COMUNICATO 22 SETTEMBRE 2025
Il ministero della Salute Orazio Schillaci ha inviato una nuova lettera alla Conferenza delle Regioni, l’organo di rappresentanza delle Regioni nelle trattative col Governo, per richiamarle in merito alla gestione della lunga attesa per esami e visite in ospedali e ambulatori. Schillaci aveva già inviato un reclamo lo scorso mese di ottobre ma da allora i tempi si sono ulteriormente allungati, al punto che lo stesso Ministro ha parlato di «troppe situazioni indegne». Dalle recenti ispezioni dei carabinieri per la tutela della salute (NAS), ha scritto Schillaci, sono emerse gravi irregolarità nel 27 per cento delle strutture sanitarie. Il Ministro ha, in tal modo, sollevato una serie di problemi strutturali che riguardano l’organizzazione delle liste, accusando le regioni di «pratiche opache che ostacolano l’accesso alle cure». È previsto, infatti, che il dottore di famiglia o lo specialista indichino il codice di priorità sulla ricetta: se urgente, il sistema sanitario nazionale deve garantire la prestazione in 72 ore (codice U); se c’è il codice B «breve» entro 10 giorni; se è differibile (codice D) entro 30 giorni per una visita, e 60 per un esame; entro 120 giorni se si tratta di prestazioni programmate (codice P). Tuttavia, in molti casi questi tempi non vengono rispettati. L’espediente utilizzato più noto è il cosiddetto blocco o chiusura delle agende. Significa che i portali di prenotazione o i call center non mettono a disposizione nessun appuntamento, sia online che telefonici, non mostrano alcuna disponibilità, nemmeno a distanza di mesi o anni. Semplicemente chi prova a prenotare non trova nessun posto. Nonostante sia una pratica piuttosto diffusa, è vietata dalla legge: le strutture sanitarie pubbliche devono sempre avere a disposizione appuntamenti, anche a costo di rivolgersi a strutture private convenzionate a cui commissionare la prestazione che non si riesce a garantire. La chiusura delle agende dipende in parte dalla carenza di personale e dalla scarsa organizzazione interna, da medici che rifiutano di rendere disponibili le proprie agende di lavoro al sistema di prenotazione unificato, come ha evidenziato il Ministro Schillaci nella sua lettera di richiamo, ma anche da dirigenti che non fanno abbastanza controlli. Un altro espediente consiste nel chiedere alla persona che sta chiamando di richiamare nelle settimane successive per controllare se nel frattempo si sono liberati posti. In questo modo l’attesa registrata dai dati inizia ufficialmente quando viene fissato l’appuntamento, e non dal momento della prima chiamata. Questo sposta in avanti anche la data ufficiale di inizio attesa, falsando i dati. In molte Regioni diversi ospedali fanno la stessa cosa con le persone che si presentano agli sportelli: gli operatori dicono che non ci sono appuntamenti e invitano i pazienti a tornare. I tempi di attesa risultano così inferiori. La stessa dinamica avviene spesso anche agli sportelli fisici, dove gli operatori dicono che non ci sono posti disponibili e invitano a tornare. Alcuni pazienti devono aspettare mesi, talvolta oltre un anno. Tale prassi crea anche difficoltà nel raccogliere dati reali. Avere dati affidabili è importante anche perché sulla base di quei dati il Ministero può accorgersi dei problemi e nel caso intervenire. A metà giugno, dopo mesi di litigi, il Governo e le Regioni hanno raggiunto un accordo sulla gestione delle liste d’attesa e in particolare sui cosiddetti poteri sostitutivi, una sorta di commissariamento che il Ministero della Salute vuole imporre alle Regioni quando queste vengono ritenute inadempienti.