a cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro
Non si può non accendere un riflettore seppur piccolo su quello che certamente è diventato un grande problema: il disagio giovanile e l’eccesso di violenza. Due problematiche che non sempre sfociano l’una nell’altra ma che hanno la matrice comune del non sentirsi al proprio posto da parte dei giovani. La partenza è quella di incontrarli nei luoghi giusti, per prima la strada, passare, poi a saperli ascoltare. Un passaggio obbligato, spesso, è rappresentato dal fatto di guardare alle difficoltà degli adulti.
Il fenomeno dell’autolesionismo e della violenza tra i giovani è in crescita dopo la pandemia che ha reso i ragazzi più fragili. I numeri sono preoccupanti, ma ancora più allarmante è studiare la provenienza del disagio. I fenomeni di autolesionismo e i comportamenti pericolosi esasperati dai social, ma anche da droghe e grandi quantitativi di alcool, assunti sempre in più tenera età e atteggiamenti violenti senza alcun motivo apparente, sono soltanto alcuni dei rischi che corrono oggi i giovani, con un abbassamento dell’età che comprende una fascia di preadolescenti dai 10 ai 14 anni. Il disagio giovanile ha più facce, dal momento che si manifesta, anche, con una non tanto più nuova serie di disturbi alimentari che si aggiungono alle più conosciute anoressia e bulimia. Si tratta dell’ortoressia nervosa (cioè all’esasperazione del mangiar sano), della vigoressia, che porta i ragazzi a volere fisici scolpiti e a disperarsi se la palestra è chiusa. Poi ci sono tutti i fenomeni di autolesionismo, che un ragazzo su sei ha vissuto almeno una volta nella vita. I dati dei servizi di neuropsichiatria riportano che, dopo il Covid, l’accesso è aumentato, soprattutto per eventi di tentato suicidio e autolesionismo.
Non può tacersi il dato generazionale: i cambiamenti che hanno caratterizzato negli ultimi decenni le società occidentali, hanno contribuito a creare un mondo in continua e rapida evoluzione nel quale le generazioni hanno inevitabilmente modificato le condizioni di vita, i bisogni e le motivazioni. Proprio i giovani hanno manifestato più degli altri le tendenze evolutive dal punto di vista demografico, dal momento che diminuiscono a vista d’occhio, influenzando i processi di socializzazione. L’effetto che ne scaturisce è quello che si diventa adulti sempre più tardi e che vi è un tempo di permanenza sempre maggiore nell’età adolescenziale e postadolescenziale.
L’uscita dalla casa familiare avviene sempre più tardi, anche a causa della difficoltà di trovare un impiego. Ciò determina una mancanza di pianificazione esistenziale e di marginalizzazione delle nuove generazioni.
Per alcuni la marginalizzazione colpisce maggiormente in relazione alla contrattazione debole, mentre per altri è posta in relazione all’area in cui il giovane vive o abita, con una spiccata marginalità nelle aree urbane più depresse.
La marginalità comporta disagi sociali e psicologici: caduta dell’autostima, scarsa integrazione, fuga dalla realtà, spesso unite alla non assunzione di alcuna responsabilità, di prolungamento dell’adolescenza.
Secondo gli studiosi si manifestano diversi aspetti nella popolazione giovanile di oggi che vanno dal non riuscire a pianificare il proprio futuro alla relativizzazione dei valori, fino a sminuirli, ancora al cambiare idea continuamente, producendo incertezza anzicchè stabilità fino alla consapevolezza che tutto ciò che accade non è determinato dalla persona ma dall’esterno.
In questa visione così incerta trovano collocazione e spazio, manifestazioni aggressive, che passano dalla sfiducia in se stessi alla sfiducia nell’altro, visto come avversario, antagonista da combattere per rivalersi delle proprie frustrazioni.
In una società civile, che si rispetti, in cui lo stato di diritto, il welfare rappresentano lo specchio dello Stato, questi dovrebbe riconoscere dove sta il malessere nella sua giovane popolazione e porvi rimedio, erogando fondi per somministrare il maggior numero di servizi che possano essere utili a non sprofondare in un baratro.