Il capo equipe risponde dopo l’intervento per obbligo di vigilanza

a cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro

La Corte di Cassazione ha decretato che il capo dell’equipe medica si trova in posizione di garanzia rispetto al resto dello staff presente nel corso dell’intervento chirurgico e per tale motivo non cessa da suddetta posizione, neanche per i successivi controlli.

Dunque, la posizione di garanza del capo equipe si estende al contesto post operatorio, poichè il momento immediatamente successivo all’intervento chirurgico non è avulso dall’intervento operatorio.

La Corte di Cassazione

Con sentenza n. 13375/2024 la Suprema Corte che ha respinto il ricorso contro la pronuncia della Corte territoriale, che aveva confermato la sentenza resa del Giudice di prime cure nei confronti di un ginecologo, ritenuto responsabile del reato di omicidio colposo di una donna, deceduta presso il nosocomio, a seguito di una emorragia uterina.

La donna era alla sua quinta gravidanza.

Il caso

I Giudici di primo e secondo grado avevano seguito un indirizzo giurisprudenziale, contenuto come principio enunciato in un’altra sentenza, quella n. 306206 del 2019, la quale si era basata sul principio dell’affidamento che regna sovrano nei criteri di graduazione della colpa. Pertanto, i magistrati avevano assolto il ginecologo, in quanto la difesa aveva sostenuto che a seguito del monitoraggio post operatorio, la paziente era stata affidata al collega di turno, motivo per il quale, secondo il criterio dell’affidamento, risponde dell’errore o dell’omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell’intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica, “non potendosi trasformare l’onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui”.

Invero,la gestione e il monitoraggio della fase iniziale dell’inizio del travaglio e, dunque il controllo delle condizioni cliniche della paziente, ricomprendendo la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca, la contrazione dell’utero, i livelli di emoglobina nel sangue avrebbero, secondo la Corte di Cassazione, consentito una precoce diagnosi dell’atonia uterina e dell’emorragia post partum e, quindi, impedito la progressione della patologia che ha portato la paziente alla morte.

Dunque, secondo il diverso orientamento della Cassazione il chirurgo ha l’obbligo di sorveglianza sulla salute del soggetto operato anche nella fase post-operatoria e, al più, è responsabile unitamente a tutta l’equipe presente al parto nel caso in esame, come aveva indicato un indirizzo della Cassazione del 2005.

Inoltre l’atonia uterina e il rialzo pressorio post partum è una delle cause di morte maggiormente frequente nella partoriente, pertanto la vigilanza dell’équipe tutta e del capo équipe, in particolare, diventa ancora più stringente.

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