Cartella clinica incompleta fa scattare la presunzione del nesso causale con presunta colpa medica

Con la sentenza del 09/05/2025 n. 17647 i Giudici della Suprema Corte hanno affermato che “la cartella clinica redatta da un medico di un ospedale pubblico produce effetti incidenti su situazioni giuridiche soggettive di rilevanza pubblicistica e documenta, altresì, le attività compiute dal pubblico ufficiale che ne assume la paternità. Trattasi di atto pubblico che esplica la funzione di diario del decorso della malattia e di altri eventi clinici rilevanti, sicché i fatti devono esservi annotati contestualmente al loro verificarsi. Ne deriva che le attestazioni rese dal pubblico ufficiale mediante annotazione su cartella clinica, e sui documenti che vi accedono, quali il diario clinico e la scheda di dimissioni ospedaliere, debbono rispondere ai criteri di veridicità del contenuto rappresentativo, nonché di completezza delle informazioni, di immediatezza della redazione rispetto all’atto medico descritto e di continuità delle annotazioni, in quanto finalizzate ad asseverare, con fede privilegiata, non solo la verbalizzazione dell’atto medico, ma anche la successione cronologica degli interventi, delle diagnosi, della prognosi e delle prescrizioni. La descrizione dell’intervento contenuta nella cartella clinica deve dunque essere completa, oltre che veritiera, non potendo essere tale onere assolto attraverso l’implicito rinvio ad altri atti”. L’analisi di quanto affermato plasticamente dalla Suprema Corte è l’occasione per sottolineare che non si può tacere o far finta di non conoscere che vi sia una frattura tra diritto, giurisprudenza e ciò che si realizza nelle corsie degli ospedali: ormai è un dato di fatto. Non ci si riferisce a mancanze riguardanti la prestazione professionale, con tutte le possibili conseguenze dannose ma quelle che riguardano la redazione della cartella clinica ovvero al come, cosa e quando scrivono riguardo alla loro attività clinico-terapeutica i medici e i sanitari in genere. La Corte di cassazione ha, dunque, messo in evidenza un principio fondamentale nelle cause di malpractice sanitaria: la carenza parziale o totale della documentazione sanitaria non può essere valutata a sfavore del paziente e, in particolare, può portare il giudice a ritenere provata la responsabilità del medico. In diverse pronunce ha, di fatto, chiarito che la carenza della documentazione sanitaria non può essere in alcun modo sopperita da fonti di altro genere né può mai essere valutata a sfavore del danneggiato, ed anzi può (deve) essere utilizzata dal giudice per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido legame causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente e, quindi, della responsabilità sanitaria. Inoltre, è stato precisato che risulta fondamentale da parte del medico, la corretta tenuta della cartella clinica, in modo completo e non lacunoso, al fine di evitare la presunzione del nesso causale in suo sfavore, in un eventuale giudizio promosso dal paziente nei suoi confronti e teso a ottenere il risarcimento del danno dallo stesso lamentato. Non è inoltre possibile modificare ex post il contenuto della cartella clinica, senza commettere il reato di falso materiale in atto pubblico. Il massimo consesso civile ha, in più occasioni, ricordato che una cartella clinica incompleta fa scattare la prova presuntiva del nesso causale a sfavore del medico, qualora la condotta dello stesso sia astrattamente idonea a cagionare quanto lamentato. Ciò in quanto, per il principio di “prossimità alla prova” (ossia l’effettiva possibilità, per l’una o l’altra parte, di offrirla), una cartella clinica lacunosa non può gravare su chi ha diritto alla prestazione sanitaria, costituendo obbligo del sanitario tenerla in modo adeguato. Sulla base di quanto statuito dalla Cassazione si deduce, quindi, l’onere in capo alla struttura sanitaria di tenere una documentazione sanitaria completa ed esaustiva per ciascun paziente ed in ogni circostanza, più o meno emergenziale. Ciò in quanto, una carenza documentale dovrà essere valutata dal giudice a favore del paziente e potrebbe esporre la struttura all’obbligo di risarcimento dei danni, anche quando l’operato sia stato corretto ed esente da censure.

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