a cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro
La legge 219 del 22 dicembre 2017 è interamente dedicata al consenso informato, una norma primaria specifica e dettagliata con la quale si stabilisce, già dal primo articolo, che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”.
Pertanto, il paziente deve essere appunto “informato” compiutamente sulla diagnosi, sulla prognosi, sui benefici e sui rischi dei trattamenti sanitari cui può essere sottoposto, delle alternative a tali trattamenti e delle conseguenze in caso di rifiuto di qualsiasi trattamento.
La Corte di Cassazione si è espressa più volte su questo argomento, avendo modo di affermare, in più occasioni (Cass. n.7248/2018, n. 3992/2019), che il consenso del paziente, oltreché informato, deve avere ulteriori e specifiche caratteristiche.
Innanzitutto deve essere consapevole, in quanto tutte le informazioni devono essere fornite con un linguaggio comprensibile, quanto più semplice per essere compreso appieno, qualunque sia il grado di istruzione o lo stato sociale del paziente. Altra caratteristica del consenso è la completezza, poiché l’informazione deve riguardare tutti i rischi prevedibili, anche quelli statisticamente meno probabili, diversamente da quelli eccezionali o altamente improbabili che non rientrano nell’informazione. Si parla, ancora, di consenso globale perché dal momento che l’intervento è suddiviso in fasi, ognuna di questa può rappresentare rischi diversi che devono essere conosciuti dal malato. Infine, il consenso deve essere manifesto, cioè espresso e non può essere presunto o tacito.
In una recente sentenza della Corte Suprema (n. 16633/2023), in applicazione di quanto detto, si è stabilito il riconoscimento al risarcimento di un paziente da parte della ASL territoriale a titolo di danno morale, in ragione di una sintomatologia dolorosa succeduta ad un intervento chirurgico.
In particolare, il giudice di legittimità si sofferma sulla possibilità del verificarsi di manifestazioni dolorose successive ad un intervento che dovevano essere spiegate e per le quali deve essere prestato il consenso espresso, di cui si parlava precedentemente.
La Corte precisa che le informazioni in merito devono essere date al paziente anche se, secondo la letteratura medica, la comparsa di dolori dopo l’intervento abbia una frequenza bassa, ma non è evento assolutamente eccezionale o altamente improbabile.
Nel caso de quo, la comparsa di dolori dopo l’intervento era proprio tale, con un’incidenza del 5%, ma non aveva le caratteristiche dell’eccezionalità o dell’altamente probabile. Dunque la struttura doveva informare il paziente e non facendolo è tenuta a risarcirlo.
Peraltro, secondo la Corte, è irrilevante il dubbio se la manifestazione dolorosa sia una vera e propria complicanza medica, in quanto oggetto del consenso informato non sono solo le complicanze mediche in senso stretto, ma tutti gli eventi connessi alla prestazione sanitaria, inclusa la possibilità che il paziente provi dolore dopo l’operazione.
Da ciò deriva il principio secondo il quale nel caso di sintomatologia dolorosa post chirurgica, il paziente, dando prova che non era stato informato, anche della scarsa possibilità dell’insorgenza del dolore può agire per ottenere un risarcimento, indipendentemente, a meno che non si tratti di eventi eccezionali o fortemente improbabili.