COMUNICATO 09 DICEMBRE 2025
L’accelerazione del Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie, Roberto Calderoli sull’autonomia differenziata per la sanità si è concretizzata nelle recenti firme di pre-intese con diverse Regioni, tra cui Lombardia, Veneto, Piemonte e Liguria, avvenute a metà novembre 2025. Questi sviluppi si inseriscono nel quadro della legge sull’autonomia differenziata (Legge n. 86 del 26 giugno 2024), che definisce i principi generali per l’attribuzione di ulteriori forme di autonomia alle Regioni che ne fanno richiesta. In virtù della sottoscrizione di tali accordi preliminari con le suddette quattro Regioni (Lombardia, Veneto, Piemonte e Liguria) su diverse materie, inclusa la sanità, le Regioni puntano a ottenere maggiore flessibilità nella gestione delle risorse, superando i tetti di spesa, in particolare per il personale sanitario, e controllando tariffe e sistemi di rimborso a livello regionale. Questi documenti così come stipulati rappresentano, dunque, il primo passaggio istituzionale vincolante verso l’intesa definitiva, in linea con la normativa vigente. L’iniziativa ha suscitato preoccupazioni nel mondo sanitario e politico, con critiche che evidenziano il rischio di un Servizio Sanitario Nazionale (SSN) a più velocità e di un aumento delle disuguaglianze territoriali nell’accesso ai servizi, data l’enorme disparità di performance sanitarie già esistente tra le regioni. Il processo prevede che le iniziative regionali debbano essere giustificate alla luce del principio di sussidiarietà, come indicato dalla Corte Costituzionale. La discussione prosegue, con l’obiettivo di definire i Livelli Essenziali di Prestazione (LEP) prima della piena attuazione dell’autonomia, anche se questo resta un punto critico. Ci si chiede quali siano le motivazioni che spingano alcune Regioni a velocizzare questo processo di autonomia nella gestione dei fondi in ambito sanitario. Da una analisi del fenomeno pare che l’obiettivo delle richieste di autonomia differenziata nella materia tutela della salute non sembri essere principalmente l’appropriazione del residuo fiscale, ma piuttosto l’acquisizione di maggiori poteri e l’allentamento dei vincoli di sistema legati alla presenza di un Servizio sanitario nazionale (SSN). Tuttavia, si è osservato che meccanismi asimmetrici di questo tipo potrebbero acuire le differenze, in un Paese con ampi divari territoriali, come mostra l’esame delle richieste avanzate in passato da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna. In particolare, emerge il rischio di mettere in competizione le Regioni per attrarre il personale, che andrebbe invece potenziato in tutto il Paese, e si segnalano le possibili conseguenze sulla mobilità sanitaria, in un contesto in cui i LEA non sono ugualmente garantiti sul territorio. Come è noto, la tutela della salute è una delle 23 materie che possono essere oggetto di richieste di autonomia differenziata. Allo stesso tempo, l’art. 32 della Costituzione tratta la stessa tutela della salute, affidata alla Repubblica nel suo insieme, come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Pertanto, il trasferimento di funzioni in questo campo presenta aspetti particolarmente delicati e controversi. Già l’esperienza ha mostrato come non sia banale la ricerca di un equilibrio tra il ruolo dello Stato, cui peraltro spetta la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, e quello delle Regioni, che godono di una competenza concorrente sulla materia (peraltro il regionalismo differenziato può essere esercitato su tutte le materie a legislazione concorrente). E’ per tali ragioni che le richieste di forme di autonomia differenziata nell’ambito della tutela della salute sollevano dubbi e evidenziano numerose criticità: sia riguardo gli aspetti finanziari ma soprattutto riguardo le possibili conseguenze di un decentramento asimmetrico di importanti funzioni organizzativo-regolatorie in campo sanitario.
avv. Rossella Gravina

