Incompatibilità fra imputazione coatta delle persone e quella degli enti

a cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 37751/2024 è intervenuta in materia di responsabilità da reato degli enti e, in particolar modo, in ordine all’estensibilità o meno dell’applicabilità dell’istituto dell’imputazione coatta da parte del GIP, alle società, per quel che può interessare, alle strutture sanitarie, rispetto a quella della persona indagata.

Dunque la questione riguarda se nel caso in cui vi sia stata richiesta di archiviazione per la società per quanto concerne il D.lgs 231/2001, cui è seguita richiesta di archiviazione per il soggetto indagato, nei confronti del quale, la persona offesa abbia proposto opposizione alla richiesta di archiviazione, vi possa essere estensione dell’imputazione coatta emessa nei confronti della persona, anche all’ente.

Il caso

La vicenda processuale trae origine dall’ordinanza con cui il GIP del Tribunale di Savona, sciogliendo la riserva assunta all’esito dell’udienza fissata per decidere sull’opposizione alla richiesta di archiviazione proposta dalla persona offesa, ordinava l’imputazione coatta nei confronti sia delle persone fisiche che dell’ente, indagato per un illecito amministrativo dipendente da lesioni colpose conseguenti alla violazione della disciplina in materia di sicurezza sul lavoro, ai sensi dell’art. 25 septies del D.lgs 231/2001.

Contro l’ordinanza del Gip proponeva ricorso per cassazione l’ente, lamentando la violazione di legge, infatti, secondo il ricorrente, il GIP sarebbe privo del potere di sindacare l’archiviazione dell’ente disposta dal PM, su cui insisterebbe unicamente un controllo gerarchico da parte del PG; pertanto, un eventuale provvedimento di imputazione coatta disposto, oltreché verso la persona fisica, anche verso l’ente sarebbe affetto da abnormità.

La decisione della Corte di Cassazione

Al di là di sottili questioni, molto importanti sull’abnormità dell’atto, che, in questo caso ci porterebbero fuori strada, la decisione della Suprema Corte prende in considerazione una serie di considerazioni.

Nel riconoscere che la questione è nuova per la giurisprudenza di legittimità, la Corte prende le mosse della lettera dell’art. 58 Dlgs. 231/2001, per cui “se non procede alla contestazione dell’illecito amministrativo (…), il pubblico ministero emette decreto motivato d’archiviazione degli atti, comunicandolo al procuratore generale presso la corte d’appello. Il procuratore generale può svolgere gli accertamenti indispensabili e, qualora ne ricorrano le condizioni, contesta all’ente le violazioni amministrative conseguenti al reato entro 6 mesi dalla comunicazione”.

Dunque la disciplina del D.lgs. 231/2001 attribuisce un potere di archiviazione diretta al PM. Non è concepibile la possibilità di opposizione dell’offeso dal reato nei confronti dell’ente, in ogni caso, il controllo giurisdizionale del GIP, a cui non deve essere indirizzata alcuna richiesta da parte del PM.

Pertanto, la questione è risolta positivamente dalla Suprema Corte, che, al termine di un efficace iter argomentativo, conclude per l’abnormità del provvedimento e la conseguente ammissibilità e fondatezza del ricorso.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *