L’obbligo di formazione sulla sicurezza del lavoro

a cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro

L’accordo Stato-Regioni 2025 sulla sicurezza sul lavoro, entrato in vigore il 24 maggio 2025 ha introdotto il nuovo testo unico di riferimento per la formazione obbligatoria, che sostituisce gli accordi precedenti. Vengono introdotti cambiamenti significativi, come l’obbligatorietà di percorsi formativi unificati e più mirati, nuove durate e modalità di erogazione, e la necessità di tenere conto dei rischi emergenti come lo stress lavoro-correlato e lo smart working. 

L’accordo accorpa le precedenti intese del 2011-2012 e 2016 in un unico testo di riferimento. 

I nuovi corsi prevedono un modulo generale di 4 ore per tutti i settori, seguito da un modulo specifico basato sul rischio dell’azienda. 

Viene introdotto un percorso formativo comune di 16 ore per tutti i datori di lavoro che assumono il ruolo di RSPP, che sostituisce la precedente distinzione per rischio (basso, medio, alto). 

L’accordo pone maggiore attenzione a temi emergenti come le molestie e le violenze nei luoghi di lavoro e lo stress lavoro-correlato, introducendo la necessità di protocolli di disconnessione e la formazione sullo stress lavoro-correlato. 

Il mancato aggiornamento entro 10 anni comporta la perdita del credito formativo e la necessità di ripetere l’intero corso da capo. 

Vengono introdotti corsi di formazione specifici per la conduzione di attrezzature come carriponte, caricatori per la movimentazione di materiali e macchine agricole raccogli-frutta. 

La formazione per operare in ambienti sospetti di inquinamento o confinati (ASIC) prevede un corso minimo di 12 ore e un aggiornamento di 4 ore ogni 5 anni, solo in presenza. 

Le nuove regole della formazione sulla sicurezza sul lavoro sono in vigore dal 24 maggio 2025. 

Le aziende devono aggiornare i propri protocolli di sicurezza e adeguare la formazione dei propri dipendenti ai nuovi requisiti. 

Lo stress lavoro-correlato e lo smart working diventano priorità assolute e richiedono l’adozione di protocolli specifici. 

Si ricorda che il legislatore, già nel 2021, era già intervenuto su ben 14 articoli (artt. 7, 8, 13, 14, 18, 19, 26, 37, 51, 52, 55, 56, 79 e 99) del D. Lgs. n. 81/2008 (Testo Unico Sicurezza sul Lavoro), con l’obiettivo di innalzare il livello complessivo delle tutele di prevenzione sulla sicurezza del lavoro.

L’ampiezza dell’intervento normativo è tale da intenderla come una “miniriforma” del Testo Unico, con riferimento prevalente al Titolo I.

In particolare è di rilievo evidenziare una particolare novità che comporta modifiche al Testo Unico sulla Sicurezza del lavoro (L. n. 81/2008): l’obbligo di formazione anche per il datore di lavoro.

Si è trattato di un’assoluta novità in quanto la competenza del datore di lavoro era presunta per legge, tanto che questi si doveva occupare dell’organizzazione dei corsi di formazione per la sicurezza di tutti i suoi lavoratori, non dovendo adempiere egli stesso ad un obbligo specifico, cui, oggi, la legge in esame gli impone di fare.

Spesso l’organo apicale si occupa degli aspetti economici-finanziari e può avere una conoscenza parziale del processo produttivo tanto da non consentire, almeno a volte, una valutazione esaustiva dei rischi ad essa connessi. In tutti questi casi si opta per l’affiancamento di un consulente specializzato.

Porre, ad esempio, questa ultima scelta quale obbligo giuridico, almeno per le società di medie e grandi dimensioni, non è stata la scelta adottata dal legislatore che, invece, ha previsto un obbligo formativo generalizzato anche per il datore di lavoro, stabilendo quanto segue (art. 37, commi 7 e 7bis D.Lgs 81/08): “7. Il datore di lavoro, i dirigenti e i preposti ricevono un’adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico in relazione ai propri compiti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, secondo quanto previsto dall’accordo di cui al comma 2, secondo periodo. 7-bis. La formazione di cui al comma 7 può essere effettuata anche presso gli organismi paritetici di cui all’articolo 51 o le scuole edili, ove esistenti, o presso le associazioni sindacali dei datori di lavoro o dei lavoratori.”

La violazione di quest’obbligo, che grava sul datore di lavoro, è punita dall’articolo 55 TUS con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.474,21 a 6.388,23 euro.

Lo scopo della riforma è evidentemente quello di agevolare il datore di lavoro nella valutazione dei rischi, rendendolo più competente, attraverso corsi mirati ad acquisire una migliore consapevolezza dei rischi produttivi e di conseguenza scegliere le misure di prevenzione. 

Non mancano, nella riforma, alcuni dubbi.

Poichè in giurisprudenza non vi è assoluta uniformità circa l’individuazione del “datore di lavoro”.

Infatti, secondo una teoria, sono da considerare “datore di lavoro” tutti gli appartenenti all’organo collegiale e, dunque, destinatari degli obblighi antinfortunistici sarebbero tutti i membri del CDA, che, pertanto, dovrebbero partecipare ai corsi periodici per assolvere l’obbligo di formazione normativa.

Altro orientamento, invece, ritiene corretta l’individuazione di un membro del CDA quale datore di lavoro, ai fini dell’applicazione delle norme antifortunistiche. Con il che, l’obbligo formativo ricadrebbe soltanto su questo soggetto.

Il rischio, insomma, è quello della disomogeneità applicativa, a partire dagli organi accertatori che, aderendo all’uno piuttosto che all’altro orientamento giurisprudenziale, possono sanzionare diversamente le aziende.

La violazione dell’obbligo formativo, infine, oltre che costituire illecito penale a se stante, può teoricamente rilevare ai fini della colpa (e del risarcimento) in caso di infortunio.

La mancata partecipazione ai corsi formativi potrebbe costituire, infatti, il motivo di una non corretta valutazione del rischio e, di conseguenza, della mancata predisposizione delle adeguate misure di prevenzione.

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