A cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro
Proviamo a fare un punto sulla legge n. 24/2017, cosiddetta Gelli-Bianco, dopo cinque anni dalla sua approvazione e dopo che, nell’ultimo anno specialmente, fiumi di inchiostro, molti provenienti dalla giurisprudenza di legittimità, ma anche dai numerosi atti dei convegni che sull’argomento sono stati scritti e attraverso la voce di quella “interpretazione autentica” da parte del legislatore.
A questo proposito ACOP si è fatta promotrice e parte in causa di numerosi convegni, tavole rotonde, e studi sull’argomento che hanno ospitato voci molto accreditate della magistratura della Suprema Corte, del legislatore, nella persona del senatore Bianco, promotore, insieme al collega Gelli, della legge in parola.
L’occasione è giusta, quindi, per alcune riflessioni sistematiche sulla legge Gelli-Bianco e il rapporto fra colpa medica, responsabilità delle strutture socio-sanitarie e sistema assicurativo, che possono essere utili per contribuire all’assetto che ciascuna azienda associata ha dato al settore inerente tale tipo di rischio.
Abbiamo già affrontato l’argomento all’indomani della costituzione di Acop, è trascorso quasi un anno, forse è necessario comprendere, al di là delle attese del decreto ministeriale attuativo che tarda ancora ad arrivare, quali passi sono stati compiuti per addivenire alla redazione finale di comportamenti virtuosi, regole di buona pratica, linee guida che possano contemperare l’esigenza primaria di essere curati bene, ma senza sovraccaricare una sola parte del complesso e plurilaterale contratto che viene sottoscritto quando un paziente entra in una struttura per essere curato, sottoposto ad interventi e quant’altro.
La centralità degli argomenti spetta ad una prima evidente differenza fra l’approccio alla materia della responsabilità dal punto di vista penale rispetto a quello civile.
Nel primo caso la centralità spetta, come già spiegato, all’imputato, dunque il medico, reale protagonista del processo penale quando si verifica l’evento morte o lesione.
La legge Gelli-Bianco, ha introdotto un nuovo criterio interpretativo della responsabilità penale per colpa medica: l’art. 590-sexies che, già nel titolo, non parla più di omicidio colposo, ma di responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario.
Dunque, si introduce il discrimine del rispetto delle buone pratiche clinico-assistenziali e le raccomandazioni delle linee guida pubblicate ai sensi di legge, salvo che per le rilevanti specificità del caso concreto, le stesse raccomandazioni o buone pratiche non avrebbero dovuto essere seguite. Se da un lato, quindi, il sanitario è chiamato all’aggiornamento sulle linee guida e sulle buone pratiche clinico-assistenziali, dall’altro, il suo agire non può essere acriticamente governato soltanto da queste. Sarebbe un appiattimento della sua professione e della sua professionalità.
La norma, peraltro, si applica ai casi di imperizia, determinandosi una sorta di inversione dell’onere probatorio a favore del sanitario, solo con riferimento ad essa. In questo caso, infatti, sarà compito del danneggiato o dell’accusa provare quelle specificità del caso concreto e la loro rilevanza nella decisione omessa da parte del sanitario di discostarsene.
Nei casi di negligenza o imprudenza, invece, la causa di non punibilità non viene presa in considerazione perché l’azione del sanitario prescinde dall’applicazione di linee guida o altre buone pratiche che, proprio per la natura della colpa fondata in questi casi su superficialità, avventatezza o ignoranza, non sarebbero state nemmeno chiamate in causa dall’agire del sanitario.
Sul piano civile, invece, il panorama cambia completamente; innanzitutto protagonista e attore del giudizio è il paziente o i suoi familiari (in caso di evento morte), dunque l’asse delle responsabilità si sposta totalmente. L’articolo 7 della legge stabilisce alcuni principi relativi alla responsabilità civile della struttura e dell’esercente la professione sanitaria.
Si prevede che la struttura sanitaria e socio-sanitaria pubblica o privata, quando nell’adempimento della propria obbligazione si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e anche se non dipendenti dalla struttura, risponde delle loro condotte dolose e colpose ai sensi degli articoli 1218 (Responsabilità del debitore) e 1228 (Responsabilità per fatto degli ausiliari) del codice civile.
Pertanto, la natura contrattuale della responsabilità comporta, per il paziente danneggiato, una serie di privilegi in sede processuale, in relazione a vari profili, tra cui spicca per importanza quello relativo all’onere della prova dell’inadempimento: non sarà il paziente a dover provare specificamente l’errore sanitario, ma sarà la struttura a dover dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.
Inoltre, la prescrizione del diritto al risarcimento del danno per mal pratica sanitaria, trattandosi di responsabilità contrattuale, matura in dieci anni, diversamente da quello in ambito extracontrattuale che si prescrive in cinque anni.
Sotto il profilo processuale, la novità più rilevante è rappresentata dalla previsione del procedimento di cui all’art. 696 bis c.p.c. quale condizione di procedibilità dell’azione risarcitoria.
Il paziente danneggiato, prima di promuovere il giudizio per il risarcimento danni, deve rivolgersi al giudice chiedendo la nomina di un collegio di medici (un medico legale ed uno specialista), che procederà a valutare la questione sotto il profilo tecnico, non prima di aver tentato una composizione bonaria della lite. In alternativa, è possibile promuovere un procedimento di mediazione davanti ad un Organismo di Mediazione competente. Questa pre-valutazione diventa fondamentale sia per stabilire se sussistano le basi di una responsabilità, sia per una sorta di abbreviazioni dei tempi di giustizia e ovviamente saranno vincolanti per il giudice di merito che affida il suo giudizio a tecnici. Il procedimento dovrebbe concludersi in tempi assai celeri (sei mesi, nell’intenzione del legislatore), ma si tratta di un termine che spesso non viene rispettato in sede giudiziale, benché sia definito “perentorio” dalla normativa in questione.
Ciò non evita la possibilità di un giudizio, nel corso del quale se verrà affermata la responsabilità del medico, sempre e si sottolinea sempre, in sede civile, verrà affermata la responsabilità della struttura, la quale, per l’esistenza del principio di solidarietà dell’obbligazione risponderà dal punto di vista economica, in quanto certamente prediletta dall’attore-paziente, rispetto al medico.
Questa situazione ci fa inevitabilmente giungere a quello che rimane l’annoso problema che la legge non ha ancora oggi dipanato e cioè: auto-ritenzione e assicurazione.
Le strutture più grandi, con maggiore organizzazione e personale, in attesa di maggiori lumi e maggiore chiarezza, che i decreti attuativi dovevano dare e che invece non sono ancora stati in grado di offrire, in quanto mai approvati, hanno necessariamente prescelto l’auto-ritenzione, cioè hanno optato per una gestione interna, in tutto o in parte, attraverso la costituzione di fondi specificamente destinati al risarcimento dei danni da mal pratica, alimentati da accantonamenti annuali. Ciò è stato necessario a causa dell’aumentare preponderante dei premi, che se sono diminuiti per la polizza del singolo medico, sono in realtà grandemente aumentati per le strutture sanitarie pubbliche e private, per quanto convenzionate.
A ciò si aggiunga che l’art. 11 della legge definisce i limiti temporali delle garanzie assicurative. In particolare, la garanzia assicurativa deve prevedere un’operatività temporale anche per gli eventi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto assicurativo, purché denunciati all’impresa di assicurazione durante la vigenza temporale della polizza. In caso di cessazione definitiva dell’attività professionale per qualsiasi causa, deve essere previsto un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità, verificatisi nel periodo di efficacia della polizza, periodo nel quale è incluso quello suddetto di retroattività della copertura.
Infine, l’art. 12 prevede l’azione diretta nei confronti dell’impresa di assicurazione della struttura sanitaria e del libero professionista, che potrebbe ridurre i tempi del risarcimento e limitare i costi assicurativi, specie nelle vicende meno gravi.
Peraltro anche sull’azione di regresso la confusione non è poca, poiché un primo parametro era stato delineato dalla legge e dalla giurisprudenza contenendo l’eventuale richiesta della struttura al medico, solo nel caso di colpa grave, nell’importo massimo pari al triplo del valore dello stipendio maggiore percepito nell’anno in cui si è verificato l’errore oppure in quello successivo o precedente. Tale limite non viene applicato, però, in caso di dolo, per il quale non sono previsti limiti quantitativi.
Una recente giurisprudenza avrebbe riportato la percentuale della rivalsa all’importo del 50% del danno, ritornando a vecchi parametri. Come si nota, gli indici di oscillazione sono talmente variabili che impongono una definitiva regolamentazione.
Bisogna, pertanto, stabilire definitivamente i criteri per i requisiti minimi di garanzia delle polizze assicurative per le strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private e per gli esercenti le professioni sanitarie, le condizioni generali di operatività delle altre analoghe misure, in assunzione diretta del rischio, le regole per il trasferimento del rischio nel caso di subentro contrattuale di un’impresa di assicurazione e in caso di auto-ritenzione totale o parziale, la previsione nel bilancio delle strutture di un fondo rischi e di un fondo costituito dalla messa a riserva per competenza dei risarcimenti relativi ai sinistri denunciati.
Inoltre: maggiore chiarezza per il giudice nello stabilire i parametri del risarcimento, non più tabelle del Tribunale di Milano o di Roma, ma tabelle ad hoc, anche queste definitive.
La chiave di lettura positiva è tenere la discussione viva attraverso la cultura e l’informazione: invitare nei tavoli di studio la politica, la magistratura di merito e di legittimità, le assicurazioni e le varie professionalità sia del mondo sanitario sia del mondo imprenditoriale, condurrà inevitabilmente ad una soluzione che non potrà più far pendere il pendolo solo da una parte, in sostanza il peso non potrà gravare solo sulle strutture.
Almeno questo è l’auspicio e ciò a cui si lavora da tempo.