Il TAR Lazio conferma il Payback sui dispositivi medici

In assenza di interventi normativi da parte del Governo, allo stato attuale delle leggi vigenti, le imprese fornitrici dei dispositivi medici dovranno pagare alle Regioni quanto dovuto per lo sforamento del tetto di spesa negli anni tra il 2015 e il 2018. È infatti arrivato l’esito dei ricorsi presentati al Tar del Lazio, che ha dichiarato le richieste delle imprese illegittime o inammissibili, condannandole di fatto a pagare. In particolare, richiamando anche le note sentenze della Corte costituzionale n. 139 e n. 140 del 2024, di cui già abbiamo avuto modo di occuparci, il Tar osserva come, nonostante la determinazione del tetto di spesa regionale sia avvenuta successivamente rispetto alle procedure di gara delle annualità 2015-2018, “già dall’entrata in vigore del d.l. n. 78 del 2015, come convertito, e quindi dallo svolgimento delle procedure di gara subito successive, il sistema del c.d. payback era sostanzialmente noto. Ciò sia con riguardo alle quote di ripiano posto a carico delle aziende fornitrici di dispositivi medici (che sono pari al 40 per cento per l’anno 2015, al 45 per cento per l’anno 2016, al 50 per cento per l’anno 2017 e al 50 per cento per l’anno 2018), sia con riguardo alla misura entro la quale ciascuna azienda è chiamata a concorrere alle predette quote (in «misura pari all’incidenza percentuale del proprio fatturato sul totale della spesa per l’acquisto di dispositivi medici a carico del relativo Servizio sanitario regionale o provinciale»)”. “La sentenza del TAR del Lazio che rigetta il ricorso contro il meccanismo del payback sui dispositivi medici è, per Conflavoro PMI Sanità, una pagina nera per il diritto e per la tutela del tessuto produttivo italiano”. Lo afferma Gennaro Broya de Lucia, presidente di Conflavoro PMI Sanità, che aggiunge: “Il Tribunale ha stabilito tre punti chiave: le imprese erano consapevoli della normativa sul pay back e potevano organizzarsi; il meccanismo non incide formalmente sugli appalti pubblici, anche se ne altera la sostenibilità economica; le contestazioni contro i provvedimenti regionali vanno presentate al giudice ordinario, non al TAR”.

“Una decisione gravissima – prosegue – che lascia senza tutela le aziende e le spinge verso il baratro, obbligandole a rimborsare forniture effettuate anche dieci anni fa, in base a regole decise solo dopo. Una norma retroattiva che mina la certezza del diritto e travolge ogni equilibrio economico, soprattutto per le piccole e medie imprese. A questo punto, l’unica via è politica: chiedere la sospensione immediata dell’efficacia della norma per tutte le imprese attualmente a rischio e una soluzione strutturale e definitiva dal tavolo in corso presso il MEF. Senza un intervento rapido e deciso, centinaia di imprese del medtech italiano scompariranno, con danni irreparabili anche per la tenuta del Servizio Sanitario Nazionale”. “Una sentenza che nega giustizia. Ora serve risposta politica immediata”, concludono.

Il meccanismo del Payback sui dispositivi medici, a lungo andare, potrebbe ingenerare gravi effetti sulle strutture sanitarie. In particolare, potrebbe portare alla chiusura di piccole e medie imprese del settore, mettendo a rischio l’accesso a dispositivi medici essenziali come sterilizzatori, prodotti per circolazione extracorporea, protesi e valvole cardiache e incidere, così, sulla qualità delle cure e la salute dei pazienti. Ed è per questo che diverse Associazioni, tra le quali si distingue ACOP, per scongiurare l’inevitabile difficoltà di approvvigionamento di dispositivi medici, che conseguirebbe alla crisi del settore, stanno facendo appello al Governo per eliminare il pay back anche alla luce delle sollevate questioni sulle sue criticità e la manifestata  preoccupazione delle aziende operanti nel settore.

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