a cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro
La Suprema Corte, con ordinanza del 7 ottobre 2025, n. 26923, ha affermato che il datore di lavoro è tenuto a risarcire gli eredi di un medico deceduto per infarto, attribuendo il decesso allo stress professionale causato da turni eccessivi e condizioni lavorative usuranti.
Il caso
Gli eredi di un medico, dipendente di un ospedale pubblico, hanno adito in giudizio l’azienda ospedaliera per il risarcimento dei danni, deducendo che il loro congiunto, medico anestesista in servizio, era deceduto durante un turno di lavoro nel mese di agosto del lontano 2007.
Il medico era rimasto in servizio tutta la notte dell’11 agosto, nel corso della quale aveva partecipato ad un intervento d’urgenza e aveva, poi, continuato a monitorare il decorso post-operatorio della paziente anche nelle ore seguenti. La paziente era, poi, stata monitorata dalle 7 alle 12 del mattino successivo ed il medico immediatamente dopo era stato colto da infarto del miocardio e successivamente deceduto. Era stato riconosciuto l’infortunio per causa di servizio ed era stato liquidato un equo indennizzo agli eredi. La vicenda era stata denunciata all’autorità giudiziaria che aveva avviato un procedimento penale a carico del primario ad interim e responsabile dell’U.O. di Anestesia del Presidio Ospedaliero e del medico addetto al turno di reperibilità la notte del sinistro.
In giudizio i ricorrenti lamentano l’omessa adozione da parte dell’Azienda delle misure volte alla salvaguardia dell’integrità psico-fisica del dipendente, deceduto, secondo quanto dedotto, a causa dell’eccessivo carico di lavoro ed avevano chiesto al Tribunale l’accertamento della responsabilità ai sensi dell’art. 2087 c.c.
Nonostante le perizie tecniche richieste in primo e poi in secondo grado, dapprima il Tribunale ha rigettato il ricorso condividendo le risultanze della c.t.u. disposta in sede di incidente probatorio nel giudizio penale, che aveva concluso per l’assenza del nesso di causalità tra il decesso del medico l’attività lavorativa.
Successivamente anche la Corte di Appello aveva respinto l’impugnazione, sulla base di nuova perizia disposta in sede di gravame, sulla base del fatto che il turno del medico succedeva ad un periodo di 23 giorni di riposo nel mese di luglio e lo stesso non aveva prestato servizio nei quattro giorni antecedenti a quello dell’exitus, dunque, sostanzialmente riconfermando la mancanza di nesso causale.
La decisione della Corte di Cassazione
Nettamente diversa dalle due precedenti è stata la decisione della Suprema Corte che ribadisce la sussistenza del nesso causale tra prestazione lavorativa e danno ricollegabile non al singolo episodio, ma all’incidenza dell’intero rapporto di lavoro caratterizzato da un lato da turni altamente stressanti, che vengono presi in considerazione con un raffronto di turni dei giorni precedenti a quelli del decesso del medico. Ad incidere, per la Corte, è anche l’insussistenza di pregresse patologie aventi incidenza causale. Inoltre sussiste la mancata valutazione della condotta datoriale in termini di inadempimento dell’obbligo contrattuale di tutelare l’integrità fisica del lavoratore. Pertanto, il datore di lavoro aveva l’onere di provare che il danno, pur eziologicamente riconducibile alla prestazione di lavoro, è stato determinato da impossibilità della (esatta) prestazione derivante da causa a lui non imputabile (art. 1218 c.c.). Ne consegue che si assiste ad un’inversione dell’onere della prova, gravando sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi dell’evento dannoso.
Dunque, la Corte territoriale ha errato nel ritenere insussistente la prova del nesso causale fra decesso e attività lavorativa del medico nella misura in cui gli eredi non hanno fornito prova del nesso causale, in quanto tale prova deve essere fornita dal datore di lavoro.
Pertanto la Corte di Appello non ha applicato correttamente l’art. 2087 c.c., che impone al datore di lavoro di adottare tutte quelle misure che discendono da norme specifiche di legge e dal CCNL, necessarie ed indispensabili a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori.