Mancata fruizione dei riposi: per la Cassazione legittimo il risarcimento per gli infermieri

I turni di notte per gli infermieri sono un argomento delicato, con una crescente attenzione ai rischi per la salute e al benessere dei lavoratori. La ricerca sottolinea l’importanza di un adeguato riposo e di una corretta pianificazione dei turni per minimizzare gli effetti negativi sulla salute degli infermieri. Ed invero, vi sono diversi effetti che i turni di notte eccessivi provocano sulla salute. In particolare, i disturbi del sonno e la c.d. sindrome del turnista caratterizzata da sonnolenza diurna e difficoltà a dormire, che rappresentano un problema comune per gli infermieri che lavorano a turni. Lavorare di notte aumenta il rischio di patologie cardiovascolari ed oncologiche. Le alterazioni del ciclo sonno-veglia comportano degli effetti negativi di lungo periodo sull’organismo degli infermieri, rischio che aumenta con il numero di anni di turnazione notturna.

La situazione denunciata dal sindacato Nursing Up è ben altra: turni di notte per due o tre volte consecutive, riposi minimi, ritorno in servizio tramite pronta disponibilità fino a 15 volte al mese. Queste le condizioni in cui sarebbero costretti ad esercitare la loro professione molti infermieri italiani a causa della carenza di organico nelle strutture ospedaliere. “Sono numerose le realtà – si legge nella nota del sindacato – in cui i nostri referenti regionali hanno raccolto testimonianze di infermieri impiegati anche in tre notti consecutive, seguite da reperibilità attiva o rientro in reparto entro 8 ore, spesso per coprire malattie o ferie”. Inoltre, “sebbene il Contratto Collettivo Nazionale preveda un massimo di 7 turni mensili di pronta disponibilità per ogni infermiere, nel 2023 questo limite, nei fatti, è stato più che raddoppiato – si legge ancora nella nota -. In numerose Asl sono stati documentati fino a 15 turni mensili per singoli operatori.  In tante realtà sanitarie siamo di fronte a casi di pronte disponibilità alternate a giorni lavorativi senza soluzione di continuità”.  La Cassazione, con diverse pronunce, ha dichiarato illegittima la sottoposizione del personale sanitario a turni eccessivi di reperibilità perché essi provocano non solo effetti negativi sulla loro salute fisica e psicologica ma anche, venendo meno il riposo per l’adeguato recupero ed il tempo di vita, un danno morale ed esistenziale. Questo orientamento ribadisce, quindi, la centralità del rispetto delle condizioni di lavoro previste dal contratto e rimarca che il principio di buona fede nelle reazioni lavorative non deve essere violato. Da ultimo i Giudici della Suprema Corte hanno sentenziato in data 23 aprile 2025, ordinanza n. 10648, stabilendo che i turni di reperibilità notturna con obbligo di permanenza sul luogo di lavoro devono essere considerati “orario di lavoro” e retribuiti adeguatamente. Questo significa che anche se l’infermiere non effettua alcun intervento, la sua permanenza sul luogo di lavoro durante la reperibilità notturna deve essere retribuita. La Cassazione ha ribadito, così, che la reperibilità notturna, con obbligo di permanenza, non è solo un’attesa, ma costituisce un’attività lavorativa che deve essere retribuita adeguatamente. La sentenza ha quindi introdotto un principio fondamentale per i diritti dei lavoratori, stabilendo che la reperibilità notturna, se comporta l’obbligo di permanenza sul luogo di lavoro, deve essere considerata parte dell’orario di lavoro.  In sintesi, la sentenza ha chiarito che la reperibilità notturna con obbligo di permanenza deve essere retribuita, anche in assenza di interventi, e che la permanenza sul luogo di lavoro durante la reperibilità notturna costituisce un’attività lavorativa da retribuire. Naturalmente, la sentenza si riferisce a casi specifici in cui il lavoratore è obbligato a rimanere sul luogo di lavoro durante la reperibilità notturna, anche se non effettua interventi e ha valore di principio per tutti i lavoratori, non solo per gli infermieri. La Cassazione accoglie i motivi del ricorso proposto dal lavoratore in base alla corretta interpretazione delle nozioni di orario di lavoro e periodi di riposo che sono in rapporto di totale dicotomia. Nozioni da interpretare alla luce delle norme comunitarie e della giurisprudenza della Corte Ue da cui emerge che i periodi di reperibilità, anche senza permanenza sul luogo di lavoro, devono essere qualificati come “orario di lavoro”, a maggior ragione, se il lavoratore è obbligato alla presenza fisica sul luogo indicato dal datore di lavoro, manifestando una sostanziale disponibilità nei confronti di quest’ultimo, al fine di intervenire immediatamente in caso di necessità. Ciò impone un’adeguata indennizzazione per il tempo sottratto alla vita sociale e familiare anche se non giustifica la piena retribuzione per gli straordinari. Certamente non è pensabile l’eliminazione dei turni di notte ma è auspicabile un loro attento utilizzo limitandolo, ad esempio, a non più di due turni a settimana.

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