COMUNICATO 21 LUGLIO 2025
La Corte costituzionale con la sentenza numero 114 del 2025 pubblicata oggi ha dichiarato incostituzionale l’articolo 5, comma 2, secondo periodo, del decreto-legge numero 73 del 2024. Questa norma dava ai ministri della Salute e dell’Economia la competenza di approvare i piani triennali di fabbisogno del personale sanitario di ogni regione. Secondo la Consulta, “questo tipo di intervento statale entra in conflitto con le competenze legislative concorrenti sulla tutela della salute e quelle regionali in materia organizzativa”. La Consulta, dunque, ha bocciato alcune norme del decreto-legge numero 73 del 2024 che attribuivano al governo centrale il potere di approvare e verificare i piani di fabbisogno del personale sanitario delle Regioni. Il pronunciamento odierno finisce per riguardare soprattutto i rapporti tra lo Stato e le regioni nella gestione delle risorse umane del Servizio sanitario nazionale. Ed invero, l’articolo 5, comma 2, secondo periodo, del decreto-legge 73 del 2024, concerne i piani triennali per il fabbisogno di personale nelle strutture sanitarie, sia pubbliche che accreditate. Questo periodo del comma specifica che i piani devono essere aggiornati annualmente e devono tenere conto delle esigenze specifiche di ciascuna struttura, in coerenza con gli obiettivi di salute pubblica definiti a livello regionale. I piani triennali sono, infatti, strumenti fondamentali con cui ciascuna Regione programma il personale necessario per garantire il regolare svolgimento dei servizi sanitari. Questi piani devono tenere conto sia delle risorse finanziarie disponibili sia dei vincoli di finanza pubblica imposti dallo Stato. Il controllo statale, in questo caso, “lederebbe l’autonomia delle Regioni nella gestione del proprio sistema sanitario, relegando a un ruolo marginale le scelte territoriali”. Inoltre, i piani devono prevedere una programmazione dettagliata delle assunzioni, tenendo conto della sostenibilità finanziaria e della valorizzazione del personale esistente. Effettivamente tale metodologia ha rischiato di rivelarsi priva di reale
efficacia, atteso che la norma prevede che la sua adozione avvenga comunque “in coerenza con i valori di cui al comma 1” dello stesso articolo 5”, vale a dire nell’ambito degli attuali tetti di spesa per il personale. Peraltro, trattandosi di una misura organizzativa in attuazione di una metodologia
ministeriale, la prevista approvazione da parte del Ministero della Salute è apparsa, sin da subito, invasiva delle competenze regionali. Il centro della questione riguarda, dunque, le misure compensative con cui le Regioni vogliono finanziare eventuali aumenti di spesa. Secondo la Consulta, “sottoporre queste scelte a una verifica esterna significa interferire su decisioni organizzative tipiche degli enti regionali”. La riallocazione delle risorse nel bilancio regionale consente una valutazione complessa, che tiene conto delle scelte prioritarie per l’intero territorio regionale. La Corte ha messo in evidenza come la metodologia segua dati forniti direttamente dalle Regioni. Per questo motivo, non può causare un aggravio dei divari socio-economici tra territori né violare il diritto alla salute. Non incide neanche sull’autonomia legislativa delle singole regioni che restano titolari delle scelte organizzative specifiche. Questa distinzione tra linee guida generali e interventi autorizzativi diretti ha segnato il confine tra ciò che può esser regolato dal livello centrale e ciò che rimane di competenza delle Regioni nell’ambito della gestione sanitaria. La sentenza conferma quindi un bilanciamento rispettoso delle prerogative costituzionali.