Il consenso irrevocabile

a cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro

Con la sentenza n. 161/2023 la Corte Costituzionale non ha accolto le questioni di legittimità costituzionale presentate dal Tribunale di Roma, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 32 Cost., e all’art. 8 CEDU, e di conseguenza dell’art. 117 Cost., aventi ad oggetto l’art. 6, co. 3, della legge n. 40/2004 sulla revoca del consenso prestato in tema di procreazione medicalmente assistita (PMA).

Il caso

Il ricorso riguarda una coppia di sposi che, nel 2017, si è rivolta ad una struttura sanitaria per iniziare un percorso di PMA, acconsentendo, entrambi, alla crioconservazione degli ovuli fecondati, poiché la signora si sarebbe dovuta sottoporre ad ulteriori terapie prima dell’impianto. Nel 2019 la coppia si separa legalmente e nel 2020 il signore revoca il consenso alla procedura di impianto. Di conseguenza la signora presenta ricorso al Tribunale di Roma, chiedendo di procedere all’impianto dell’embrione, sostenendo che l’art. 6, co. 3, della legge n. 40/2004 non consente la revoca del consenso in momenti successivi alla fecondazione dell’ovulo.

Il giudice solleva la questione di legittimità costituzionale

Il giudice a quo, solleva la questioneperché ritiene che il vincolo posto dall’art. 6, co. 3, sia lesivo della libera autodeterminazione e che sia discriminatorio, in quanto operante una disparità di trattamento nei confronti dell’uomo, il quale non sarebbe più libero di autodeterminarsi e sostanzialmente di cambiare idea, specialmente cessato il matrimonio, in ordine alla scelta di paternità.

La decisione della Corte

Differentemente la Corte Costituzionale dichiara le questioni inammissibili. In riferimento agli artt. 13, co. 1, e 32, co. 2, Cost., il giudice rimettente sostiene che l’irrevocabilità del consenso lede la libertà di autodeterminazione dell’uomo e lo costringe a subire un trattamento sanitario obbligatorio. Diversamente, la Corte ritiene che il giudice a quo non ha motivato in punto di non manifesta infondatezza, poichè non è chiarito come la procedura di impianto dell’embrione, i cui effetti si riversano solo sul corpo della donna, possa riguardare l’uomo, al punto da tradursi in un trattamento sanitario eseguito con coercizione. In caso contrario sarebbe diverso, non potendo, una donna, essere costretta ad un trattamento che non volesse più accettare.

Infatti, a questo ultimo proposito, il giudice a quo osserva che, seppure l’irrevocabilità sia rivolta ad entrambi i componenti della coppia, di fatto il divieto non è applicabile a entrambi, perché nel caso di rifiuto da parte della donna non sarebbe comunque possibile procedere all’impianto dell’embrione coattivamente. Pur condividendo le premesse del resistente, la Corte sottolinea che le situazioni della donna e dell’uomo sono eterogenee, e quindi non vi è alcuna disparità di trattamento.

In merito alle questioni relative al profilo della libertà di autodeterminazione dell’uomo di divenire genitore, la Corte riconosce le conseguenze della norma censurata sulla libertà dell’individuo, ma osserva altresì che “l’autodeterminazione dell’uomo matura in un contesto in cui egli è reso edotto del possibile ricorso alla crioconservazione, come introdotta dalla giurisprudenza costituzionale, e anche a questa eventualità presta, quindi, il suo consenso”.  Il consenso informato assume un ruolo centrale in quanto “atto finalisticamente orientato a fondare lo stato di figlio. In questa prospettiva il consenso, manifestando l’intenzione di avere un figlio, esprime una fondamentale assunzione di responsabilità, che riveste un ruolo centrale ai fini dell’acquisizione dello status filiationis”. E tale consenso non genera affidamento solamente per quanto concerne la situazione giuridica del figlio, bensì si ripercuote su altri interessi costituzionalmente rilevanti, in particolare quelli della donna. Quest’ultima, infatti, alla luce dell’affidamento nato dal consenso dell’uomo, si sottopone a terapie e interventi più o meno invasivi, che possono durare per lunghi periodi e comportare anche rischi gravi per la sua salute.

Dunque, viene escluso il contrasto con il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Il consenso dell’uomo non è revocabile dopo la fecondazione dell’ovulo.

La Consulta, nel bilanciamento degli interessi considerati dal diritto e dalla Costituzione, fa prevalere quello della donna alla maternità per la quale ha accettato trattamenti invasivi. L’accesso alla Pma comporta, infatti, il grave onere di mettere a disposizione la propria corporalità, con un importante investimento fisico ed emotivo in funzione della genitorialità che coinvolge rischi, aspettative e sofferenze, e che ha un punto di svolta nel momento in cui si vengono a formare uno o più embrioni».

Un investimento che interessa il corpo e la mente della donna e determina il sorgere di una concreta aspettativa di maternità.

Tutto questo facendo affidamento sul consenso dell’uomo al comune progetto genitoriale.

La previsione della irrevocabilità del resto non si discosta troppo dalla

scelta sull’interruzione di gravidanza, che spetta in esclusiva alla donna.

L’irrevocabilità del consenso comporta un’assunzione di responsabilità riguardo alla filiazione, che si traduce nella attribuzione dello stato di figlio.

La Corte precisa che resta ferma la possibilità per il legislatore di trovare un punto di equilibrio, anche diverso dall’attuale, su un tema eticamente sensibile, sempre nel rispetto della dignità umana, embrione compreso.

Una questione dibattuta, forse non definitivamente chiusa, ma che comporta una necessaria scelta fra diritti, interesse, in questo caso, opposti, meglio contrapposti, difficili da controbilanciare.

Una ennesima decisione difficile da affrontare che prende inconsiderazione oltre che il diritto, l’etica e diversi principi costituzionalmente garantiti.

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