di disomogeneità con le altre materie da trattare e probabilmente anche per questioni temporali, dal momento che in quella data si sono prese decisioni riguardanti il cuneo fiscale e la defiscalizzazione nazionale.

Occorrerà un altro Consiglio dei Ministri che si spera possa essere tenuto entro la fine della settimana, anche perché l’8 maggio è lunedì prossimo.

Quali sono i maggiori timori del governatore-commissario, ma anche dell’assetto che si è dato in questi tempi alla regione.

Innanzitutto la decadenza, nella figura dello stesso Presidente, di quella di commissario alla sanità con i relativi poteri di attribuzione. In secondo luogo quella di tutti gli attuali commissari delle ASP e AO regionali citate e non da ultimo la ripresa di tutti i procedimenti esecutivi, contro le aziende sanitarie, sospesi dal decreto.

La disciplina relativa al decreto Calabria prevede moltissime competenze di spettanza commissariale, fra cui quelle di natura finanziaria, con previsioni di piani di rientro per il dissesto, poteri in relazione a bandi e concessioni di appalti, servizi e forniture per gli enti del servizio sanitario regionale.

Peraltro sul dissesto era già stato reso noto che i conti per quanto non a posto, prevedevano un debito di 1,2 miliardi che, in realtà, era stato riscontrato di molto inferiore.

avv. Maria Antonella Mascaro

2 maggio 2023

Le Corti di giustizia devono tutelare i diritti dei cittadini o i conti dello Stato?

­­­­­­­­­­­­­­­­La Corte Costituzionale ritorna sul campo del diritto sanitario ed in particolare sul principio di libera scelta e sul diritto/dovere delle strutture di erogare le prestazioni indifferibili ed ottenerne remunerazione.-

Lo fa con la sentenza n. 76/2023 dichiarando incostituzionale l’art. 13 comma 55 secondo periodo della legge reg. Sicilia che aveva “legittimato ex post trasferimenti extrabudget” (in maniera troppo ampia e generica ad avviso della Corte) “a copertura di prestazioni eccedenti il tetto contrattuale”.-

Nel ragionamento della Consulta si colgono però alcuni aspetti innovativi sul piano della chiara affermazione dei principi.-

In primo luogo pur ribadendo in vari passaggi l’obbligo, per la P.A., del rispetto del “limite di spesa globalmente determinato” (laddove l’avverbio “globalmente” è decisivo per far capire che il limite si riferisce non al budget singolo ma al fondo stabilito per l’assistenza erogata da strutture pubbliche e private), è significativo che – rimaneggiando la sentenza Corte dei conti Calabria  183/22 – la Corte riaffermi che “la pronuncia sottolinea altresì la necessità che il tetto di spesa massimo concordato sia sempre rispettato, anche ex post, grazie al meccanismo di “regressione tariffaria” ovvero di riduzione delle tariffe all’aumento delle prestazioni erogabili (art. 8-quinquies, comma 2, lett. e-bis)nonché che “le prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato possono essere remunerate (sentenze n. 257 del 2007 e n. 111 del 2005), secondo il meccanismo della regressione tariffaria di cui sopra si è detto, per concludere sul punto che le norme del d. lvo 502/92 “si configurano alla stregua di norme di principio della legislazione statale dirette a garantire ad ogni persona il diritto alla salute come un diritto costituzionale condizionato dall’attuazione che il legislatore ordinario ne dà attraverso il bilanciamento dell’interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti”, tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontro nella sua opera di attuazione in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone al momento (sentenza nn. 304 del 1994, 247 del 1992)” (sempre sentenza n. 200 del 2005).-

Dunque la “condizione” che, secondo il dictum esplicito dell’organo interprete della Costituzione, rende tutelabile il diritto alla salute, è quella della sua subordinazione o quantomeno del suo coordinamento con le “risorse organizzative e finanziarie di cui (lo Stato) dispone al momento”.-

La affermazione appare in contrasto con altre più nette della stessa Corte, come quella ad esempio contenuta nelle pronunce laddove è detto che “L’effettività del diritto alla salute è assicurata dal finanziamento e dalla corretta ed efficace erogazione della prestazione … Infatti, mentre di regola la garanzia delle prestazioni sociali deve fare i conti con la disponibilità delle risorse pubbliche, dimensionando il livello della prestazione attraverso una ponderazione in termini di sostenibilità economica, tale ponderazione non può riguardare la dimensione finanziaria e attuativa dei LEA, la cui necessaria compatibilità con le risorse è già fissata attraverso la loro determinazione in sede normativa” (sent. 62/2020) o anche, ancor più direttamente in sent. n. 275/2016è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione” e che quindi “non può essere condivisa la difesa formulata dalla Regione secondo cui ogni diritto, anche quelli incomprimibili della fattispecie in esame (l’attuazione dei LEA, n.d.e.), debbano essere sempre e comunque assoggettati ad un vaglio di sostenibilità nel quadro complessivo delle risorse disponibili”.

Tuttavia non è andando contro la corrente imperiosa che ha assegnato all’aspetto finanziario il primato su ogni diritto che riusciremo ad affermare il contrario e cioè che il diritto alla salute dovrebbe – deve – prevalere su ogni altro in uno Stato democratico e volto al benessere dei cittadini.-

Prendiamo atto dell’ondivago atteggiamento della Corte e consideriamo come, pur in questo contesto, ci sta comunque lo spazio per garantire costituzionalmente il minimo della libera scelta e della libera impresa.-

La attuazione che talune Regioni o, meglio, talune burocrazie danno di questo principio quasi ovvio è quella della mera distribuzione dei soldi disponibili secondo criteri defatiganti quali la “spesa storica” (censurato dall’Antitrust) ovvero altri più o meno intellegibili o condivisibili.-

In realtà se si coniuga questo principio con il corpo normativo che regola il sistema – e cioè il d.lvo 502/92 (in particolare l’art. 8 quinquies I comma lett. D) – si realizza che la declinazione del diritto di cittadini e aziende è un po’ più complessa e, se ben applicata, sarebbe rispettosa degli interessi di tutti.-

Occorre cioè partire dal tetto contrattuale (quello “globalmente determinato”) come base e poi, in attuazione dei criteri fissati (per legge) per la remunerazione delle prestazioni eccedenti, stabilirne il corrispettivo con regressioni tariffarie per ciascuna struttura, in maniera tale da consentire l’erogazione delle prestazioni, garantire la libera scelta e remunerare le strutture sia pure con tariffe ridotte al fine di rispettare il “tetto di spesa globalmente determinato”.-

Un esempio semplice e lucidissimo – poco o affatto attuato – è contenuto nella delibera 361/2004 da noi proposta, concordata ed emessa dalla Regione Calabria, che alleghiamo e che potrebbe ancora essere la base per un confronto virtuoso a livello nazionale e regionale, partendo dalla sentenza costituzionale in commento.-

                                                                       il vicepresidente nazionale

                                                                             Avv. Enzo Paolini

27 aprile 2023

Il paziente psichiatrico: trovare una soluzione senza ritornare al passato

E’ doveroso parlare dello sconvolgimento che ha scosso in questi giorni il mondo sanitario e non solo, a causa dell’uccisione di una psichiatra da parte di un suo paziente.

Tutto ciò all’indomani dell’introduzione dell’art. 583 quater del c.p., che aveva previsto una specifica aggravante sulla violenza ai sanitari.

Un caso questa brutta concomitanza! Ma non è un caso, che la politica, dopo episodi così gravi, rimetta in discussione anni e anni di evoluzione legislativa.

Pertanto si legge di una riforma sulla psichiatria, nella quale il Ministro della Salute promette di cercare una seria soluzione per prevenire la violenza e garantire livelli di massima sicurezza per coloro, tanti, che si prendono cura della salute mentale dei pazienti.

Le soluzioni appaiono le più disparate e quando accadono fatti di cronaca così brutali e inenarrabili, molto spesso finiscono per avere quel carattere “contenitivo”, di restrizione, che, parecchi anni addietro, si era rivelato fallimentare.

Dunque, alcune forze politiche rimettono in discussione anni di studi che avevano condotto, con la legge Basaglia del 1978, alla chiusura definitiva dei manicomi e più recentemente anche a quella degli ospedali psichiatrici giudiziali.

Sicuramente le misure adottate successivamente a quegli anni, con la creazione delle residenze per le misure di sicurezza, cosiddette Rems, cioè strutture con pochi posti letto, si sono rivelate insufficienti, anche perché è difficile il contenimento di pazienti con gravi problemi psichiatrici.

Forse, però, occorre ascoltare chi è specializzato nel settore, che da anni studia ed indaga nel difficilissimo campo della mente umana.

Il problema sembra risiedere sempre intorno alle stesse tematiche quando si parla di sanità: i centri di cura delle malattie mentali sono pochi e mancano le risorse relative al personale, oltre che ai poteri di intervento, poiché la legge consente i trattamenti sanitari obbligatori in casi ben delimitati e non superiori ai quindici giorni.

E’ ovvio che la morte di una persona, peraltro serissima professionista, scateni le piazze ed è giusto mettere al centro la questione di riformare il sistema sanitario psichiatrico, ma, forse, senza rinnegare il passato, rischiando di tornare indietro, ma, anzi, cercando di affrontare il problema, affidandosi e fidandosi del giudizio delle parti in causa: medici specializzati in psichiatria, ordini, sindacati e associazioni di categoria, anche da parte del paziente. In sostanza, iniziare, come il Ministro ha annunciato, a formare un tavolo per trovare una soluzione. Una soluzione di riorganizzazione!

Per citare le parole del Prof. Vittorino Andreoli: “La chiave è dedicare tempo ai pazienti, legarli ai letti è assurdo, per i casi acuti ci sono i farmaci”.
E’ sotto gli occhi di tutti che la tematica ruota sempre intorno alla carenza di strutture e alla scarsità numerica del personale. Il problema, cioè, non va guardato in chiave specialistica, ma in un’ottica più grande che riguarda tutto il comparto sanità.

Vi è poi che il paziente psichiatrico presenta una difficoltà in più e cioè quella relativa alla diagnosi,  la quale può non essere immediata, ma aver bisogno di un maggior tempo di osservazione, rispetto ad un paziente di altra branca medica, soprattutto di quelle relative alle specializzazioni cliniche.

Dunque non si può emettere un parere su un paziente psichiatrico dopo soli venti minuti di osservazione – questo è il tempo massimo concedibile a livello ambulatoriale nel settore pubblico.

Peraltro, diversa è la somministrazione dei farmaci, i quali possono essere ritenuti efficaci o meno dopo un periodo che varia dalle due alle tre settimane e in molti casi bisogna cambiare dosaggio o passare ad altri farmaci. Sono tentativi tarati sul singolo paziente, dunque, che necessitano di maggiore tempo.

Ecco, dunque, che le problematiche che si sono sempre affrontate, tornano ancora più forti e pregnanti in questi casi, dove paziente e famiglie non sono, spesso, supportate perché non esistono strutture di cura e diagnosi, ma che siano veramente tali, che accolgano i casi gravi, ed altre diurne, come i centri di igiene mentale, potenziati, che seguano con cadenza settimanale, o quotidiana, se serve, il paziente psichiatrico, accompagnandolo in tutto il suo percorso, anche attraverso il lavoro dello psicologo e/o dello psicoterapeuta che, come è noto, non possono prescrivere farmaci.

Nel profondo dispiacere di questi orrendi fatti di cronaca, ci si augura lucidità nella soluzione, senza un bieco ritorno al passato.

Acop seguirà da vicino l’evoluzione di questa annunciata riforma.

Il paziente psichiatrico: trovare una soluzione senza ritornare al passato

E’ doveroso parlare dello sconvolgimento che ha scosso in questi giorni il mondo sanitario e non solo, a causa dell’uccisione di una psichiatra da parte di un suo paziente.

Tutto ciò all’indomani dell’introduzione dell’art. 583 quater del c.p., che aveva previsto una specifica aggravante sulla violenza ai sanitari.

Un caso questa brutta concomitanza! Ma non è un caso, che la politica, dopo episodi così gravi, rimetta in discussione anni e anni di evoluzione legislativa.

Pertanto si legge di una riforma sulla psichiatria, nella quale il Ministro della Salute promette di cercare una seria soluzione per prevenire la violenza e garantire livelli di massima sicurezza per coloro, tanti, che si prendono cura della salute mentale dei pazienti.

Le soluzioni appaiono le più disparate e quando accadono fatti di cronaca così brutali e inenarrabili, molto spesso finiscono per avere quel carattere “contenitivo”, di restrizione, che, parecchi anni addietro, si era rivelato fallimentare.

Dunque, alcune forze politiche rimettono in discussione anni di studi che avevano condotto, con la legge Basaglia del 1978, alla chiusura definitiva dei manicomi e più recentemente anche a quella degli ospedali psichiatrici giudiziali.

Sicuramente le misure adottate successivamente a quegli anni, con la creazione delle residenze per le misure di sicurezza, cosiddette Rems, cioè strutture con pochi posti letto, si sono rivelate insufficienti, anche perché è difficile il contenimento di pazienti con gravi problemi psichiatrici.

Forse, però, occorre ascoltare chi è specializzato nel settore, che da anni studia ed indaga nel difficilissimo campo della mente umana.

Il problema sembra risiedere sempre intorno alle stesse tematiche quando si parla di sanità: i centri di cura delle malattie mentali sono pochi e mancano le risorse relative al personale, oltre che ai poteri di intervento, poiché la legge consente i trattamenti sanitari obbligatori in casi ben delimitati e non superiori ai quindici giorni.

E’ ovvio che la morte di una persona, peraltro serissima professionista, scateni le piazze ed è giusto mettere al centro la questione di riformare il sistema sanitario psichiatrico, ma, forse, senza rinnegare il passato, rischiando di tornare indietro, ma, anzi, cercando di affrontare il problema, affidandosi e fidandosi del giudizio delle parti in causa: medici specializzati in psichiatria, ordini, sindacati e associazioni di categoria, anche da parte del paziente. In sostanza, iniziare, come il Ministro ha annunciato, a formare un tavolo per trovare una soluzione. Una soluzione di riorganizzazione!

Per citare le parole del Prof. Vittorino Andreoli: “La chiave è dedicare tempo ai pazienti, legarli ai letti è assurdo, per i casi acuti ci sono i farmaci”.
E’ sotto gli occhi di tutti che la tematica ruota sempre intorno alla carenza di strutture e alla scarsità numerica del personale. Il problema, cioè, non va guardato in chiave specialistica, ma in un’ottica più grande che riguarda tutto il comparto sanità.

Vi è poi che il paziente psichiatrico presenta una difficoltà in più e cioè quella relativa alla diagnosi,  la quale può non essere immediata, ma aver bisogno di un maggior tempo di osservazione, rispetto ad un paziente di altra branca medica, soprattutto di quelle relative alle specializzazioni cliniche.

Dunque non si può emettere un parere su un paziente psichiatrico dopo soli venti minuti di osservazione – questo è il tempo massimo concedibile a livello ambulatoriale nel settore pubblico.

Peraltro, diversa è la somministrazione dei farmaci, i quali possono essere ritenuti efficaci o meno dopo un periodo che varia dalle due alle tre settimane e in molti casi bisogna cambiare dosaggio o passare ad altri farmaci. Sono tentativi tarati sul singolo paziente, dunque, che necessitano di maggiore tempo.

Ecco, dunque, che le problematiche che si sono sempre affrontate, tornano ancora più forti e pregnanti in questi casi, dove paziente e famiglie non sono, spesso, supportate perché non esistono strutture di cura e diagnosi, ma che siano veramente tali, che accolgano i casi gravi, ed altre diurne, come i centri di igiene mentale, potenziati, che seguano con cadenza settimanale, o quotidiana, se serve, il paziente psichiatrico, accompagnandolo in tutto il suo percorso, anche attraverso il lavoro dello psicologo e/o dello psicoterapeuta che, come è noto, non possono prescrivere farmaci.

Nel profondo dispiacere di questi orrendi fatti di cronaca, ci si augura lucidità nella soluzione, senza un bieco ritorno al passato.

Acop seguirà da vicino l’evoluzione di questa annunciata riforma.

avv. Maria Antonella Mascaro

26 aprile 2023

Con il decreto Calderoli maggiori diseguaglianze nel SSN

Tutto ha inizio nel 2001, anno in cui viene approvata la riforma del titolo V della Costituzione, che ribalta il rapporto tra Stato Centrale e Autonomie Locali. Da quel momento in poi vengono elencate le competenze specifiche dello Stato Centrale e vengono invece definite le materie oggetto di legislazione concorrente tra Stato e Regioni. Gli ambiti sono molteplici: sanità, istruzione, lavoro, rapporti internazionali e con la Ue, coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

Sono ormai anni che le regioni del nord chiedono di accelerare sul decentramento, invocando una sempre maggiore autonomia su quasi tutte le materie di legislazione concorrente, come assicurato dall’articolo 116 della nostra Costituzione.

La riforma promossa da Calderoli va incontro a questa richiesta, ma pone alcune problematiche sulla tenuta dell’unità nazionale soprattutto per quanto riguarda la sanità. È noto che il diritto alla salute debba essere garantito su tutto il territorio italiano, ricorrendo a parametri condivisi. Con questo scopo esistono gli standard di prestazioni minime da garantire su tutto il territorio nazionale sono definiti dai LEP (acronimo che sta per Livello Elementare delle prestazioni), così come per la Sanità venivano individuati con i LEA (Livello essenziale di assistenza). Tuttavia secondo la riforma questi livelli verranno stabiliti tramite DPCM governativi sulla base delle valutazioni di una commissione tecnica. E in quanto atti amministrativi potranno essere impugnati di fronte al Tar e non davanti alla Corte Costituzionale. Ma, cosa davvero essenziale, il testo non definisce le adeguate riforme finanziarie per raggiungerli, specificando però che non dovrà essere fatto deficit aggiuntivo.

Le alternative saranno: aumentare le tasse per i contribuenti oppure tagliare altre spese pubbliche.

Ancora, le funzioni attribuite alle autonomie locali, secondo il DDL, dovrebbero essere finanziate attraverso la compartecipazione al gettito di una o più entrate. Un’ipotesi in campo è che una parte di Irpef resti alle singole Regioni, una dinamica che potrebbe acuire fortemente le disuguaglianze fra le regioni del Nord e del Sud e indebolire la redistribuzione delle risorse su scala nazionale.

In tutto questo scenario il Parlamento è pressoché assente, in quanto le intese verranno siglate tra le Regioni e il Governo, mentre le Camere sono tenute ad esprimere solo un parere non vincolante.

Nella pratica le cose potrebbero andare anche peggio. Salari e contratti del personale potrebbero essere demandati alle singole realtà locali. Trattamenti salariali differenziati per quanto riguarda il personale medico e sanitario a livello regionale si tradurranno molto probabilmente nella migrazione dei professionisti verso le aziende sanitarie che offrono i migliori stipendi. La gestione regionale dei contratti potrebbe comportare invece un’accelerazione sulle collaborazioni a partita Iva, ad esempio, svuotando il gettito fiscale generale. A rischio c’è ovviamente la contrattazione collettiva nazionale in favore di una territoriale ad hoc che potrebbe favorire le aree più ricche.

“Concedere alle Regioni maggiori autonomie in materia di tutela della salute darà inevitabilmente il colpo di grazia ai principi di equità e universalismo che caratterizzano il DNA del nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Aumenteranno le diseguaglianze regionali e verrà normativamente legittimato il divario tra Nord e Sud, in violazione del principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute. Peraltro, le Regioni che hanno già sottoscritto i pre-accordi (Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto) sono quelle che erogano i migliori servizi sanitari e hanno maggiore capacità attrattiva sui pazienti del Centro-Sud, alimentando il fenomeno della migrazione sanitaria”, come osserva Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe.

Il tutto in una sanità che è già di per sé ampiamente decentrata e che, in molte aree dello Stivale, non garantisce più il diritto universale alla salute.

20 aprile 2023

Infermiere di famiglia

Questa nuova figura, di cui si è parlato nei comunicati di ACOP, è presente nell’ambito di un progetto sperimentale, in linea con l’attuazione degli interventi previsti dal Pnrr.

Il progetto è iniziato in Emilia Romagna ed è presente a Marina di Ravenna, per un accordo stipulato fra la AUSL Emilia Romagna e il colosso Eni, un progetto della durata di quattro anni e per il quale Eni ha stanziato un finanziamento pari a centoventimila euro.

L’obiettivo del progetto, sviluppatosi intorno alla nuova figura professionale dell’infermiere di famiglia, è quello di facilitare l’assistenza ai pazienti affetti da malattie croniche e degenerative, rafforzando il sistema assistenziale sul territorio e promuovendo una maggiore accessibilità all’assistenza sanitaria e socio-sanitaria.

 Non si tratta di una figura esclusiva ma, anzi, di collegamento e di integrazione con le altre figure professionali, quali, ad esempio, il medico di famiglia.

L’infermiere di comunità svolge la sua attività quotidianamente e ha effettuato, nell’esempio regionale preso in considerazione, un corso di formazione specializzante, frutto di un accordo fra l’Ordine degli infermieri e l’Università di Bologna.

Questo nuovo professionista sarà il riferimento per tutta la popolazione, operando attraverso interventi diretti e indiretti che hanno come destinatari la persona e la famiglia. La sua funzione è operare per una garanzia di continuità assistenziale, con attività dirette sulle persone assistite, in ambulatorio o a domicilio, favorendo la collaborazione tra le figure professionali e i servizi sociosanitari.

E’, a tutti gli effetti, un professionista inserito nel territorio regionale e locale, in grado di operare attraverso la sua professionalità, creando una relazione fiduciaria con i pazienti del territorio e fare da ponte con i medici di medicina generale e i medici di famiglia.

Inoltre attraverso questa figura professionale sarà possibile potenziare l’assistenza domiciliare e ambulatoriale, favorendo la sinergia fra più competenze nel settore sanitario.

Dal momento che il Pnrr ha stanziato diversi aiuti in merito a queste nuove figure professionali – si è parlato dell’infermiere, dello psicologo ecc. –  è auspicabile che, anche facendo a meno di aiuti e finanziamenti privati, queste figure possano nascere e svilupparsi in ogni territorio regionale e locale, specialmente in quelli più disagiati dal punto di vista della cura e assistenza sanitaria.

avv. Maria Antonella Mascaro

19 aprile 2023

LUCE ROSSA PER I MEDICI A GETTONE

Il nuovo governo comincia a porre un freno ai medici “a gettone”, il fenomeno di cui si è tanto parlato, anche nei comunicati di ACOP, che ha determinato una vera e propria migrazione di medici specializzati, anche in pensione dal sud-centro verso il Nord, dove la carenza dei sanitari viene sopperita con una sorta di mercimonio per via del quale un medico viene remunerato per un turno una somma che può raggiungere anche i 1.200/1.500 euro a turno.

L’esecutivo, appunto, lancia nuove regole per arginare le maxi spese degli ospedali, costretti a ricorrere a forze esterne per supplire alle carenze di organico che sono una delle cause che mandano i pronto soccorso in tilt.

Contro una domanda così forte di forza lavoro, sta corrispondendo un’offerta da parte dei medici specialisti, anche in pensione, che in realtà, sono stati in grado di sbilanciare completamente il mercato del lavoro, facendosi attirare dalle golose proposte degli ospedali e determinando un innalzamento del costo del lavoro con deficit della struttura sanitaria.

Inoltre è ormai un anno che le associazioni di settore denunciano il fatto e chiedono a gran voce di codificare la dilagante deregulation creata dalla pandemia.

Nei provvedimenti del governo sulla sanità si prevede che i servizi potranno essere affidati a terzi, solo e soltanto, per i pronto soccorso – l’area più critica della sanità al momento attuale – e per un massimo di un anno solo in caso di necessità e di urgenza e per una sola occasione, senza possibilità di proroga.

L’esternalizzazione potrà avvenire solo nel momento in cui l’impiego del personale in servizio sia impossibile, oppure non possa essere assunto personale medico idoneo in graduatoria o personale infermieristico con procedura autorizzata.

I prezzi per l’acquisto del servizio verranno fissati da un decreto del Ministro della Salute, ispirato alla garanzia dell’equità della prestazione rispetto a quelli che sono i contratti collettivi di lavoro.

Se il personale assunto dal Servizio Sanitario Nazionale dovesse dimettersi preferendo lavorate per il privato che lavora in appalto per il pubblico, non potrà sostanzialmente tornare indietro.

Per ridurre le esternalizzazioni è stata previsto un aumento della tariffa oraria per le prestazioni aggiuntive (lo straordinario) in pronto soccorso. Non è ancora stabilita la cifra. Inoltre i medici che hanno lavorato in pronto soccorso per almeno tre anni, anche con contratti non continuativi può partecipare ai concorsi per l’accesso
alla dirigenza medica del Servizio sanitario nazionale per l’area di Medicina e
chirurgia d’accettazione e d’urgenza, anche qualora non abbia svolto la
specializzazione.
Ancora, una possibilità per gli specializzandi, i quali potranno lavorare in pronto soccorso pubblici per 40 euro lordi all’ora per un massimo di 8 ore settimanali, oltre al fatto che già potevano sostituire i medici di base e svolgere le
guardie mediche. Per coloro i quali dovessero rendersi disponibili a lavorare in
emergenza-urgenza, sarà previsto un incentivo, in quanto questa attività diventerà un requisito per accedere ai concorsi.

Da ultimo, fino al 31 dicembre 2025, il personale di pronto soccorso che ha i requisiti per il pensionamento anticipato potrà chiedere il part-time.

avv. Maria Antonella Mascaro

18 aprile 2023

                                                                                   Cosenza, 17 aprile 2023

A tutte le strutture sanitarie
Loro Sedi

Sentenze Consiglio di Stato su mobilità attiva e prestazioni indifferibili

            Con separate sentenze (n. 3773 e 3775 del 2023) il Consiglio di Stato ha espresso una posizione netta, lucida e circostanziata su varie questioni di nostro interesse.

            Parto quasi dalla fine del ragionamento espresso dai Giudici di Palazzo Spada perché è perentoriamente detto ciò che noi auspichiamo da tempo e cioè una semplice dichiarazione di principio, a nostro avviso ovvia, in un sistema che prevede la separazione dei poteri e tuttavia declinata sinora al contrario.

            Sino ad oggi abbiamo letto, spesso, nelle sentenze che i pur giusti interessi delle strutture erogatrici di prestazioni non potevano trovare tutela giudiziaria perché lo impedivano “superiori esigenze connesse al contenimento della spesa dello Stato”.-

            Nelle suddette decisioni il Consiglio di Stato afferma che – perlomeno riguardo alle prestazioni indifferibili rese in regime di urgenza – emergenza “i provvedimenti impugnati non possono giustificarsi con l’esigenza del contenimento della spesa sanitaria”.-

            E’ insomma riaffermato, ripristinato il principio più volte espresso dalla Corte Costituzionale secondo il quale non è lo stanziamento economico a limitare il perimetro delle cure dei cittadini ma è il fabbisogno di cura a determinare il livello della spesa da impegnare.

            Ed è il primo fondamentale punto.

            Ma le sentenze si segnalano per tutta una serie di ragionamenti che qui in sintesi riepilogo.

            In primo luogo il Consiglio di Stato, affrontando il tema della radioterapia afferma chiaramente come l’erogazione di tali prestazioni “fornite in favore di pazienti extraregionali (essendovi carenza di centri abilitati a questo tipo di cure anche nelle zone extra regionali limitrofe), non avrebbe arrecato alcun danno alle finanze regionali, ledendo, invece, il diritto alle cure dei pazienti”.

            Ciò in quanto, continua il Consiglio di Stato “i punti critici dei DCA … riguardano la soppressione delle deroghe al principio dei limite del budget invalicabile…, introdotte per le prestazioni relative alla mobilità attiva: non hanno previsto un budget di spesa per le prestazioni integrative (di alta complessità); hanno sottoposto a budget anche le prestazioni di radioterapia (pur nella consapevolezza della inesistenza di strutture alternative all’interno della regione che erogano tali prestazioni) e quella salvavita, nonché quelle rese nell’ambito della rete di emergenza. Se si considera che le prestazioni extraregionali oggetto di decurtazione sono quelle consuntivate, transitate in compensazione interregionale e liquidate da altre regioni (di provenienza dei pazienti), per le quali la Regione… ha conseguito l’acconto come da intesa Stato Regione n. 152/2021, che non hanno comportato, quindi, per la Regione… (sottoposta a piano di rientro dal disavanzo sanitario) alcun onere, essendo pagate dalle altre regioni, risulta evidente l’irragionevolezza della previsione contenuta nei DCA impugnati in primo grado”.

            “L’appellante ha richiamato lo studio dell’AGENAS (Agenzia per i Servizi Sanitari Nazionali) secondo cui “la mobilità interregionale è un processo “a somma zero”, nel senso che la somma algebrica dei saldi tra le Regioni/Province autonome è sempre pari a zero, quindi non rappresenta mai un guadagno o una perdita per il livello nazionale”; da ciò si evince, in modo palese, che la scelta del Commissario ad acta di sottoporre a budget invalicabile anche le prestazioni eseguite in favore dei pazienti di altre regioni non può giustificarsi per ragioni di contenimento della spesa, atteso che il costo di tali prestazioni ricade sulle regioni di provenienza, e non sul bilancio della Regione…”.

            Privare tale struttura della possibilità di erogare, senza limiti di budget precostituiti, prestazioni di alta specializzazione nell’ambito della mobilità interregionale, prestazioni salvavita ad alta complessità (quali sono, ad esempio, quelle di cardiochirurgia), precludere l’accesso a prestazioni salvavita di radioterapia nei confronti dei pazienti oncologici, nella consapevolezza che non esistono nella Regione… altre strutture sanitarie in grado di fornirle, si appalesa del tutto illogico ed irragionevole, specie se si considera che tali prestazioni, se rese nei confronti dei pazienti di altre regioni, non comportano oneri a carico della Regione...

            Il Consiglio di Stato allarga poi l’analisi anche ad altri aspetti ulteriori rispetto alla mobilità attiva, e cioè le prestazioni urgenti rese in regime di emergenza ed afferma che analogo ragionamento deve applicarsi per le prestazioni c.d. salvavita e per le prestazioni integrative di alta complessità in quanto in merito alle prestazioni salvavita e della rete di emergenza, tra cui rientrano quelle di radioterapia, l’appellante ha fornito idonei elementi probatori a dimostrazione della illegittimità della previsione recata dai DCA impugnati: l’appellante ha chiarito, in merito alle prestazioni di emergenza fornite in seguito a ricoveri richiesti dalle strutture di emergenza/urgenza degli ospedali pubblici, che si tratta di prestazioni complesse (ad esempio, nel settore cardiochirurgico) che necessitano  dell’assistenza  immediata del

paziente, e che richiedono il ricovero presso un nosocomio dotato della necessaria attrezzatura per effettuare la terapia salvavita; ritiene dunque il Collegio che non possano valere, in questa particolare ipotesi, i principi già espressi nella propria giurisprudenza in merito alle prestazioni di pronto soccorso “ordinario”, che possono essere fornite da qualunque altra struttura pubblica.

            Insomma una decisione completa e esaustiva fondata sui principi basilari del sistema sanitario così come delineato nel corpo normativo vigente: solidaristico ed universale nel quale trovano tutela e garanzia anche i diritti fondamentali del cittadino: quello alle cure senza oneri e quello alla libera scelta.

            Principi indissolubilmente connessi alla libera impresa la quale, una volta verificati tutti i requisiti e gli standard necessari per entrare a far parte del  sistema pubblico con l’accreditamento non può subire compressioni inique e sopratutto retroattive come chiarito dalle sentenze in commento laddove è detto in maniera netta che “la fissazione di tetti retroagenti impone l’osservanza di un percorso istruttorio, ispirato al principio di partecipazione che assicuri l’equilibrato contemperamento degli interessi in rilievo”.

            Rimaniamo disponibili ad ogni approfondimento.       

            Cordialmente.

                                                                                              Il Vicepresidente nazionale

                                                                                                        Avv. Enzo Paolini

17 aprile 2023

I commenti dei Presidenti di Regione sullo stato della sanità pubblica

Il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, che si dice preoccupato per le mancate risorse alla “Sanità pubblica” e ha dichiarato che “La pandemia dovrebbe avere insegnato che serve sempre più assistenza territoriale e assistenza domiciliare, per dare una qualità sempre superiore all’assistenza e alla cura”. “Dopo anni e anni il rapporto tra il Pil del Paese e gli investimenti nella Sanità pubblica torneranno sotto il 7% Io mi auguro che il Governo ci rifletta e ci convochi come Regioni. L’idea è che un Paese è tanto più civile tanto più i servizi di cura siano garantiti dallo Stato”.

La regione Toscana annuncia gli interventi per la sanità territoriale: progetti edilizi finanziati con il fondo europeo PNRR e il PNC (ovvero il piano nazionale complementare). Il presidente  Eugenio Giani evidenzia come “entro la fine dell’anno apriremo una stagione di cantieri destinati a rinnovare profondamente le infrastrutture che ospitano i servizi sanitari sul territorio, in modo diffuso e profondo. Si tratta di interventi che puntano a valorizzare la Toscana diffusa e le cure a domicilio o comunque prossime al luogo di residenza, con una funzione di drenaggio dunque rispetto all’eccessivo affollamento di ospedali e pronto soccorso: in particolar modo per anziani e malati cronici”.

Il presidente della regione Lazio, Francesco Rocca, all’inaugurazione del Reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata a Roma, annuncia investimenti in ristrutturazioni nella sanità laziale: “i fondi che servono per il rinnovo strutturale ci sono”, e spiega che “il Lazio ha 1 miliardo di euro di fondi, ma serve capacità di progettazione da parte delle aziende e celerità amministrativa da parte della regione. Ho sottolineato come una delle carenze importanti che abbiamo nelle nostre strutture sono i sistemi antincendio che oggi sostituiamo con le squadre ma le squadre hanno un costo sulla spesa corrente. Quindi dobbiamo fare in fretta, con sistemi tecnologici e a norma, così da risparmiare sulla spesa corrente che è quella che genera il deficit”.

C’è una notizia molto importante che riguarda le liste d’attesa. Abbiamo lanciato due settimane fa l’obiettivo di svuotare completamente le liste d’attesa in Campania e di essere, anche in questo campo, la prima regione d’Italia. Già oggi se si va in una farmacia qualunque della regione è possibile collegarsi con l’app ‘Campania in salute’ e fare la prenotazione non solo nelle Asl di appartenenza, ma nelle Asl e negli ospedali di tutta la regione per evitare lunghi tempi di attesa”.

È quanto ha dichiarato Vincenzo De Luca, Presidente della Regione Campania, in merito alla problematica relativa alle liste d’attesa.

Entro quest’anno – ha aggiunto il Presidente  non ci sarà più nessun caso di attese a 6 mesi, a 10 mesi, ad un anno.

13 aprile 2023

Depenalizzare l’errore medico

Quando si ascolta il Ministro della Salute parlare di depenalizzazione dell’errore medico (citando la fonte de “Il Messaggero”, dove il Ministro Schillaci ha rilasciato un’intervista), ci si accorge che si tratta di un uomo che prova a dare una risposta al disagio che vivono molti professionisti del settore sanitario e non di meno delle strutture sanitarie stesse, ma soprattutto alla difficoltà dei cittadini.

Ci si rende conto, cioè, con uno sguardo al mondo esterno di quale sia la proliferazione di procedimenti penali e/o comunque civili di richiesta di risarcimento del danno.

Molti dei cosiddetti errori medici che sfociano in un processo penale, si concludono con un nulla di fatto, cioè con un’assoluzione del medico, dopo che un meccanismo poco virtuoso viene messo in moto dalla denuncia di un paziente che mira ad un risarcimento. Questo genera, in ogni caso, un meccanismo infernale, a volte prodotto a causa di professionisti che mal consigliano il loro cliente, e che, in effetti potrebbe essere risolto con un buon sistema preventivo, cercando, cioè, un accordo transattivo preliminare.

Questo eviterebbe notevoli costi per lo Stato, che, nel procedimento penale deve svolgere indagini a suo carico, dal momento che il cittadino/paziente/denunciante non anticipa spese, ma se la sua denuncia rimane senza colpevole non deve pagare alcunché.

La conseguenza, inoltre, è l’incremento della medicina difensiva con costi a carico dei pazienti e dei medici altissimi, poiché, diventa inevitabile, per paura, la sovrabbondanza di prescrizioni di esami e visite spesso inutili, che incidono sui costi sulla sanità pubblica e ingolfano le lunghe liste di attesa.

E’ ovvio che si debbano fare i conti con gli interventi legislativi che si sono succeduti nel tempo, la legge Balduzzi, prima, sostituita, poi, dalla Legge Gelli-Bianco.

Questa ha introdotto l’art. 590 sexies che elimina qualsiasi riferimento al grado di colpa del professionista come elemento soggettivo alla base dell’imperizia, in caso di rispetto delle norme previste, e rimanda ai casi di omicidio colposo e lesioni personali colpose.

L’elemento di novità era rappresentato dall’introduzione di una causa di esclusione della punibilità del medico qualora, in caso di imperizia, il sanitario abbia, comunque, seguitole linee guida. In ogni caso, anche l’osservanza rigida delle linee guida può integrare gli estremi per aprire un procedimento penale.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno chiarito che il medico risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali nei casi in cui l’evento si è verificato per colpa anche lieve dettata da imprudenza, negligenza o imperizia nelle ipotesi in cui il caso non è regolato dalle linee guida o, manchino le buone pratiche clinico-assistenziali; oppure in quello di errore nell’individuazione della tipologia di intervento e delle relative linee guida non adeguate al caso concreto.

Dunque se si facesse più chiarezza e si arrivasse ad un modello europeo cosiddetto “no fault” ovvero “senza colpa”, certamente si risparmierebbero notevoli costi e si eviterebbe la “fuga” dei medici che per paura del sistema, dunque di essere sottoposti ad indagini e comunque di subire un processo, migrano in altri paesi.

In Francia il paziente può scegliere di ottenere un indennizzo economico rinunciando a intraprendere un’azione legale: in questo modo ha la certezza di venire risarcito ed è incentivato a non intraprendere azioni legali.

Certamente nel sistema italiano c’è molto da fare: innanzitutto ridurre i tipi di danno risarcibili e, dunque, semplificare il sistema risarcitorio.

Inoltre, si potrebbe istituire un fondo nazionale per alea terapeutica sul modello francese, una sorta di fondo di garanzia per le vittime della sanità, il quale potrebbe soddisfare la domanda risarcitoria di tutti coloro che hanno subito un danno in circostanze tali da impedire l’individuazione di un responsabile: ad esempio contrarre infezioni in ambito ospedaliero.

La strada è ancora lunga per l’Italia, ma, sentire che la problematica è posta dal Ministro della Salute è un elemento di novità che si dirige verso il cambiamento.

avv. Maria Antonella Mascaro

12 aprile 2023

Acop Calabria al fianco di Occhiuto

Prosegue l’attività regionale di Acop, in particolare nella Regione Calabria, nella quale è stato raggiunto uno storico risultato, anche grazie all’iniziativa territoriale della nostra associazione: l’ok della Regione agli extra budget per le strutture private. Questo l’intervento tenuto dal Presidente di Acop Calabria avv. Enzo Paolini.

11 aprile 2023

La Sanità Pubblica peggiora nella percezione della maggioranza degli utenti del nord Italia.

A lanciare l’allarme è l’ultima ricerca  dell’Osservatorio Sanità di UniSalute, l’assicurazione sanitaria che insieme alla società che realizza ricerche di mercato Nomisma ha interrogato gli abitanti di Bologna e Milano riguardo la loro opinione della sanità pubblica, messa a confronto con la sanità privata. 

Secondo il 79% dei bolognesi i tempi di attesa si sono allungati, quasi tre su quattro lamentano la carenza di medici e infermieri. Tempi più lunghi e costi in aumento anche nella sanità privata, che però riscontra un livello di soddisfazione più elevato.

Circa un bolognese su quattro (26%) ritiene che il Servizio sanitario nazionale sia peggiorato rispetto a 5 anni fa. Molto più bassa la percentuale di chi lo trova migliorato (14%), mentre il 59% non ha notato un cambiamento né in positivo né in negativo. La valutazione della sanità privata risulta invece più stabile: in questo caso l’opinione di quasi quattro bolognesi su cinque (78%) è rimasta invariata, con una quota leggermente maggiore che la giudica migliorata (13%) rispetto a peggiorata (9%). 

A Milano più di un cittadino su tre (37%) ritiene che il Servizio sanitario nazionale sia peggiorato rispetto a 5 anni fa; molto più bassa la percentuale di chi lo trova migliorato (11%), mentre il 52% non ha notato un cambiamento né in positivo né in negativo. La valutazione della sanità privata risulta invece più stabile: in questo caso l’opinione di due terzi dei milanesi (66%) è rimasta invariata, con una quota leggermente maggiore che la giudica migliorata (20%) rispetto a peggiorata (14%). 

In entrambi i capoluoghi il principale motivo di insoddisfazione, per quanto riguarda la sanità pubblica, sono i tempi di attesa: secondo il 79% si sono allungati, con un 30% che parla addirittura di un “forte aumento”. Il 55% degli intervistati lamenta inoltre un aumento dei costi, e quasi tre su quattro (72%) ritengono insufficiente il numero di medici e infermieri in servizio. Anche nel settore privato, comunque, c’è chi riscontra un allungamento dei tempi (26%), oltre a una crescita dei costi più evidente rispetto al servizio pubblico (73% ha percepito un aumento). 

Ma in base a quale criterio, allora, gli utenti scelgono di rivolgersi alla sanità pubblica o a quella privata? In realtà non ci sono sorprese: chi nell’ultimo anno ha effettuato visite o esami in strutture pubbliche, dice di averlo fatto principalmente per il costo ridotto della prestazione (58%), mentre chi si è rivolto a strutture private dà come motivazione soprattutto i tempi di attesa inferiori (68%). Nel complesso, il livello di soddisfazione è più alto per i servizi sanitari privati rispetto a quelli pubblici: nel primo caso si dice soddisfatto delle cure ricevute il 79% degli intervistati, nel secondo solo il 63%. 

Questo non vuol dire che i milanesi non credano più nella sanità pubblica, anzi: infatti, la maggioranza degli intervistati dichiara di avere fiducia nel Servizio sanitario nazionale, e quasi la metà lo ritiene ancora tra i migliori al mondo. Per ovviare alle lacune evidenziate, il campione intervistato da UniSalute concorda soprattutto su un più ampio ricorso a soluzioni tecnologiche per l’assistenza a distanza (60% è d’accordo) e su una maggior integrazione tra sanità pubblica e privata (58%).

7 aprile 2023

Sanità, «eppur si muove, segnali di svolta in vista»

Il vicepresidente nazionale di Acop, Enzo Paolini: l’attivismo dell’Ufficio del commissario e il nuovo Dca per i privati convenzionati possono rappresentare il primo vero contrasto alla migrazione sanitaria dei calabresi.

“L’attivismo ed il ragionato decisionismo del presidente Occhiuto e le professionalità serie ed indiscusse chiamate a far parte del dipartimento – la d.ssa Fantozzi – e dell’Ufficio Commissariato – il dr. Esposito – stanno producendo un cambiamento che si avverte sul fronte del Servizio sanitario regionale”.

Mostra (almeno lui) di non avere alcun dubbio, in materia, l’avvocato Enzo Paolini che è (fresco fresco) vicepresidente nazionale di Acop, la sigla vergine di conio che di fatto rappresenta la “nuova” Aiop, il perimetro dell’ospedalità privata accreditata. Acop che farà le sue “presentazioni” a livello regionale, il suo esordio, in occasione di un convegno che si terrà proprio in Cittadella il 19 di aprile.
Si sente quindi l’inizio di un nuovo corso, secondo Paolini. Un clima diverso e (ci si augura) proficuo tra regnanza regionale e universo della sanità privata convenzionata. Il sentore generale è positivo, per Paolini, anche se “il dolore e le emergenze, i disservizi e le aree abbandonate, gli sprechi e le opere incompiute ancora ci sono, certo. Sono il lascito di decenni di indifferenza ai diritti e di attenzione agli affari. Oggi avvertiamo qualche sintomo di vita che dai territori, dalle cinque province, si comincia a far sentire…”. Che intende per “sintomo” di vita? “La chiave del motore dell’Azienda zero è stata girata, le dotazioni strumentali iniziano ad arrivare ed ad essere utilizzate, qualcosa si muove sul fronte dell’edilizia sanitaria, l’emergenza medici, con tutte le polemiche e le rispettabili opinioni di tutti, è stata affrontata, la questione della formazione e dell’Università è in agenda. Non si può dire che regni l’immobilismo in questa stagione di governo regionale a proposito di sanità. Al contrario, si fa. E questo è un buon segno per un governo”.
C’è solo questo o vi è anche altro che riguarda più da vicino il mondo della sanità accreditata?
“Il fatto nuovo c’è. Oggi registriamo un altro buon segnale, quello lanciato dall’Ufficio del Commissario ad acta al piano di rientro – e cioè il Presidente Occhiuto – con l’emissione del DCA 105/23 concernente la programmazione del settore privato (Case di cura RSA, laboratori ecc.) per il triennio 2022-2024”. Ci dice qualcosa di più nel dettaglio? «Intanto la programmazione triennale è un elemento che fa capire come non si voglia più navigare a vista per incapacità di governo e/o per tenersi sempre le mani libere per aggiustare qualche partita o accontentare l’amico di turno. Dunque il metodo è quello giusto. La programmazione – si sa – consente di ottimizzare le risorse, favorisce gli investimenti e la qualità delle prestazioni oltre a dare impulso – sullo specifico settore – all’esercizio della libera scelta del cittadino». E nel merito? “Nel merito va detto che per la prima volta, dopo tanti “gargarismi” si è messo da parte il criterio della spesa storica, principio iniquo, censurato dall’antitrust ma burocraticamente mantenuto per decenni durante i quali hanno proliferato nicchie di rendita speculativa a scapito di qualità e fabbisogni. Si è introdotto, come primo impulso allo stimolo alla crescita qualitativa del servizio, il criterio della produzione come sintomo di attrattività e di efficienza, in grado, se valorizzata, di avviare il percorso – sempre auspicato ma da nessuno messo in pratica – di recupero della migrazione sanitaria per i cittadini calabresi richiedenti prestazioni che possono essere rese con standard qualitativi appropriati nelle strutture della nostra regione”. Significa anche che chi eroga sanità “vera”, di qualità e quantità, avrà vita meno complessa a prescindere dal tetto di spesa? “Significa che intensificando capillarmente i controlli su requisiti ed appropriatezza si potrà dunque consentire – in applicazione del d.lvo 502/92 e della Costituzione Italiana – ai calabresi di curarsi in Calabria e di far ritornare nelle casse regionali una parte degli oltre 200 milioni di euro che ogni anno si consegnano alle Regioni del Nord ed alle loro strutture, pubbliche e private, per servizi di base sinora impediti dalla scellerata politica dei tetti di spesa insuperabili e della ricordata spesa storica. Con una semplice, ragionevole, equa manovra politica di medio/lungo termine si consentirà alle strutture private di valorizzare la propria potenzialità produttiva ed assicurare ai pazienti calabresi di non dover, ancora, nel terzo millennio viaggiare lungo la penisola per curare una cataratta, un menisco, una protesi d’anca, per avere un esame diagnostico, una TAC, ma avere la possibilità – ed il diritto – di averli – qui in Calabria, ed in tempi ragionevoli, cioè giorni e non mesi o anni”. Ma non ci dirà che tutto questo, che lei descrive quasi come “rivoluzionario”, sarà possibile senza l’impegno di ulteriori ingenti cifre… «Assolutamente no. Tutto ciò è reso possibile senza l’impegno di un solo centesimo aggiuntivo, ma solo con un contratto, condiviso con le associazioni, di durata triennale e con l’impiego migliore, più razionale ed efficace delle risorse esistenti». Quindi la svolta è in porto per lei, pare di capire. E pure il “trionfo” dell’extrabudget così come sottolinea il capogruppo Pd Bevacqua secondo il quale la manovra finirà inevitabilmente per arricchire la sanità privata accreditata a scapito di quella pubblica… “Bevacqua ha perso un’altra occasione per tacere pudicamente e fare bella figura. E ciò per due motivi, uno giuridico, l’altro politico. Sul piano giuridico il capogruppo del Pd non sa che il cosiddetto extrabudget (cioè prestazioni essenziali fornite a cittadini da strutture facenti parte del servizio pubblico) è previsto dalla legge e confermato dai Tar. Il motivo politico è che il Pd ha largamente governato a livello nazionale e regionale nell’ultimo ventennio ed ha condotto la sanità, quella calabrese in particolare, allo sfacelo. Dovrebbero star zitti e aiutare invece fanno i grilli parlanti senza avere alcun rispetto per i calabresi che hanno letteralmente costretto a rivolgersi alle altre regioni per curarsi. Tutti lo sanno ed io parlo con cognizione di causa perché ne potrei dare anche dimostrazione documentale. Ma la politica, per chi vuole, parla chiaro…”. Allora tutto risolto?

“Calma. Tutto è work in progress (o forse sarebbe meglio dire in itinere per evitare le multe dell’on. Rampelli) ma intanto la rotta è stata invertita. Entro il 14 aprile, come prescrive il DCA 105/23, si firmeranno i contratti e tra qualche mese potremmo giudicare. Per il momento è da apprezzare l’intenzione, la determinazione e la visione. E si sa, chi ben comincia è a metà dell’opera…”.

6 aprile 2023

Le lesioni al personale sanitario

Nel DL 30 marzo 2023 n. 34 il Governo ha portato avanti una serie di iniziative e di argomentazioni a tutto campo.

In particolare sono state previste alcune disposizioni per contrastare episodi di violenza  nei confronti del personale sanitario, è stato introdotto un nuovo reato all’art. 16, che modifica parzialmente l’art. 583 quater del codice penale che prevede l’ipotesi di lesione cagionate al personale esercente una professione sanitaria o socio-sanitaria nell’esercizio o a causa delle funzioni o del servizio, nonché a chiunque svolga attività ausiliarie di cura, assistenza o soccorso che siano funzionali allo svolgimento di dette professioni, nell’esercizio o a causa di tali attività. La previsione di pena è la reclusione da due a cinque anni, con aumento di pena se le lesioni sono gravi o gravissime.

Già la legge 113 del 14 agosto 2020 era intervenuta in modo importante sul tema della sicurezza degli operatori delle professioni sanitarie e sulla prevenzione in materia di aggressioni.

La norma, infatti, ha previsto la costituzione di un Osservatorio nazionale sulla sicurezza con funzioni di monitoraggio di episodi di violenza subiti dai professionisti sanitari e socio-sanitari, di monitoraggio dei relativi eventi sentinella, di monitoraggio dell’attuazione delle misure di prevenzione e protezione a garanzia dei livelli di sicurezza sui luoghi di lavoro anche promuovendo l’utilizzo di strumenti di videosorveglianza, di promozione delle buone prassi anche nella forma del lavoro in equipe, di promozione di corsi di formazione per il personale medico e sanitario, finalizzati alla prevenzione e alla gestione delle situazioni di conflitto.

Il tema della sicurezza degli operatori sanitari è, anche, questione di sicurezza sul lavoro, e, pertanto, uno degli strumenti di protezione, la videosorveglianza deve essere conciliato con la disciplina sulle condizioni di ammissibilità di tali strumenti nei luoghi di lavoro, secondo le previsioni normative, di cui all’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori (legge 20 maggio 1970, n. 300, modificata dal decreto legislativo n. 151/2015 e dal decreto legislativo n. 185/2016) che si applica a tutti gli strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, che possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale, con le modalità procedimentali di cui allo stesso articolo 4 dello Statuto.

I dati dell’Inail evidenziano un fenomeno di vaste proporzioni. Ogni anno si contano 2.000 atti di aggressione ai danni dei lavoratori della sanità, che è come dire che il 50% dei 4000 casi totali di violenza registrati nei luoghi di lavoro riguarda medici infermieri ostetriche, farmacisti ed operatori socio-sanitari. Un infortunio su dieci è dovuto ad aggressioni. Nel 72% dei casi le vittime delle aggressioni sono donne. La classifica dei luoghi maggiormente colpiti dalla violenza, in ambito medico, vede al primo posto i pronto soccorso, seguono i reparti di degenza, gli ambulatori, i reparti psichiatrici. La violenza è commessa per il 49% da pazienti, 30% dai familiari, 11% dai parenti. Le fasce orarie più a rischio sono serali e notturne. Rilevanti sono i danni economici che ne derivano e che ammontano per il Sistema sanitario nazionale a svariate decine di milioni di euro.

Ora la previsione è inserita come modifica al codice penale.

Si seguirà il decreto legge e la sua conversione.

Avv. Maria Antonella Mascaro

5 aprile 2023

Intelligenza Artificiale per l’efficientamento dei tempi di attesa

La giunta regionale delle Marche ha presentato il nuovo Piano socio sanitario che dovrà essere varato nei prossimi mesi, fotografando la situazione di stallo in cui versa la sanità marchigiana. “La percezione dell’efficienza di un sistema sanitario passa – e anche giustamente – dai tempi d’attesa per il cittadino, che deve accedere alle prestazioni sanitarie e sociosanitarie” è l’espressione che si legge nel testo emanato.

L’assessore Filippo Saltamartini pertanto pretende report settimanali e giornalieri – non più trimestrali – per sanare prima possibile un gap fuori controllo. 

I numeri sono impressionanti: una colonscopia per un follow up su paziente oncologico ad Ascoli Piceno tempi di attesa un anno.

La partita in gioco è quella della “Grande Riforma” voluta dalla Giunta con la soppressione dell’Azienda Sanitaria Unica Regionale e la sua trasformazione in 5 Aziende Territoriali, che a distanza di tre mesi dall’avvio hanno ancora un Commissario a dirigerle. La selezione dei candidati deve infatti ancora cominciare per problemi di nomina della Commissione che li deve valutare. Una nuova organizzazione che non eviterà il blocco dell’intero sistema per tutta la durata del passaggio dalla vecchia alla nuova organizzazione, con la istituzione di cinque Aziende Sanitarie, con la conseguente moltiplicazione di processi, organizzazione e governo.

Secondo il Piano socio sanitario – che verrà presentato a tutti gli interessati (sindaci, sindacati, ordini professionali, comitati) per essere varato entro l’estate – il cronoprogramma prevede la programmazione del recupero di tutte le prestazioni e gli interventi relativi alle patologie oncologiche e cardiologiche, per poi passare alla programmazione del recupero delle prestazioni rimanenti. Verrà anche riprogrammata e pianificata l’attività del Cup “dove è richiesta – si legge nel documento – una maggiore attività in fase di prenotazione e un monitoraggio continuo della domanda e offerta”. Ma per gestire in maniera efficiente i tempi di attesa verranno inserite nei sistemi di monitoraggio del Cup tecnologie di Big Data Analytics, Intelligenza artificiale e Machine Learning» per tenere sotto controllo un sistema già sotto stretta osservazione da parte dell’assessorato alla sanità.

4 aprile 2023

Il coworking nella medicina specialistica

La medicina specialistica si avvale di apparecchiature diagnostiche che scandagliano dati in modo sovrabbondante. Quando c’è troppa informazione e come se non ce ne fossa alcuna.

Vengono prescritti esami di secondo livello con grande facilità, forse perché si ha paura di azzardare diagnosi, o comunque perché la tecnologia avanzata fa sì che, un esame più approfondito non si neghi a nessuno. Ad esempio ad un paziente fumatore con tosse persistente si consiglia una radiografia al polmone, esame di routine annuale, ma è facile che accada che se l’immagine mostra una piccola alterazione il medico chieda un immediato approfondimento di secondo livello, magari prescrivendo una tac, o, addirittura altro. Dall’esame cosiddetto di secondo livello possono emergere informazioni che non concorrono, però, ad effettuare una vera e propria diagnosi.

Per diagnosticare una bronchite, a volte, e sufficiente un’attenta visita clinica e il buon orecchio del medico attraverso l’uso dello stetoscopio, diversamente da una diagnosi di tumore che necessita di esami più approfonditi, senza alcun dubbio.

Ogni diagnosi deve essere il risultato di un confronto di idee e di esperienze, oltre che di dati.

Il paziente deve ascoltare dalla voce di colui al quale si affida, che sia lo specialista, o che sia, a maggior ragione, il suo medico di base, che le informazioni raccolte sono il frutto di un ragionamento con gli altri colleghi intervenuti e che concorrono alla elaborazione dei dati per effettuare una diagnosi corretta. Solo così si evita, con percentuali molto alte, il probabile errore di diagnosi e non si moltiplicano gli esami prescritti all’infinito.

Si assiste ad una sorta di frammentazione di responsabilità, che può corrispondere ad una frammentazione di diagnosi tutta italiana.

In Gran Bretagna e anche in Svizzera il sistema sanitario favorisce la stretta collaborazione con il territorio: collaborazione fra università e ospedali. Il paziente che arriva in pronto soccorso è seguito dal medico che lo prende in carico, il quale poi relazionerà il medico di famiglia e l’eventuale specialista che lo prenderà in carico, in automatico.

In Italia questo collegamento è vissuto come un “favore” che lo specialista fa al paziente, il quale molto spesso, se c’è confidenza, chiede allo specialista di interfacciarsi con il suo medico di base. Una prassi che, però, molto spesso deve rapportarsi con la disponibilità del medico e comunque non codificata nemmeno in massime di esperienze, ma lasciata all’intraprendenza del singolo paziente, molto spesso disorientato, una volta che ha subìto un intervento chirurgico o comunque un esame invasivo che porta strascichi o conseguenze non discusse fra medici.

Invece, bisognerebbe scrivere una sorta di procedura che letteralmente procedimentalizzi il sistema di interazione fra medici nella diagnosi e nella comunicazione.

La valutazione deve essere il risultato di una fruttuosa collaborazione fra medici anche di diverse strutture.

Il tutto deve essere inserito telematicamente nel fascicolo sanitario del paziente, cui possono avere accesso tutti i medici che devono curarlo, o il medico di base e per il suo tramite tutti gli altri.

A questo proposito, dovrà essere rilasciato dal paziente un consenso allargato per l’accesso ai dati sensibili.

Se si considera, poi, che la maggior parte dei malati sono persone anziane, a maggior ragione, si comprende, che si debba essere sempre più chiari e trasparenti e prendere in considerazione le informazioni di più specialisti.

Ciò è utile anche per la telemedicina, che altrimenti non avrebbe molto senso di esistere.

Dalla pandemia molti protocolli sono stati varati per l’avvio alla telemedicina, ma se nella pandemia si curava al telefono e ciò era accettato a causa dell’impossibilità, a volte, di fare altrimenti, lo strumento della tecnologia deve essere asservito alla cura, ma non deve fare da padrone, perché dietro la cura c’è un persona e dietro una diagnosi ci possono essere tanti medici che devono collaborare.

Dunque, accanto alla rete telemedica, deve essere creata una rete umana che può anche usare lo strumento tecnologico che deve essere mezzo e non fine ultimo o risultato.

Solo così si potrà attuare quel collegamento necessario fra paziente, medici e territorio che altrimenti rimane lettera morta sulla carta.

avv. Maria Antonella Mascaro

3 aprile 2023

Sicurezza sul lavoro nuovi obblighi per il datore di lavoro

Il Decreto Legislativo 25 novembre 2022 n. 203, pubblicato nella GU n. 2 del 03.01.2023, ha modificato il decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101 per quanto riguarda gli obblighi del datore di lavoro in materia di radiazioni ionizzanti.

Le principali novità

  • Trasmissione delle valutazioni di dose all’Archivio nazionale degli esposti : l’obbligo per il datore di lavoro di trasmettere all’Archivio nazionale dei lavoratori esposti i risultati delle valutazioni di dose effettuate dall’esperto di radioprotezione per i lavoratori esposti
  • Informazione e formazione in materia di radioprotezione per dirigenti e preposti :porta ad almeno cinque anni la periodicità minima di formazione e addestramento specifico per preposti e dirigenti anche in tema di radioprotezione
  • Informazione e formazione per la sicurezza dei lavoratori esposti a radiazioni ionizzanti: si passa da tre a cinque anni per la periodicità minima di formazione e addestramento specifico in materia di radioprotezione per i soggetti ai rischi derivanti dall’esposizione a radiazioni ionizzanti. Inoltre, viene specificato che, la formazione in radioprotezione per i lavoratori integra quella prevista dall’articolo 37, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, per gli aspetti inerenti al rischio di esposizione alle radiazioni ionizzanti.
  • Tutela dei lavoratori esterni impiegati in attività esposte a rischi da radiazioni ionizzanti: il Datore di lavoro Committente dovrà adottare, coordinandosi con il datore di lavoro di quei lavoratori o con i lavoratori autonomi, le misure necessarie ad assicurare la tutela dei propri lavoratori dai rischi da radiazioni ionizzanti in conformità alle norme del decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101.

La gestione dei rischi in azienda è un aspetto fondamentale che incide sulla business continuity di ogni organizzazione. SI consiglia pertanto di tener conto delle integrazioni normative nei Documenti di Valutazione dei Rischi specifici per ciascuna attività aziendale.

30 marzo 2023

Il salvagente per il SSN è il privato accreditato

Il Sistema Sanitario Nazionale è storicamente concepito come pubblico.

Anni e anni di storia, di diritti costituzionalmente garantiti, non possono essere cancellati, neanche da una pandemia.

Chi lo fa si macchia di un grande reato: attentato alla Costituzione!

I nostri padri, ed in questo caso, una delle nostre madri, costituenti hanno faticato tanto per mettere a punto un sistema inattaccabile.

Non sarà superfluo ricordare che: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.

Sulla base di questo principio irrinunciabile, immodificabile, senza questo sistema la pandemia ci avrebbe travolti irrimediabilmente.

Ma le soluzioni della ripresa non vanno ricercate fuori casa, o drammatizzando, come si è letto in questi giorni, volendo gestire il problema dei pronto soccorso con le scritte sulle porte di ingresso degli ospedali: “qui si accettano tutte le carte di credito”, oppure “si accetta pagamento con pos”.

La verità è che il pericolo non è costituito affatto dal settore privato, come in alcune circostanze e da alcuni è stato detto. Tutt’altro, è proprio dal settore privato convenzionato che può arrivare l’aiuto, l’aiuto per un sistema in “codice rosso”.

Prima del nuovo governo si discuteva, ora è necessario disciplinare l’adeguamento e l’aggiornamento dei tetti di spesa, insieme a quello dei tariffari, ma con un aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza,soprattutto nella loro capacità di essere distribuiti e messi a disposizione su tutto il territorio nazionale.

 Il diritto alla salute che è un diritto che tutti riconoscono deve passare attraverso l’integrazione tra pubblico e privato. Al cittadino non può e non deve interessare chi lo cura: ospedale, ASL di competenza, altra ASL o struttura privata; al cittadino deve interessare avere il miglior servizio e come la legge prevede, nel luogo in cui ritenga essere curato nel miglior modo.

Può esistere una via di mezzo fra l’eliminazione totale dei tetti di spesa e stabilire un limite talmente basso, tanto che a metà anno il limite sia esaurito, creando una vera scriminante nei diritti del malato, il quale non si vedrebbe assicurato il suo diritto di curarsi, nella seconda parte dell’anno, a causa dell’esaurimento dei tetti di spesa e sarebbe, perciò, costretto a migrare per curarsi lontano da casa.

Pertanto, anzichè, demonizzare, la sanità privata convenzionata, è da questa che si deve attingere per compensare le carenze della sanità pubblica. Ampi margini di collaborazione si devono auspicare per l’assorbimento delle liste di attesa, in particolare nel campo della diagnostica.

Le diseguaglianze denunciate fra Nord e Sud non si risolvono criticando, ma attuando una programmazione nazionale e  regionale capillare. Lo stanno dimostrando anche le regioni commissariate, nella quali il Presidente assume la delega alla sanità.

Dunque la discussione fra pubblico e privato è viziata da preconcetti ideologici. La natura pubblica del SSN non si modifica se a fornire le prestazioni sono anche imprese private con o senza scopo di lucro.

La natura non cambia perché i livelli essenziali di assistenza, erogabili da strutture pubbliche o private convenzionate, a carico della fiscalità generale sono stabiliti dallo Stato, che diventa garante e terzo.

La temuta privatizzazione della sanità esisterebbe se gli operatori economici: famiglie e imprese potessero scegliere nel mercato quali livelli di assistenza coprire con contratti assicurativi. Ma questo non accade nel sistema italiano e non può accadere. Anzi con l’accreditamento dei privati controllato dallo Stato e quindi normato, la base del sistema di qualità del servizio è garantita, così come lo sono i requisiti professionali, tecnologici ed organizzativi.

Da una approfondita analisi economica si desume che se le strutture accreditate fossero soltanto pubbliche sarebbero autoreferenziali. Invece è necessario che siano messe in competizione con quelle private accreditate per raggiungere più alti livelli di qualità.

Applicare standard nazionali a piccole e medie realtà genera soltanto costi fissi che non saranno mai coperti da produzione sufficiente.

Serve, dunque, una stringente pianificazione sanitaria, sia nazionale che regionale con il controllo di garanzia e di qualità da parte dello Stato.

avv. Maria Antonella Mascaro

29 marzo 2023

Schillaci annuncia il decalogo delle priorità politiche per il 2023

Pubblicato l’Atto di indirizzo del Ministero della Salute, che individua le priorità politiche da realizzare nell’anno. Attraverso il PNRR si dovrà affrontare la riorganizzazione delle cure di prossimità e della ricerca sanitaria.

Particolare attenzione viene riposta sull’argomento del personale del SSN. L’obiettivo sarà rendere maggiormente attrattivo il lavoro nelle strutture del Ssn, anche valorizzando i medici in formazione specialistica all’interno delle reti assistenziali. “Occorrerà proporre specifici interventi, anche di carattere normativo, volti a far fronte alla carenza di personale nei servizi di pronto soccorso, anche prevedendo opportune forme di incentivazione economica e la valorizzazione del servizio svolto nei servizi stessi ai fini della progressione di carriera”.

Di seguito le 10 macroaree di intervento indicate dal ministro della Salute nell’introduzione:

  1. Rafforzamento del sistema di prevenzione a garanzia del benessere del cittadino, anche mediante politiche che mirano a promuovere l’invecchiamento attivo e a prevenire e sostenere le fragilità;
  2. Sostenere politiche innovative in materia di ricerca sanitaria, anche mediante il potenziamento del sistema delle reti e la promozione del trasferimento tecnologico;
  3. Sviluppo di politiche internazionali per la creazione di uno spazio europeo della salute con un ruolo propulsivo dell’Italia;
  4. Ridurre le disuguaglianze tra le regioni nell’erogazione delle prestazioni sanitarie e dei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea), promuovendo una più stretta integrazione tra ospedale e territorio, al fine di una maggiore soddisfazione di bisogni sanitari, accessibilità ai servizi, tempi di attesa e appropriatezza delle prescrizioni;
  5. Valorizzare i professionisti sanitari, anche dando adeguato riconoscimento alle prestazioni svolte e compensando maggiormente le funzioni per le quali si registrano carenze, tra cui i servizi di pronto soccorso;
  6. Implementare il Fascicolo sanitario elettronico e incentivare la diffusione e lo sviluppo della Telemedicina;
  7. Favorire l’innovazione tecnologica nel campo dei dispositivi medici, attraverso un adeguamento delle dotazioni infrastrutturali degli enti del Ssn; ridefinire le politiche nel campo delle sperimentazioni cliniche e rafforzare il sistema delle farmacie;
  8. Promozione di interventi per il benessere animale e a tutela della sicurezza degli alimenti;
  9. Accrescere la conoscenza degli utenti sui temi prevalenti di salute pubblica, con la promozione di apposite campagne informative rivolte alla prevenzione primaria e secondaria e al contrasto della disinformazione;
  10. Modificare l’organizzazione ministeriale al fine di rafforzarne l’efficienza.

28 marzo 2023

OMS E NUOVO TRATTATO PANDEMICO

a cura dell’Avv. Maria Antonella Mascaro

La novità, anche se relativa, arriva dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che elabora un vero e proprio trattato pandemico che presupporrebbe il profilarsi di un governo sanitario mondiale.

L’idea nasce, innanzitutto, dal mettere da parte una serie di notizie fake circolate su Covid, post pandemia, vaccini e quant’altro, ma con intenti e scopi molto più seri e rigidi per gli stati membri.

Dalla seconda metà del 2022 i paesi legati all’OMS hanno avviato negoziati per un accordo globale sulla prevenzione finalizzata alla protezione degli Stati da possibili, future emergenze pandemiche. Ancora nessuna decisione definitiva, ma la questione va monitorara e sono previste riunioni nel mese prossimo. Allo stato attuale, comunque, è stato costituito un organo intergovernativo di negoziazione (INB) che sta elaborando un accordo.

Innanzitutto non c’è allarme per quanto attiene il principio di sovranità dello stato sul tema della salute pubblica, dunque nessuna norma internazionale dovrebbe essere imposta da una dimensione sovranazionale.

Appare comunque un tema caldo quello dell’eventuale incontro-scontro fra sovranità, perché logicamente ogni paese fa il conto con le proprie risorse, detta regole e normativa di urgenze e/o di emergenza per il territorio sul quale esercita piena sovranità, ma è indubbio che l’esperienza passata ci ha insegnato che alcune regole applicate in un paese e non in un altro possono favorire la divulgazione della pandemia, dunque questo sarebbe certamente un argomento di discussione.

Quale ruolo avrebbe, dunque, l’Organizzazione?

L’obiettivo dell’accordo è quello di prevenire le pandemie, salvare vite umane, ridurre il carico delle malattie, rafforzare le capacità mondiali di prevenzione, preparazione e risposta alle pandemie e il risanamento dei sistemi sanitari. Dunque, si vorrebbe ridurre in modo sostanziale il rischio, aumentando le capacità di preparazione e risposta dei Paesi, realizzando progressivamente una copertura sanitaria universale e assicurando una risposta alle pandemie, coordinata, collaborativa e basata su prove di efficacia dei sistemi sanitari a livello comunitario, nazionale, regionale e globale.

Da qui, poi, subentrano i problemi di protezione dei dati, privacy, accesso che dovranno essere normati. Consequenzialmente la regolamentazione dei diritti di proprietà intellettuale per lo sviluppo, la ricerca e la registrazione di nuovi farmaci o eventuali vaccini che porta con sé le varie problematiche sui prezzi da applicare, onde non limitare l’eventuale approvvigionamento. Quest’ultimo può essere messo in atto, attraverso la creazione di una rete logistica globale, adeguata, gestita dall’OMS. Ciò dovrebbe consentire all’Organizzazione di comprare e distribuire, agendo come intermediario fra gli Stati membri.

Ancora, sono previsti meccanismi per effettuare un rafforzamento normativo per accelerare il processo di approvazione e autorizzazione dei prodotti per uso emergenza.

Tutto ciò, sempre assolutamente secondo il principio della trasparenza, con rendicontazione pubblica da parte degli stati membri e successivamente che confluisca in un organo interno dell’Organizzazione.

L’accordo prevede anche regole per il personale sanitario e assistenziale che deve essere adeguatamente formato, competente, preparato, in grado di sapere sopperire alle esigenze dettate da una pandemia, dunque si dovrà rafforzare la formazione, l’impiego, la retribuzione di tutto il personale, ivi compreso quello assunto come operatore di comunità e volontari.

Ci si ripropone per il raggiungimento di tutti gli scopi, l’istituzione di un organo direttivo al fine di promuovere l’effettiva attuazione del nuovo piano di preparazione pandemico. Questo rappresenterà un primo ramo governativo, formato da rappresentanti degli Stati aderenti, e sarà l’organo con funzioni decisionali. Naturalmente saranno, poi, previste altre strutture sul piano amministrativo.

27 marzo 2023

MMG, posti letto e assistenza ambulatoriale: dati in calo

L’ultima edizione dell’Annuario statistico del Servizio Sanitario Nazionale, realizzato dall’Ufficio di statistica del Ministero della Salute, rilevando i dati al 2021, stabilisce che diminuiscono i posti letto nel pubblico, calano i medici di famiglia, meno strutture per l’assistenza ambulatoriale.

Le informazioni sono state elaborate sulla base dei flussi informativi rilevati in base al D.M. 5 dicembre 2006 “Variazione dei modelli di rilevazione dei dati delle attività gestionali delle strutture sanitarie”, che disciplina la trasmissione dei dati da Regioni e Province autonome al Ministero della Salute.

L’assistenza distrettuale: medici di medicina generale e pediatri di libera scelta.

L’assistenza distrettuale, che coordina e integra tutti i percorsi di accesso ai servizi sanitari da parte del cittadino, si avvale soprattutto dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta. In media a livello nazionale ogni medico di base ha potenzialmente come pazienti 1.295 adulti residenti. A livello regionale esistono notevoli differenziazioni. l numero medio potenziale per pediatra è a livello nazionale di 985 bambini, con un’ampia variabilità territoriale (da un valore di 842 bambini per pediatra in Puglia a 1.262 bambini per pediatra nella Provincia Autonoma di Bolzano).  Il contratto dei medici di medicina generale e di pediatria prevede, salvo eccezioni, che ciascun medico di medicina di base assista al massimo 1.500 pazienti adulti (di età superiore ai 13 anni) e ciascun pediatra 800 bambini (di età compresa fra 0 e 13 anni). I medici di famiglia dai 46.061 che erano nel 2011 sono diventati 40.250 nel 2021 (-5.811). In calo anche i pediatri (-694 in 10 anni per un totale nel 2021 di 7.022 unità). In frenata anche i medici di continuità assistenziale (ex guardia medica) che dagli 11.921 che erano nel 2011 sono diventati 10.344 nel 2019 (-1.577)

L’assistenza ospedaliera

Nel 2021 l’assistenza ospedaliera si è avvalsa di 995 istituti di cura, di cui il 51,4% pubblici e il rimanente 48,6% privati accreditati. Il 63,6% delle strutture pubbliche è costituito da ospedali direttamente gestiti dalle Aziende Sanitarie Locali, il 10,4% da Aziende Ospedaliere e il restante 26,0% dalle altre tipologie di ospedali pubblici. Il Servizio Sanitario Nazionale dispone di oltre 214 mila posti letto per degenza ordinaria, di cui il 20,5% nelle strutture private accreditate, 12.027 posti per day hospital, quasi totalmente pubblici (88,6%) e di 8.132 posti per day surgery in grande prevalenza pubblici (76,7%). A livello nazionale sono disponibili 4,0 posti letto ogni 1.000 abitanti, in particolare i posti letto dedicati all’attività per acuti sono 3,4 ogni 1.000 abitanti. Nell’analizzare i dati dell’assistenza ospedaliera occorre tenere presente l’impatto che l’emergenza pandemica ha avuto in alcune regioni, che ha comportato la riorganizzazione delle strutture e delle attività ospedaliere. Nell’Annuario è stato inserito, come per il 2020, un focus specifico relativo ai posti letto e alle strutture dedicate all’assistenza dei pazienti Covid-19. E dopo il Covid si torna a tagliare: rispetto a 10 anni fa tra pubblico e privato sono stati tagliati 5.818 letti tra degenze ordinarie, day hospital e day surgery. Merito del 2020 quando con lo scoppio della pandemia c’è stato un elevato aumento di posti. Ma è da notare che in appena un anno, passato il momento più duro del Covid, ne sono stati tagliati 20 mila: nel 2020 i posti letto erano 257.977 contro i 236.481 del 2021

Le strutture per l’assistenza specialistica ambulatoriale erano 9.481 nel 2011 e sono passate a 8.778 dieci anni dopo. In crescita, ma solo grazie al privato quelle di Assistenza Territoriale Residenziale che a fronte delle 6.383 strutture presenti nel 2011 ne conta 7.984 nel 2021 (pubbliche sono appena il 16,5%). Stesso trend per quanto riguarda le strutture di assistenza territoriale semi residenziale che vede crescere le strutture: erano 2.694 nel 2010 e sono 3.005 nel 2021. Stesso dicasi per la Riabilitativa che da 993 strutture è passata 1.154. In crescita anche i numeri per l’altra assistenza territoriale. Ma ciò che più fa effetto è che i tagli hanno riguardato il settore pubblico che nel 2021 annovera il 43% delle strutture totali contro il 46,1% di 10 anni prima.

23 marzo 2023

Ospedali italiani nel caos. Quali soluzioni?

Gli ospedali italiani sono al collasso. Secondo accreditate associazioni di categoria servono più di 37 mila posti letto e, in ogni caso, l’Italia rimane fuori dalla media europea che prevede più di 5 posti letto ogni centomila abitanti.

Ovviamente a questo aumento deve corrispondere un adeguato aumento del personale sanitario che, come più volte detto, diminuisce o fugge verso mete più ambite, compreso il nord Italia, dove un turno di Pronto Soccorso viene retribuito, a gettone, con una cifra importante (ci si aggira introno ai 1.200/1.500 euro per un turno di 8 ore).

I tagli alla sanità degli ultimi dieci anni hanno ridotto l’offerta sanitaria e contribuito ad allungare le liste di attesa, facendo riversare i pazienti, ma solo quelli danarosi, sulle strutture puramente private.

Su queste tematiche è intervenuta spesso la Federazione sindacale Cimo-Fesmed, proponendo un’inversione di tendenza realizzata dal DM 70/2015 che ha, di fatto, determinato i tagli lineari agli ospedali, senza rinforzare l’assistenza territoriale. Questo ha determinato, specialmente nel periodo post pandemico, lunghi giorni di attesa in barella in Pronto Soccorso, tempi biblici per gli interventi chirurgici per sovraffollamento delle sale operatorie e carenza del personale.

Certamente parte della domanda che soddisfi i bisogni dei pazienti è delegata al finanziamento proveniente dai fondi del PNRR, ma saranno necessari diversi anni di realizzazione e di progettazione dell’impiego delle somme – sempre che richieste nel modo adeguato e attraverso piani di progettazione richieste dalle strutture sanitarie stesse – mentre l’emergenza ospedali è un problema di oggi e va affrontato con meticolosità e urgenza.

Sono previsti prossimi incontri con il Ministro della Salute, il quale, si è mostrato, fin dall’inizio del suo incarico, pronto ad ascoltare e ricevere tutte le parti coinvolte nel dibattito sanitario.

Ci si trova, ancora, in una situazione di attesa, sulle posizioni da prendere da parte del nuovo esecutivo e dei suoi “giovani” Ministri e con ciò non si vuole sottovalutare la portata del problema, anzi dei problemi che gravitano intorno alla situazione “sanità”, ma ciò che lascia perplessi è se esiste una reale intenzione, al di là, di ciò che molto si predica dall’origine della formazione del neo governo, di creare un anello di congiuntura definitiva fra sanità pubblica e sanità privata accreditata; di creare cioè un rapporto di stretta connessione fra due realtà definite da tutte le parti politiche come la testa e il braccio, l’origine e il suo prolungamento, insomma una sola cosa.

Forse si potrebbe ipotizzare un accordo che aggiungendo i posti letto della sanità privata accreditata a quelli della sanità pubblica, potrebbe realizzare il raggiungimento degli standard internazionali europei tanto agognati.

avv. Maria Antonella Mascaro

22 marzo 2023

Il TAR Calabria apre una breccia interpretativa sul concetto di budget di struttura invalicabile

Riportiamo la nota a firma del Vicepresidente nazionale Acop a commento della sentenza del TAR Calabria n. 435/2023.

21 marzo 2023

Dal Senato una possibile soluzione per l’assistenza domiciliare e il PNRR

E’ stato dato il via libera, in Senato, ad un disegno di legge relativo ai piani individuali per l’assistenza sanitaria e sociale.

Il provvedimento nasce dal riconoscimento del diritto delle persone anziane alla continuità di vita e di cure presso il proprio domicilio con l’unione della semplificazione ed integrazione delle procedure di valutazione della persona anziana.

Nel disegno di legge che deve passare alla Camera dei Deputati verranno individuati dei punti unici di accesso (PUA) diffusi per tutto il territorio nei quali verrà effettuata una valutazione multidimensionale per definire un progetto assistenziale individualizzato (Pai).

Ulteriori novità sono rappresentate dal favorire politiche sociali per la popolazione anziana e di promuovere misure per l’invecchiamento attivo e l’inclusione sociale, fino ad arrivare alla promozione di forme di coabitazione solidale per gli anziani, anche con la creazione di case-famiglia, condomini solidali, aperti ai familiari, ai volontari, ai prestatori d’opera di servizi sanitari e sociosanitari.

Nel disegno di legge sono previsti potenziamenti dell’assistenza domiciliare anche integrata, il riconoscimento del diritto al paziente della somministrazione delle cure palliative con maggiore attenzione a farlo nel proprio domicilio, o in strutture hospice, la previsione di interventi a favore dei caregiver familiari.

Sono quasi tre miliardi quelli stanziati dal PNRR per curare a casa gli italiani, perché l’assistenza domiciliare è da sempre considerata l’ultima ruota del carro nella sanità. La pandemia ce ne ha dato dimostrazione.

L’obiettivo del Governo e del Ministero della Salute, in particolare, è di raggiungere il 10% della popolazione over 65 in meno di quattro anni, infatti l’obiettivo è per il 2026 e si tratterebbe di arrivare ad una popolazione di circa un milione e trecentomila unità, contro i quattrocentomila di oggi.

Potrebbe accadere che le Regioni non riescano a spendere i tre miliardi preventivati entro la data prevista.

La motivazione risiede nella enorme problematica, trattata numerose volte, che riguarda la carenza di personale, già difficilmente reperibile per ospedali e strutture sanitarie, a maggior ragione per l’assistenza domiciliare, dove al fianco del medico di base e del sistema di telemedicina, non ancora in atto, per lo meno in molte regioni, è nata la figura dell’infermiere di famiglia.

Per tentare di mettersi in pari per il 2026 ne servirebbero settantamila e invece ce ne sono poche migliaia.

Anche in questo campo si potrebbe tentare di affidarsi all’esterno, ad enti pubblici e privati accreditati, specializzati nelle cure domiciliari. Nel frattempo si accumulano ritardi nelle procedure di accreditamento.

Le Regioni per ottenere, per l’anno in corso, il 50% delle risorse finanziarie stanziate, dovrebbero dimostrare di curare in assistenza domiciliare circa trecentomila pazienti, a fronte dei circa quarantamila seguiti.

In questa situazione si spazia da Regioni più virtuose come la Lombardia a quelle meno empatiche, come il Molise; dati che, comunque, devono tener conto anche della diversa estensione territoriale delle due Regioni prese in esame.

Il progetto è molto ambizioso e l’impegno dovrà essere tale da non lasciar andare l’enorme opportunità, in termini di risorse finanziarie, che il Piano concede.

Il controllo e il monitoraggio è affidato ad AGENAS, Agenzia Nazionale per i servizi sanitari regionali, ente che affianca il Ministero della Salute.

avv. Maria Antonella Mascaro

20 marzo 2023

FESTA DEL MEDICO DI MESSINA – ACOP SICILIA IN GIURIA

Con il patrocinio di ACOP SICILIA martedì 21 marzo inizieranno i preparativi della 3° edizione “La Festa del Medico di Messina”.
Per l’occasione il Presidente dell’Ordine, il Dott. Giacomo Caudo, ha invitato il Presidente Acop Sicilia, il dott. Luca Valerio Radicati, a partecipare alla giuria che sara’ deputata a vagliare e selezionare i medici più meritevoli, nonché i medici che hanno raggiunto il traguardo dei 50 anni di laurea.

16 marzo 2023

Contro le carenze di medici in Molise e Sicilia arrivano gli stranieri

Dopo i medici cubani in Calabria, altri camici bianchi stranieri arriveranno al Centro-Sud per colmare le carenze: in Molise e in Sicilia. “Sono 12 i medici stranieri specializzati in Anestesia e Rianimazione che hanno risposto all’avviso pubblico dell’Azienda sanitaria regionale del Molise (Asrem) per l’assunzione a tempo determinato di 19 professionisti”.

È il caso anche del piccolo comune di Mussomeli in Sicilia, dove l’ospedale locale si trova in gravissima carenza di organico. Dopo l’accordo fra le istituzioni italiane e l’università di Rosario, arrivano i primi medici argentini.

“È impensabile andare avanti in questo modo, troppi i disagi e i rischi per la popolazione, tanto che il sindaco Giuseppe Catania ha deciso di cercare un accordo con l’Università nazionale di Rosario (Argentina)”.

“Abbiamo firmato un accordo di cooperazione internazionale e chiesto alla segreteria dell’Ateneo quanti medici fossero disposti a venire a lavorare da noi”, così il primo cittadino di Mussomeli. “Siamo stati sommersi da email: in 20mila, non solo dall’Argentina, ma anche da Cile e Venezuela, erano pronti a trasferirsi. Una manna dal cielo e due grandi vantaggi, una barriera culturale bassa e la fortuna che molti, figli o nipoti di emigrati italiani, hanno già la nostra cittadinanza”.

Non si tratta della prima volta. Già fra il 2019 e il 2021 erano state avviate ben 19 procedure di reclutamento medici, con poche adesioni da parte degli italiani. “Avendo approfondito il quadro normativo Covid che dava la possibilità di coinvolgere gli stranierei in deroga alla legge sul riconoscimento dei titoli, abbiamo chiesto un bando sperimentale per medici provenienti dall’estero solo per la nostra cittadina che a marzo è stato pubblicato”, spiega il sindaco Catania.

Per il momento è stata accolta la prima dottoressa argentina: Laura Lator, 37 anni. La specialista è stata dichiarata idonea. Dal primo aprile la dottoressa sarà in servizio. Mentre l’11 aprile una seconda commissione esaminerà altri 8 medici sempre sudamericani.  

15 marzo 2023

Debiti fiscali: addio cartelle esattoriali e prescrizione

C’era una volta la cartella esattoriale, notificata ai contribuenti che non pagavano le imposte, le tasse o le sanzioni. Tra breve scomparirà, e con essa scompariranno anche i ruoli, mentre i termini di prescrizione si allungheranno. Sono queste le novità più interessanti della legge di delega fiscale, nell’ottica di rendere ancora più rapido il recupero dei crediti fiscali. Niente più lungaggini dunque, quando si tratterà di procedere a ipoteche e pignoramenti, soprattutto presso terzi, cioè sui conti correnti dei contribuenti.

Lo scopo della riforma fiscale è evitare l’iter che oggi si sostanzia in quattro diversi passaggi:

a) accertamento e avviso di pagamento da parte dell’ente titolare del credito;

b) formazione del ruolo e consegna all’Agente per la riscossione;

c) notifica della cartella da parte dell’Esattore al contribuente;

d) avvio del pignoramento o delle azioni cautelari come ipoteche e fermi auto.

All’esito della riforma, invece, ruolo e cartella saranno mandati in soffitta: uscendo di scena tali atti si procederà alla notifica, da parte dell’ente titolare del credito, di accertamenti direttamente esecutivi da parte della pubblica amministrazione (ad esempio Agenzia Entrate, Inps, Inail, ecc.) che varranno come le vecchie cartelle. Non ci sarà quindi alcun passaggio intermedio, nelle cui lungaggini spesso interveniva la prescrizione del debito o qualche difetto di notifica che consentiva al contribuente di evitare il pagamento.

Per garantire una maggiore efficienza in questo processo, è stata prevista l’istituzione dell’accertamento esecutivo, come previsto dalla bozza dell’articolo 18 della delega fiscale. Inoltre, i termini di prescrizione saranno estesi per velocizzare l’azione di recupero e si punterà ad aumentare la collaborazione con gli intermediari finanziari, per semplificare e automatizzare le procedure di pignoramento dei rapporti finanziari dei contribuenti.

Ampliare i tempi di prescrizione dei debiti fiscali è una parola che lascia molto perplessi, se si tiene conto che già oggi tutte le imposte erariali – quelle cioè dovute allo Stato – si prescrivono in 10 anni.

L’obiettivo è di ridurre l’enorme somma di crediti non saldati dall’ex Equitalia, ora Agenzia Entrate Riscossione, che ha raggiunto la cifra record di 1.153 miliardi di euro alla fine del 2022. Ci sono ancora 174 milioni di cartelle da pagare da circa 20 milioni di contribuenti, il che rappresenta numeri sorprendenti. Tuttavia, sono stati compiuti i primi passi per risolvere il problema attraverso l’ultima legge di Bilancio, che ha introdotto la tregua fiscale.

Allo stesso tempo, per consentire i pagamenti, la delega promette di estendere la chance della dilazione extra large fino a 120 rate, in pratica in dieci anni.

Questo nuovo approccio prevede di concentrarsi maggiormente sull’incasso, gradualmente eliminando il ruolo delle cartelle, che sono state a lungo viste come la principale soluzione per il recupero dei crediti. L’obiettivo è di evitare un ulteriore accumulo di cartelle e accelerare il processo di recupero dei fondi.

14 marzo 2023

Vincenzo De Luca trova la soluzione per decongestionare le liste d’attesa

Lo scenario della Sanità Campana e non solo è quello di centinaia di persone in attesa di esami e visite ambulatoriali. Una situazione che si complica ogni giorno di più. Per il governatore Vincenzo De Luca è tutto frutto dell’operato di «un Governo di cialtroni» colpevole, dal suo punto di vista, di non mettere le strutture del pubblico nelle condizioni utili per recuperare le prestazioni in sospeso. “Possiamo considerarci ancora una sanità pubblica, ma non per moto tempo, se l’atteggiamento del Governo rimane quello di oggi, che è totalmente irresponsabile. Se le liste di attesa sono lunghe è colpa del Governo? Assolutamente sì. Se non c’è il personale e non ci sono le risorse, come si svuotano le liste di attesa? Dobbiamo avere il personale dedicato a queste attività. Se l’Italia è indietro rispetto alla Germania, alla Francia e alla Gran Bretagna per decine di miliardi nel finanziamento della sanità pubblica, è evidente che c’è qualcuno che in testa un altro modello di sanità. I nostri confratelli che stanno al Governo a Roma non sono ingenui, c’è qualcuno che ha in testa l’idea della sanità fatta con le assicurazioni private. Dobbiamo combattere con le unghie e con i denti contro questo modello che hanno in testa”.

Ora però Vincenzo De Luca sembra aver trovato la soluzione: chiamare in soccorso tutto il comparto del privato accreditato al fine di scaricare le liste d’attesa per visite ed esami. Tale soluzione è emersa nel corso della conferenza stampa tenuta ieri mattina da De Luca a Palazzo Santa Lucia in cui è stato fatto il punto proprio sulla situazione della Sanità in Campania: “Bisogna svuotare le liste d’attesa facendo un accordo con il comparto sanitario privato, laboratori e cliniche”, l’annuncio del numero uno della Regione, che ha poi analizzato a fondo la situazione.

“Lo svuotamento delle liste di attesa è un problema nazionale che si è accentuato nei tre anni del Covid. Come Campania siamo nella media nazionale pur avendo oltre 10mila dipendenti in meno, ma vogliamo fare di più. Vogliamo arrivare anche in questo campo ad essere la prima regione d’Italia”.

Il punto di partenza che sta spingendo la Regione a fare “un accordo con il comparto sanitario privato, laboratori e cliniche, e un accordo con le farmacie per le prenotazioni da fare anche al di là dell’Asl di appartenenza, per poi riversare tutte le prenotazioni sulla Centrale unica di prenotazione. Pensiamo di definire un ambito territoriale di garanzia: facendo l’esempio di Napoli, suddividiamo la città in tre ambiti e in ognuno di questi c’è una struttura pubblica, ma anche le strutture private, in grado di erogare le prestazioni”, l’idea dell’ex sindaco di Salerno. “Se il pubblico non ce la fa, il cittadino avrà il tempo di prenotazione adeguato per una struttura di laboratorio o clinica privata a cui rivolgersi”. Per De Luca questo tipo d’iniziativa rappresenta “una rivoluzione, un obiettivo veramente ambizioso” che è pronto a raggiungere già in qualche settimana. “Dobbiamo fare subito l’accordo con le farmacie per le prenotazioni, oggi si prenota solo rispetto all’Asl di appartenenza, quindi dobbiamo avere l’intesa per poter utilizzare le farmacie per fare le prenotazioni sul Cup, poi faremo l’accordo con le cliniche e i laboratori privati che devono integrarsi con le strutture pubbliche nell’erogazione delle prestazioni sanitarie. Cercheremo di bruciare i tempi, aprile-maggio può essere un tempo congruo per avere la messa a regime di questo sistema integrato di servizi da offrire tra strutture pubbliche e private”.

13 marzo 2023

Lo psicologo di base: le Regioni si muovono prima dello Stato

Non è una novità purtroppo che il disagio psicologico si è notevolmente acuito dopo la pandemia, pertanto il sostegno sul territorio è molto sentito.

Alcune regioni hanno fatto da campione sull’argomento, per esempio la Campania che ha istituito la prima legge sullo psicologo di base, seguita poi da Toscana, Abbruzzo e Piemonte.

La Regione Campania, antesignana riguardo alla problematica, già con legge regionale n. 35 del 3 agosto 2020, dunque in piena pandemia, aveva istituito questa importante figura dello psicologo di base, passando anche il vaglio di legittimità della Corte Costituzionale con sentenza n. 241/2021, figura da porre a fianco dei medici di medicina generale e dei pediatri di base, presso i distretti delle ASL, al fine di offrire un servizio di psicologia di base per sopperire agli enormi disagi creati dalle conseguenze del lockdown, contrastando, o cercando di contrastare, la crescita esponenziale dei disturbi mentali, anche espressi a livello di sociopatia, per ritrovare un benessere psicologico.

La Regione Campania ha inoltre siglato un accordo con l’ordine degli psicologi, stanziando un contributo di ottocentomila euro per il supporto a bambini e adolescenti. Le famiglie avranno diritto ad un voucher di dieci incontri, scegliendo il professionista da una sorta di short list fra gli psicologi che avranno aderito al protocollo.

A seguire la Regione Abbruzzo con legge dell’8 ottobre 2022 istituisce la figura dello psicologo, mutuata, questa volta, attraverso l’indicazione del medico o del pediatra di base.

In Piemonte sta per partire il progetto denominato “Psicologo delle cure primarie” con uno stanziamento di unmilioneottocentomila euro, con la presenza di cinquantacinque psicologi e psicoterapeuti sul territorio regionale, al fine di prendere in carico pazienti che rischiano di intasare ulteriormente pronto soccorso e liste di attesa.

Ancora in Toscana la legge è di novembre con stanziamenti finanziari all’incirca di quattrocentomila euro.

Anche in Puglia la legge era del 2020, bocciata dalla Corte Costituzionale solo per motivi riguardanti il piano di rientro da deficit finanziario. Ugualmente in Lombardia il progetto non è ancora partito per ricerca di fondi.

In Emilia Romagna dal 2021 si è puntato sullo psicologo presso le Case di Comunità con presidi da richiedere tramite guardia medica.

Altre autonomie locali hanno, invece, diretto la sperimentazione attraverso forme di aiuti e di contribuzioni, rivolgendosi ad alcune fasce della popolazione.

Nel Lazio il contributo si è concentrato sulla popolazione giovanissima che comprende la fascia di età fra i sei e i ventuno anni. Il contributo può arrivare fine a mille euro a famiglia e rientra in una sorta di bonus da richiedere per il progetto denominato “Aiuta Mente Giovani”.

In Friuli Venezia Giulia il contributo per i giovani di duecentoventicinque euro per cinque sedute per ragazzi che frequentano  un corso di istruzione senza soglia ISEE.

La Regione Veneto ha istituito le unità funzionali distrettuali adolescenti che si trovano presso le ASL.

La Liguria ha erogato circa due milioni di euro per il contrasto alle dipendenze e la Calabria ben sette milioni di euro per un’equipe multidisciplinare di psicologi, neuropsichiatri e logopedisti che su richiesta delle scuole intervengono in supporto ai docenti laddove sussista una certificazione di disturbo dell’apprendimento, o disagi post covid.

Anche l’Umbria è partita con il progetto psicologo nel 2022, effettuando già oltre mille prestazioni.

I dati non sono confortanti, ma la necessità, il bisogno di stanziare fondi a beneficio della popolazione territoriale, ma soprattutto dei giovani è molto sentito e peraltro supportato da statistiche per nulla piacevoli, in quanto le malattie con natura psicologica o psichiatrica sono notevolmente aumentate. Basti pensare ai dati emanati dalla Società di Neuropsicofarmacologia (SINPF) che fotografa una situazione poco consolante: un minore su quattro con sintomi depressivi e uno su cinque con disturbi d’ansia, nonché triplicati dal 2020 al 2022 i ricoveri per anoressia e bulimia.

Intanto, a livello nazionale, il bonus psicologo partirà da giugno, ma questa misura che prevede attualmente uno stanziamento di cinque milioni di euro è destinata ad esaurirsi in poco tempo, motivo per il quale va riconosciuto un plauso alle autonomie locali che si sono mosse già da un paio di anni per cercare di sopperire, comunque di venire incontro a questo enorme fardello che colpisce la parte più giovane della popolazione.

avv. Maria Antonella Mascaro

9 marzo 2023

Corte dei Conti Piemonte – Medici a gettone sono un disastro

La relazione annuale sulle attività di controllo dei conti pubblici da parte della Corte dei Conti del Piemonte, contiene la seria preoccupazione sui costi dei medici cosiddetti «a gettone» utilizzati nei Pronto Soccorso e nei reparti ospedalieri piemontesi, pratica ormai troppo diffusa per sopperire alla carenza di personale interno.

Elevatissimi i compensi previsti per questi professionisti, reclutati dagli ospedali attraverso agenzie di somministrazione lavoro: oltre mille euro al giorno per ogni medico in servizio, cento euro per ogni ora di turno. Importi questi che rischiano di far esplodere i conti degli ospedali e delle Asl, con conseguenze disastrose sui bilanci della Regione.

A fronte dell’allarme della Corte dei Conti, l’assessore regionale alla Sanità, Luigi Icardi annuncia che i bilanci consuntivi 2022 delle Aziende sanitarie dovranno tenere conto della cassa che certo non è gonfia di soldi e, soprattutto, del fatto che le spese sono aumentate e aumenteranno, talvolta in maniera spaventosa non solo per i costi energetici, ma anche per l’ingaggio dei professionisti esterni.

Il tema si fa rovente in quanto il personale utilizzato dalle agenzie di lavoro interinale ed impiegato nei Pronti Soccorso spesso non ha conseguito alcuna specializzazione, provenendo spesso da fuori Piemonte senza garantire alcuna continuità delle cure per i casi seguiti. Questo fenomeno influirebbe anche sull’aumento del 100% della mortalità nei Pronto Soccorso italiani registrata negli ultimi dieci anni, per la mancanza di cure adeguate e di qualità, tra l’altro con un costo enorme per la collettività.

La Presidente della Sezione piemontese della Corte dei Conti, Maria Teresa Polito, così ha messo a fuoco il tema all’inaugurazione dell’Anno giudiziario: «Negli ultimi anni in diverse Aziende sanitarie locali gli incarichi ai medici ‘gettonisti’ si sono quasi decuplicati». A seguito dei controlli sui bilanci consuntivi di tutte le diciotto Aziende sanitarie piemontesi per l’anno 2021, Polito ha osservato: «Il problema più rilevante è quello della carenza del personale sanitario. L’assenza adeguata di programmazione e della valutazione degli esiti delle scelte effettuate anni addietro è il risultato di una serie di fattori: numero chiuso a Medicina, numeri limitati nei bandi per le scuole di specializzazione, gestione restrittiva dei piani di rientro in diverse regioni con elevati disavanzi finanziari». Tuttavia, le formule utilizzate per far fronte alla difficoltà del Servizio sanitario, come quella dei medici ‘gettonisti’, «non sono adeguate – precisa la relazione di Polito – sia sotto il profilo economico-finanziario che della qualità del servizio reso, con evidente nocumento di un diritto essenziale come quello della salute, costituzionalmente tutelato».

Altro nervo scoperto della relazione della Corte dei Conti è costituito dalle liste d’attesa per visite, esami, interventi chirurgici. Secondo la presidente Polito “l’analisi dei bilanci 2021 ha evidenziato che solo il 65% delle risorse destinate al recupero delle liste è stato speso”. Se per un verso è ormai assodato che molte prestazioni non fruite tra 2020 e 2021 per ritardi legati alla gestione Covid non saranno recuperate (per esempio, tutte le visite annuali programmate, slittate all’anno successivo), rimane da valutare l’effetto della mancata prevenzione «soprattutto – sottolinea Polito – nell’ambito degli screening oncologici, con pesanti conseguenze sull’accertamento tempestivo di tali patologie. I ritardi accentuano ancora di più le diseguaglianze fra i cittadini bisognosi di cure» tra i quali solo chi ha potuto è ricorso alle cure del privato non convenzionato.

8 marzo 2023

Un omaggio alle donne: una sanità sempre più al femminile

Nella giornata celebrativa della festa della donna una piccola celebrazione alla componente femminile quale presenza nel mondo sanitario.

Le donne medico sono il 48,1% del totale dei camici bianchi, ma tra gli under 45 arrivano al 63,5%. Tra il personale infermieristico e quello medico, le donne, sono quasi il 78%. Anche nel ruolo amministrativo sono la stragrande maggioranza: ben il 72,3% del personale è donna.   

Dunque il mondo della sanità italiana ha sempre di più una marcata componente femminile. Il 68% circa del personale del Servizio Sanitario Nazionale è formato da donne.

Sono 428.506 quelle con contratto a tempo indeterminato censite dal Conto Annuale Igop della Ragioneria Generale dello Stato alla fine del 2019.
Una presenza femminile che varia a seconda dell’inquadramento e della categoria professionale. Infatti, nel ruolo sanitario il 68,7% del personale è donna, in quello professionale solo il 22,7%; il 63,1% del ruolo tecnico è rappresentato da donne, nel ruolo amministrativo diventano il 72,3%.

Il 48,1% dei dirigenti medici è donna e quasi il 78% del personale infermieristico è di genere femminile. Anche a livello regionale gli scenari sono molto diversificati: le donne fanno la parte del leone nella Provincia autonoma di Bolzano (il 75,8%), mentre nella Regione Campania non superano la soglia del 50% (la presenza femminile è del 49,4%).
Guardando al futuro è facile presumerne che il cielo del mondo sanitario si tingerà  di rosa.

Dato non meno importante dei numeri che vengono fuori dal rapporto citato è che tra i medici under 45, il 63,5% sono donne. Dunque una forte presenza femminile nel mondo sanitario “giovanile”.

Questi dati si riferiscono ad un Rapporto “Le donne nel servizio Nazionale” del 2021 pubblicato solo all’inizio del 2022.

Mancano, dunque, i dati aggiornati ad oggi e non ancora pubblicati. In ogni caso si può affermare, che sono in crescita, dal momento che, a causa della pandemia, vi è stato un surplus di impiego nel personale sanitario, medico ed infermieristico; personale che seppur non stabilizzato, è comunque andato in proroga nei due decreti milleproroghe per ogni anno successivo alla pandemia.

Dunque, una presenza femminile che contribuisce in maniera fattiva e costante all’incremento della qualità, della sicurezza, del gradimento dell’assistenza, e ad un approccio “gentile” alla sanità.

Si ribadisce che nelle Regioni la componente femminile varia con Trento e Bolzano in testa, pur se occorre ricordare che le due provincie sono meno popolate in percentuale, segue comunque il Piemonte, ma in generale in quasi tutte le regioni sul totale del personale assunto la componete femminile supera la maggioranza.  

Ulteriore dato è fornito dal fatto che se le donne con un contratto a tempo indeterminato sono la maggioranza (il 67,9% del personale totale), anche quelle a tempo determinato rappresentano complessivamente quasi il 70% del personale.   

In generale si può, comunque, affermare che la presenza femminile all’interno del Sistema Sanitario Nazionale è significativamente cresciuta negli ultimi anni.

Dal 2010 al 2019 ad esempio, se la percentuale di donne nel personale infermieristico è rimasta pressoché invariata (pari a circa 77%), cresce invece considerevolmente – oltre alla quota di donne medico sul totale medici, anche la percentuale di veterinari e di dirigenti sanitari donna. La curva è destinata a crescere, alla luce della prevalenza del genere femminile tra i più giovani.

Esistono, ancora, mondi poco esplorati dall’universo femminile, in campo lavorativo, come ad esempio l’ingegneria, la fisica ed il mondo matematico in generale, e affinchè questo cessi, il genere femminile deve godere del suo giusto spazio in un campo quale quello sanitario che soprattutto, ad altissimo livello dirigenziale, è stato sempre appannaggio del genere maschile.

Questa evoluzione non deve avvenire per disposizione di legge, o per attribuzione equanime di quote rosa, ma perché è il posto che spetta alle donne al pari che agli uomini, uniformando anche le retribuzioni che ancora oggi sono sbilanciate e non conformi agli standard di altri paesi europei e transnazionali.

Solo così si condurrà l’Italia al raggiungimento di uno degli obiettivi più importanti dell’agenda 2030: un’autentica parità di genere.

avv. Maria Antonella Mascaro

7 marzo 2023

Rapporto Cergas SDA Bocconi: il settore dei servizi per anziani non autosufficienti in profonda crisi

Anni di politiche pubbliche parziali e obsolete, sommate agli impatti economici che lo hanno duramente colpito dopo la pandemia di Covid-19, come l’aumento dei costi di gestione e la crisi del personale. Di conseguenza, il settore dei servizi agli anziani non autosufficienti in Italia sta attraversando un momento di profonda crisi. Questo è ciò che emerge dal rapporto di ricerca dell’Osservatorio Long Term Care del Cergas SDA Bocconi, ora alla sua quinta edizione in collaborazione con Essity Italia, la cui pubblicazione è stata evidenziata sul portale Sanità 24. Fornendo una panoramica trasversale del settore assistenziale, il rapporto rappresenta un prezioso punto di incontro tra il settore privato e il welfare pubblico.

Il rapporto si è concentrato specificamente sulla comprensione delle caratteristiche dei servizi residenziali disponibili per gli anziani oggi, partendo dai dati dei gestori e confrontandoli con le norme vigenti e gli standard richiesti in 12 regioni.

L’eterogeneità regionale è il primo elemento che emerge dall’analisi: guardando da vicino cosa significa la residenzialità socio assistenziale per gli anziani (RSA) nelle 12 regioni studiate, si osserva che ogni sistema è profondamente diverso, rendendo difficile il processo di confronto dei servizi. La conseguenza è una profonda iniquità per i cittadini, ma anche complessità per i gestori che operano in contesti molteplici e sono costretti ad affrontare regole e meccanismi completamente diversificati.

Tra gli esempi, le tariffe riconosciute dalle regioni per i moduli di assistenza ad alta intensità possono variare da un minimo di 30 euro al giorno a un massimo di 87,7 euro al giorno. I minuti di assistenza previsti al giorno per paziente per i moduli di alta intensità variano coerentemente da un minimo di 17 a un massimo di 62 per infermiere, e da 77 a 206 per OSS. In altre parole, in media è necessario un infermiere per ogni 5,6 OSS. Tuttavia, la variabilità tra le regioni varia dai contesti in cui è necessario un infermiere per ogni 3,3 OSS per le alte intensità, a un infermiere per ogni 9 OSS per le basse intensità.

Osservando, d’altra parte, le prestazioni dei gestori nel 2021 e nel 2022, lo studio mostra che il 90% delle aziende intervistate, sia pubbliche che private, ha registrato un aumento dei costi del personale. Il 62% ha riportato un peggioramento del risultato di bilancio, mentre il 74% ha segnalato un aumento dei casi di burnout del personale con conseguente peggioramento della qualità dei servizi. Nel 2022, sempre secondo i gestori, si è verificata una profonda crisi legata alla carenza generalizzata e strutturale di personale, con il 21,7% degli infermieri, il 10,8% degli OSS e il 13% dei medici. Questi dati ci mostrano che gli operatori stanno operando con personale insufficiente e devono essere messi in relazione con quelli dati che confrontano la dotazione di organico effettivo riportata dai gestori con il minimo richiesto dalla normativa.

Le aziende, che siano pubbliche o private, operano in media con un numero maggiore di personale rispetto a quello richiesto dalla normativa. Il rapporto indica una media di un infermiere ogni 5,1 OSS, rispetto alla media richiesta di 5,6 (dati del 2021). Ciò è dovuto al fatto che il mix di casi reali nei servizi residenziali per anziani è molto più complesso di quanto presuppone la normativa. In questo modo, per offrire un servizio adeguato in termini di qualità e sicurezza, i gestori devono alzare gli standard, e ciò viene fatto nonostante le difficoltà nel trovare personale qualificato e nonostante il fatto che le tariffe riconosciute dal sistema pubblico siano calibrate su livelli di servizio più bassi. Tuttavia, nel 2019, questo numero era pari a 1 ogni 4,8, il che indica che il quadro di personale “extra-standard” sta diminuendo a causa delle crisi contingenti.

Un terzo elemento evidenziato nel rapporto riguarda l’intero settore. Secondo le stime più recenti, gli anziani non autosufficienti nel nostro paese sono 3,9 milioni, il che corrisponde al 28,4% della popolazione sopra i 65 anni, secondo i dati ISTAT. Di questi, solo il 6,3% ha trovato una soluzione in una struttura residenziale, lo 0,6% in centri semi-residenziali, il 21,5% tramite ADI, la cui intensità media si è fissata a 15 ore all’anno per anziano assistito. I dati mostrano che, in effetti, i risultati del welfare pubblico in termini di servizi reali sono ancora molto limitati. In altre parole, le famiglie si trovano praticamente sole nella gestione delle cure, anche considerando che l’offerta di servizi residenziali privati è residuale e pari ad un decimo di quella pubblica.

In questo senso, il numero di famiglie escluse dai servizi formali e che quindi si rivolge al mercato delle “badanti” è ancora molto elevato, con stime recenti che indicano un aumento del 11% del numero di badanti rispetto alla pre-pandemia, raggiungendo il totale di 1,12 milioni di persone. Si prevede un aumento del numero di anziani e di persone non autosufficienti in futuro, il che dovrebbe rendere il settore una priorità per le politiche di intervento, non solo per quanto riguarda gli operatori, i lavoratori e gli utenti dei servizi, ma soprattutto per tutti i cittadini che attualmente sono esclusi dal sistema.

6 marzo 2023

Via definitivo al Decreto Milleproroghe

Il provvedimento è legge.

L’assemblea della Camera, con voto di fiducia, ha approvato in via definitiva il decreto milleproroghe nel testo già licenziato la scorsa settimana dal Senato. Moltissime le misure previste per la sanità.

Alcune novità, già preannunciate nel nostro settore delle notizie.

Per gli anni 2023-2024 viene istituito nello stato di
previsione del Ministero della Salute, un apposito fondo, denominato Fondo per l’implementazione del piano
oncologico nazionale 2023-2027, con una dotazione pari a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni dal
2023 al 2027, destinato al potenziamento delle strategie e delle azioni per prevenzione, diagnosi, cura e
assistenza del malato oncologico, definite nel piano oncologico nazionale.

Con decreto del Ministero della Salute, da adottare entro centoventi giorni dall’entrata in vigore della legge,
dovranno essere individuati i criteri e le modalità di riparto alle Regioni del Fondo da destinare in base alle
specifiche esigenze regionali, al raggiungimento della piena operatività delle reti oncologiche regionali, al
potenziamento dell’assistenza domiciliare e integrata con l’ospedale e i servizi territoriali, nonché ad attività
di formazione degli operatori sanitari e di monitoraggio delle azioni poste in essere.

Ancora, il Ministero della Salute in concerto con la Conferenza Stato-Regioni ha stabilito il riparto della quota premiale dello 0,5% per le Regioni che adottino misure adeguate a garantire l’equilibrio di bilancio.

Vengono prorogate le assunzioni per i neolaureati in medicina con abilitazione, reclutati durante il Covid.

Anche per il 2023 sarà possibile avvalersi dei medici specializzandi con proroga fino al 31.12.2023.

Prorogati anche gli incarichi di collaborazione per il personale AIFA.

Ampliamento dell’albo dei direttori generali dell’Asl anche agli idonei, albo integrato entro il 30 aprile di quest’anno.

Vanno in proroga anche i crediti formativi ECM con inizio di un nuovo triennio 2023/2025. Prevista anche proroga del triennio precedente.

Quanto all’uso della ricetta elettronica, questa è prorogata al 31.12.2024.

Previsto anche il finanziamento per la ricerca, assistenza e cura al fine del miglioramento dei livelli essenziali di assistenza per cui nel biennio 2023/2024 sarà accantonata una cifra di 38,5 milioni di euro. La ripartizione dei fondi è stabilita in Conferenza Stato-Regioni.

Previsto fino al 31.12.2023 un allentamento dei vincoli di esclusività per gli operatori delle professioni sanitarie al di fuori dell’orario di servizio per un monte orario complessivo settimanale non superiore ad otto ore.

Crediti di imposta per le strutture che si avvalgono di personale assunto a tempo indeterminato con una percentuale non inferiore all’85%.

I laureati in medicina e chirurgia abilitati possono continuare ad assumere incarichi provvisori o di sostituzione dei medici di base anche pediatri.

Per garantire la piena attuazione del Piano operativo per il recupero delle liste di attesa, le Regioni potranno continuare, entro il 31.12.2023, ad integrare gli acquisti di prestazioni ospedaliere e di specialistica ambulatoriale da privato, utilizzando una quota no superiore allo 0,3% del livello di finanziamento del fabbisogno nazionale standard cui   concorre lo Stato per l’anno 2023.

I medici di medicina generale e i pediatri in regime di libera scelta potranno andare in pensione a 72 anni. Il regime è stato prorogato con la logica di fare fronte alle esigenze del Servizio sanitario Nazionale e garantire i livelli essenziali di assistenza, in assenza di offerta di  personale medico, ovviamente solo su richiesta di quest’ultimo di prorogare la richiesta di pensionamento fino ai 72 anni di età.

avv. Maria Antonella Mascaro

2 marzo 2023

Le regioni promosse per la sanità

Il GIMBE, Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle evidenze, associazione nata nel 1996 con l’obiettivo di diffondere in Italia l’Evidence-based Medicine, ha stilato nel suo rapporto annuale la classifica delle regioni promosse, di quelle bocciate in alcune macroaree o in tutte le aree.

Il monitoraggio valuta ventidue indicatori in tre macro-aree: prevenzione collettiva e sanità pubblica, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera. Per ogni area si assegna un punteggio da 0 a 100 e la Regione è considerata adempiente se raggiunge un punteggio di almeno 60 in ciascuna area. Se il punteggio è inferiore ai 60 punti la Regione è da considerarsi inadempiente anche solo in un’area fra quelle considerate.

Sono solo 11 regioni promosse: Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria, Veneto e Puglia.  Quest’ultima l’unica Regione del sud promossa nei criteri di valutazione.

Dieci Regioni bocciate in una sola macroarea: Abbruzzo, Liguria, Molise e Sicilia; Basilicata, Campania, Bolzano, Sardegna e Val D’Aosta in due e Calabria totalmente bocciata in tutte e tre le aree.

Le Regioni inadempienti vengono sottoposte a piani di rientro con l’affiancamento del Ministero di salute che può comportare un vero e proprio commissariamento, anche se per esempio e per ricitare un’intervista dell’attuale Presidente della Regione Calabria di poche settimane fa: 12 anni di commissariamento della Regione hanno condotto la sanità calabrese dove è ora con carenze strutturali importanti.

Ancora una volta sono evidenziate enormi divari fra nord e sud, considerando che la sola Puglia, come Regione rappresentativa del Sud è stata promossa nella classifica Gimbe, a conferma del gap di un’Italia ancora una volta divisa a metà.

Le Regioni virtuose sarebbero quelle meritevoli di accedere alla quota di finanziamento premiale, ma in considerazione del fatto che l’anno 2020 è stato caratterizzato dall’emergenza Covid questa classifica, come dichiarato dal Presidente della Fondazione Nino Cartabellotta, non avrà impatto sulla quota premiale, ma solo uno scopo informativo.

avv. Maria Antonella Mascaro

1 marzo 2023

Annuncio del Ministro della salute: Commissione di Inchiesta sulla gestione della pandemia

Il Ministro Schillaci mette sotto il riflettore la gestione del precedente Governo e annuncia ciò che era stato un caposaldo della campagna elettorale del centrodestra: la (mala) gestio della pandemia.

Vengono mossi i primi passi presso la commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati per l’avvio di una discussione finalizzata all’istituzione di una Commissione di inchiesta bicamerale sugli eventuali errori del periodo pandemico.

Si pongono una serie di interrogativi: in sostanza la commissione si dovrà occupare di investigare su eventuali errori nella gestione del virus, ritardi, omissioni, tempestività o meno delle chiusure, ciò in senso positivo, ma anche negativo e dunque: era necessario effettuare un lockdown totale?

Ancora controllare se ci siano state speculazioni e se sì quali ed in quali ambiti. Sarà un iter lungo e molto impegnativo, quasi, si potrebbe figurare, una sostituzione di poteri dello Stato. Ma il Governo attuale resta convinto che una serie di decisioni furono prese senza evidenze scientifiche e dunque i lavori della futura commissione potrebbero rimettere in dubbio le scelte sui vaccini e sulle campagne vaccinali.

D’altronde non va dimenticato che l’Italia è stato uno dei primi Paesi europei ad essere letteralmente travolto dal virus e colpito molto duramente: si moriva e si aveva paura di morire. Un ospite inatteso e di cui non si sapeva nulla si è presentato alle nostre porte e come una ha spazzato via tante vite.

Le decisioni sono state prese in modo veloce ma senza troppe evidenze scientifiche che ora saranno passate in rassegna dalla futura commissione come fotogrammi, ma fotogrammi di un paese che era in forte disagio.

Sul fronte del precedente Governo non sono tardati i commenti dell’ex Ministro Speranza il quale ha parlato della commissione come una “clava politica”, cioè dell’istituzione di un tribunale incaricato di attaccare gli esponenti dell’opposizione.

Certamente va fatta una considerazione e cioè che si tratta di un’indagine ex post e con le conoscenze di oggi su fatti sui quali alcune decisioni immediate, pur se scomodo per molti se non per tutti, dovevano essere prese.

Dunque, qualsiasi filone si volesse perseguire si dovrà sempre tenere in considerazione il fatto che un enorme lavoro è stato fatto durante la pandemia, che molte vite sono state salvate grazie ad un sistema ed ad un personale sanitario di eccellenza dal punto di vista delle competenze e non di meno dell’umanità e della dedizione che contraddistinguono da sempre la forza del popolo italiano.

avv. Maria Antonella Mascaro

28 febbraio 2023

Rapporto tra pubblico e privato: virtù non conflitto

Trentatré sono i miliardi di euro di spese sanitarie complessive gestite dalle Regioni Lombardia e Lazio, solo due miliardi in meno dell’ultima manovra economica. La corsa delle elezioni del 12 febbraio si è giocata in corsia e negli studi medici per le due regioni che occupano il primo e il secondo posto in Italia per spese di salute.

Il dibattito tuttavia ha preso come spesso accade una direzione distorta: piuttosto che migliorare il servizio sanitario, garantendo qualità delle prestazioni con un occhio attento alle economie di scala, ci si schiera tutti a impedire la crescita del comparto privato accreditato. Questo non è la parte “privata” della sanità, ma semplicemente una scelta tecnica su chi debba essere l’erogatore tra soggetti pubblici e privati.

L’Italia ha un sistema sanitario nazionale con una dotazione di risorse intorno ai 140 miliardi di euro all’anno, mentre la componente privata si aggira intorno ai 50 miliardi.

La tipologia di prodotti acquistati nell’ambito dei consumi privati è molto diversificata: l’acquisto di beni sanitari (farmaci, ma non solo) rappresenta il 34,6 per cento del totale della spesa privata, quello di servizi ospedalieri il 13,6 per cento; la parte del leone (51,6 per cento) va però ai servizi ambulatoriali, tra cui spiccano soprattutto quelli odontoiatrici (8,5 miliardi di euro di spesa privata). Ai diversi tipi di prodotti si associano profili di spesa differenti: mentre la spesa dentistica segue la dinamica dei beni di lusso, l’acquisto di farmaci può essere equiparato all’acquisto di beni primari.

Per quel che riguarda la ripartizione della spesa tra pubblico e privato, la quota di spesa sostenuta direttamente dai cittadini risulta elevata soprattutto per l’acquisto di apparecchi terapeutici (74 per cento del totale) e di prodotti farmaceutici (38 per cento), per l’assistenza ambulatoriale (39 per cento) e per l’assistenza ospedaliera di lungo termine (34 per cento). Al contrario, l’assistenza ospedaliera in regime ordinario e quella in day hospital risultano preponderantemente a carico della sanità pubblica (rispettivamente 96 e 92 per cento).

Acop ritiene che il criterio da applicare in questi casi sia semplice: chi ha la migliore capacità di “fare salute”, entro limiti economici uguali per tutti, dovrebbe beneficiare di maggiori risorse pubbliche. È necessario avere un giudizio distaccato sull’argomento relativo agli erogatori pubblici e privati di questa parte della sanità.

Con la premessa che ogni sistema sanitario del mondo è misto pubblico/privato, con varie combinazioni di spesa pubblica, Out-of-Pocket e assicurazioni, è necessario trovare i punti di equilibrio tra i due ambiti. Questo è l’esercizio fondamentale per creare un sistema orientato alla salute dei cittadini. L’ideologia pubblicistica o di mercato è il grande nemico di ogni discussione seria sul tema. Più che in altri temi dobbiamo cercare “quello che funziona” e misurare ossessivamente gli outcome dei vari sistemi.

Dovremmo auspicare un sistema pubblico forte che collabori con un sistema privato altrettanto forte, seduti fianco a fianco ed entrambi proiettati a garantire su tutto l’interesse dei cittadini.

Il comparto privato costruisce una virtù per il Sistema Sanitario Nazionale, perché in esso è possibile trovare qualità dei servizi, efficacia ed efficienza nel sistema delle cure, con prestazioni che gravano in media per un 20% in meno sulle casse del finanziamento pubblico.

27 febbraio 2023

Elly Schlein: “Difenderemo i poveri e la sanità pubblica”

“I gazebo vincono sui circoli”.  È il commento che ha accompagnato l’inatteso quanto sorprendente risultato delle  primarie, con la vittoria di Elly Schlein su Stefano Bonaccini, con il 60% dei consensi. 

Una grande prova di democrazia che ha visto oltre un milione di persone votare in una giornata piovosa in tutta Italia.

Per la prima volta una donna di 38 anni è a capo del Partito Democratico e per la prima volta non diventa segretario il candidato più votato fra gli iscritti, in quanto a prevalere sono stati i gazebo allestiti in tutte le città d’Italia.

Una vera scossa di terremoto, che rimescola tutte riaprendo molte discussioni interne al partito. “Il popolo democratico è vivo, c’è ed è pronto a rialzarsi con una linea chiara” è uno dei primi pensieri espressi dalla neo segretaria, che ha definito la sua stessa vittoria come una “nuova piccola rivoluzione”.

L’approccio di questa donna, con una personalità e uno spirito tanto lontani dagli ingessati “politici istituzionali”, ha saputo in pochissimo tempo saper parlare alla pancia di un’area politica delusa, coinvolgendo quel mondo giovanile e i tanti ormai preda dell’astensionismo, sempre più distanti da un partito che in questi anni ha perso consensi e appeal

Nel suo primo emozionato commento pubblico la Schlein ha elencato i temi chiave di impegno del suo programma: precarietà, salario minimo, sanità e scuola pubblica, giustizia climatica:  ”Organizzeremo l’opposizione per la  difesa dei poveri contro un governo che li colpisce, saremo a difesa della scuola pubblica nel momento in cui il governo tace davanti a una aggressione squadrista. Faremo barricate contro ogni taglio alla sanità”.

I temi caldi della campagna della Schlein comune proposta per il SSN sono stati quelli relativi alla sanità di prossimità, sempre più territoriale e domiciliare attraverso un forte impulso della spesa pubblica per rafforzare il personale necessario alla gestione dei plessi realizzati con i fondi del PNRR.

Un grande investimento nella sanità pubblica universalistica, per difenderla dagli attacchi di chi la vuole tagliare e privatizzare. Investimenti enormi per finanziare le liste di attesa infinite.

Ancora investimenti maggiori nel settore pubblico, allineando gli stanziamenti per il fondo sanitario nazionale con la media europea, per ammodernare gli ospedali, potenziare l’offerta diagnostica e valorizzare i professionisti della sanità superando i tetti alla spesa del personale.

La sede nazionale di Acop esprime i migliori complimenti per l’ottimo risultato raggiunto, con i migliori auguri di un buon lavoro nell’avvio di un percorso politico.

Non appena saranno suddivise le deleghe di partito ai vari settori, Acop chiederà un incontro con i nuovi responsabili del settore sanitario del Partito Democratico, al fine di avviare un proficuo dialogo, volto ad affermare l’assoluta parità tra pubblico e privato accreditato, nel concorrere alle risposte di salute del territorio.

23 febbraio 2023

La stretta alleanza fra pubblico e privato convenzionato

Il Ministro della Salute annuncia che per le liste di attesa c’è un tesoretto di settecento milioni di euro. Si tratta delle risorse non spese nel 2022 cui deve essere aggiunta una quota del nuovo Fondo Sanitario Nazionale.

Queste somme saranno a disposizione delle Regioni per il recupero delle liste di attesa, la prima, vera emergenza della sanità dopo la pandemia. Dunque il recupero delle innumerevoli prestazioni fra screening, visite e ricoveri che sono saltati a causa del Covid, soprattutto nel primo periodo e che da quel momento hanno generato un ritardo che non si è stato più in grado di colmare. Prestazioni, secondo il Ministro, che potranno essere recuperate anche finanziando medici e infermieri, pagando gli straordinari e avvalendosi, o meglio letteralmente secondo quanto dichiarato dal Ministro Schillaci: “bussando al privato convenzionato”, che in più occasioni ha messo a disposizione le proprie strutture.

Dette risorse si trovano fra le pieghe di una norma approvata in Senato a seguito degli emendamenti del decreto Milleproroghe che ora attende  di essere approvata alla Camera dei Deputati.

Si tratta di soldi attribuiti e non spesi dalla Regioni nella manovra di un anno fa, ed in particolare: cinquecentomilioni di euro di cui trecentoquaranta non spesi, cui secondo il Ministro si può aggiungere una quota del fondo sanitario nazionale.

Tutto ciò andrebbe a finanziare il recupero delle liste di attesa nelle varie Regioni, ma anche l’altra grande spina del sistema sanitario.

Il Ministro, infatti, in occasione della Giornata nazionale degli operatori sanitari, nata proprio per celebrare il grande impegno del settore nei tre anni di pandemia, è tornato sull’altro grande tema che affligge la sanità: la carenza del personale sanitario.

Un primo segnale è intervenuto con l’inserimento nella legge di Bilancio 2023 della norma che incrementa l’indennità al personale sanitario, operante presso i pronto soccorso.

Ancora una volta, il Ministro, ma prima della formazione del nuovo Governo, già lo avevano fatto tutte le forze dei partiti, senza distinzione fra vincitori e opposizione, ha annunciato un’alleanza, una forza, una coesione fra pubblico e strutture private convenzionate, da intendere come una sola cosa.

Oggi, però, trascorso un periodo di giusto rodaggio dell’esecutivo si chiede di passare dalle parole ai fatti.

Saremo pronti, anche attraverso la partecipazione ai tavoli da intraprendere fra tutti gli interessati del settore sanitario, a contribuire al suddetto passaggio.

22 febbraio 2023

SOSPESE LE DELIBERE DI ESPULSIONE DEGLI ASSOCIATI DA AIOP

Il Tribunale di Napoli, VII Sezione Civile ha disposto la sospensione della deliberazione del Comitato Esecutivo AIOP del 26 ottobre 2022 e di quelle successive e conseguenti, ivi compresa quella del 9 novembre 2022, con le annesse note del 27 ottobre 2022, dell’11 novembre 2022 e del 28 novembre 2022.

Il ricorso promosso dalla Pineta Grande S.p.A. è stato pienamente accolto dai Giudici del Tribunale napoletano. In allegato la nota del Vice Presidente nazionale ACOP Avv. Enzo Paolini a commento del provvedimento giurisdizionale.

21 febbraio 2023

L’ospedale S. Giacomo di Roma riaprirà i battenti

Le Sezioni Unite Civili della Cassazione con sentenza pubblicata il 13.2.2023, si sono definitivamente espresse sulla chiusura illegittima dell’Ospedale S. Giacomo, nel cuore di Roma. Dopo un’attività ininterrotta di 670 anni, nel 2008 la giunta regionale del Lazio aveva disposto la chiusura dell’ospedale, a parte un punto di prima assistenza con annessa attività poliambulatoriale in locali prossimi alla sede dell’ospedale, punto ambulatoriale ancora funzionante senza attività di primo soccorso e/o guardia medica. La decisione giunse all’indomani di una serie ingente di investimenti in attrezzature, personale che erano stati fatti a ridosso della chiusura.

L’Ospedale di San Giacomo in Augusta, detto “degli Incurabili” è uno storico ospedale situato nel centro di Roma, in via del Corso, adiacente alla Chiesa di San Giacomo in Augusta. Di origine medievale, fu rifondato nel Cinquecento dal Cardinale Salviati con la costituzione di un fondo patrimoniale destinato esplicitamente alla sua autonomia economica, donando poi la struttura alla città con il vincolo perpetuo di destinazione all’ospedalità.

L’erede del Cardinale, Olivia Salviati, ha condotto una estenuante e lunga battaglia legale sulla decisione della giunta, affiancata da ASL e contestata da diversi comitati e associazioni, unitamente a molti cittadini, che rivendicavano l’importanza sanitaria, istituzionale, culturale e storica del San Giacomo.

La decisione del 2008

A seguito dell’approvazione della Legge Regione Lazio n. 14/2008 recante “Assestamento del bilancio annuale e pluriennale 2008 -2010 della Regione Lazio”, il Commissario ad acta, nominato per l’attuazione del piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario regionale, emanò il decreto n. U0008 del 3 settembre 2008 col quale fu disposta la cessazione, alla data del 31 ottobre 2008, dell’attività sanitaria dell’Ospedale San Giacomo di Roma e dell’attività ospedaliera del Nuovo Regina Margherita, nel contempo, l’attivazione di un punto di prima assistenza nei locali di pertinenza dell’ASL RMA, destinando le risorse umane, strumentali e finanziarie in dotazione all’ospedale al potenziamento delle strutture carenti nell’ambito della medesima ASL.

Inoltre si prevedeva di destinare le risorse umane, strumentali e finanziarie al potenziamento delle strutture e dei servizi sanitari carenti; il personale in servizio presso i suddetti presidi, ad eccezione del personale impiegato in attività non ospedaliere presso il Nuovo Regina Margherita, doveva essere impiegato per coprire i turni nelle altre aziende unità sanitarie locali ed ospedaliere e negli altri enti ed istituti operanti nel Comune di Roma.

Una lunga battaglia legale è stata intrapresa da Olivia Salviati, discendente ed erede del Cardinal Salviati, che ha lottato per rivendicare la volontà del suo antenato di mantenere nei secoli la destinazione ospedaliera originaria.

I principi della sentenza del Consiglio di Stato del 2021

Nel 2021 il Consiglio di Stato, ribaltando la precedente sentenza del TAR che aveva rigettato il ricorso in primo grado della Salviati, ha dichiarato illegittima la chiusura del San Giacomo, asserendo: “Tra le altre strategie di riorganizzazione della rete ospedaliera, il piano di rientro contemplava l’eventuale riconversione/dismissione delle realtà ospedaliere minori e con bassi volumi di attività; ma la previsione specifica per il S. Giacomo si limita al taglio dei posti letto nel 2007 ed è, all’evidenza, incompatibile con la cessazione dell’attività ospedaliera e la riconversione. Dunque, la legge regionale di assestamento del bilancio finanziario 2008 travalicherebbe l’intento e le disposizioni del piano di rientro, se interpretata nel senso di demandare al Commissario la cessazione dell’attività ospedaliera del S. Giacomo”, ed ancora “Neppure è contestato da parte delle Amministrazioni costituitesi quanto afferma l’appellante, ovvero che l’immobile, nella sua destinazione ospedaliera, è stato oggetto di investimenti per opere di riammodernamento e adeguamento tecnologico in anni recentissimi e che, con gara bandita il 27 Giugno 2008, si è appaltata la fornitura triennale di materiale di consumo, nonchè, con bando del 15 luglio 2008, è stato indetto un concorso per l’assunzione di personale medico”.

La Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite nel 2023

Avverso la sentenza del CdS, la Regione Lazio ha impugnato presso la Suprema Corte di Cassazione, con un ricorso ex art. 111, comma VIII Cost., per difetto di giurisdizione. Il 13 febbraio 2023, la Corte di Cassazione Civile, a sezioni unite, si è espressa definitivamente, riconoscendo la fondatezza delle ragioni della Salvati, nonchè dell’interesse pubblico e dei pazienti che aveva sancito la sentenza del Consiglio di Stato.

E’ il Collegio del Consiglio di Stato che ha definito il principio già nel 2021: “Pur non sussistendo elementi sufficienti a delibare l’adombrato sospetto che scopo della legge regionale n. 14/2008 e del provvedimento commissariale impugnato fosse quello di sopprimere l’attività ospedaliera del San Giacomo per utilizzare l’immobile ed i beni correlati come mere rendite patrimoniali, mutando la destinazione di un bene di notevole valore artistico e storico, oltre che in violazione dell’art.32 Cost. anche in violazione dell’art. 42 Cost., con riferimento all’uso esclusivo impresso dal donante, il Collegio ritiene, tuttavia, che, secondo i canoni di ragionevolezza e buon andamento, la discrezionalità amministrativa incontra nel caso in esame il limite derivante dalla “storica” destinazione dell’immobile a tale pubblica finalità, anche a prescindere dal profilo civilistico sollevato dalla Regione concernente l’attualità giuridica del vincolo di destinazione così risalente nel tempo, in quanto, proprio in ragione dell’importanza storica e morale della donazione e della destinazione nei secoli dell’immobile, la scelta dell’Amministrazione non potrebbe prescindere da adeguata ponderazione e bilanciamento dei vari profili di interessi implicati, di rilevanza sia pubblica che privata”.

Sarà la nuova Giunta regionale ed il Presidente neoletto a doversi occupare dell’esecuzione del provvedimento.

Avv. Maria Antonella Mascaro

20 febbraio 2023

Carenze medici? Colpa di chi c’era prima, ad aprile revisione dei fabbisogni

“La carenza di personale medico e ancor più il fenomeno delle aggressioni nei pronto soccorso sono conseguenze di una stratificazione di problemi, che si sono sedimentati negli ultimi dieci anni e che abbiamo ereditato. L’attenzione del Governo su questi temi è massima e un primo segnale in tal senso è lo stanziamento di 200 milioni per incrementare l’indennità per il personale impegnato nei reparti di emergenza-urgenza, a partire dal 2024″.

Il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato,  intervenuto al programma Radio anch’io su Rai Radio 1, si preoccupa in via preliminare di assolvere il suo governo da ogni responsabilità in ordine alle gravi criticità degli organici dei medici SSN, scaricandole per intero sui governi precedenti e sottolineando anzi il diverso approccio al problema del nuovo esecutivo. I 200 milioni stanziati per far fronte ai  “buchi” di organico (a partire dal 2024, peraltro) “non colmeranno nel breve termine le difficoltà di un contesto difficile”, riconosce il sottosegretario, aggiungendo che sono però “indicative della volontà dell’esecutivo di investire nella sanità pubblica in un momento peraltro di crisi legata all’emergenza energetica, per la quale sono stati allocati quest’anno 1,4 miliardi di euro dei 2 miliardi in più destinati al fondo sanitario nazionale. Gli operatori sanitari – spiega Gemmato – sono pochi all’interno dei Pronto soccorso e, più in generale, negli ospedali perché in passato non è stata fatta un’attenta programmazione del fabbisogno del nostro SSN. È intenzione del tavolo istituito tra i ministeri dell’Università e della Salute rivedere proprio tali fabbisogni”.

Gemmato ha precisato al riguardo che “è stato previsto un primo aumento per le iscrizioni a Medicina di circa 600 unità, ma ad aprile in sede di Conferenza Stato-Regioni verranno determinati i fabbisogni più specifici, intrecciando i dati relativi all’offerta formativa delle università”.

“Va anche detto” ha quindi concluso il sottosegretario “che oggi si paga ancora lo scotto della legge che impone alle Regioni il limite al tetto di spesa per le assunzioni del personale sanitario, al 2004 meno l’1,4%. Ripensare questo vincolo potrebbe essere un forte segnale per aumentare la dotazione organica all’interno degli ospedali italiani”

16 febbraio 2023

Le pagelle della sanità

Sono state pubblicate dalla Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali gli elenchi dei “migliori” reparti e specialità chirurgiche sanitarie in Italia. Si spazia dalla tempestività nell’intervenire per un infarto o per un intervento ortopedico, entro le quarantotto ore, alla capacità di gestire un numero elevato di interventi per tumori alla mammella o per effettuare bypass coronarici o gastrici.

Dunque non più solo siti di recensioni sulle strutture, magari non molto accreditati e frutto di una cattiva o buona esperienza personale, che può avere il carattere dell’unicità e non della pluralità di prestazioni, ma un enorme lavoro di analisi di dati su base scientifica e statistica che esula dal gusto o dal giudizio del paziente.

Tutto questo è contenuto nel Piano Nazionale Esiti – ultimo pubblicato a dicembre 2022  – il quale dettaglia le performance ospedaliere secondo riconosciuti standard internazionali che rilevano la maggiore efficienza, ad esempio, sul parametro della tempestività dell’intervento e del volume alto del numero di prestazioni, le quali sotto una certa soglia possono far pensare ad un sottodimensionamento e a mancanze di garanzie della necessaria qualità.

Ad esempio la tempestività è cruciale nei casi di accesso all’angioplastica coronarica per gli infarti e da cui è stata stilata una sorta di top ten dei reparti che superano la percentuale del 60% di interventi effettuati nei primi novanta minuti.

La classifica può sorprendere il pubblico, ma non gli addetti ai lavori: Ospedale del Mare di Napoli, Policlinico di Tor Vergata di Roma, Ospedale “Fabrizio Spaziani” di Frosinone, Ospedale “Giovanni Paolo II” di Sciacca, Ospedale “Maria Vittoria di Torino”, Ospedale “S. Antonio Abate” di Erice, Ospedale Centrale di Bolzano, Azienda Ospedaliera Universitaria “Mater Domini” di Catanzaro,  “Maria Santissima Addolorata” di Eboli e Ospedale Infermi di Rimini.

Un bilancio sbilanciato, usando un cacofonico bisticcio di parole, a favore del Sud, diversamente da quanto si fa solitamente credere!

Quanto all’indicatore sui volumi si prende in considerazione il tumore al seno per il quale i reparti di chirurgia devono intervenire per almeno centocinquanta operazioni all’anno. In questo caso la classifica vede l’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, il Policlinico “Gemelli” di Roma, il “Careggi” di Firenze, l’Istituto Tumori di Milano, l’Ospedale “Bellaria” di Bologna, l’Istituto Oncologico Veneto di Padova, l’Humanitas Istituto Clinico Catanese di Misterbianco (CT), l’Istituto in tecnologie avanzate di Reggio Emilia, l’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana di Pisa e l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Modena.

Il presidente di Agenas ha spiegato: “Questo lavoro nasce per valutare le performance degli ospedali e capire dove sono le criticità in modo che Regioni e dirigenti ospedalieri possano intervenire per migliorare le prestazioni. Si tratta dunque di un’analisi riservata in prima battuta agli addetti ai lavori” .

Dunque, non volendo sminuire il cittadino fruitore, detta classifica, come si è detto, non è stilata sul “gusto” dell’utente/paziente che è molto discutibile e generico, ma su standard, lo si ribadisce, condivisi a livello internazionale, sui quali solo gli addetti ai lavori, ed in particolare, la classe dirigenziale del settore sanitario, sia a livello nazionale, che, soprattutto locale, deve e può lavorare per i miglioramenti da apportare: assunzione di personale sanitario, miglioramento delle tecnologie, fondi da richiedere, eventuali spese da tagliare, ecc.

Non per questo si deve pensare di ridurre la sanità pubblica o privata convenzionata ad una classifica o a dei numeri, ma la si deve incentivare ai miglioramenti.

Avv. Maria Antonella Mascaro

15 febbraio 2023

Incontro da remoto tra Ministro Schillaci e Governatore De Luca

Ieri 14 febbraio si è tenuta l’inaugurazione del Pineta Grande Hospital di Castel Volturno (CE), che ha visto la presenza di autorità locali e nazionali. È stata l’occasione per un incontro, seppur non di persona, tra il Ministro della Salute Schillaci e il Governatore della Campania Vincenzo De Luca.

Dopo i saluti dell’avv. Enzo Paolini, Vice Presidente nazionale di ACOP, ieri all’inaugurazione dei due nuovi padiglioni del Pineta Grande Hospital era atteso anche il Ministro Schillaci, assente per altri impegni istituzionali, che comunque si è collegato in video.

Il Ministro, che conosce la struttura sanitaria per aver concluso da Rettore accordi accademici per l’offerta formativa, ha riconosciuto diversi aspetti degni di nota:

  • L’eccellenza delle strutture sanitarie è diffusa su tutti il territorio nazionale, anche e soprattutto nei centri meridionali e Pineta Grande Hospital ne costituisce un degno rappresentante;
  • Da professore universitario apprezza il sorgere della struttura sanitaria in un territorio particolare, con la maggiore incidenza di stranieri, offrendo la possibilità per gli specializzandi di avere approcci sanitari con pazienti, che diversamente non riuscirebbero ad ottenere.
  • Particolarmente apprezzato il nuovo modello gestionale del Pronto Soccorso, con l’accettazione immediata dei pazienti senza passare per il triage.

“Con il ministro Schillaci non ci siamo ancora parlati nel merito, avremo modo di ragionare. Intanto riteniamo che i fondi stanziati per la sanità pubblica siano assolutamente inadeguati e insufficienti. E poi perché dobbiamo parlare della sanità del Sud e delle risorse che devono arrivare”. Così il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, che non ha perso tempo per sottolineare l’importanza della sanità del meridione.

Per De Luca, “l’importante è sapere con chiarezza che dobbiamo avere un sistema equilibrato, la sanità pubblica è indispensabile come servizio di civiltà per la povera gente. Poi abbiamo la possibilità di utilizzare anche eccellenze private, ma partendo dalla difesa della sanità pubblica del nostro Paese. In Campania ci sono quasi due miliardi di investimenti. Dieci gli ospedali nuovi che stiamo realizzando – ha ribadito De Luca – dal Ruggi all’ospedale di Sorrento, dove partirà la gara a breve, fino all’ospedale di Solofra e al terzo padiglione di Nola e quello di Castellammare. Ancora oggi, però, nonostante il passo in avanti che abbiamo fatto lo scorso anno, non siamo arrivati alla media dei trasferimenti dei fondi nazionali della sanità, quindi c’è ancora da combattere e tenere gli occhi aperti in relazione all’autonomia differenziata che può rappresentare un colpo durissimo per la sanità meridionale. Voglio ricordare che in Lombardia ci sono 41mila posti letto a fronte dei 12mila in Campania, e questa è una vergogna”.

“In controtendenza, la nuova struttura di Castel Volturno della famiglia del medico Schiavone prevede il passaggio da 150 posti letto per degenza a 274 posti; il personale da 600 passerà a 900 dipendenti. Anche una struttura eccellente come Pineta Grande Hospital – ha proseguito il Governatore – vive perché è accreditata con il sistema sanitario pubblico, altrimenti non riuscirebbe ad emergere. È quindi è evidente che arriviamo ad un certo punto nel quale la disponibilità o meno delle risorse statali per la sanità diventa decisiva”.

“L’ampliamento del Pineta Grande Hospital avviene anche nell’ottica di aumentare l’offerta assistenziale presente sul territorio casertano”. Così il senatore di Forza Italia, Francesco Silvestro, all’inaugurazione dell’ampliamento di una parte del Pineta Grande Hospital su Castel Volturno. “Sono anni che questa struttura è un modello da seguire per professionalità e qualità dell’offerta ed oggi è stato aggiunto un altro tassello importante per il futuro della Sanità in Campania e non solo.

14 febbraio 2023

Aggiornamenti e richieste per il personale sanitario

Da una sintesi degli emendamenti proposti al decreto milleproroghe in materia sanitaria, d’interesse per le strutture associate, vi sono una serie di proposte che riguardano il personale sanitario.

A questo proposito si registrano, ad esempio, proroghe al 31 dicembre 2023 per i dirigenti medici e sanitari del SSN per poter presentare domanda di autorizzazione per il trattenimento in servizio anche oltre il limite del quarantesimo anno di servizio effettivo e comunque non oltre il settantesimo anno di età; oppure la possibilità per le aziende e gli enti del SSN di utilizzare personale già in servizio e di ricorrere agli idonei collocati in graduatorie concorsuali in vigore, per far fronte all’emergenza sanitaria dalla diffusione del Covid19. Ancora proposte di proroga per i conferimenti di incarichi di lavoro autonomo a laureati in medicina e chirurgia in servizio presso il Ministero della salute e degli altri enti del Servizio sanitario scaduti il 31 dicembre 2022.

Per citare, poi, le proposte di proroga al 31 gennaio 2025 si evidenzia: per gli operatori delle professioni sanitarie, poter prestare la propria opera professionale al di fuori dell’orario di servizio e per un monte ore settimanale non superiore a 4 ore, in deroga all’applicazione delle incompatibilità dei rapporti di lavoro con il Servizio Sanitario Nazionale e deroghe alle norme in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali sanitarie.

Si prevede, inoltre, che il personale sanitario è tenuto a presentare tutta la documentazione attestante il possesso dei titoli abilitanti all’esercizio della professione, così da poter essere iscritto presso la sezione speciale dell’albo appositamente istituita dal presidente dell’Ordine professionale competente per territorio.

Altra interessante proposta di proroga al 31 dicembre 2026 per i termini in materia di personale sanitario riguarda le strutture sanitarie del SSN e le strutture private accreditate che hanno la possibilità di assumere gli specializzandi ammessi alle procedure concorsuali per l’accesso alla dirigenza del ruolo sanitario, da una parte e di contro la possibilità del trattenimento in servizio dei medici fino al settantaduesimo anno di età.

Per quanto riguarda le associazioni di categoria, i sindacati e comunque la voce della contrattazione nazionale da parte del lavoratore appartenente al mondo sanitario latu sensu, il nostro sistema sanitario deve ritornare ad essere attrattivo ed accattivante per i medici che scelgono di lavorarvi all’interno. Le proposte, dunque, devono andare incontro all’azzeramento dei tetti di spesa per l’assunzione di personale.

In campo nella riforma della contrattazione collettiva per i medici ed il personale sanitario devono essere previste condizioni migliori e più performanti dal punto di vista organizzativo: minori carichi di lavoro e più pause. Una maggiore deregulation fra esercizio dell’attività intramoenia ed extramoenia e in considerazione delle grandi problematiche affrontate in regime di Pronto Soccorso si propone un incentivo economico dei medici che vi lavorano finanziata dai proventi dei tickets pagati dai codici bianchi.

Ancora contratti di formazione per il lavoro degli specializzandi che andranno poi stabilizzati e defiscalizzazione del lavoro. L’aliquota del dirigente è salita al 43%.

Contemperare le esigenze di tutte le voci in campo è sempre molto difficile, ma è alla base di ogni contrattazione lavorativa, soprattutto quando si tratta di quella collettiva, ma la voce guida è sempre uguale per tutte le parti che lavorano alacremente nel complicato mondo della sanità che comunque, sempre, anche dalla parte dell’imprenditore-datore di lavoro, ha presente il diritto alla salute e la sua salvaguardia come diritto costituzionalmente garantito.

Avv. Maria Antonella Mascaro

13 febbraio 2023

Alla Sanità 4 miliardi in più rispetto al passato. Via libera dal Cipess.

Schillaci corteggia i privati “Basta liste d’attesa bloccate, bisogna razionalizzare. Stop ai medici a gettone”

Oltre 125 miliardi di euro andranno alla sanità. Quasi 4 in più rispetto ad un anno fa. Il Cipess (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile) presieduto dal Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e dal sottosegretario per il Coordinamento della Politica economica della presidenza del Consiglio Alessandro Morelli, ha approvato una serie di misure riguardanti le infrastrutture, la ricostruzione post sisma e la sanità appunto.

Nuovi criteri per distribuire i fondi alle Regioni: 500 milioni per ridurre i tempi, anche grazie ai convenzionati

Tra le ipotesi anche una norma che preveda la rimozione dei direttori generali se non rispettano gli obiettivi

Il Fondo Sanitario Nazionale del 2022 destinato alle Regioni, dopo aver raggiunto l’intesa in conferenza Stato-Regioni, sarà incrementato e servirà per ospedali, medici di base, nuove assunzioni, indennità accessorie per il personale di Pronto soccorso, riduzione delle liste d’attesa, acquisto di farmaci innovativi.

Il Ministro della Salute Orazio Schillaci parla di “un importante obiettivo raggiunto in tempi rapidi che dà nuove prospettive a chi lavora nel SSN e soprattutto a chi lavora in ambiti più complessi come la medicina dei Pronto soccorso”. Schillaci promette anche che “per il Sud c’è la volontà di combattere il fenomeno dei medici gettonisti che porta sconquasso nel sistema nazionale e fa sì che chi lavora stabilmente nel SSN si senta trascurato”. E ribadisce: “Le liste d’attesa sono una nostra priorità, bisogna razionalizzare». Dal 2023 i fondi saranno assegnati in base ai bisogni dei territori, spiega Schillaci: «Con le Regioni sono stati condivisi anche i nuovi criteri: si tiene conto finalmente dei nuovi standard che sarebbero dovuti partire nel 2015; dal 2023 la quota in funzione dei tassi di mortalità della popolazione over 75 sarà pari allo 0,75% del totale delle risorse e la quota da ripartire in funzione delle condizioni socio-economiche dei territori sarà pari allo 0,75%”. Il Cipess ha inoltre sbloccato 3 progetti definitivi di infrastrutture. Si tratta di una tratta della Pedemontana piemontese (384,45 milioni), della realizzazione del sistema filoviario di Verona (92,38 milioni) e della stazione ferroviaria di Bari centrale nell’ambito del progetto «Grandi Stazioni» (6,4 milioni).

Schillaci corteggia i privati

Mentre un report del Ministero della Salute rivela che la metà delle Regioni non è riuscita a garantire le cure essenziali, il ministro Schillaci ricorre ai privati per abbattere le lunghe liste di attesa. “Serve mettere nelle agende di prenotazione anche il privato convenzionato e basta liste bloccate”, ha detto nella conferenza stampa sul riparto dei 125 miliardi del fondo sanitario 2022.

Al riguardo è necessario però un approfondimento. Il Ministro Schillaci sulle strutture accreditate pensa a qualche disposizione che possa unificare i Cup regionali inserendo nelle proprie agende anche i privati, che spesso preferiscono gestirle da soli. Sia per non superare i budget prefissati dalle regioni, con il rischio di dover erogare prestazioni che non vengono rimborsate, sia per catturare più facilmente gli assistiti nel più confortevole e caro “ramo solventi”. Ma il Ministro ragiona anche su una norma che preveda la rimozione dei Direttori Generali nel caso non riescano a centrare l’obiettivo di ridurre le liste di attesa.

Il ministro chiama però in causa anche i medici di famiglia, “che devono seguire il paziente programmando controlli e calendario delle visite”. Oltre che prescrivere quel che è effettivamente necessario, ha anche rimarcato.

Intanto nel riparto alle regioni rispuntano i 500 milioni già stanziati proprio per il taglio delle liste di attesa, dei quali 150 destinati alle prestazioni in più erogabili dai privati, “eventualmente incrementabili sulla base di specifiche esigenze regionali”.

Altre novità si annunciano per il 2023. “In tempi congrui procederemo al riparto dei 125 miliardi del fondo sanitario in base ai nuovi criteri, che tengono conto anche dell’indice di deprivazione sociale”, ha spiegato il Ministro. In pratica anziché distribuire le risorse in base alla sola popolazione “pesata” per età, che ha fino ad oggi avvantaggiato le più ricche e più anziane regioni del nord, ora si terrà conto anche di cose come tassi di istruzione e di disoccupazione, oltre che dell’indice di povertà, per assegnare l’1,5% del fondo, circa 2 miliardi che andranno a dare un po’ di ossigeno ai bilanci sanitari delle regioni meridionali. Ammonta invece allo 0,5% del fondo, circa 600 milioni, il premio per le regioni che meglio assicurano la piena applicazione dei Lea, i livelli essenziali di assistenza.

Novità arrivano anche dagli emendamenti al “milleproroghe” approvati dalle commissioni Affari costituzionali e Bilancio del Senato. L’uso della ricetta elettronica sarà prorogato fino al tutto il 2025, mentre si profila l’innalzamento a 72 anni dell’età di pensionamento di medici di famiglia e pediatri di libera scelta. Sono stati approvati anche gli emendamenti sul tema della carenza del personale sanitario.

Le misure prorogano fino al 2025 la possibilità per le strutture del SSN, appartenenti alla rete formativa, di assumere gli specializzandi ammessi alle procedure concorsuali per l’accesso alla dirigenza del ruolo sanitario e la possibilità di esercitare temporaneamente, nel territorio nazionale, le qualifiche professionali sanitarie e la qualifica di operatore socio-sanitario, in deroga alle norme sul riconoscimento delle predette qualifiche.

Viene elevato poi da 4 a 8 ore il tetto per l’attività libero professionale degli infermieri, anche in strutture diverse da quelle di appartenenza. Rispuntano i soldi per il Piano oncologico: 50 milioni per gli anni 2023-24.

09 febbraio 2023

Puglia e Calabria: gioco di squadra sul tema della sanità

Sempre maggiore rilievo assume l’aspetto mediatico e social che da qualche anno, ed in questo momento più che mai, viene dato a personaggi una volta considerati solo un nome sulla carta e che oggi hanno volti, sono seguiti dai cittadini italiani, regionali ed esteri, che assumono la veste di veri e propri followers che si tratti di facebook, di istagram, di twitter o altri. Dei veri e propri personaggi, seguiti come le stars preferite del cinema o del teatro.

Questo è senz’altro un effetto molto positivo per arrivare a tutta la popolazione, al mondo dei giovani, i quali non solo rappresentano presente e futuro, ma che nel territorio nazionale e in quello regionale in particolare, possono seguire programmi, iniziative, anche ponendosi in chiave di critica costruttiva.

E’ questo che fanno i Presidenti di Regione che grazie ai social e ai media prospettano programmi politici, ma spiegano alle persone quello che attivamente stanno cercando di costruire nel territorio che governano. Si assiste, così, ad incontri e dibattiti interessanti fra regioni così vicine geograficamente parlando, eppure così diverse per morfologia, servizi, territorio.

E così i due Presidenti della Regione Puglia, Michele Emiliano e della Regione Calabria Roberto Occhiuto, ospiti di un noto programma della tv di Stato si sono incontrati e confrontati su temi importanti come quello della sanità regionale, profilando il quadro di due Regioni che con il giusto supporto potranno fare dei due territori del Sud un esempio di virtuosismo, differentemente dalla paventata distorsione di un divario incolmabile fra nord e sud.

La Calabria è stata una Regione commissariata per dodici anni, anni nei quali, ha spiegato il Presidente Occhiuto, non è stato fatto alcun investimento, anzi: ospedali e strutture di eccellenza sono stati costretti a chiudere battenti. Per non parlare dell’assenza quasi totale del reclutamento di personale sanitario o di dotazioni tecnologiche. A volte la differenza tra pubblico e privato si registra anche perché nel pubblico non ci sono le attrezzature necessarie. Così il Presidente della Regione Calabria ha denunciato: “E’ la dimostrazione del fatto che non è detto che quando governa la sanità il governo nazionale le cose vadano meglio. In Calabria il commissario alla sanità è stato inviato dal governo per 12 anni, per un odioso pregiudizio verso la nostra regione, considerata una regione ingovernabile, e la situazione della sanità è precipitata ulteriormente. Noi spendiamo circa 200 milioni all’anno di mobilità sanitaria passiva per i calabresi che non riescono a curarsi in Calabria e vanno a curarsi in altre regioni, una grande ingiustizia che aumenta i divari. Sarebbe utile che ci fosse un investimento del governo nazionale sulla sanità, che non è solo un investimento in termini di risorse, ma anche di personale e di riforme. I medici che stanno negli ospedali italiani sono quelli pagati peggio, molti vanno a lavorare all’estero. Qualche anno fa l’Ordine dei medici diceva che c’erano troppi medici in Italia e che bisognava restringere il numero chiuso. Non è stato fatto nessun investimento nelle specializzazioni che occorrono nella sanità del nostro Paese e poi tutto d’un tratto ci si rende conto che il sistema sanitario non funziona. Evidentemente ci sono stati dei gravissimi problemi di organizzazione”.

D’altronde il Presidente non è andato esente da critiche quando ha chiamato, formato e poi assunto medici di nazionalità cubana e la spiegazione viene fornita ad adiuvandum, qualora per qualcuno ce ne sia ancora bisogno, dall’altro Presidente della Regione Puglia che ha spiegato la difficoltà del reperimento dei medici, perché in Italia se ne laureano pochi, portando sul tavolo la problematica del numero chiuso nelle Università italiane di Medicina e Chirurgia: Non ce ne sono di medici, le università non ne laureano abbastanza”, per questo motivo “noi in Puglia abbiamo aperto tre nuove facoltà di medicina”, precisando con risorse finanziarie regionali. Per Emiliano si tratta di “un problema politico. Cuba ‘produce’ talmente tanti medici che ne può esportare”, spiegandolo proprio in relazione al caso Calabria e sottolineando l’annoso problema che in Italia, in passato, “abbiamo pensato che restringere il numero dei laureati favorisse l’esercizio della professione medica”.

Questa situazione si è ritorta contro il nostro paese da sempre, ma con maggiore forza si  nel periodo temporale pandemico e post-pandemico, con il risultato di creare le figure dei medici “a gettone”, di alimentare la migrazione sanitaria un divario incolmabile, evitando riforme, stabilizzazione dei contratti di lavoro ed aumenti.

Tutta materia da riformare, ripristinando quel rigore normativo che la deregulation dovuta al Covid ha spazzato via.

avv. Maria Antonella Mascaro

08 febbraio 2023

IL BALLETTO DEI MINISTERI SULL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA

Continua il “balletto” far il Ministero per gli Affari Regionali e il Ministero della Salute, sull’approvazione dell’autonomia differenziata tanto caldeggiata dal Ministro per gli Affari Regionali, non disdegnata da quello della Salute, seppur con le rassicurazioni da parte del primo che non sia in discussione il Servizio Sanitario Nazionale e le proposte del secondo sul potere da parte del Governo di rimuovere chi non rispetta i parametri.

Ma non si abbia la memoria corta!

Con la legge 18 ottobre 2001, n. 3, approvata da una maggioranza di centrosinistra (Governo Amato II) e poi confermata da referendum (nel frattempo era subentrata al Governo una nuova maggioranza di centrodestra guidata da Berlusconi), fu riformato il titolo V della Costituzione, che trasferiva molti poteri dallo Stato centrale alle Regioni, dando di fatto piena attuazione all’articolo 5 della Costituzione che riconosce le autonomie locali quali enti esponenziali preesistenti alla formazione della Repubblica. Si è verificata così una vera e propria riforma in senso federale dello Stato, così detta “a Costituzione invariata”, riconoscendo alle Regioni l’autonomia legislativa, ovvero la possibilità di legiferare norme di rango primario. Sono state, poi, specificate le materie di competenza delle Regioni fra le quali: ricerca scientifica e tecnologia, alimentazione; protezione civile; governo del territorio; previdenza complementare e integrativa; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e in ultimo, tutela della salute. Oggi c’è da chiedersi quale sia il livello di governo più adatto a prendere le decisioni in campo sanitario.

 Il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, pur non bocciando il progetto autonomista continua a chiedere che il ruolo di controllo del Ministero resti e anzi possa essere rafforzato. In realtà le Regioni sulla materia sono già autonome: il Ministero ha i fondi e li spartisce tra le Regioni che in autonomia decidono come appostare le risorse. Il problema secondo il Ministro Schillaci è la responsabilizzazione dei territori, perché, purtroppo, esistono buoni amministratori e amministratori meno buoni e dunque, rispettando l’autonomia del regionalismo, il potere centrale dovrebbe poter eliminare chi non rispetta i parametri generali, dunque eliminare chi non sa gestire. E’ dunque necessario avere un modello centrale di controllo.

La verità è che è già stata pensata una geometria variabile che, stante la diversa organizzazione e strutturazione della sanità fra le varie regioni, rischia di coinvolgere in negativo anche le strutture “ausiliarie” private, che potrebbero essere pregiudicate da un sistema regionale disomogeneo e differenziato che sprona all’emigrazione sanitaria e determina in generale riflessi sulla immagine dell’efficienza sanitaria di alcune regioni rispetto ad altre, travolgendo in questa sfiducia anche le strutture private accreditate.

                                                 Avv. Maria Antonella Mascaro

06 febbraio 2023

Autonomia, sulla sanità stop di Schillaci. I medici: «Sarà solo per ricchi»

Il ministro della Salute: fondi e potere di indirizzo restino al mio dicastero

All’indomani del via libera da parte del Governo all’autonomia differenziata voluta dalla Lega, esplode la rivolta. I governatori del Sud vanno all’attacco: «Così spaccano il Paese». Il Pd, i 5Stelle, Cgil e Uil annunciano «mobilitazioni di piazza» contro una riforma che «crea cittadini di serie A e B». Il Forum del Terzo Settore invoca lo stop del «regionalismo delle disuguaglianze». Nel frattempo Silvio Berlusconi parla di «miglioramenti in Parlamento».

Acque agitate nel Governo. Dal Ministro della Salute, Orazio Schillaci arriva un mezzo altolà: «Per la Sanità è necessario che le Regioni siano in qualche modo guidate dal Ministero della Salute. Credo che il Ministero debba avere comunque non solo un potere di indirizzo e distribuzione dei fondi, ma deve anche sostenere un meccanismo virtuoso insieme alle Regioni per capire chi lavora meglio e aiutare quelle in difficoltà».

Sul piede di guerra pure il fronte sanitario. Ecco Filippo Anelli, presidente dell’Ordine dei medici: «La riforma mette a rischio la tenuta del Servizio sanitario nazionale e aumenterà la disuguaglianze tra le Regioni, quelle più povere avranno servizi inferiori. C’è forte preoccupazione». Ed ecco Pierino Di Silverio, segretario del sindacato dei medici ospedalieri: «L’autonomia è un provvedimento di disgregazione sociale, va nel senso di una disintegrazione di ciò che resta di un welfare che in Italia è già ai minimi termini e in profonda crisi». Insomma: «La Sanità diventerà un affare da ricchi, e la qualità delle cure dipenderà dalla fortuna di nascere in una parte ricca del Paese». In allarme pure Francesco Perrore, presidente dell’Associazione degli oncologi: «L’autonomia è una strada che aumenterà le disuguaglianze tra Nord e Sud e penalizzerà i pazienti». Più o meno la posizione di Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Terzo Settore: «C’è il rischio concreto del “regionalismo delle disuguaglianze”».

Attilio Fontana, governatore leghista della Lombardia, prova a tranquillizzare: «Non ci sarà nessun territorio che soffrirà, anzi le aree più svantaggiare potranno rilanciarsi». Al tentativo si unisce Luca Zaia, presidente del Veneto: «Questa non è la secessione dei ricchi e tanto meno un’operazione occulta per distruggere parte del Paese». Peccato che sono tanti i governatori di parere opposto. Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia Romagna e candidato alla segreteria del Pd, la mette così: «L’autonomia differenziata è un pasticcio clamoroso. Bisogna mobilitarsi per fermarla ed evitare che si spacchi il Paese». Vincenzo De Luca, governatore della Campania, incalza: «Chi come Meloni parla sempre di Nazione, ora ne avvia la distruzione. L’autonomia divide l’Italia sui grandi servizi di civiltà: sanità pubblica e scuola pubblica statale». La sintesi: «Si condanna il Sud al degrado». All’attacco si unisce Michele Emiliano, presidente della Puglia: «Calderoli dice che l’autonomia servirà a superare le differenze tra Nord e Sud. La smetta di prenderci in giro, ma forse crede che siamo tutti deficienti».

Immediate le riposte di Matteo Salvini e Roberto Calderoli. Per il segretario leghista: «Se in alcune Regioni il livello di assistenza sanitaria è scadente è per l’incapacità di alcuni governatori, penso a De Luca e a Emiliano che chiacchierano e per anni non hanno fatto nulla». E afferma il ministro delle Regioni: «Mi dicano dove è scritto che spacchiamo l’Italia. Piuttosto la riforma deve correre come un pilota da rally». E mentre il Pd con Bonaccini ed Elly Schlein lancia la «mobilitazione in piazza» con i 5Stelle che si associano, scendono sul piede di guerra i sindacati. Il leader della Cgil, Maurizio Landini: «E’ sbagliato e inaccettabile dividere ancor di più l’Italia. Daremo battaglia». Il capo della Uil, Pierpaolo Bombardieri si rivolge a Meloni: «Qui si mina dalle fondamenta la coesione nazionale. Il governo non spacchi il Paese». E la Cisl, con Ivana Barbacci leader del sindacato della scuola: «La salvaguardia dell’unità si garantisce anche attraverso il pieno rispetto del carattere unitario e nazionale del sistema dell’istruzione».

Interviene nel dibattito anche il Vicepresidente di ACOP Associazione Coordinamento Ospedalità Privata Avv. Enzo Paolini: «È assolutamente necessario ripensare alla attuazione del regionalismo con una riforma che di fatto aumenta la forbice tra le regioni beneficiarie della autonomia e quelle che dovrebbero conquistarsela senza averne mezzi e possibilità. Non basta l’equivoca eliminazione del principio di spesa storica, apparentemente messa fuori da una porta, ma pronta a rientrare dalla finestra delle regioni del sud. Su questo i presidenti dovranno avere antenne alzate.

Condividiamo la posizione di chi chiede almeno i dovuti correttivi da apportare in parlamento, per evitare che attraverso l’impianto del DDL le ricche Regioni del Nord diventino ancora più ricche e quelle del Sud restino ancorate ad un sistema di remunerazione penalizzante, come avviene ormai già da troppo tempo. Temi cruciali come i tetti di spesa, le liste d’attesa, l’adeguamento tariffario e la migrazione sanitaria, mai affrontati per decenni, devono costituire il presupposto indefettibile per i correttivi da apportare nel dibattito parlamentare della cosiddetta autonomia differenziata».

02 febbraio 2023

Sanità Sicilia: spendiamo meno di altri, poi paghiamo le cure fatte al Nord

Più di 11 pazienti su 100 emigrano per curarsi. Tra le cause, lunghe liste di attesa, burocrazia e percezione di mancata efficienza. La Regione ha rimborsato prestazioni extra per 287 milioni di euro nel 2020. Il fenomeno sembra in diminuzione, ma è l’effetto-Covid.

Ogni cento italiani che hanno bisogno di cure ospedaliere, almeno sette decidono di spostarsi in un’altra regione per farsi assistere, oltre 11 nelle regioni del Sud. L’emigrazione sanitaria verso altre regioni, ovvero la percentuale di persone che hanno avuto un ricovero ospedaliero in regime ordinario, per acuti fuori dalla propria regione di residenza, secondo gli ultimi dati resi disponibili da Istat, è pari al 7,3 per cento sul totale dei ricoveri. Scelta talvolta volontaria, talvolta obbligata e dovuta alla carenza di strutture e figure professionali adeguate nel territorio di appartenenza. Questo indicatore è diminuito del 12 per cento rispetto al 2019, per via della situazione pandemica che ha causato l’impossibilità di spostarsi fuori della propria zona di residenza. Nonostante la riduzione “complessiva dei ricoveri (-17 per cento in media Italia; -21 per cento al Mezzogiorno), “restano grandi le differenze territoriali”. Secondo l’ultimo report stilato dagli esperti di Crea Sanità, le Regioni con bassa spesa e bassi risultati sono tutte nel Sud: Puglia, Basilicata, Sicilia (9,8 miliardi di euro nel 2021, dato Agenas), Sardegna, con Calabria e Campania nelle posizioni di coda. Per Crea, è dovuto “ai cosiddetti ‘Piani di rientro’, avviati nel 2007 e riproposti nel 2017, che hanno interessato le regioni del Sud e dai quali sono scaturite una riduzione importante del dei servizi territoriali, del personale sanitario (medici e soprattutto infermieri), della dotazione di strutture, macchinari, di posti letto negli ospedali.

I costi sostenuti dalla Regione Siciliana per la “mobilità in compensazione extra-regionale” ammontano a quasi 287 milioni di euro nel 2020, secondo i dati Agenas, e sono diminuiti del sei per cento rispetto al 2019. I ricavi da mobilità sfiorano i 50 milioni di euro (diminuiti del 17 per cento rispetto all’anno precedente) e il saldo a carico del bilancio regionale resta quindi negativo per 228 milioni di euro. È sempre Crea a mettere in evidenza che “l’effetto più evidente dei crescenti divari in sanità è rappresentato dalla ricerca di cure ospedaliere in regioni diverse da quella di residenza. Il fenomeno è riconducibile storicamente a più fattori: oltre alla prossimità geografica (la vicinanza a strutture regionali di chi abita lungo i confini; l’essere fuori sede per motivi di studio o lavoro), può incidere il grado di fiducia (o soddisfazione) verso gli ospedali locali, le liste di attesa, l’alta specializzazione, e così via”. Ciò ha comportato “un progressivo ampliamento del divario, sintomo di una crescente propensione a curarsi fuori dal proprio territorio, malgrado i (o forse, a causa dei) piani di risanamento. Le regioni più esposte al fenomeno sono Campania, Calabria e Sicilia (56 per cento del totale dei ricoveri extra-regione del Mezzogiorno). Lombardia, Emilia Romagna e Veneto – tradizionali regioni attrattive di utenza dal Sud Italia – presentano i valori più bassi dell’indicatore”.

Acop resta in attesa della convocazione presso AGE.NA.S. per discutere dello scottante tema del divario sanitario tra nord e sud, partecipando ad un tavolo di studio comune per evidenziare indicatori di qualità che possano limitare la migrazione sanitaria. Questo comporterebbe tra l’altro risparmi per la spesa sanitaria, in quanto le prestazioni eseguite in house nelle regioni meridionali hanno un impatto economico di gran lunga inferiore rispetto alle medesime prestazioni eseguite al nord a seguito della migrazione sanitaria.

01 febbraio 2023

Personale medico “Occorre invertire il declino del Servizio Sanitario Nazionale!”

Stiamo seguendo con attenzione le trattative per il rinnovo del contratto della dirigenza sanitaria. Non fanno ben sperare i proclami sull’assenza di aumenti stipendiali, in quanto sarebbe previsto solo un incremento retributivo del 4,5% a fronte di una inflazione del 12%. Aumento assolutamente irrisorio che non riuscirà a coprire nemmeno la spinta inflattiva, che sta investendo da mesi la nostra economia.

“Proponiamo per il lavoro della dirigenza sanitaria una detassazione del salario accessorio, una flat tax applicabile almeno per l’attività libero professionale. Una parte dello stipendio deve essere detassato altrimenti sarà difficile arrivare a competere con la sanità privata e con chi con un reddito di 85.000 euro e paga solo il 15% di flat tax”.

Così Pina Onotri, Segretario Generale del Sindacato Medici Italiani sull’apertura il 2 febbraio prossimo della trattativa per il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) per il triennio 2019/2021 del personale della dirigenza sanitaria del SSN.

La crisi delle professioni ospedaliere del SSN è in corso da tempo, con la fuga di centinaia di professionisti dal servizio pubblico, con la drammatica condizione i cui versano i dipartimenti di emergenza-urgenza e con la demedicalizzazione del 118. Vi sono alcune specializzazioni, inoltre, che ormai transitano direttamente verso il privato, in quanto ad esempio le patologie di oculistica e otorinolaringoiatria sono tra quelli che nelle aziende ospedaliere non trovano sale operatorie a disposizione per determinati tipi di interventi; ormai la spinta è verso una diversificazione di competenze tra ospedali pubblici e strutture sanitarie private accreditate.

“A questo quadro si aggiunge il carico improprio burocratico e la tendenza, da parte delle aziende ospedaliere, a voler contingentare le prestazioni mediche alimentando il rischio di errori per i professionisti. Non condividiamo, per questo, la scelta da del Governo e della parte pubblica di prevedere il rinnovo del contratto in termini di isorisorse”

“E arrivato il tempo di ridare dignità a questo lavoro, pensando alla standardizzazione di un sistema che valorizzi le competenze professionali, che punti al benessere organizzativo, che permetta la progressione di carriera, con attribuzione e il rinnovo degli incarichi. Un sistema che migliori le condizioni lavorative, ora stressanti, determinate da pesanti turni di servizio, weekend sempre occupati da guardie e reperibilità, precariato protratto e stipendi inadeguati, molto al di sotto della media europea”.

“Occorrono scelte che diano maggiore attenzione alla formazione, alle garanzie e alle tutele per gli specializzandi. Bisogna prevedere modifiche al DM 70 per permettere maggior percorsi di carriera. Nel nuovo CCNL auspichiamo che ci siano misure esigibili, con la relativa tempistica, in merito all’applicazione delle norme contrattuali da parte delle aziende sanitarie”, conclude Pina Onotri.

Il rapporto annuale di Crea Sanità, appuntamento imperdibile per riflettere sul nostro Servizio Sanitario Nazionale, presentato a Roma lo scorso mercoledì, parte dalla fine della fase acuta della pandemia per dare uno sguardo al futuro. Il Covid ha esaltato la resilienza del sistema nell’affrontare l’emergenza, ma ne ha anche evidenziato le lacune profonde. Il ritorno alla normalità è risultato più faticoso del previsto e, ancora oggi, non sono state recuperate tutte le prestazioni non urgenti, accantonate nel biennio 2020-2021.

Il rapporto di quest’anno, analizzata la situazione, pone con forza il problema della sostenibilità. L’equità, fondamento teorico ed etico di un servizio sanitario di tipo “beveridgiano”, continua a peggiorare. Il Covid ci ha messo del suo, spingendo gli abbienti a rivolgersi direttamente al privato per le prestazioni diagnostiche e terapeutiche rinviate nel pubblico, mentre i poveri rinunciavano alle cure.

Il personale medico, che sui grandi numeri veleggia sulle medie europee, in alcune specialità presenta vistose carenze. Quello infermieristico richiederebbe assunzioni in numero almeno doppio rispetto a quanti l’università riesce a formare. Gli uni e gli altri sono retribuiti in misura piuttosto lontana dai valori medi europei. La famosa efficienza complessiva del nostro Ssn si fonda, in gran parte su questo gap retributivo.

Risolvere entrambi i problemi richiederebbe risorse che il Paese oggi non hae che è molto improbabile possa avere in futuro. Il tema della sostenibilità – un tempo oggetto di soluzioni fideistiche del tipo “il Ssn è sostenibile se noi vogliamo che lo sia” – si presenta in prospettiva drammatica. Ed impone un serio discorso di riforma.

Il mondo della sanità, poi, è terribilmente complesso, popolato di professionalità specialistiche, molto qualificate, ma portatrici di punti di vista settoriali, spesso inconciliabili. La lamentata mancanza di visione nasce da qui, da protagonisti innamorati del proprio “particulare” – che non è solo interesse economico, ma culturale e quindi difendibile – e dall’assenza di un momento che riconduca le diversità a un denominatore comune. Questa funzione toccherebbe alla politica, ma i tempi della grande riforma (1978) e della variante “aziendalista” (1992) sono lontani. Da allora la politica ha rinunciato a migliorare la realtà secondo una propria concezione ideale e preferisce inseguire le richieste che provengono dalla società nel tentativo di acquisire e mantenere il consenso. Alle riforme si è sostituito qualche rattoppo, nazionale, regionale e a volte anche locale, e a furia di toppe la sanità ricorda il costume di Arlecchino.

Come evidenzia il rapporto, non ci sono risorse per soddisfare le pur legittime e apparentemente fondate, aspettative di tutti. Bisogna cambiare davvero in una vera, complessiva, organica riforma. Utilizzare le nuove tecnologie consentirà di impostare molte attività in modo radicalmente diverso, di fare cose nuove e di abbandonare quelle ormai obsolete.

31 gennaio 2023

I rischi psicosociali per i lavoratori della sanità e del long-term care.

I lavoratori che operano nel settore della sanità e della long term care sono stati oggetto di grande esposizione mediatica durante la pandemia e l’opinione pubblica, guidata da un sentimento di empatia nei confronti di sacrifici definiti più volte “eroici”, ha preso atto delle precarie condizioni in cui questi lavoratori si trovano.

Nel 2022 è stato pubblicato il report dell’ETUI “Psychosocial risks in the healthcare and long-term care sectors. Evidence review and trade union views”, che si occupa di inquadrare la problematica dei rischi psicosociali legati al lavoro nel settore della sanità e dell’assistenza ai soggetti non autosufficienti.

In particolare, sono state ricercate le cause di tali rischi e le possibili misure di prevenzione.

Il report comprende un’analisi delle opinioni della dottrina sul tema (condotto tra gennaio 2021 e marzo 2021 da ricercatori dell’Instituto Sindacal de Trabajo, Ambiente y Salud) e una raccolta dati tramite interviste ai responsabili dell’area salute e sicurezza sul lavoro e della contrattazione collettiva delle organizzazioni sindacali in Germania, Spagna e Svezia.

Sono stati scelti questi tre Paesi al fine di individuare elementi comuni in contesti diversi tra loro: in Spagna, infatti, la sanità, nonostante la privatizzazione, è ancora molto influenzata dalla Pubblica Amministrazione, mentre in Germania la maggior parte delle strutture sono gestite e regolate da soggetti privati e in Svezia coesistono entrambe le realtà (ma le strutture private sono poche); per quanto riguarda le strutture di lungodegenza, invece, in Germania e in Spagna sono per lo più private, mentre in Svezia pubbliche; inoltre, in Germania e Svezia c’è una forte tradizione della contrattazione collettiva (in Germania principalmente aziendale) e di partecipazione dei lavoratori, tramite loro rappresentanti, ai consigli di amministrazione, mentre in Spagna le parti sociali giocano un ruolo importante ma sono legate alla regolamentazione statale e non hanno un grande potere a livello aziendale.

 
Il report in oggetto indaga il problema dei rischi psicosociali in un contesto europeo caratterizzato dalla logica della aziendalizzazione della sanità pubblica, dalla commercializzazione del lavoro di cura, dall’austerity e dalla conseguente generale carenza di personale. Nell’ultimo decennio i finanziamenti pubblici nel settore della sanità sono diminuiti in tutta Europa. Ciò ha portato alla chiusura di ospedali ed a una tendenza alla privatizzazione e all’adozione di logiche di mercato. Si è passati così ad un sistema di finanziamento per lo più basato su indicatori di performance e non più sul numero di pazienti ospitati dalla singola struttura.

Questo nuovo approccio manageriale, basato su principi di produttività ed efficienza, si ripercuote negativamente sulla salute (anche mentale) dei lavoratori e sulla qualità dei servizi offerti.

In diversi Paesi è stata riscontrata la presenza degli stessi fattori di rischio psicosociale: carichi di lavoro troppo pesanti, condizioni e rapporti di lavoro che creano incertezza e instabilità sia economica che psicologica, alto livello di coinvolgimento emotivo, difficoltà nel bilanciare tempo di vita e tempo di lavoro, mancanza di autonomia decisionale e di coinvolgimento a livello di organizzazione, scarso riconoscimento e scarsa retribuzione, basso livello di supporto sociale da parte di colleghi e superiori.

 
Fattori di rischio che nel panorama italiano sono maggiormente presenti, se si pensa da un lato alla logica del contingentamento della spesa sanitaria, attraverso l’introduzione di budget di spesa che limitano il privato nel concorrere alla risposta di salute insieme al pubblico; dall’altro alla aziendalizzazione della sanità pubblica a partire dal d. Lgs. 502/92 con l’introduzione dei concetti di efficienza, efficacia e performance sanitaria nella risposta in termini di salute alla richiesta dei cittadini. Da qui la battaglia delle associazioni di categoria, con capofila ACOP, nel richiedere con forza l’eliminazione dei tetti di spesa per umanizzare la sanità e consentire risposte adeguate alla richiesta di salute dei cittadini, evitando la ricorrente espressione di contribuzione out of pocket ormai entrata nell’immaginario comune come normale.

Considerando, infine, la situazione a livello europeo, la Direttiva quadro europea 89/391 sulla sicurezza e la salute sul lavoro, prevede che se una valutazione dei rischi dimostra che le condizioni di lavoro derivanti dall’organizzazione del lavoro sono pericolose per la salute, tali condizioni di lavoro devono essere modificate alla fonte e con la partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori.  Tuttavia, come osservato, le valutazioni e le conseguenti misure applicate spesso non prendono in considerazione in modo adeguato i rischi psicosociali.

Secondo la Commissione europea sarebbe opportuno che i rischi psicosociali fossero coperti da una direttiva specifica dell’UE e questo sembrerebbe il momento più adatto, considerando che la recente esperienza pandemica ha costretto la società ad aprire gli occhi sulle problematiche connesse alla salute mentale.

30 gennaio 2023

ACCORDO ACOP – ENPAM: SCADENZA DEL TERMINE 31 GENNAIO 2023

Si comunica a tutti gli Associati che, a seguito di interlocuzione con la Direzione Generale di ENPAM, siamo riusciti ad ottenere una piccola dilazione dell’invio dei modelli compilati al 10 febbraio 2023, a condizione che comunque entro il 31 gennaio 2023 la struttura sanitaria invii una pec ad ENPAM manifestando formalmente la volontà di aderire al protocollo ACOP – ENPAM, riservandosi di produrre i modelli DFS entro 10.02.2023

Il direttore generale

         dott. Gianluca Maccauro

APPROVATO IL PIANO ONCOLOGICO NAZIONALE

E’ stato adottato con Intesa in Conferenza Stato-Regioni, il Piano Oncologico Nazionale, cioè il documento di pianificazione e di indirizzo per la prevenzione e il contrasto del cancro 2023-2027, finalizzato a migliorare il percorso complessivo di lotta alle patologie neoplastiche in termini di efficacia, efficienza, appropriatezza, empowerment e gradimento dei pazienti. Il piano è finalizzato, inoltre, a contenere i costi sanitari e sociali da esse determinati.

E’ stato elaborato da un tavolo di lavoro inter-istituzionale coordinato dall’Ufficio 8 della Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria, che ha visto il coinvolgimento dei principali stakeholders del campo oncologico e delle cure primarie, e un’ampia rappresentanza di Associazioni di pazienti e cittadini.

Individua obiettivi e linee strategiche in coerenza con il Piano europeo contro il cancro del 2021 (Europe’s Beating Cancer Plan) e dovrà ora essere recepito con provvedimenti propri dalle Regioni e dalle Province autonome che adotteranno le soluzioni organizzative più idonee in relazione alle esigenze della propria programmazione.  

Sviluppato secondo un approccio globale e intersettoriale, con una maggiore integrazione tra prevenzione, diagnosi precoce e presa in carico, compreso il miglioramento delle cure e la prevenzione delle recidive, il Piano pone l’attenzione sulla centralità del malato e sulla riduzione o eliminazione delle disuguaglianze nell’accesso agli interventi di prevenzione e cura.

Cure e assistenza, anche domiciliare, garantite su tutto il territorio cancellando le ancore troppe differenze regionali e, soprattutto, percorsi riabilitativi a misura di paziente e mirati non solo al recupero fisico ma anche al pieno reinserimento nei luoghi di lavoro.

Il nuovo piano contiene un obiettivo ambizioso: assicurare le migliori terapie e fare in modo che i malati di cancro che hanno vinto le loro battaglie e che, oggi, sono più di tre milioni di persone, possano rientrare pienamente nella società.  Tra le novità, seguendo il modello europeo, lo sviluppo della “smart card” del sopravvissuto al cancro, in cui è riassunta la storia clinica. Il piano prevede una maggiore integrazione tra prevenzione, diagnosi precoce e presa in carico. Si punta inoltre alla piena realizzazione in tutte le Regioni delle reti oncologiche, nell’ottica di favorire un’assistenza sempre più domiciliare e integrata tra l’ospedale e i servizi territoriali.

Avv. Maria Antonella Mascaro

26 gennaio 2023

IL RISCHIO CLINICO PERCHE’ DEVE RICADERE SOLO SULLA STRUTTURA?

Il Governo si è rinnovato e anche se è trascorso qualche mese, ancora nessuna notizia sui decreti attuativi della legge Gelli-Bianco, eppure sono passati diversi anni dalla sua entrata in vigore!

Anche le campagne elettorali regionali, molto accese sul tema sanità, non prospettano soluzioni sul rischio sanitario, tutto a carico delle strutture.

Con la legge 24 si è appurata la pericolosità che il sistema stava imboccando, con la fuga delle assicurazioni. L’art.10 sancisce l’obbligo di assicurarsi per tutte le strutture sanitarie o sociosanitarie. Gli obiettivi che il legislatore si era prefissato  con la nuova disciplina per il trasferimento del rischio sanitario erano quelli, da una parte, di migliorare gli equilibri finanziari delle strutture sanitarie distribuendo il carico finanziario, derivante dagli eventi avversi nel tempo e tra gli operatori che partecipano al processo, ma dall’altra hanno azzeratol’esposizione patrimoniale dell’esercente la professione sanitaria in caso di colpa grave.

Non è stato, però, introdotto alcun obbligo perentorio di assicurazione per le strutture sanitarie. Infatti, a differenza di quanto declamato dal titolo dell’art. 10 “Obbligo di assicurazione”, la norma ha previsto che le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private debbano essere provviste di copertura assicurativa per la responsabilità civile verso terzi e verso prestatori d’opera, “o di altre analoghe misure”.

Le strutture sanitarie potranno assolvere all’obbligo di legge di cui all’art.10 comma 1, ponendo in essere delle forme analoghe di assicurazione che dovranno garantire anche l’azione risarcitoria diretta. Probabilmente il legislatore voleva disciplinare la cosiddetta autoassicurazione o meglio autoritenzione, già, peraltro, in atto per alcune strutture per la gestione del rischio clinico con la costituzione di fondi appositi. L’intento del legislatore era quello di far disciplinare dai decreti attuativi queste analoghe forme di assicurazioni specie nella parte in cui il cittadino danneggiato può abbreviare l’iter risarcitorio chiamando in causa direttamente questi strumenti.

Oggi non abbiamo compagnie che assicurano per tutti i livelli di rischio, per tutti i sinistri e lo sforzo che viene richiesto alle singole strutture è improbo.

Servirebbe trovare un equilibrio, in un sistema assicurativo misto, con franchigie minime per le strutture e premi concordati, fosse anche in base al virtuosismo della struttura, ma che tengano a bada eventuali richieste di risarcimento azzardate e poco concrete.

L’orientamento è che si vada verso un sistema misto. Quindi le strutture sanitarie pubbliche e private se non sono assicurate si assicurano con franchigia elevata, rispondendo con il proprio patrimonio.

Obbligazione solidale fra medico e struttura, limitazione del diritto di rivalsa alla colpa grave del medico, self retention, aggravano esclusivamente la posizione delle strutture che, mentre nel pubblico sono al collasso e comunque non sono in grado di pagare premi assicurativi così esosi, nel privato devono ugualmente ed in proporzione rispetto all’utenza del pubblico, sopportare un carico di rischio troppo alto.

Ci si domanda se, prendendo spunto dal notevole ritardo dei decreti attuativi, non sia il caso di proporre invece una modifica legislativa su questo tema.

Avv. Maria Antonella Mascaro

25 gennaio 2023

Rapporto Crea, spesa sanità privata costa 1.700 euro a famiglia

Cresce la spesa sanitaria privata: quella media arriva a oltre 1.700 euro a famiglia. Tanto che il 5,2% dei nuclei familiari versa in disagio economico per le spese sanitarie; 378.627 nuclei (l’1,5%) si impoveriscono per le spese sanitarie e 610.048 (il 2,3%) sostengono spese sanitarie cosiddette ‘catastrofiche’.

Questi i risultati del 18/mo Rapporto Sanità del Centro per la Ricerca Economica Applicata in Sanità (Crea) dell’Università di Roma Tor Vergata, presentato oggi al Cnel.

Secondo il Rapporto, nel 2021 il finanziamento pubblico si ferma al 75,6% della spesa contro una media EU dell’82,9% e la spesa privata incide per il 2,3% sul Pil contro una media EU del 2% (pari, appunto, a oltre 1.700 euro a nucleo familiare) ‘scaricando’ sulle famiglie, ad esempio, oltre un miliardo di spesa per farmaci.

Le cause vanno cercate nei due decenni precedenti. La spesa sanitaria pubblica dal 2000 al 2021, in Italia, è cresciuta del 2,8% medio annuo, il 50% in meno che negli altri Paesi EU di riferimento. E nel 2021 quella del nostro Paese registra una forbice del -38% rispetto ai nostri ‘vicini’. Per recuperare il passo degli altri Paesi servirebbe, quindi, una crescita annua del finanziamento di almeno 10 miliardi di euro per 5 anni. “Nei documenti di finanza pubblica – commentano i curatori del Rapporto, Federico Spandonaro, Daniela D’Angela e Barbara Polistena – sono previsti meno di 2 miliardi di euro per anno, quindi circa un settimo del necessario per il riallineamento”.

Se non si interviene, si dovrà passare da un Servizio sanitario nazionale universalistico a uno basato “su una logica di universalismo selettivo, che privilegi l’accesso dei più fragili”. 

Non solo: per allinearsi al livello di altri Paesi europei di riferimento, in Italia mancano all’appello 30.000 medici e 250.000 infermieri. Per colmare questa carenza, il nostro Paese dovrebbe investire 30,5 miliardi di euro, tenendo conto del maggiore bisogno di personale sanitario causa dell’età media più alta della popolazione italiana.

In Italia, nella sanità pubblica, ci sono 3,9 medici per 1.000 abitanti contro i 3,8 della media di Francia, Germania, Regno Unito e Spagna: ma, correggendo per l’età media della popolazione (in riferimento all’elevata presenza di over 75 nel nostro Paese rispetto ad altri), a mancare sarebbero 30.000 medici. Mettendo in conto i circa 12mila medici che vanno in pensione ogni anno, per colmare il gap se ne dovrebbero assumere almeno 15mila ogni anno per i prossimi 10 anni.

Per gli infermieri il problema è ancora più eclatante: ne abbiamo 5,7 per 1.000 abitanti contro i 9,7 dei Paesi EU: la carenza supera le 250mila unità rispetto ai parametri europei e, comunque, solo per attuare il modello disegnato dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, ne servirebbero 40-80.000 in più. E poco è l’aiuto dall’estero: arrivano in Italia meno del 5% degli infermieri contro il 15% nel Regno Unito e il 9% in Germania; meno dell’1% dei medici a fronte del 10% degli altri paesi.

Vista la carenza di vocazione, la soluzione sarebbe offrire loro condizioni economiche attrattive. Invece, i medici italiani, guadagnano in media il 6% in meno dei colleghi europei e gli infermieri il 40% in meno. “Senza risorse e senza personale sanitario è – scrivono gli autori del rapporto – impossibile il 65% di prestazioni perse durante la pandemia, di cui hanno sofferto soprattutto i grandi anziani”.

24 gennaio 2023

ACOP E ARIS INCONTRANO IL CANDIDATO DEL CENTRODESTRA FRANCESCO ROCCA

Ieri si è tenuta una riunione congiunta ACOP ed ARIS con il candidato Presidente alla Regione Lazio, Francesco Rocca.

Presenti il presidente Dott. Tullio Ciarrapico, il Vice Presidente Dott. Massimo Miraglia, il Direttore Alessandro Castellana dell’ ACOP Lazio ed il Dott. Michele Bellomo dell’ARIS Lazio.

All’evento hanno partecipato oltre 100 persone, con una folta rappresentanza dei maggiori ospedali privati del Lazio, tutti iscritti ACOP. Il clima tra le due Associazioni è stato, ovviamente, sereno e collaborativo ed il Candidato ha risposto alle domande, illustrando ampiamente il suo programma.

Francesco Rocca si è soffermato su alcuni punti ritenuti indefettibili del progetto politico di legislatura in sanità:

  • Innanzitutto le liste d’attesa, che si punta ad azzerare nel breve periodo, grazie ad una politica di riorganizzazione del sistema sanitario regionale;
  • Dare il giusto riconoscimento al comparto della sanità privata accreditata, per arrivare a quella piena parità tra pubblico e privato che poco si è vista nei fatti dai governi regionali che si sono succeduti negli anni alla guida della Regione Lazio;
  • Alla domanda posta dai presenti sull’incremento della spesa sanitaria regionale, Francesco Rocca ha tenuto a rispondere che l’incremento avuto in regione è stato destinato ad un gruppo di pochi centri, lasciando in disparte le strutture ieri presenti all’evento; ha altresì dichiarato la volontà di andare a fondo nella valutazione dei criteri utilizzati per la ripartizione.

23 gennaio 2023

Desertificazione sanitaria

Questo concetto sempre più citato e letto nei contesti dei mass media e dei social rende metaforicamente l’idea di quanto sta accadendo a livello nazionale e regionale: medici e infermieri mancano e scarseggiano in tutta Italia, soprattutto nelle aree più periferiche. Sono 9 le regioni più colpite: Lombardia, Piemonte, Friuli-Venezia Giulia, Calabria, Veneto, Emilia-Romagna, Trentino-Alto Adige, Lazio e Liguria, mentre provincie e comuni sono dislocate un po’ ovunque. Dunque non è più il parametro del benessere o del reddito a guidare le classifiche della cosiddetta “desertificazione sanitaria”, ma sono altri i fattori.

Quali le possibili soluzioni: in parte il riposizionamento da parte del nuovo governo dei fondi del PNRR che anzicchè, come aveva fatto il precedente, stanziare fondi per costruire ex novo cattedrali nel deserto, potrebbe aggiustare il tiro potenziando le strutture pubbliche e private convenzionate, ricollocando risorse finanziare anche sui lavoratori.  Dunque, le riforme potrebbero provocare gli effetti sperati se all’investimento su case e ospedali di comunità si affiancherà un adeguato investimento sul personale.

Un altro aiuto importante potrebbe arrivare dall’utilizzo di dispositivi tecnologici per migliorare ed in alcuni casi attuare la telemedicina, in alcuni settori per esempio nel monitoraggio e nelconsulto medico a distanza. Ciò però presupporrebbe un allargamento dell’indotto, cioè una convenzione con gli operatori nel campo della fibra, presupponendo che la banda larga raggiunga aree dove ancora non si arriva ed evidentemente dopo che ci sia la formazione adeguata e continua.

Il fatto incomprensibile è che potenziando un sistema così importante e così forte come il comparto Sanità non si riesce a comprendere che, a cascata, ne beneficerebbe una buona parte del settore secondario e terziario, con potenziamento degli enti di altri settori, che sono legati al mondo sanitario da contratti di somministrazione, di fornitura e molto altro, settori che farebbero girare l’economia italiana con proporzioni tali da far pensare ad una metafora di dimensioni oceaniche che inonderebbero il deserto nel quale si sta sprofondando.

avv. Maria Antonella Mascaro

19 gennaio 2023

Caos nei contratti di lavoro per la sanità privata

Il controllo e comunque il riordino dei contratti delle strutture sanitarie pubbliche da parte del Ministero della Salute non si estende alla sanità privata accreditata. Dopo continui dibattiti e convegni, molti promossi da ACOP nel corso del 2022 nei quali, indistintamente da parte di tutti i partiti politici, nonché da illuminati professori e alte cariche della magistratura, si è ribadito che nella sanità il pubblico e il privato accreditato sono un’unica cosa, si assiste oggi ad un ennesimo disallineamento.

Nelle strutture ospedaliere private accreditate coesistono una molteplicità di contratti con la conseguenza di una vera e propria situazione di totale confusione: medici I dirigente, II dirigente, medici assistenti o aiuti, medici con contratto compatibile col contratto pubblico, medici con contratto ad personam, medici libero-professionisti, dunque con partiva Iva, medici di cooperative o medici a gettone ecc.

Rimane, allo stato, irrisolto il problema del rapporto pubblico/privato anche nell’importante campo dei contratti della sanità, dopo che sono stati varati i nuovi limiti e le nuove condizioni per l’accreditamento. Questo tema viene nuovamente demandato alle Regioni senza un unico conduttore, senza linee guida nazionali, sostanzialmente senza una direttrice.

L’obiezione non riguarda soltanto il caos creato dalla miriade di contratti cui si è fatto cenno ma anche per la coesistenza di differenti norme, dunque differenti retribuzioni, dunque differenti diritti del personale anche nell’ambito di una stessa Unità Operativa e nell’ambito di una stessa équipe. L’aspetto totalmente ignorato è che le strutture cui si riferiscono i contratti sopra riportati sono accreditate in osservanza di requisiti e regole previste dal sistema sanitario nazionale. Da qui la contraddizione in termini di quanto denunciato. Non vi è dunque una totale libertà imprenditoriale nel trattamento complessivo del dipendente da parte delle strutture sanitarie private convenzionate che hanno le limitazione da parte dell’organo pubblico e i conseguenti doveri e non gli stessi diritti come dovrebbe essere.

Uno sbilanciamento cui deve essere posto rimedio, se non altro ricordando i principi enunciati dall’art. 36 della costituzione polivalente: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge”.

Avv. Maria Antonella Mascaro

17 gennaio 2023

ACOP e ARIS avviano insieme gli incontri con i candidati alla Presidenza della Regione Lazio

Ieri sono iniziati gli incontri programmati, in collaborazione tra ACOP e ARIS, con i candidati alla Presidenza della Regione Lazio per le prossime elezioni regionali.

Il primo incontro si è tenuto ieri con il candidato Alessio d’Amato per il centrosinistra, mentre il prossimo si terrà il lunedì 23 gennaio con il candidato Francesco Rocca per il centrodestra.

Molto intensa la partecipazione delle strutture di Roma e delle altre province della regione Lazio, iscritte alle due associazioni, che hanno deciso di presentarsi unite all’appuntamento, per sottoporre ai candidati una serie di domande sulle problematiche più scottanti del panorama sanitario.

Il candidato ha risposto puntualmente, dichiarandosi disponibile ad un impegno proficuo sui temi affrontati.

Il clima tra le associazioni di categoria ACOP (rappresentata da Emmanuel Miraglia) e ARIS (rappresentata da Michele Bellomo) è stato sereno e collaborativo, come è giusto che sia nel perseguimento degli obiettivi comuni.

L’altra associazione di categoria Aiop ha invece deciso di muoversi in autonomia.

Vi aggiorneremo anche sul prossimo incontro.

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Audizioni al Senato della Repubblica presso gli Uffici di Presidenza di 1° e 5° Commissione

Argomento (decreto-legge n. 198/2022 – “proroga termini”)

Si sono tenute in data 16 gennaio 2023 le audizioni programmate dagli Uffici di Presidenza di 1° e 5° Commissione sull’argomento decreto-legge n. 198/2022 – proroga termini cosiddetto decreto Milleproroghe

ACOP è stata ascoltata per prima nel blocco delle audizioni previste per il comparto sanitario, con una relazione sulle tematiche riguardanti i “tetti di spesa”, la mobilità sanitaria e gli incrementi tariffari.

A seguire Aiop ha di fatto ribadito gli argomenti proposti dalla nostra associazione.

Le altre associazioni presenti all’audizione del blocco sanità sono state FNOMCeO – medici e chirurghi, Anaao-Assomed (Medici dirigenti), FNOPI – Federazione nazionale infermieri, Medici cococo Ministero salute emergenza Covid, Federspecializzandi, Movimento Giotto (giovani medici di medicina generale), SIMCCP (medicina di comunità e delle cure primarie).

Il testo della relazione.

16 gennaio 2023

SICUREZZA SUL LAVORO PER LE IMPRESE, MA PER LA SANITA’ NON VALGONO REGOLE GENERALI

La legge di modifica della normativa a tutela della sicurezza sul lavoro è del 17 dicembre 2021, n. 215. In particolare titola: “misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili” (il c.d. Decreto fisco e lavoro), ed è entrata in vigore il 21 dicembre 2021. 

Il legislatore in sede di conversione è intervenuto in definitiva su ben 14 articoli (artt. 7, 8, 13, 14, 18, 19, 26, 37, 51, 52, 55, 56, 79 e 99) del D. Lgs. n. 81/2008 (Testo Unico Sicurezza sul Lavoro), di cui viene integralmente sostituito anche l’Allegato I, con l’obiettivo di innalzare il livello complessivo delle tutele di prevenzione sulla sicurezza del lavoro.

L’ampiezza dell’intervento normativo è tale da intenderla come una “miniriforma” del Testo Unico, con riferimento prevalente al Titolo I.

Tutto ciò per dire che è trascorso più di un anno dall’entrata in vigore della suddetta normativa ed oggi, all’indomani dell’insediamento del nuovo governo il Ministro del Lavoro convoca le parti sociali su questo caldo e annoso tema e all’alba di un inizio anno che nel 2022 si è portato dietro moltissimi incidenti sul lavoro.

Il governo, dunque, convoca le parti sociali e propone a sindacati e imprese di agire insieme contro gli infortuni e le morti bianche.

Un primo incontro il Ministro annuncia una task force e ipotizza la revisione dell’impianto normativo, per renderlo più contemporaneo. Al tavolo hanno partecipato vari ministeri, fra i quali anche il Ministro della Pubblica Amministrazione con una proposta di allungamento ed allargamento dello smart working.

Ci si chiede, però, come possa impattare il lavoro a distanza con le esigenze di imprese come quelle sanitarie, in particolare strutture pubbliche e private che non possono assolutamente evitare il contatto con le persone umane: i pazienti. La presenza sul luogo di lavoro del personale sanitario e la sua esposizione a tutta una serie di rischi, che la pandemia Covid, ha aumentato e non diminuito è qualcosa che non si può sostituire con un lavoro a distanza, ne può essere guidata da un pool di persone, a meno che non abbiano una importante specializzazione nel settore.

Dunque vi sono materie come quella sanitaria, nella quale la cosiddetta task force potrebbe non avere alcuna efficacia, e dove, diversamente, anziché impegnare fondi per costituire un comitato di “sicurezza”, andrebbe ripensata una distribuzione dei fondi, oppure semplicemente, collocate le risorse economiche destinate alla sanità pubblica e privata, anche dal PNRR, affinchè si investa nell’assunzione di personale, evitando anche le fughe dei camici con ingaggi “a gettone”, argomento del quale si parla quotidianamente, si acquistino macchinari di nuova concezione, tecnologicamente avanzati e, infine, si attui un ripensato smart working, che nella materia sanitaria possa riguardare esclusivamente la telemedicina, ma solo per i pazienti da curare a casa,  evitando, così, che questi debbano recarsi, anche per episodi non gravi, nei Pronto Soccorsi, intasando il sistema.

                                                  Avv. Maria Antonella Mascaro

12 gennaio 2023

REGIONE PIEMONTE – DGR 32-6378

Proroga al supporto infermieristico e assistenziale alle Strutture residenziali e semiresidenziali

Approvata dalla Giunta Regionale Piemonte in data 28 dicembre 2022 la DGR 32-6378, in corso di pubblicazione, con la quale si intende dare continuità all’attività di supporto infermieristico e assistenziale delle strutture residenziali e semiresidenziali, già previste in precedenza, prorogando le seguenti disposizioni:

  1. DGR n. 21-4556 del 21 gennaio 2022  con proroga fino al 31.12.2023 per attività di supporto infermieristico in convenzione da parte delle ASR alle strutture socio-sanitarie per anziani.

In particolare questa prevede:

– di approvare il progetto di interesse specifico a valenza regionale, di cui all’allegato sub A, parte integrante e sostanziale del presente provvedimento, per attività di supporto in termini di assistenza infermieristica, da parte delle ASR alle strutture socio sanitarie per anziani, accreditate e convenzionate, da attuarsi per il periodo di emergenza sanitaria, attualmente prorogato con D.L. 24 dicembre 2021, n. 221, al 31.03.2022, e comunque non oltre 31.12.2022.

– di disporre che le ASR diano attuazione al progetto suddetto, attraverso la stipula di una Convenzione, in conformità allo schema tipo di cui all’allegato sub B, parte integrante e sostanziale del presente provvedimento, che disciplina i contenuti pattizi essenziali, integrabili in relazione alle specifiche esigenze delle parti;

– di stabilire che il progetto sia uno strumento operativo ad integrazione rispetto alle previsioni del succitato art. 3-quater, comma 1, DL 127 del 21.09.2021, come convertito nella L. 165 del 19.11.2021, senza pregiudizio al corretto svolgimento dell’attività istituzionale, con particolare riferimento all’obiettivo relativo allo smaltimento delle liste di attesa, nel rispetto della disciplina nazionale di recupero delle predette liste di attesa anche conseguenti all’emergenza pandemica;

– di dare atto che il presente provvedimento non comporta oneri ulteriori a carico del bilancio regionale, in quanto i costi per le prestazioni a favore delle strutture socio sanitarie per anziani accreditate e convenzionate sono oggetto di integrale rimborso da parte delle medesime strutture;

  1. DGR n. 11-3223 del 18 maggio 2021 modificata dalla Determinazione Dirigenziale 2372/A1406B/2022 DEL 07/12/2022 (allegata), in ottemperanza al nuovo quadro normativo nazionale di riferimento, in merito all’esercizio temporaneo delle qualifiche professionali sanitarie e della qualifica di OSS con proroga al 31.12.2023;
  2. DGR n. 6-2436 del 01.12.2020 integrata dalle DD.G.R. n. 11-3223 del 18.05.202 e n. 13-4466 del 29 dicembre 2021 e 2-5266 del 28.06.2022 (allegata) in materia di supporto infermieristico assistenziale da parte del personale già impiegato nelle strutture residenziali  e semiresidenziali all’atto dell’assunzione delle ASR per vincita pubblico concorso, previa verifica dello stato di necessità, con proroga al 30.06.2023; ​​​

Con tale provvedimento viene nuovamente rafforzato il presupposto che le strutture sanitarie e sociosanitarie private ed in particolare quelle residenziali per anziani, disabili, minori, psichiatriche e delle dipendenze, costituiscono nodi fondamentali della rete territoriale attraverso i quali vengono garantiti i livelli assistenziali.

11 gennaio 2023

NON BASTA LA PROROGA DEL PAYBACK

Il Governo, con decreto legge, ha rinviato al prossimo 30 aprile il termine di pagamento dei 2,2 miliardidi euro che le aziende produttrici di dispositivi medici devono versare in base al meccanismo del cosiddetto payback, che le obbliga a ripianare il 50% degli sfondamenti dei tetti della spesa sanitaria.

Ritorna imperante il problema degli extrabudget e di conseguenza dei LEA.

Già in precedenza, commentando una sentenza della Corte Costituzionale sulle spese extra LEA, erano stati ribaditi i principi necessari a prevenire disavanzi di bilancio, nel coordinamento fra Stato e Regioni con l’effetto, però, di rialimentare  il dibattito fra diritto alla salute, diritto alla salute territoriale e autonomia di spesa del territorio regionale, tutti principi costituzionali, dunque fonti primarie del diritto, ma superate dall’esigenza centralizzata di parametrare il diritto alla salute dei cittadini del territorio alla spesa e alla portata delle risorse finanziarie.

Quella del payback che grava sull’imprese dei dispositivi medici rischia di far saltare svariate migliaia di aziende di settore, con rischi di ricadute per le cure, dunque per i pazienti, dunque per la popolazione, concetto nel quale non sono compresi solo i cittadini ma chiunque si trovi sul suolo italiano. Ciò è quanto denunciano medici, chirurghi e produttori di dispositivi medici, molti dei quali sono scesi in Piazza A Roma, cioè la minaccia che questo fardello del payback si ripercuota sulla fornitura alle Asl, agli ospedali e alle strutture sanitarie convenzionate, di strumentazione come tac e risonanze, ad esempio, che verrebbe impedita. Contrariamente alle previsioni manca l’atteso innalzamento dall’attuale 4,4% del fondo sanitario nazionale al 5,2% del tetto di spesa, considerato ampiamente sottostimato. Peraltro fra una settimana il Tar del Lazio deciderà su una serie di ricorsi presentati dalle imprese.

La soluzione, però, come ha spiegato alla stampa e nel corso della manifestazione anche il Presidente di Confindustria dispositivi medici non è il semplice rinvio ma la cancellazione e trovare una soluzione che possa tenere sotto controllo la spesa e garantire il diritto alla salute degli italiani.

Anche in questo caso il rischio è quello di disegnare un paese a due velocità. Molti ricorrono a risorse personali e decide di curarsi in strutture totalmente private, attingendo a risorse personali. E chi non ha i soldi accederà ad una sanita di serie B, quando il sistema sanitario italiano ha sempre rappresentato un fiore all’occhiello a livello internazionale.

Nel mirino come sempre le regioni del sud Italia che sono maggiormente a rischio dal momento che le strutture pubbliche e convenzionate vivono da decenni con apparecchiature obsolete, tecnologicamente non all’avanguardia, quando con l’uso di strumentazione moderna si potrebbero avere diagnosi precoci, per esempio, su una serie di tumori curabili, come il tumore al seno, che presi in tempo eviterebbe interventi invasivi, costosi, garantendo una sanità sostenibile dal punto di vista economico e maggiormente etica.

Forse sarebbe necessaria una riflessione che contemperi più esigenze, ma che metta sempre al centro dell’attenzione il diritto alla salute, affinchè venga dispensato nel modo più completo; dunque un ampliamento, semmai e non un restringimento dei livelli essenziali di assistenza. Sarebbe necessario impegnarsi a fondo per far sì che suddetti livelli vengano garantiti dalla compresenza della collaborazione fra pubblico e privato, in special modo, lo si ribadisce ancora una volta, facendo partecipare quanto più possibile al raggiungimento di questi obiettivi, le strutture sanitarie private convenzionate.

                                                             Avv. Maria Antonella Mascaro

10 gennaio 2023

Il medico “a gettone”. Occorre riformare il servizio sanitario con innovazioni tecnologiche e gestione del personale.

La manovra ha previsto due miliardi di euro in più per la sanità, ma saranno sufficienti?

Nelle sue linee principali, la manovra è quella impostata dal governo precedente, nel DEF si torna a una crescita in linea con gli anni che hanno preceduto il Covid, senza considerare, però, inflazione, guerra e caro energetico. Il PNRR ha introdotto una sola riforma di sistema, quella della medicina territoriale, ma occorre riformare anche la valutazione delle tecnologie e la gestione del personale. Devono essere utilizzati meccanismi più razionali per offrire prestazioni più appropriate.  Per non parlare, poi, dell’ormai annoso problema del personale. In realtà i medici non mancano, lo si è visto dall’efficienza del personale medico durante il Covid, lo testimoniano i dati OCSE, anche se preoccupa il dilagare del medico a “gettone”. Tanti i dottori, strapagati, vengono dati in affitto dalle cooperative agli ospedali che ne sono privi, non importa se qualificati o no, l’importante è la copertura dei turni. Ovviamente le regioni dove l’esodo dei medici “a gettone” si sposta è il nord: il Veneto in testa con il 70%, seguito dalla Liguria con il 60%, Piemonte e Toscana con il 50% e così via. Il tutto senza regole e bandi di gara, in una giungla normativa

in cui ogni ospedale è libero di fare ciò che vuole senza che nessuno gli chieda conto delle decisioni.  I camici bianchi appaltati sono pagati il triplo rispetto ai contratti regolari, che continuano ad essere molto poveri.

Attorno a questo meccanismo si è creato un business notevole che ha fatto nascere cooperative nuove che reclutano medici con il semplice passaparola. Da medici in pensione ai neolaureati, neanche specializzandi, men che meno specializzati, senza regole e senza norme, senza gare e senza copertura assicurativa. Il cosiddetto gettonista può percepire anche 200 euro netti all’ora, cioè più del quadruplo del medico contrattualizzato.

L’esternalizzazione del lavoro medico era stata decretata illegale nel 2018, ma durante la pandemia, a causa delle condizioni di emergenza legate al Covid, a ciò si è derogato. Ad oggi il fenomeno dei medici a gettone persiste.  I gettonisti sono utilizzato soprattutto nei pronto soccorso, dove la carenza di personale è maggiore, ma dove si richiedono maggiormente competenza e specializzazione. Varie le problematiche che possono scaturirne: la desertificazione dei medici dagli ospedali, i turni interminabili che aumentano la stanchezza e il rischio di errori, la non continuità delle cure. Questo fenomeno ovviamente è reso più pesante dalla scarsa remunerazione del personale medico e determina carenza di motivazione nel lavoro, caos nei reparti, dove il personale infermieristico è numericamente carente.

L’aiuto della sanità privata e della territorialità diversificata oggi più che mai ha un senso per far funzionare al meglio il nostro sistema sanitario.

Se non si procede a riformare il Ssn sul fronte delle tecnologie e del personale, il rischio è che non riesca più a rispondere ai bisogni di tutti e a ottemperare alla sua

missione universalistica. E a perderci sarebbero sempre le persone più deboli, economicamente e culturalmente.

 La manovra è stata fatta in tempi rapidi, e non sono stati fatti grandi ragionamenti sulla sanità, ma in futuro dovrà fare molto, anche con notevoli reazioni degli operatori e dei sindacati.

L’importante è evitare il rischio di far naufragare uno dei pochi sistemi in cui il servizio pubblico da senso allo stato sociale.  

Avv. Maria Antonella Mascaro

09 gennaio 2023

SEGUITO DELLE COMUNICAZIONI DEL MINISTRO DELLA SALUTE IN 10° COMMISSIONE

In Commissione 10a, giovedì 12 gennaio 2023 alle 14, è in agenda il seguito delle comunicazioni del Ministro della salute, Orazio Schillaci, sulle linee programmatiche del suo Dicastero.

Tra le priorità espresse dal Ministro la piena operatività del DM 77, l’approvazione del decreto tariffe e dei nuovi LEA, la risoluzione della crisi di carenza del personale e il finanziamento alla ricerca

Nelle giornate di martedì 6 e mercoledì 7 dicembre 2022 il Ministro della Salute ha tenuto due audizioni – rispettivamente davanti alla XII Commissione (Affari sociali) della Camera dei deputati e alla X Commissione (Sanità e lavoro) del Senato – per la presentazione delle linee programmatiche del proprio dicastero. Il discorso tenuto è stato il medesimo, vediamo di seguito una sintesi dei punti salienti.

RIORGANIZZAZIONE E POTENZIAMENTO DELLA MEDICINA TERRITORIALE

È necessario – ha dichiarato il Ministro – dare attuazione alla riforma del decreto ministeriale n. 77 del 2022. A tal fine, in via prioritaria bisogna garantire le risorse alle Regioni, soprattutto per il periodo successivo a quello del PNRR. Il PNRR non risolverà, infatti, il problema della carenza del personale e, dall’altra il problema della sostenibilità delle Case di comunità, soprattutto al Sud dove si riscontrano minori strutture. Pertanto, i finanziamenti per le Case di comunità, l’assistenza domiciliare sono una preoccupazione per le regioni, di cui l’attuale Ministero si vuole fare carico. Inoltre, vi è la necessità di reperire adeguate strumentalità

PNRR: TUTTI GLI OBIETTIVI E LE MISSIONI CON RELATIVI FINANZIAMENTI

Per quanto riguarda il PNRR è da porre attenzione alla Component 1 (M6C1), alla quale sono stati destinati 7 miliardi di euro. Tale componente si articola in una riforma e in tre linee di investimento da attuare entro la metà del 2026, per potenziare i servizi assistenziali territoriali quali punti di riferimento per la risposta ai bisogni di natura sanitaria, sociosanitaria e sociale per la popolazione. Delle tre linee di investimento:

  • investimento 1.1 (2 miliardi di euro) – “Case della Comunità e presa in carico della persona”: prevede l’attivazione di 1.350 Case della Comunità, per promuovere e realizzare progetti di salute con particolare attenzione alle condizioni legate alla cronicità e alla fragilità del paziente;
  • investimento 1.2 (4 miliardi di euro) – “Casa come primo luogo di cura e telemedicina”: mira alla presa in carico domiciliare del 10% della popolazione di età superiore ai 65 anni con una o più patologie croniche e/o non autosufficienti, nell’assistenza domiciliare la telemedicina avrà progressivamente un ruolo strategico. In tale investimento rientrano l’istituzione delle 600 Centrali Operative Territoriali (COT) che coordinano a livello di distretto la presa in carico della persona e raccorda tra di loro i servizi e i professionisti coinvolti nei diversi setting assistenziali, con l’obiettivo di assicurare continuità, accessibilità e integrazione dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria sette giorni su sette. L’investimento ricomprende il Portale della trasparenza, al quale sono destinati 25 milioni per l’aggiorniamo con obiettivo di rilevare i bisogni di salute su base territoriale e orientare la gestione dei servizi per le esigenze reali degli utenti;
  • investimento 1.3 (1 miliardo di euro) – “Rafforzamento dell’assistenza sanitaria intermedia e delle sue strutture (Ospedali di Comunità)”: mira all’attivazione di 400 Ospedali di Comunità, per pazienti che necessitano di interventi sanitari a media-bassa intensità clinica e degenze di breve durata, l’ospedale di comunità ha una funzione intermedia tra il domicilio e il ricovero ospedaliero, con la finalità di evitare ricoveri impropri e di favorire le dimissioni protette in luoghi più idonei al prevalere dei fabbisogni assistenziali, di stabilizzazione clinica e di recupero funzionale dell’autonomia.

Alle misure della Component 1 si affiancano gli investimenti della Component 2 (M6C2) orientati a sviluppare una sanità pubblica che valorizzi gli investimenti nel sistema salute in termini di risorse umane, digitali, strutturali, strumentali e tecnologici. All’interno della Component 2, alla quale sono stati destinati 8,63 miliardi di euro, sono individuate 1 riforma e 2 misure da attuare entro la metà del 2026. Gli obiettivi sono tesi a garantire un’evoluzione significativa delle modalità di assistenza sanitaria nella qualità e nella tempestività delle cure; nonché a valorizzare il ruolo del paziente come parte attiva del processo clinico-assistenziale.

REVISIONE DEL DM 70 del 2015 “REGOLAMENTO RECANTE DEFINIZIONE DEGLI STANDARD QUALITATIVI, STRUTTURALI, TECNOLOGICI E QUANTITATIVI RELATIVI ALL’ASSISTENZA OSPEDALIERA”

Per quanto riguarda il DM 70 del 2015, c’è bisogno di un approfondimento anche in relazione agli standard ospedalieri. Poi serve una riorganizzazione delle liste di attesa e, soprattutto serve un potenziamento dei servizi di monitoraggio. Il Ministero vuole dare particolare impegno per l’adozione quanto prima del cd. DM tariffe. Infatti oggi più che mai i LEA sono garanzia per il funzionamento del SSN. Mediante i Lea, il Governo mette in atto l’universalismo e ugualitarismo del sistema; e l’egualità sottintende sinonimo di efficacia.

ENTRATA IN VIGORE DEL DPCM SUI LEA QUANTO PRIMA

I cittadini potranno avere prestazioni a passo con la tecnologia. L’entrata in vigore del DM tariffe creerà, anche, uniformità delle prestazioni dei Lea in termini di soddisfazione delle prestazioni. Il DPCM LEA riuscirà, soprattutto, a rispondere al problema della cronicità.

Per quanto riguarda, poi, le persone affette da malattie rare, ha ricordato la recente istituzione del Comitato per le malattie rare. Il Ministro, però, ritiene che bisogna approvare il nuovo Piano per le malattie rare in sede di Conferenza regioni da implementare nei prossimi 3 anni. Bisogna, anche, investire sul Piano dell’antibiotico-resistenza e, il Ministro ha menzionato la disposizione già inserita nell’attuale Legge di Bilancio, che dovrà essere approvata entro il 31 dicembre 2022.

PREVENZIONE, OLTRE AL PIANO PANFLU 2021-2022

Sul punto Schillaci ha sottolineato l’importanza di avere una revisione del nuovo piano vaccinale in tempi brevi e, infatti si deve quanto prima condividere il testo in ambito di Conferenza Regioni.

PIANO ONCOLOGICO NAZIONALE 2022-2027

Il piano deve contribuire – ha evidenziato il Ministro – a portare avanti gli obiettivi del piano Ue contro il cancro. Quanto al finanziamento di esso “avevo cercato – ha dichiarato – di proporre una parte già nell’attuale legge di bilancio ma, poi ciò non vi è rientrato. Quindi sosterrò un emendamento che consenta un finanziamento di 10 milioni per il 2023 e 10 milioni per il 2024. Il PON deve essere adottato, anche perché con il Covid-19 sono saltati molti screening per cui nei prossimi tempi ci potranno essere dei numeri più alti per i pazienti affetti da patologie oncologiche”.

PROBLEMA DELLA CARENZA DEL PERSONALE

“Il mio impegno da Ministro – ha precisato – sarà legato alla riqualificazione della parte economica. Lavorerò con le regioni per dare maggiore retribuzione al personale. Rimanendo sul tema del personale, si deve riconoscere il ruolo importante che va ai professionisti. La contrazione delle risorse ha portato carenza dei professionisti soprattutto in alcuni settori e questo ha a sua volta portato scarsità dei servizi all’interno del SSN. Alcune specialità sono diventate, infatti, meno attrattive. L’uso distorto delle esternalizzazioni ha poi portato anche delle criticità nel fornire le adeguate cure ai pazienti”.

Una sottolineatura importante è arrivata sulla necessità di un rafforzamento del medico di medicina generale, al fine di una migliore presa in carico della popolazione, che è sempre più affetta dal problema dell’invecchiamento e della cronicità, così da poter alleggerire la pressione sugli ospedali.

FINANZIAMENTO DEL FSN – FONDO SANITARIO NAZIONALE

“Rispetto agli anni passati – ha fatto notare Schillaci – la sanità ha maggiori fondi, anche se ci troviamo in tempi di revisione. Perciò si nota una inversione di tendenza. Bisogna, anche, pensare al finanziamento della ricerca sanitaria e, nel PNRR sono previsti dei bandi sulle 3 tematiche: malattie rare e tumori rari, prof of concept e malattie altamente invalidanti. Per i progetti legati a tale tematiche verranno fatte le verifiche e affidati”.

Ha poi riferito che bisogna anche puntare sulla farmacia dei servizi, soprattutto nei territori rurali e disagiati, poiché esse costituiscono il presidio sanitario più prossimo per il cittadino.

Un richiamo è stato fatto anche sulla necessità di implementare le strutture tecnologiche e dei dati sanitari nell’ottica della digitalizzazione dei sistemi sanitari, e ciò fa già parte di una strategia della Commissione europea, che ha stabilito le priorità così da mettere i cittadini al centro del sistema e poter condividere i propri dati.

È intenzione del Ministro, infine, portare a termine l’adozione della riforma IRCSS.

24 dicembre 2022

Comunicato 22 dicembre 2022

PROROGA PER L’IMPEGNATIVA DEMATERIALIZZATA

Ricetta elettronica: c’è la proroga. Arriverà con il decreto Milleproroghe, secondo quanto si apprende, la proroga di un anno della possibilità di ricevere le ricette mediche via mail o sms.

La misura, introdotta con ordinanza della protezione civile durante l’emergenza Covid, era in scadenza a fine anno. 

Tuttavia, non essendoci più lo stato di emergenza dovuto al Covid, il Governo ha deciso – si apprende da Palazzo Chigi- di inserire il posticipo nel decreto milleproroghe, consentendo di rinnovare per un anno la possibilità di utilizzare le ricette elettroniche.

Immediata la richiesta di una proroga da parte dei medici al Ministro Schillaci che ha già trovato un positivo riscontro. 

La decisione del governo guidato da Giorgia Meloni accoglie le perplessità espresse da medici di base e farmacisti in vista dell’imminente scadenza.

“Siamo soddisfatti che il Governo abbia colto la nostra sollecitazione, prorogando di un anno la possibilità di ricevere le ricette mediche via mail o sms, inserendo la norma nel decreto Milleproroghe”. Così in una nota Pina Onotri, Segretario Generale Sindacato Medici Italiani (Smi). La proroga di un anno della possibilità di ricevere le ricette mediche via mail o sms “è un provvedimento di assoluta normalità e buon senso, però ora basta lavorare in emergenza. Far fare la fila per la ricetta non mi pare una cosa utile. Ora si deve pensare a uscire da questa normativa emergenziale e dare stabilità alla misura”, introdotta durante l’emergenza Covid “che si è rivelata utile per i medici e per i cittadini”. Così Pier Luigi Bartoletti, vice segretario nazionale vicario della Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale) e segretario provinciale della Fimmg Roma.

L’Ordine dei medici: “Un bel regalo di Natale”. “La proroga della ricetta elettronica è un vero regalo di Natale, per pazienti e medici”. Lo dichiara Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo), commentando la decisione arrivata in queste ore. “È un’ottima notizia, perché restituisce ai cittadini un pezzo di sistema sanitario efficiente che consente di poter andare in farmacia con lo smartphone per ritirare i farmaci o per eseguire una prestazione senza stampare inutilmente la ricetta”. Inoltre, “è un’ottima notizia perché dà la possibilità al medico di gestire meglio il rapporto con l’assistito, riducendo la parte burocratica e liberando tempo per la relazione di cura”. 

La ricetta dematerializzata è la versione elettronica della tradizionale ricetta rossa cartacea ed è stata implementata negli ultimi anni in Italia, ma fino al 2020 era accompagnata comunque da un promemoria cartaceo da ritirare nello studio medico.

L’ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri pubblicata in Gazzetta del 21 marzo 2020 ha disposto la possibilità di utilizzo di strumenti alternativi al promemoria cartaceo e prevede che, al momento della generazione della ricetta elettronica da parte del medico, l’assistito possa chiedere il rilascio del promemoria dematerializzato ovvero il numero di ricetta elettronica.

La ricetta elettronica prevede la completa informatizzazione dell’intero ciclo di vita della tradizionale ricetta medica cartacea del SSN, la cosiddetta ricetta rossa.

Prevede la completa eliminazione del supporto cartaceo (dematerializzazione), compatibilmente con le modalità alternative per salvaguardare l’erogazione di farmaci o prestazioni anche in assenza di collegamento telematico.

Comunicato 21 dicembre 2022

TELEMEDICINA: UNO DEI MODI DI LAVORARE CON IL SSN PER LA SANITA’ PRIVATA

Dalla sicurezza alla qualità fra i nuovi requisiti per collaborare con il sistema sanitario nazionale c’è la telemedicina che non si può considerare un sostitutivo della medicina, ma un sistema di amplificazione e supporto nel rapporto di vicinanza e di fiducia con il medico, favorendo anche lo scambio di informazioni e il confronto fra professionisti.

Le linee di indirizzo su televisita e telemonitoraggio hanno l’obiettivo di supportare Regioni e Province Autonome nella definizione e composizione delle iniziative progettuali sui servizi di telemedicina cui il Pnrr avrebbe destinato un miliardo di euro.

Sono state definite da documenti di indirizzo le aree cliniche finanziabili nell’ambito dei servizi di telemedicina. Tali linee guida forniscono indirizzi per l’elaborazione di progettualità regionali con riferimento a specifiche aree cliniche e bisogni di salute. Nello specifico, vengono date indicazioni di carattere clinico-assistenziale (popolazione di riferimento, modalità di erogazione della prestazione, professionisti coinvolti, finalità della prestazione e benefici attesi) sulle seguenti prestazioni suddivise per i target di pazienti individuati:

– Televisita, teleconsulto/teleconsulenza e teleassistenza;

– Telemonitoraggio e telecontrollo del paziente con diabete;

– Telemonitoraggio e telecontrollo del paziente con patologie respiratorie;

– Telemonitoraggio e telecontrollo del paziente con patologie cardiologiche;

– Telemonitoraggio e telecontrollo del paziente oncologico;

– Telemonitoraggio e telecontrollo del paziente neurologico.

Dunque le strutture organizzate che fanno ricorso alla telemedicina, a partire dagli studi medici, devono attuare una sorta di decalogo di comportamento, una specie di codice etico iniziale per delineare i comportamenti che si possono tenere da quelli che si devono evitare o bandire, ma soprattutto sarà necessario stabilire una vera e propria normazione dal momento che per ora sono previste solo alcune indicazioni.  La telemedicina si configura, nel quadro normativo generale, come una diversa modalità di erogazione di prestazioni sanitarie e socio-sanitarie e pertanto rientra nella cornice di riferimento che norma tali processi con alcune precisazioni sulle condizioni di attuazione.  Non rappresenta una specialità medica separata, ma è uno strumento che può essere utilizzato per estendere la pratica tradizionale oltre gli spazi fisici abituali.

Pertanto, le strutture sanitarie private interessate, compatibilmente con la programmazione regionale, devono essere accreditate dalla regione o dalle province autonome per la disciplina specialistica per la quale intendano attivare singole prestazioni di Telemedicina, percorsi clinici assistenziali integrati con le attività di Telemedicina; attenersi al Documento per l’erogazione della singola prestazione in telemedicina e/o al Documento per l’erogazione del percorso clinico assistenziale integrato con le attività di Telemedicina, definiti dalla Regione; attenersi al Documento di definizione degli standard di servizio propri delle prestazioni di Telemedicina erogate.

                                                         Avv. Maria Antonella Mascaro

Comunicato 20 dicembre 2022

Allarme sanità su senior housing

Il Pnrr non ha stanziato fondi per il senior housing e in generale per le residenze per anziani e fragili, autosufficienti e non. Una prospettiva lasciata all’iniziativa del libero mercato nel Paese più vecchio d’Europa: l’Italia. Poche strutture e pochi posti letto, peraltro saturi. Il tasso di occupazione dei posti letto raggiunge e supera, in alcune regioni, come la Lombardia, l’80%. Il dato ideale di copertura secondo gli studi più attendibili si attesterebbe al 5% con un divario come sempre diverso fra nord e sud della penisola.

Per fare un esempio, l’Olanda ha quattro volte l’offerta rispetto al nostro paese, mentre l’Italia sta davanti solo alla Polonia e alla Grecia.

La verità sta nel fatto che la cura della salute sta diventando un asset difensivo e l’invecchiamento della popolazione guiderà la domanda. Le difficoltà ci sono, ma tutte legate alla situazione contingente. Alta inflazione e inasprimento delle condizioni finanziarie accrescono i costi di costruzione ed energia, ma deteriorano anche salari reali e pensioni, diminuendo sia i margini di manovra delle imprese sia la capacità degli inquilini di fare fronte alla pressione sui rialzi per le locazioni.

Per raggiungere quel tasso ideale del 5% di copertura bisognerebbe mettere in campo centinaia di migliaia di posti letto entro il 2035, dunque raddoppiando l’offerta attuale. Solo pochi operatori del settore, peraltro tutti al nord riescono da soli a fare questo tipo di investimento e a raggiungere, comunque, al massimo il 3%.

In questa geografia così complessa e così divergente come è possibile non pensare di stanziare aiuti agli operatori privati convenzionati!

Le promesse ci sono, si vedrà se verranno rispettate.

Comunicato 19 dicembre 2022

Il Consiglio dei Ministri approva il decreto legislativo sul riordino degli IRCCS

Il Consiglio dei Ministri riunito il 16 dicembre, su proposta del Ministro della salute Orazio Schillaci ha approvato, in esame definitivo, il decreto legislativo di attuazione della delega relativa al riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS), di cui al decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288.

Il decreto si inserisce nell’ambito della “Missione 6 – Salute” del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), al fine di rafforzare e migliorare il rapporto fra ricerca, innovazione e cure sanitarie.

Le nuove norme, tra l’altro, introducono criteri e standard internazionali per il riconoscimento e la conferma del carattere scientifico di IRCCS, con la valutazione dell’impact factor, della complessità assistenziale e l’indice di citazione, per garantire la presenza di sole strutture di eccellenza. Si definiscono, inoltre, le modalità di individuazione del bacino minimo di riferimento atte a rendere la valutazione per l’attribuzione della qualifica IRCCS più coerente con le necessità dei diversi territori.

Il testo tiene conto del parere delle competenti Commissioni parlamentari. È stata acquisita l’intesa della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

“La riforma degli IRCCS – ha ricordato il ministro Schillaci al termine del Consiglio dei Ministri- è una delle azioni individuata proprio dal Pnrr per migliorare la situazione strutturale italiana e costituisce una parte importante più grande della ripresa che si intende affidare in relazione alle risorse europee. Quando fu emanato nel 2003 il decreto legislativo relativo all’istituzione degli IRCCS – ha aggiunto – avevamo 35 istituti, oggi sono 53: quindi questa riorganizzazione va nella direzione di mantenere elevati gli standard del nostro Servizio sanitario nazionale. Bisogna avere centri di eccellenza in grado di competere dal punto di vista clinica e scientifico, non solo a livello nazionale ma anche internazionale per garantire prestazioni di elevata complessità ai cittadini”

Comunicato 14 dicembre 2022

Sanità privata in movimento

Il Ministero della Salute ha autorizzato la regione Sardegna che ne aveva fatto richiesta a destinare alla sanità privata convenzionata le risorse statali non spese dal pubblico.

L’idea e la proposta era partita dall’ex assessore alla sanità sarda e la cifra riguarderebbe circa 7 milioni di euro non spesi dal settore pubblico. Per assegnare i fondi sarà necessario fare una verifica sulle risorse che non sono state spese dalle Aziende sanitarie pubbliche, in modo che quelle in avanzo possano essere assegnati ai privati accreditati e ovviamente controllare bilanci a consuntivo.

L’idea può diventare un modello da adottare da parte di tutte le regioni con una eventuale ridistribuzione alle strutture private convenzionate a livello nazionale.

Il modello proposto potrebbe se non risolvere, certamente abbattere notevolmente le liste di attesa per prestazioni ambulatoriali, screening oncologici e di chirurgia programmata per cui il comparto della sanità privata convenzionata potrà dare un contributo importante. Dunque un reale sostegno al nostro sistema sanitario che rientra nel ruolo della tanto declamato della complementarietà della sanità privata convenzionata con la sanità pubblica.

Altra iniziativa più particolare, non a caso proveniente dalla regione Lombardia: è il caso di una struttura convenzionata che propone un bonus per ogni paziente convinto a effettuare una prestazione

in regime privato, invece che col Sistema sanitario nazionale.

Un altro modo di abbattere le liste di attesa, purchè a farne le spese non siano le tasche dei cittadini!

avv. Maria Antonella Mascaro

Comunicato 13 dicembre 2022

Sanità privata: nuove regole per l’accreditamento

Il testo elaborato dal Ministero della Salute e ora all’attenzione delle Regioni per la sua approvazione definitiva in Conferenza Stato-Regioni è  il decreto attuativo della misura contenuta nella Legge Concorrenza 2022 che ha fissato nuove regole per i rapporti tra il privato e ilServizio sanitario nazionale.

Si prevede che il rilascio dell’accreditamento istituzionale in favore delle nuovestrutture che ne facciano richiesta, o per l’avvio di nuove attività in strutture preesistenti, è subordinato alla valutazione, da parte di ciascuna regione e provincia autonoma:

– della funzionalità rispetto agli indirizzi attuali della programmazione regionale, in relazione alla tipologia e ai volumi dei servizi da erogare;

– del possesso dei requisiti di accreditamento, stabiliti dalla regione o provincia autonoma in coerenza con le indicazioni dell’intesa tra lo Stato, le regioni e le province autonome del 20 dicembre 2012 sul documento recante “Disciplinare per la revisione della normativa dell’accreditamento”, attraverso verifiche documentali e in loco condotte avvalendosi dell’organismo tecnicamente accreditante;

– dei risultati dell’attività eventualmente già svolta da parte della struttura richiedente;

– dell’impegno al perseguimento degli obiettivi di sicurezza delle prestazioni, definiti dalla regione o

provincia autonoma tenendo conto della normativa sulla gestione del rischio clinico e degli elementi riferiti alla sicurezza riportati nell’Allegato A del decreto; degli esiti delle attività di controllo, vigilanza e monitoraggio per la valutazione in termini di qualità, sicurezza ed appropriatezza delle attività erogate, per le strutture che abbiano già svolto attività sanitaria e sociosanitaria, secondo quanto riportato nell’Allegato A.

Per quanto riguarda invece la valutazione delle attività con riferimento ai soggetti privati accreditati

interessati alla stipula di accordi contrattuali “ciascuna regione e provincia autonoma tiene conto delle

disposizioni di cui all’articolo 8-quinquies, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 502 del 1992, che

richiedono la pubblicazione di un avviso contenente criteri oggettivi di selezione, che valorizzino prioritariamente la qualità delle specifiche prestazioni da erogare. La selezione di tali soggetti è effettuata periodicamente, tenuto conto della programmazione regionale, delle eventuali esigenze di razionalizzazione della rete in convenzionamento, dell’attività svolta per i soggetti già titolari di accordi contrattuali.

avv. Maria Antonella Mascaro

Comunicato 07 dicembre 2022

Fedriga: rafforzato Patto istituzionale Regioni davanti al Presidente della Repubblica

La Conferenza di regioni e province autonome, da organismo di coordinamento politico e di confronto fra i governatori, assume da oggi un ruolo più istituzionale, col riconoscimento di organo comune di rappresentanza territoriale. 

È il frutto dell’intesa firmata dai governatori alla Villa Reale di Monza davanti al Capo dello Stato Mattarella ospite d’onore al festival “L’Italia delle Regioni”. Si tratta di un importante documento, che istituzionalizza il sistema delle Conferenze. La Conferenza delle Regioni ha una vita di più di 40 anni, un periodo in cui ha svolto un ruolo di stimolo e di supporto fondamentale per i governi che si sono susseguiti. 

Fedriga, nel suo discorso davanti al Capo dello Stato, ha sottolineato “l’importanza di affidare alla Regione il ruolo di organo di collegamento tra lo Stato e le autonomie locali” e come “il riconoscimento delle Regioni nella Costituzione” avvenga nella nuova “democrazia italiana, come elemento di rafforzamento, e non di disgregazione, dell’unità”. 

Le posizioni delle Regioni, osserva Fedriga, oggi sono “raggiunte sempre all’unanimità, senza distinzioni politiche o territoriali. Le istanze di una Regione diventano le istanze di tutte, proprio nel nome della massima valorizzazione dell’autonomia”.

Fedriga ha ribadito lo spirito di collaborazione delle Regioni anche con il nuovo Governo, così come è avvenuto nel passato, “consci dei bisogni e delle esigenze delle realtà da noi amministrate”. 

Le Regioni rappresentano proprio quel valore di pluralismo che è portatore di innovazione e creatività, sono  Istituzioni dedicate a rispondere ai bisogni dell’ambiente, allo sviluppo locale, alla riduzione del disagio sociale, alla garanzia dei livelli delle prestazioni sanitarie, alla innovazione.

“In tale prospettiva – ha spiegato Fedriga – vanno lette oggi anche le iniziative intraprese da alcune Regioni per il riconoscimento di forme e condizioni particolari di autonomia previste dall’articolo 116, comma terzo, della Costituzione, quali possibili punti di approdo nella ricerca di forme di governo territoriale avanzate, nel rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni e della perequazione infrastrutturale, all’insegna di un nuovo equilibrio tra unità e differenziazione. Crediamo che la sede della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, nel rispetto delle procedure previste dalla legge e delle competenze del Parlamento e del Governo, possa rappresentare un organismo nel quale insieme condividere i principi generali di questa riforma”.

La costituzionalizzazione delle Conferenze è considerata un elemento ormai non più differibile.

Fedriga ha quindi ribadito la capacità di “composizione delle diverse istanze regionali” da parte della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e il “raccordo che essa svolge, sia che si dipani verticalmente – in funzione di sintesi tra le istanze dei singoli enti nei confronti dello Stato – sia orizzontalmente: “la Conferenza, nel solco della cooperazione interregionale, favorisce la diffusione delle migliori pratiche e dei migliori processi e sollecita, quindi, ad attingere a più adeguati livelli di efficienza”. 

Oggi si inizia a rendere strutturale – ha affermato Fedriga – “nel solco del dettato costituzionale, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome che, per la sua centralità nella catena decisionale tra centro e periferia, rappresenta la sede che può avere un ruolo propulsivo nel processo di definizione di rinnovati assetti istituzionali di raccordo e cooperazione, innanzitutto tra le Regioni stesse”.

Per questi motivi è stata sottoscritta “l’intesa ai sensi dell’articolo 117, ottavo comma, della Costituzione, al fine di rafforzare la collaborazione in tutte le competenze e le funzioni da esercitarsi negli ambiti di comune interesse, di conferire piena espressione istituzionale alla Conferenza delle Regioni, riconoscendone il ruolo fondamentale per l’interlocuzione con il Governo, con il Parlamento e le istituzioni comunitarie”.

Comunicato 06 dicembre 2022

La Consulta a favore dell’obbligo vaccinale

La Corte Costituzionale si è pronunciata a favore dell’obbligo del vaccino anti Covid introdotto dal governo Draghi nel 2021 per alcune categorie professionali e gli over 50.

Tra inammissibilità e infondatezza la Corte costituzionale ha respinto tutte le questioni di legittimità sollevate sull’obbligo vaccinale per il personale sanitario, le forze dell’ordine e gli over 50.
In particolare, ha ritenuto inammissibile, per ragioni processuali, la questione relativa alla impossibilità, per gli esercenti le professioni sanitarie che non abbiamo adempiuto all’obbligo vaccinale, di svolgere l’attività lavorativa, quando non implichi contatti interpersonali.

Le scelte del legislatore adottate in periodo pandemico sull’obbligo vaccinale del personale sanitario sono state ritenute ragionevoli e proporzionate. Ugualmente infondate, infine, sono state ritenute le questioni proposte con riferimento alla previsione che esclude, in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale e per il tempo della sospensione, la corresponsione di un assegno a carico del datore di lavoro per chi sia stato sospeso; e ciò, sia per il personale sanitario, sia per il personale scolastico.  

Si attendono le motivazioni per commentare in modo completo ed esaustivo lo stringato comunicato pubblicato dall’ufficio stampa della Consulta.

avv. Maria Antonella Mascaro

Comunicato 05 dicembre 2022

Raggiunta l’intensa sulla ripartizione del Fondo Sanitario Nazionale

Potrebbe apparire, tutto sommato, un risultato di pareggio quello raggiunto in Conferenza Stato Regioni, tra le aspettative del Sud e quelle del Nord.

In realtà, ancora una volta, si deve sottolineare che le Regioni settentrionali riescono ad ottenere un riparto — per il 2022 e pure per il 2023 — ancora sostanzialmente ancorato ai criteri storici, consistenti nel conteggio del numero dei residenti, corretto con il parametro della popolazione anziana. È proprio questa correzione a generare un aumento dei costi e porta in sé la maggiore dotazione di fondi alle Regioni settentrionali. 

Il criterio della “deprivazione”, tanto richiesto dalle Regioni del sud Italia, in aggiunta – già nel riparto del 2022 – a quelli storici, non ha generato i risultati attesi, in quanto sul punto si è verificata una battuta d’arresto.

Tale criterio consiste nell’indice che tiene conto di ricchezza, disoccupazione, case in affitto rispetto al totale. L’argomento è stato rinviato al prossimo anno, per discutere sulla suddivisione del Fondo 2024.

Unica soddisfazione quella esposta dal Presidente Michele Emiliano, proveniente dall’incremento del Fondo sanitario regionale Puglia di 238 milioni per il 2022. Questi andranno ad aggiungersi ai 246 milioni per il cosiddetto meccanismo del «pay back» dei dispositivi medici per gli anni dal 2015 al 2018, cioè quella parte di rimborso che arriva dalle aziende fornitrici per partecipare al ripiano dello sforamento dei tetti di spesa regionali.

Dalla somma dell’incremento del fondo con il cosiddetto «pay back» si arriverà a sfiorare la soglia dei 500 milioni che per il 2022, è ipotizzata quale maggiore spesa rispetto all’anno precedente. In ogni caso sarà necessario un intervento nel bilancio di previsione 2023 per assestare le partite scoperte.

Acop è ferma nel sostenere che se non si interviene in maniera energica sulla riduzione della mobilità passiva che sposta risorse ingenti, l’equilibrio non verrà mai raggiunto e saranno sempre necessarie alchimie bilancistiche per la quadratura dei conti.

Comunicato 01 dicembre 2022

Sanità pubblica in crisi – Cresce il settore privato

Il Ministro della Salute Schillaci “Il PNRR ha finanziato solo l’edilizia delle Case di Comunità, che dovrebbero garantire assistenza continuativa sul territorio. Ora serve trovare le risorse per reclutare il personale”.

Sono sempre di più i cittadini che si affidano alle cure private invece di “attendere” le chilometriche liste di attesa della sanità pubblica. ASL e ospedali non riescono a recuperare il lavoro perso durante il periodo più duro della pandemia. Dato significativo riguarda le visite di controllo – attività specialistica destinata a chi ha già ricevuto una diagnosi – che, nei primi sei mesi di quest’anno ha registrato il 20% in meno di accertamenti rispetto al 2019 –  come riportato da Agenas. Secondo Nino Cartabellotta di Fondazione GIMBE “Il nodo centrale della questione è la carenza di personale”.

A fronte della difficoltà della pubblica sanità, i servizi privati aumentano l’apporto collaborativo al Sistema Sanitario Nazionale, drenando le inefficienze degli ospedali pubblici.

Il Ministro della Salute Orazio Schillaci, in un’intervista al quotidiano la Repubblica, ammette che il problema delle liste di attesa è “più che altro organizzativo. I medici, al di là di alcune discipline che sono in difficoltà, non sono inferiori a quelli di altri Paesi.” Per il ministro è fondamentale “incentivare, economicamente, la presenza in ospedale dei professionisti per più ore. Sarà necessario procedere a una rivalutazione del trattamento economico di tutto il personale medico e sanitario”.

La sanità dei cittadini è parte fondamentale di un paese democratico e quindi deve essere di primaria importanza nel dibattito parlamentare.

Il Direttivo Nazionale di Acop plaude all’iniziativa del Ministro Schillaci di riorganizzare la dotazione dei medici ospedalieri, tenendo presente che il contributo della sanità privata accreditata è in ogni caso imprescindibile per rendere efficiente l’intero sistema e incrementare l’efficacia il Servizio Sanitario Nazionale.

Comunicato 30 novembre 2022

Regionalismo e autonomia differenziata

E’ sempre più difficile procedere nei confronti di un regionalismo ingovernabile e troppo differenziato.

Con la legge 18 ottobre 2001, n. 3 fu riformato il titolo V della Costituzione, che trasferiva molti poteri dallo Stato centrale alle Regioni, dando di fatto piena attuazione all’articolo 5 della Costituzione che riconosce le autonomie locali quali enti esponenziali preesistenti alla formazione della Repubblica. Si è verificata così una vera e propria riforma in senso federale dello Stato, riconoscendo alle Regioni l’autonomia legislativa, ovvero la possibilità di legiferare norme di rango primario in varie materie fra cui quella della tutela della salute.

Oggi, dopo tanti anni dalla riforma e soprattutto all’esito della pandemia è necessario chiedersi se sia o meno corretto che la sanità sia in capo alle Regioni. Cioè, quale sia il livello di governo più adatto a prendere le decisioni in campo sanitario.

Il presupposto per gettare solide basi nella sanità è essenzialmente dato dalla constatazione del fallimento, in campo sanitario, della politica del regionalismo.

Nella rassegna stampa di questi giorni si è evidenziato, ancorchè ce ne fosse bisogno, di come l’annunciato pensiero politico preelettorale da parte di tutte le forze sul potenziamento della sanità pubblica al pari di quella privata convenzionata non vada d’accordo con i tetti di spesa, ma soprattutto con i continui tagli di spesa alla sanità.

Il sistema della Sanità Pubblica non può non essere ripensato se non con un’adeguata interazione della sanità privata.

Nel frattempo, si giunge a parlare di attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’art.116 della Costituzione, nei decreti collegati alla legge di bilancio. Una sorta cioè di federalismo sanitario a geometria variabile che il Governo intende assecondare, con il rischio che il diritto alla salute possa soltanto assumere una valenza locale.

Una geometria variabile che, stante la diversa organizzazione e strutturazione della sanità fra le varie regioni rischia di coinvolgere in negativo anche le strutture “ausiliarie” private, che potrebbero essere pregiudicate da un sistema regionale disomogeneo e differenziato che sprona all’emigrazione sanitaria e determina in generale riflessi sulla immagine dell’efficienza sanitaria di alcune regioni rispetto ad altre, travolgendo in questa sfiducia anche le strutture private accreditate.

Il Presidente di Acop Calabria è intervenuto massicciamente sui media della carta stampata per affermare, fra le altre cose, che: “lo Stato deve mettere a disposizione i fondi necessari per far fronte ai fabbisogni e laddove sono riscontrati deficit di bilancio nel settore si devono individuare e tagliare gli sprechi, perseguendo e sanzionando i responsabili e non limitare le prestazioni con la politica mercantilistica dei budget che provoca aumento della lista d’attesa”.

avv. Maria Antonella Mascaro

Comunicato 29 novembre 2022

CALENDARIO DELLE ATTIVITÀ PARLAMENTARI

CAMERA DEI DEPUTATI

L’Aula della Camera dei deputati, mercoledì 30 novembre alle ore 15.00, svolgerà il Question time.

I (Affari costituzionali)

Martedì 29, mercoledì 30 novembre e giovedì 1 dicembre, proseguirà l’esame, in sede referente ed in prima lettura, del DDL di conversione in legge del decreto-legge 11 novembre 2022, n. 173, recante disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni dei Ministeri”, cd. DL Riordino Ministeri – Rel. On. D’Urzì (FDI).

Il provvedimento è atteso in Aula Camera dalla seduta di venerdì 2 dicembre.

XII Commissione (Affari sociali)

Mercoledì 30 novembre e giovedì 1 dicembre proseguirà l’esame dello schema di decreto legislativo recante riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di cui al decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288 – Rel. Ciocchetti (FDI).

SENATO DELLA REPUBBLICA

Presso l’Aula del Senato, martedì 29 novembre, alle ore 16.30, sono previste la deliberazione sulla procedura abbreviata per il DDL sullo sport in Costituzione e la discussione del DDL n. 299, di conversione del DL n. 169, su potenziamento NATO e Servizio sanitario della Calabria.

Giovedì 2 dicembre, alle ore 15.00, è in agenda un question time con i Ministri della giustizia, delle infrastrutture e della PA.

2a Commissione (Giustizia)

In 2a Commissione, martedì 29 novembre, proseguirà l’esame in sede referente ed in prima lettura del DDL n. 274, di conversione del DL n. 162 in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari per detenuti non collaboranti con la giustizia, obblighi di vaccinazione anti Covid-19 e contrasto dei raduni illegali, cd. DL Covid-19 e rave. Il termine per la presentazione degli emendamenti è stato fissato alle ore 12.00 di lunedì 28 novembre.

3a (Affari esteri e difesa) e 10a (Sanità e lavoro) Commissioni riunite

Martedì 29 novembre prosegue l’esame, in sede referente e in prima lettura, del cd. DL Nato e Calabria DDL di conversione in legge del decreto-legge 8 novembre 2022, n. 169, recante disposizioni urgenti di proroga della partecipazione di personale militare al potenziamento di iniziative della NATO, delle misure per il servizio sanitario della regione Calabria, nonché di Commissioni presso l’AIFA» – Relatori Sen. Menia (FDI) e Sen. Minasi (Lega).

In settimana il provvedimento è atteso in Aula Senato. Contiene l’articolo 3 sulla proroga membri delle Commissioni CTS e CPR Aifa.

5a (Bilancio) – Decreto-legge Aiuti quater

Da oggi martedì 29 novembre prosegue l’esame, in sede referente ed in prima lettura, del DDL di conversione del decreto-legge 18 novembre 2022, n. 176, recante misure urgenti di sostegno al settore energetico e di finanza pubblica. Il termine per la presentazione degli emendamenti è stato fissato alle ore 12.00 di venerdì 2 dicembre.

10a Commissione (Sanità e lavoro) –

Mercoledì 30 novembre proseguirà l’esame dell’AG 4 (Schema di decreto legislativo recante riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di cui al decreto legislativo 16 ottobre 2003, e n. 288) – Relatrice è la Sen. Cantù (Lega).

Comunicato 28 novembre 2022

Manovra: Documento Programmatico di Bilancio. Sanità e critiche da tutta l’Italia

Il Governo ha trasmesso venerdì 25 al Parlamento italiano e alla Commissione Ue il Documento programmatico di bilancio per il 2023 (DPB).

Per la sanità si confermano nella sostanza i nuovi stanziamenti presenti nella bozza di legge di bilancio (il testo definitivo della manovra dovrebbe essere pronto a breve) anche se con cifre leggermente diverse per quanto riguarda il totale delle risorse messe in campo per il Ssn.

In particolare nel DPB si legge che l’incremento del Fondo sanitario nazionale sarà di 2,15 miliardi nel 2023; di 2,3 miliardi nel 2024 e di 2,5 miliardi nel 2025.

A questi si aggiungono ulteriori risorse per 650 milioni nel 2023 per l’acquisto di vaccini.

Nel testo della bozza del ddl di bilancio, invece, lo stanziamento aggiuntivo per il Fondo sanitario veniva indicato in 2 miliardi in più per il 2023 e in ulteriori 2 miliardi in più a aprite dal 2024.
Alla luce delle cifre indicate nel Documento programmatico di bilancio il Fondo sanitario nazionale dovrebbe quindi contare su 128,211 miliardi nel 2023; su 130,361 miliardi nel 2024 e su 132,861 miliardi nel 2025.

Sembra un miglioramento, maa le risorse sono insufficienti.

Piovono critiche da ogni parte d’Italia. “Non mancano 70 milioni alla Liguria, mancano alcuni miliardi alla sanità italiana”, ha detto il presidente della Liguria, Toti. Ancora Bonaccini: “Non si capiscono i fondi per la sanità, noi ci aspettavamo una forte aggiunta ai fondi perché quando furono previsti non c’era stata questa crisi energetica così drammatica”. Aspra la replica di del Presidente De Luca: “in queste condizioni credo che non potremo fare né la medicina territoriale e le case di comunità, né avremo la possibilità di offrire servizi di qualità ai nostri cittadini. Non avremo la possibilità di personale nuovo da impiegare nei reparti di pronto soccorso. Da questo punto di vista la situazione è estremamente delicata”. La mancanza di risorse per i Comuni e gli enti territoriali, secondo De Luca, “mette in discussione anche la realizzazione del Pnrr”.

Acop aveva sentito tutte le forze politiche all’alba della tornata elettorale, nella tavola rotonda, svoltasi il 21 settembre ultimo scorso, presso i locali dell’Adnkronos di Piazza Mastai a Roma e una voce unanime si era sollevata, da destra a sinistra, in un unico colore: Sanità privata parte integrante del Sistema Sanitario Nazionale.

Silenzio assoluto! Non si vede ancora alcun riconoscimento alla sanità privata convenzionata!

avv. Maria Antonella Mascaro

Comunicato 24 novembre 2022

I contratti dei medici del pubblico e del privato convenzionato  

Dopo questa ondata di pandemia non ancora conclusa, dopo aver decantato l’operato dei medici e di tutto il personale sanitario come gesto eroico, tutto si è placato. E chi è stato menzionato solo nella categoria non ha mai considerato le intollerabili discriminazioni tra medici del pubblico e medici del privato convenzionato.

Se il Servizio sanitario nazionale continua a rimanere ai margini del dibattito politico, la sanità privata convenzionata è del tutto ignorata, anche se considerata dai partiti tutti parte integrante e fondante del sistema sanitario nazionale. Nonostante il contributo fondamentale offerto nella lotta al Covid-19 riprende e continua la fuga di medici e professionisti. Sono numerose le questioni cui da anni non si trova soluzione e che rischiano di condurre al fallimento anche la sanità privata convenzionata. Se i medici dell’ospedalità pubblica, infatti, dopo due anni di encomi e applausi sono stati dimenticati, quelli dell’ospedalità privata continuano ad essere abbandonati, con contratti di lavoro scaduti da anni, retribuzioni inaccettabili e titoli non equiparati che ne impediscono la carriera. Si tratta di una discriminazione intollerabile tra professionisti che hanno gli stessi doveri, le stesse responsabilità e lo stesso codice deontologico.

La separazione contrattuale tra pubblico e privato convenzionato è fallimentare: occorre invece riformare il sistema, introducendo un contratto quadro che preveda i diritti e i doveri di tutti i medici, stabilendo poi in accordi di secondo livello le peculiarità dei professionisti del settore pubblico e del settore privato convenzionato. Solo in questo modo sarà possibile riconoscere anche il percorso professionale dei medici dell’ospedalità privata ai fini dell’accesso ai concorsi pubblici.

L’integrazione del pubblico con il privato convenzionato è più che mai attuale e se vi era stata una proposta che prevedeva che i medici della sanità pubblica fossero sono pronti a destinare le 4 ore di lavoro a settimana dedicate ad attività non assistenziali, come la formazione, ad attività ambulatoriali o chirurgiche, a fronte di una retribuzione integrativa, ampliando l’offerta sanitaria per i cittadini e riducendo i tempi di attesa, perché mai queste attività non possono essere fornite nell’ambito delle strutture private convenzionate dai medici che vi lavorano offrendo loro un riconoscimento di carriera?

avv. Maria Antonella Mascaro

Comunicato 23 novembre 2022

Manovra, sanità in rosso: i fondi elargiti diminuiranno di 2 miliardi

“Manovra coraggiosa e scritta in tempi record”. Il Presidente del Consiglio sulla legge di bilancio bada al sodo e offre una visione sulle priorità economiche.

Purtroppo le risorse, che sembrerebbero essere destinate alla sanità, sono assolutamente insufficienti e inadeguate.

Ad oggi le Regioni hanno un disavanzo di 3,8 miliardi per i costi sostenuti per il Covid e di circa 2 miliardi per il rincaro dei costi energetici.

È necessaria una vera e propria terapia d’urto, capace di far rientrare il Servizio Sanitario Nazionale ai livelli di finanziamento europei. Diventa allora necessario discutere dell’utilizzo dei fondi del Mes, al fine di rafforzare strutturalmente il nostro sistema e prepararlo alle nuove sfide.

Attualmente non è ancora chiaro, dal testo della manovra, in che modo si stabiliranno le condizioni per garantire le cure a tutti i cittadini.

Le associazioni di categoria del comparto sanitario fanno fronte comune, dichiarando che c’è la necessità di trovare fondi altrimenti la tenuta del sistema e a rischio.

Con riguardo ai fondi elargiti per il Covid, nel 2021 sono costati 8,5 miliardi, mentre quest’anno si ipotizza che verranno erogati soltanto 4 miliardi, con un margine massimo di 6 miliardi. Questo significa che nella migliore delle ipotesi le spese extra per la sanità saranno di 5,7 miliardi.

La sanità appare del tutto ignorata all’interno delle discussioni sulla manovra.

D’altra parte anche il Ministro Schillaci, pur reclamando il suo spazio, è riuscito a parlare solo di misure, dal valore più che altro simbolico, come ad esempio un compenso extra per il personale dell’emergenza e delle specialità con gli organici più in crisi, che verrebbe aumentato a 200 milioni rispetto ai 90 stanziati da Speranza, ma non se ne è fatto nulla. Tutto ciò pur sapendo che i fondi potrebbero essere attinti dal Fondo Sanitario Nazionale: non si tratterebbe infatti di destinare nuovi fondi, ma solo di allargare un vincolo già stanziato.

Lo stesso sistema potrebbe essere usato per le liste di attesa, ma è molto difficile che di queste azioni ci sia traccia in Finanziaria.

In via generale la spesa sanitaria, nelle stime di questo governo, è in discesa: quest’anno vale 134 miliardi e il prossimo 132.

Pur avendo saltato il giro, ci si augura che il Governo focalizzi presto l’attenzione sulle risorse da offrire alla spesa sanitaria, per la tenuta stessa del Sistema Sanitario Nazionale, già ampiamente ferito dalle scelte dei Governi precedenti.

Comunicato 22 novembre 2022

Sanità: continua il divario fra Nord e Sud

Nel campo della salute il divario Fra Nord e Sud si fa sentire sempre e sempre più forte.

Anche di questo si è discusso nel Convegno promosso da ACOP il 16 novembre.

Acop attraverso la sua sede nazionale e la costituzione di varie sedi regionali si sta facendo promotrice, quale associazione di categoria, al fine di ridurre questo divario.

Al convegno alcuni importanti esponenti politici, componenti del nuovo Parlamento hanno promosso l’iniziativa di Acop invitandola ai tavoli degli accordi.

L’articolo 32 della nostra Costituzione pone la salute come diritto fondamentale di ogni individuo, come interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. Per quanto il Sistema sanitario nazionale italiano sia, spesso, considerato un modello da imitare, le ultime tendenze sul numero di persone che decidono di rinunciare alle cure o che sono costrette a spostarsi per ricevere sostegno medico necessitano di una riflessione più ampia.

Siamo di fronte a un Paese a due velocità!

A caratterizzare il nostro Paese sono però le disuguaglianze tra Nord e Sud, aumentate per quanto riguarda sia gli indici di buona salute, sia quelli di cronicità e sopravvivenza.  

In generale riprendono, dopo anni di pandemia, i migranti della salute che decidono di recarsi in un’altra regione per essere sottoposti a cure che, oltretutto, richiedono un notevole investimento economico, sia per i pazienti sia per i loro accompagnatori.  

Un costo notevole che impatta sui pazienti e sulle regioni del Sud, le quali finiscono con il rimborsare prestazioni mediche a cui i propri abitanti si sottopongono altrove e perdono l’importante sfida di poter investire sul proprio territorio per attirare nuovi talenti e migliorare le strutture ospedaliere.

Il divario deve essere colmato e serve un governo centrale che attui politiche di indirizzo per diminuire il gap di divario fra regioni, disincentivando di recarsi fuori regione per curarsi. Creare 21 regioni a statuto speciale, come paventato da Gilberto Turati, Prof. di Scienze delle Finanze all’Università Cattolica del Sacro Cuore è sconfortante. Il Ministero della salute deve essere rafforzato e prevedere le diversità fra Regioni come la Lombardia con 10 milioni di abitanti e il Molise che ne ha solo trecentomila.

Ma la risposta non può trovarsi nell’auspicato federalismo sanitario regionale fortemente voluto da un partito, perché se alcune regioni virtuose del nord ne traggono sempre più benefici, quelle del sud e del centro non raggiungono i livelli essenziali di assistenza o di prestazioni.

Il Vicepresidente ACOP

avv. Enzo Paolini

Comunicato 21 novembre 2022

Ministro della Salute – O. Schillaci

INCONTRO COL MINISTRO DELLA SALUTE ORAZIO SCHILLACI

Acop chiede un incontro con il Ministro della Salute Orazio Schillaci.

Gli argomenti che verranno proposti al Ministro come spunto di riflessione riguarderanno la tenuta del comparto degli erogatori privati, che collabora a pieno titolo con il sistema ospedaliero.

Il diritto alla salute negato dai Governi che in tre anni di immobilismo, mediocrità e insipienza hanno portato il nostro sistema sanitario al collasso.

Le nostre strutture ospedaliere e territoriali sono senza personale, senza medici, con reparti chiusi e rete territoriale smantellata. Il nostro sistema sanitario è giunto a un grado di inefficienza ed inefficacia non più tollerabile.

Il ritardo nell’adozione di scelte strategiche, contribuiscono alla paralisi. Questa è la più grande responsabilità politica. Se non si interviene immediatamente – avverte – si rischia il tracollo.

In primo luogo si deve tener conto

–       che il costo del personale nelle strutture private incide dal 45% al 55% del budget assegnato ed è già di per sé non sostenibile.

–       che molte tariffe oggi non riescono a coprire i costi vivi della prestazione sanitaria, anche perché i D.R.G. non sono mai stati adeguati da oltre un ventennio;

–       che i rincari energetici del periodo pre-pandemico sono diventati insostenibili con l’impennata dovuta anche al conflitto russo-ucraino e le misure adottate finora dal DL 144/22 risultano ad oggi insufficienti.

I prossimi mesi e anni saranno decisivi per il futuro del servizio sanitario nazionale. In questa situazione drammatica occorre rimettere al centro la qualità delle cure, i presidi territoriali, l’integrazione sociosanitaria.

Bisogna attuare una revisione profonda dell’assetto dei servizi, perché troppe sono le emergenze che rendono quasi inaccessibile il diritto alla salute specie da parte delle categorie sociali più fragili, dei malati cronici e oncologici, degli anziani.

Comunicato 16 novembre 2022

La Salute è un Diritto o è un Servizio?

Si è svolto ieri 16 novembre 2022, presso l’Hotel Nazionale di Piazza di Monte Citorio, il Convegno organizzato e promosso da ACOP sul tema: “La Salute è un Diritto o è un Servizio?”. Scopo dell’iniziativa di Acop è stato quello di verificare, attraverso un dibattito a più voci, la tenuta del sistema sanitario nazionale, rispetto alla libera scelta dei cittadini del luogo di cura e alla compatibilità economica delle politiche sanitarie. Ha moderato gli interventi dei pregevoli relatori che si sono succeduti la nota giornalista del Tg1, dott.ssa Laura Chimenti.  Il presidente di Acop, Prof. Michele Vietti, ha introdotto i relatori evidenziando, attraverso una realistica ed attuale analisi che parte da lontano e che riconosce nel sistema sanitario nazionale italiano il vero “sistema universalistico”, il principio di solidarietà che assicura a tutta la popolazione del territorio, dunque non solo ai cittadini, il servizio pubblico senza distinzioni di razza, sesso, ricchezza o povertà. Una conquista democratica che segue i principi costituzionali. Ma il sistema sanitario rivela la sua debolezza nelle limitazioni di spesa. La cosiddetta parità tra pubblico e privato convenzionato decantata nel D.lgs 502/92 rischia di andare in fumo a causa di politiche sanitarie troppo sbilanciate verso il pubblico che è al collasso e che non considerano il privato convenzionato alla stregua del pubblico, privato che ancora oggi è relegato ad una funzione di parte debole nella contrattazione. Bisogna tornare a garantire il rispetto dei principi cardine del Servizio Sanitario Nazionale, l’universalità, l’uguaglianza e l’equità che, ad oggi, non trovano più riscontro nella realtà.

All’inizio e nel corso della lodevole tavola rotonda sono intervenuti il deputato On. Paolo Pulciani e il senatore Marco Scurria, i quali hanno fatto un plauso all’iniziativa di Acop e all’alto livello dei relatori e degli interventi, invitando la nostra associazione ad altri incontri con la politica e con l’attuale governo, anche più ristretti e di voler ascoltare la sua voce quale parte attiva nell’iniziativa politica in materia sanitaria.

Un saluto, in diretta streaming, anche dal Vicepresidente di Acop, avv. Enzo Paolini, organizzatore dell’evento che si è collegato dalla sede calabrese.

E’ intervenuto il Presidente Emerito della Corte Costituzionale, Giancarlo Coraggio, che in merito al tema relativo alla salute e ai limiti di spesa,  ha posto l’accento sul cambiamento radicale che la Corte Costituzionale ha ottemperato nelle sue decisioni, passando da una giurisprudenza che teneva conto del fatto che le allocazioni delle disponibilità finanziarie rientrassero unicamente nelle scelte del legislatore e che queste non potessero e non dovessero essere messe in discussione, dunque ritenendo le questioni proposte inammissibili, ad una giurisprudenza, nell’ultimo decennio, di senso opposto, secondo la quale la Corte Costituzionale ben poteva contestare la decisione del legislatore sui limiti di spesa, specialmente in relazione ai diritti incomprimibili.

A seguire Francesco Gaetano Scoca, Professore Emerito di diritto Amministrativo, invece, ha affrontato il tema relativo ai contratti nel sistema sanitario, con particolare riferimento alla posizione delle strutture private convenzionate, posizione che si è modificata nel corso del tempo in senso negativo e più difficile per le strutture private rispetto al passato, quando nel lontano 1978 le stesse si trovavano in posizione assolutamente paritetica rispetto a quelle pubbliche. La situazione si è modificata dal 1992 e anche nel 1999, poiché l’accreditamento delle strutture private è diventata una procedura complessa e molto burocratica, inutilmente, secondo il Prof. Scoca, complessa e burocratica. L’accreditamento diventa, dunque, un atto vincolato e non discrezionale, pur dipendendo dalle valutazioni delle Regioni, mentre la contrattualizzazione che è il passo successivo è assolutamente discrezionale, quando invece dovrebbe essere regolamentata dalla legge e rientrare nel codice degli appalti. E’ necessario un equilibrio fra finanziamenti e garanzie dei livelli essenziali di assistenza. Per evitare gli extrabudget che sono all’ordine del giorno, le Regioni devono effettuare una programmazione all’inizio e non alla fine dell’anno, modernizzando le prestazioni. Cita la recente sentenza della Corte Costituzionale, n. 228/2022 (pubblicata sul nostro sito il 14.11.2022), con la quale la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità relativa al blocco delle azioni esecutive di recupero crediti nei confronti degli enti sanitari della Regione Calabria.

Ancora il Presidente della III Sezione Civile della Suprema Corte, Giacomo Travaglino è intervenuto sulla ripartizione della responsabilità in assenza del decreto attuativo della legge Gelli-Bianco, ribadendo come nel corso degli anni, fino all’emanazione della legge Gelli-Bianco la giurisprudenza di legittimità e di merito si siano sostituite al legislatore per stabilire i criteri della responsabilità per colpa e la quantificazione del risarcimento del danno con la qualificazione di nuovi tipi di danno non patrimoniale, via via riconosciuti dai giudici. Sussiste una distinzione fra la responsabilità aquiliana del medico e quella contrattuale della struttura e una differenza fra i criteri della colpa nel diritto penale, diversi rispetto a quelli del diritto civile: nel primo il protagonista è l’imputato medico, nel secondo, il paziente attore. A partire dal 2017 si è rivista totalmente la ripartizione in ordine all’onere probatorio. Nella responsabilità civile spetta al paziente provare i fatti, la condotta, il nesso di causalità, il danno conseguente all’azione e il tipo di danno, ma la legge Gelli fa un riferimento alle norme imperative, dunque al codice civile, dunque alla responsabilità contrattuale!

Infine, per la Presidenza della Corte dei Conti è intervenuto il Consigliere Luigi Caso sul danno erariale e il ritardo nei pagamenti della Pubblica Amministrazione, riflettendo sul ruolo di controllo della giurisdizione della Corte e sul fatto che il ritardo è in gran parte dovuto all’eccesso di casi che vengono portati all’attenzione dei giudici ordinari, con inevitabile allungamento della procedura.

Dunque la sanità è sì un diritto, ma anche un servizio fornito dallo Stato che deve, necessariamente, essere integrato da una collaborazione paritetica delle strutture private al fine di realizzare la soddisfazione della richiesta di salute da parte della popolazione.  Per far ciò, conclude il Presidente Vietti, occorre un’adeguata ridefinizione del riparto del Fondo Nazionale che tenga finalmente conto delle gravi disparità tra nord e sud del Paese e che funga da strumento compensativo per i territori più svantaggiati. E’ necessario “ridisegnare l’offerta sanitaria: sia in termini organizzativi, puntando sul potenziamento delle reti di medicina territoriale e sull’integrazione di queste ultime con gli altri servizi e prestazioni sociali offerti dallo Stato; sia in termini di intervento, investendo sullo sviluppo delle buone pratiche di diagnosi e prevenzione della malattia”.

Tutto questo può avvenire solo ed esclusivamente con l’integrazione fra pubblico e privato. Questo è quanto è emerso ieri anche dalla discussione fra le diverse e alte competenze di questo dibattito.

avv. Maria Antonella Mascaro

Comunicato 16 novembre 2022

Decreto Aiuti quater. Cosa cambia per le imprese

Dopo l’approvazione della NADEF e la previsione di un ulteriore aumento del PIL per il 2022, il Consiglio dei Ministri, nella seduta n. 4 del 10 novembre 2022, ha approvato il cosiddetto Decreto Aiuti quater che introduce misure urgenti in materia di energia elettrica, gas naturale e carburanti.

Il decreto prevede uno stanziamento pari a circa 9,1 miliardi di euro, provenienti dall’extragettito fiscale del precedente governo, per finanziare interventi contro il caro energia

Si innalza, per il 2022, il tetto dell’esenzione fiscale dei cosiddetti “fringe benefit” aziendali, fino a 3mila euro. Si tratta di una misura di welfare aziendale che punta a incrementare gli stipendi dei lavoratori, attraverso il rimborso anche delle utenze (acqua, luce e gas).

Con uno stanziamento di 3,4 miliardi di euro, si proroga fino al 31 dicembre 2022 il contributo straordinario, sotto forma di credito d’imposta, a favore delle imprese per l’acquisto di energia elettrica e gas naturale.

Si confermano le aliquote dei crediti d’imposta:

1) 40% per le imprese energivore e gasivore;

2) 30% per imprese piccole che usano energia con potenza a partire dai 4,5 kW.

Per fronteggiare l’incremento dei costi dell’energia, le imprese potranno richiedere ai fornitori la rateizzazione, per un massimo di 36 rate mensili, degli importi dovuti relativi alla componente energetica di elettricità e gas naturale per i consumi effettuati dal 1° ottobre 2022 al 31 marzo 2023 e fatturati entro il 30 settembre 2023.

Al fine di assicurare la più ampia applicazione della misura, SACE S.p.a. (Società controllata dal MEF) è autorizzata a concedere una garanzia pari al 90% degli indennizzi generati dalle esposizioni relative ai crediti vantati dai fornitori di energia elettrica e gas naturale residenti in Italia. La garanzia è rilasciata a condizione che l’impresa non abbia approvato la distribuzione di dividendi o il riacquisto di azioni negli anni per i quali si richiede la rateizzazione, sia per sé stessa che per quelle del medesimo gruppo.

Comunicato 14 novembre 2022

Corte Costituzionale

ACOP, soddisfazione per la decisione della Corte Costituzionale sul blocco delle azioni esecutive di recupero crediti nei confronti degli enti sanitari della Regione Calabria

L’Associazione Coordinamento Ospedalità Privata (ACOP) esprime soddisfazione per quanto stabilito dalla Corte Costituzionale nella sentenza relativa al blocco delle azioni esecutive di recupero crediti nei confronti degli enti sanitari della Regione Calabria. La decisione, spiega l’avvocato Enzo Paolini (in rappresentanza di ACOP), «è un monito al Parlamento, dal momento che il legislatore aveva reiterato in maniera identica, anche nelle virgole, una norma già dichiarata incostituzionale dalla Consulta per ben due volte».
La Corte, presieduta da Silvana Sciarra, ha dichiarato incostituzionale un articolo della legge “Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro”, accogliendo pienamente le tesi proposte e discusse dagli avvocati Enzo Paolini e Antonio Borraccino (in rappresentanza del creditore privato): in particolare, la Corte ha ritenuto violati quattro articoli della Costituzione, per il mancato rispetto dei criteri di proporzionalità nelle misure a tutela del bilancio dello Stato, di uguaglianza, del giusto processo e della tutela della salute.
«È un auspicio che il parlamento appena insediatosi nutra rispetto per i diritti dei cittadini», continua Paolini, «tutelandoli nei confronti delle vessazioni della pubblica amministrazione e del legislatore, come quelle simili all’annullamento dei diritti di credito sanciti da atti giudiziari definitivi solo in pregiudizio di una parte della popolazione, nel caso quella calabrese». Grande soddisfazione anche per l’Onorevole Michele Vietti, presidente di ACOP: con questa decisione, il Giudice delle Leggi si conferma garante del rispetto delle regole del sistema Paese e del buon funzionamento dell’ordinamento giudiziario.

Comunicato 11 novembre 2022

avv. Enzo Paolini, Vicepresidente ACOP Nazionale

Sanità in Lombardia: qualità e competenza. Nessun regalo.

Premessa. Non ci interessa la discussione avviata sulla opportunità che il PD (o la sinistra in genere o chiunque) candidi Letizia Moratti alla carica di Presidente della Regione Lombardia.

Ci interessa che tra i motivi ostativi a questa ipotesi vi sia un asserito “regalo alla sanità privata ai danni della sanità pubblica” mediante il paventato parto di provvedimenti con i quali “i privati sono liberi di scegliersi le prestazioni che il servizio regionale paga meglio” o altre corbellerie del tipo “di fatto in Lombardia non c’è alcuna libertà per il cittadino: c’è l’obbligo di scegliere il privato a pagamento”.

Bene. Anzi male. E’ vero che il dibattito politico è ridotto a chi la spara più grossa senza alcun riguardo per la serietà, ma a noi spetta di dire qualcosa.

La sanità cosiddetta privata in Lombardia, come nel resto d’Italia, è fatta da strutture – Case di cura, laboratori, RSA – accreditate con il SSN nelle quali il cittadino non paga niente, essendo assistito, per legge, appunto dallo Stato e con risorse alimentate dal prelievo fiscale.

Poi vi sono le strutture non accreditate ove il cittadino – che ha esercitato il suo diritto alla libera scelta – deve pagare in proprio la prestazione.

Dunque nessun esborso aggiuntivo da parte dello Stato, nessun obbligo per il cittadino, nessuna scelta speculativa da parte della struttura che eroga solo le prestazioni richieste dai pazienti.

Dov’è la stortura e/o il regalo?

Se invece ci si vuole riferire ai reati che spesso si compiono in sanità siamo d’accordo:  controlli a più non posso e rigore massimo, ma al netto della demagogia. I corrotti ed i corruttori, gli imbroglioni ed i disonesti si annidano ovunque nelle Case di cura come nelle corsie pubbliche e nelle Istituzioni.

Non confondiamo le colpe dei singoli con una asserita iniquità del sistema che è suscettibile di miglioramenti e potrebbe funzionare meglio ma è solidaristico ed universale. Ed è un bene.

Anche se a taluno infastidisce che, come in tutti i campi, via sia qualcuno che, svolgendo un buon lavoro, ne ottenga la giusta remunerazione.

                                                                                                      Avv. Enzo Paolini

Comunicato 9 novembre 2022

Reintegro personale No-vax, sospensione multe, obbligo mascherine.

Il Ministro della Salute con ordinanza n. 255 del 31.10.2022 ha ritenuto, necessario e urgente prevedere, anche successivamente al 31 ottobre 2022, misure concernenti l’utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie sull’intero territorio nazionale in relazione all’accesso alle strutture sanitarie.

Il termine è prorogato, pertanto, fino al 31 dicembre 2022, per i lavoratori, gli utenti e i visitatori delle strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali.

Non hanno l’obbligo di indossare dispositivi di protezione delle vie respiratorie, i seguenti soggetti:

a) i bambini di età inferiore ai sei anni;

b) le persone con patologie o disabilità incompatibili con l’uso della mascherina, nonché le persone che devono comunicare con una persona con disabilità in modo da non poter fare uso del dispositivo.

Inoltre è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, Serie generale n.255 del 31-10-2022,  il Decreto Legge del 31 ottobre 2022 n. 162 recante: “Misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonchè in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-COV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali

In particolare, il Decreto modifica le disposizioni vigenti in materia di obbligo vaccinale, anticipando dal 31 dicembre al 1° novembre 2022 la scadenza dell’obbligo vaccinale per il personale esercente le professioni sanitarie, per i lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie e per il personale delle strutture che effettuano attività sanitarie e sociosanitarie. Inoltre, con specifico riguardo alla categoria degli esercenti le professioni sanitarie, si elimina la misura della sospensione dall’esercizio della professione, al fine di contrastare la grave carenza di personale sanitario che si registra sul territorio e il reintegro.

Le strutture associate, pertanto, a decorrere dal 2 novembre 2022, dovranno riammettere in servizio i lavoratori sospesi in attuazione di quanto previsto dalla normativa in tema di obbligo vaccinale anti COVID-19, facendo ricorso agli istituti quali ferie, permessi retribuiti o altro, per i giorni intercorrenti tra la data di riammissione e l’effettiva ripresa del servizio, in quanto, sempre in ossequio al disposto legislativo, non è più vigente la sospensione dalla retribuzione.

In attesa di aggiornamenti sugli ulteriori sviluppi dell’iter legislativo del D.L. che è stato oggetto di numerose polemiche e che subirà modifiche in Parlamento.

Comunicato 8 novembre 2022

Immagine-Comunicato-8.11.2022-1

ADEMPIMENTI ANAC IN SCADENZA

Si ricorda a tutte le strutture associate interessate l’importante scadenza del 10.11.2022, ultimo termine per la pubblicazione della griglia di monitoraggio predisposta (entro il 31.10.2022) su segnalazione degli Organismi Indipendenti di Valutazione (OIV).

A tale proposito si ricorda che, come previsto dalla delibera ANAC n. 201/2022, gli OIV che hanno evidenziato nella griglia di rilevazione carenze significative di pubblicazione, attribuendo nella colonna “completezza di contenuto” un valore inferiore a 3, devono curare e monitorare le misure di adeguamento agli obblighi di pubblicazione adottate dalle strutture, verificando il permanere o il superamento delle sole criticità esposte nella citata griglia di rilevazione.

Il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT), in caso di eventuali criticità segnalate dall’OIV, doveva procedere ad assumere le necessarie misure utili entro il 31 ottobre 2022.

Pertanto entro la scadenza del 10.11.2022 la griglia così predisposta andrà pubblicata nella sezione “Amministrazione trasparente” o “Società trasparente” sotto-sezione di primo livello “Controlli e rilievi sull’amministrazione”, sotto-sezione di secondo livello “Organismi indipendenti di valutazione, nuclei di valutazione o altri organismi con funzioni analoghe”, “Attestazione dell’OIV o di altra struttura analoga nell’assolvimento degli obblighi di pubblicazione”.

Sempre entro la medesima data del 10 novembre, la sola griglia di monitoraggio dovrà essere trasmessa ad ANAC all’indirizzo di posta elettronica: attestazioni.oiv@anticorruzione.it. Sulla base degli esiti di monitoraggio, così acquisiti, le misure assunte dai RPCT potranno essere oggetto di valutazione da parte di ANAC nell’ambito dell’attività di controllo sull’operato dei RPCT prevista dall’art. 45, comma 2, del Decreto Legislativo n. 33/2013 per le conseguenti determinazioni.

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