a cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro
Alcuni recenti orientamenti giurisprudenziali tendono sempre più di frequente a riconoscere la prevalenza del diritto alla salute costituzionalmente garantito all’art. 32 della Costituzione, rispetto a vincoli di natura economico-finanziaria che vengono stabiliti dai budget regionali. A questo fine le amministrazioni territoriali sanitarie devono adeguare il loro operato e, pertanto, anche il budget, a seconda del caso clinico che si trovano a dover trattar, superando l’applicazione formale e rigida delle regole a tutela della salute del cittadino, in special modo quando si tratta di doversi sbilanciare a favore della gestione finanziaria, in danno della salute del paziente.
E’ difficile anche per le amministrazioni locali dover prendere delle decisioni “scomode”, motivo per il quale, molto spesso, ci si arrocca dietro regole e posizioni molto rigide, a scapito della salute, dovendo necessariamente far intervenire il Giudice, spesso di rango superiore, al fine di riportare equità nel bilanciamento dei diritti.
A tale proposito il Consiglio di Stato ha confermato la pronuncia del Tar Lombardia con la sentenza n. 3074/2025, in relazione all’erogazione di prestazioni sanitarie in regime di accreditamento, incentrando la propria decisione sulla deroga ai limiti temporali di assenza dalla struttura terapeutica stabiliti da delibere regionali, quando siano presenti esigenze clinico-assistenziali specifiche e debitamente documentate.
Il caso ha riguardato un paziente con grave patologia psichiatrica che, residente in Lombardia, si trovava ospite di una struttura specializzata accreditata, in Liguria, alternando la permanenza nella comunità con periodi di ritorno presso la famiglia.
Secondo una delibera regionale ligure esiste un limite massimo di 40 giorni all’anno per il mantenimento del posto, scaduti i quali la famiglia dovrebbe farsi carico dei costi, concordandoli con la struttura.
Aveva proposto ricorso al Tar l’amministratore di sostegno del sottolineando l’importanza della continuità terapeutica e la mancanza di alternative assistenziali equivalenti. Infatti il Tribunale amministrativo adito, e il Consiglio di Stato, in seconda istanza, nelle motivazioni, hanno sostenuto che non si poteva, nel caso de quo, fare rigida applicazione delle regole stabilite, poiché si era in presenza di un percorso terapeutico validato dal servizio sanitario che non può non permettere il superamento del budget relativo alla struttura quando si è innanzi a esigenze clinico-assistenziali specifiche e soprattutto in assenza di alternative altrettanto valide al recupero e alla cura del paziente.
Chiaramente la valutazione dei casi andrà fatta caso per caso e non si può assegnare a questa decisione quel valore di assolutezza pluriestensivo, ma questa, come altre, decisioni pongono al centro il cittadino-paziente, facendo prevalere il diritto alla salute ed alla cura su quello economico-gestionale.

