COMUNICATO 14 OTTOBRE 2024
I medici ospedalieri dipendenti, che quindi hanno un rapporto esclusivo con il Servizio sanitario nazionale, non possono svolgere attività libero-professionale in intramoenia presso le strutture sanitarie private accreditate. Lo dice la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 153 del 2024, depositata il 29 luglio scorso.
Lo ha chiarito la Corte costituzionale dichiarando illegittima una norma della regione Liguria nella parte in cui consentiva, in via transitoria e fino al 2025, alle «strutture private accreditate con il Servizio sanitario regionale, di avvalersi dell’operato di dirigenti sanitari dipendenti dal Servizio sanitario nazionale che abbiano optato per il regime di attività libero professionale intramuraria».
La Corte ha affermato che la previsione di legge impugnata si pone in contrasto con un principio fondamentale in materia di tutela della salute, vincolante per tutte le Regioni. Infatti, anche quando è stata introdotta in via provvisoria, in considerazione della carenza degli spazi disponibili, la possibilità della cosiddetta intramoenia allargata e si è consentito al direttore generale di assumere le specifiche iniziative per reperire fuori dall’azienda spazi sostitutivi, includendovi anche gli studi professionali privati, è stata sempre ribadita l’espressa esclusione delle strutture sanitarie private accreditate.
La finalità del divieto, dice la Consulta, è quella di garantire la massima efficienza e funzionalità operativa al Servizio sanitario pubblico, evitando gli effetti negativi di un contemporaneo esercizio, da parte del medico dipendente, di attività professionale presso strutture accreditate, con il pericolo di incrinamento della funzione ausiliaria della rete sanitaria pubblica, svolto da queste ultime.
Nella pratica, quello che si origina sembra un’ingiustificata discriminazione fra specialisti operanti presso grandi strutture di cura, che non hanno problemi di spazio per l’esercizio dell’attività privata, e quelli, magari neoassunti e senza un proprio studio medico di riferimento, dipendenti da piccoli ospedali, che in questo modo non hanno nemmeno la possibilità di servirsi di strutture esterne già operative, restando costretti a sperare che la propria organizzazione reperisca e gestisca in proprio altri spazi, accollandosi direttamente tutte le spese di gestione e manutenzione.
Il Comunicato Stampa ufficiale della Corte Costituzionale si conclude precisando che hanno avuto esito diverso le censure di incostituzionalità rivolte ad un’altra parte della medesima legge regionale, laddove essa consente in via transitoria e comunque solo fino all’anno 2025, alle aziende, enti e istituti del Servizio sanitario regionale di acquisire dai propri sanitari prestazioni in regime di Alpi al fine di ridurre le liste di attesa e ovviare alla carenza di organico (prestazioni aggiuntive o integrative). La disposizione regionale impugnata è, infatti, in linea con la normativa statale, ad eccezione della parte dichiarata illegittima, e quindi rimane perfettamente valida.
Secondo la Corte, infatti, tale norma conserva “un suo limitato ambito di applicazione, compatibile con la facoltà, accordata alla Regione, di autorizzare, al ricorrere delle condizioni indicate dal legislatore statale, l’acquisto da parte delle aziende sanitarie delle prestazioni aggiuntive dai propri dirigenti sanitari e di disciplinare, nel rispetto dei principi fissati dal legislatore statale, criteri e modalità di svolgimento di tale attività”.