È stato approvato in Senato il DDL sull’autonomia regionale differenziata in sanità. In campo lo scontro che parte dal diritto alla salute e dall’efficienza nelle cure, per prendere atto delle disuguaglianze, della migrazione sanitaria e dell’ingiustizia sociale. Nel 2019 l’assemblea congiunta di tutti i consigli nazionali delle professioni sanitarie al teatro Argentina di Roma approvò un manifesto rivolto al Presidente della Repubblica e al presidente del Consiglio dei Ministri che diceva “no al regionalismo differenziato in sanità!”.
In tempi di crisi le certezze vengono meno e quando cambia il contesto muta la percezione di sicurezza dei cittadini. Ed è proprio la crisi che ci convince che senza medici e infermieri gli ospedali si fermano, che senza medici veterinari vengono meno le garanzie di salute, benessere animale e sicurezza alimentare. Restano validi i principi ispiratori del federalismo volti all’applicazione del principio di sussidiarietà, ma a condizione di consentire a tutti l’esercizio dei diritti costituzionali fondamentali, fra tutti il diritto alla salute. Si auspica un regionalismo capace di valorizzare le straordinarie diversità, culturali, sociali, economiche e territoriali del nostro Paese, ma sappiamo bene che non è questa la posta in gioco. In gioco ci sono i poteri di controllo politico ed economico di alcuni territori da assicurarsi inevitabilmente in competizione con altri. E allora c’è tanto bisogno di “buona politica”, che in sanità (ed altrove) non possa essere ancella, comprata, usata e dismessa, o che possa trasformarsi in merce tra le merci.
È stato un martedì nero per il SSN, la Salute, la Repubblica Italiana quello che ha visto l’approvazione del DDL sull’autonomia regionale differenziata.
Con accenti giustamente forti ed allarmati di opposizione alla autonomia regionale differenziata in sanità molte voci della si sono espresse.
La stessa opinione pubblica è contraria con una maggioranza di oltre il 60%.
Ad indicare il fatto che la sanità in Italia è già differenziata per regione, e che tale differenziazione è un problema che non “merita” di essere accentuato, i dati consolidati sono:
- Disuguaglianze di salute e efficacia ed efficienza erogativa per Regione.
L’attuazione dei Livelli Essenziali di Assistenza obbligatori oscilla da un minimo adempimento di 56,3% della Sardegna ad un massimo di 93,4 in Emilia-Romagna, con tutte le regioni del SUD e le Isole sotto la percentuale mediana. Ulteriore disparità è costituita dal fatto che Le Regioni che si trovano in condizioni di disavanzo strutturale e che hanno sottoscritto un Piano di rientro dal deficit non possono erogare “livelli ulteriori”; ad oggi sono sette le Regioni in piano di rientro, naturalmente tutte del centro-sud.
- Differenze di finanziamento, modello organizzativo, contrattualisti del SSN per Regione
La spesa standardizzata pro-capite pubblica e privata nel 2020 è oscillata rispettivamente dai € 2.715 e € 987 della Val d’Aosta ai € 1.942 e € 406 della Campania con differenza di € 773 e € 581.
Nelle regioni del Sud e del Centro è risultata più bassa della media italiana, Lazio e Toscana escluse.
I modelli organizzativi dei Servizi sanitari regionali sono diversi: si va dalla organizzazione in Asst e Ats in Lombardia, alle AUSL su base provinciale in Emilia-Romagna ed al Sud, alle tre sole aziende territoriali della Toscana e nove del Veneto, alle (ottime) Aziende uniche (ospedaliero/universitarie/territoriali) del Friuli- Venezia Giulia, alla gestione accentrata dell’emergenza/urgenza in Lombardia, Lazio e Sardegna, agli Ente sovra aziendale per la gestione unitaria per funzioni tecnico/amministrativa (Estar, Azienda Zero in Veneto e Puglia, Arcs, Acss, Alisa, Azienda regionale Lazio 0, la formazione complementare degli Oss. in Veneto, lo psicologo convenzionato di base in Campania Direttore assistenziale istituito lo scorso anno dall’Emilia- Romagna
Il personale e la contrattualistica configurano vere e proprie “gabbie salariali”.
Il monte salari delle varie regioni, infatti, sono stati definiti con incrementi percentuali sulla spesa storica, diversa tra le varie regioni, non in valori monetari assoluti.
La calamità sociale ed economica, in primo luogo per tutti coloro, compresi la gran parte dei professionisti dipendenti del SSN, che non sono nelle cinque più alte fasce di reddito, oltre i 100.000 euro, in incremento anno dopo anno e/o vivono nelle regioni del Sud o nelle isole, i cui redditi medi nel 2019 variavano, in migliaia di euro, dai 15,2 della Calabria ai 17,9 dell’Abruzzo a fronte dei 25,2 della Lombardia.
Costoro “soffrono” già oggi polizze assicurative e/o accessi “out of pocket”, di più al Sul ma in tutte le regioni, come testimonia l’impoverimento del quasi 1% delle famiglie in Lombardia all’oltre l’8% in Sardegna in tutte le regioni.
L’autonomia differenziata potrebbe aumentare disequità nelle cure per i pazienti oncologici e indebolire il Ssn.
Il dibattito sulla questione dell’autonomia differenziata e la recente votazione del Senato avvengono in un contesto in cui la mobilità sanitaria interregionale è un fenomeno sempre più rilevante. Nel 2021, la mobilità sanitaria interregionale in Italia ha raggiunto un valore di 4,25 miliardi di euro, superando nettamente la cifra del 2020 (3,33 miliardi di euro). Un rapporto della Fondazione Gimbe ha evidenziato significative disparità tra le Regioni del Nord e del Sud.
Le Regioni dell’Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, capofila dell’autonomia differenziata, concentrano il 93,3% del saldo attivo della mobilità sanitaria, mentre il 76,9% del saldo passivo si concentra in Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo. Questo divario evidenzia le disuguaglianze nell’offerta di servizi sanitari tra le diverse Regioni, che secondo la Fondazione Gimbe, saranno amplificate dall’autonomia differenziata, favorendo ulteriormente il Nord a discapito del Sud.
Le analisi della Fondazione Gimbe sottolineano che i flussi economici della mobilità sanitaria scorrono principalmente da Sud a Nord, con oltre la metà del valore delle prestazioni di ricovero e specialistica ambulatoriale erogate dal privato accreditato. Ciò è interpretato come un ulteriore segnale di indebolimento della sanità pubblica, con il rischio che l’autonomia differenziata possa accentuare il divario tra Nord e Sud.
Cartabellotta ha evidenziato numerose ragioni contro l’autonomia differenziata, tra cui la crisi di sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale, il sotto-finanziamento che costringe anche le Regioni virtuose del Nord a tagliare servizi o aumentare le imposte regionali, e la mancanza di risorse per colmare le disuguaglianze in sanità.
I dati confermano una “frattura strutturale” tra Nord e Sud, poiché le Regioni con saldo positivo sono tutte del Nord, mentre quelle con saldo negativo sono tutte del Centro-Sud. Ciò riflette disuguaglianze nella distribuzione e nell’accessibilità ai servizi sanitari.