a cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro
Una recente ed importante pronuncia della Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge n. 40/2004 nella parte in cui non prevede che il bimbo nato in Italia da donna che abbia fatto ricorso anche all’estero a tecniche relative alla procreazione assistita consegue lo stato di figlio anche dalla donna che ha espresso il consenso al ricorso alle tecniche ma abbia dato il consenso. In sostanza il nato è figlio della coppia, sia della madre biologica che di quella, cosiddetta intenzionale. Dunque, contrariamente a quanto era stato stabilito nella legge (sentenza n. 68/2025).
Il principio elaborato trova il suo fondamento nello stabilire con esattezza i diritti del figlio nei confronti di entrambi i genitori, indipendentemente dal loro genere. Ciò è conforme tanto al principio di uguaglianza ai sensi dell’art. 3 della Costituzione, quanto ai diritti sanciti nell’art. 30 della medesima.
La Corte Costituzionale ritiene che il minore non sarebbe garantito se non ottenesse fin dalla nascita lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che ha prestato il consenso alla pratica fecondativa all’estero insieme alla madre biologica, perché verrebbero violati due dei principi cardine della Costituzione e cioè: l’articolo 2 della, per la lesione dell’identità personale del nato e del suo diritto a vedersi riconosciuto sin dalla nascita uno stato giuridico certo e stabile; l’articolo 3, per la irragionevolezza dell’attuale disciplina che non trova giustificazione in assenza di un interesse contrario di pari rango costituzionale; l’articolo 30, perché sarebbero lesi i diritti del minore e i diritti connessi alla responsabilità genitoriale e ai conseguenti obblighi nei confronti dei figli.
Infatti dalla nascita di un figlio la responsabilità e l’impegno comune di una coppia deve essere assunta fin dal momento in cui si vuole ricorrere alla procreazione assistita. Questo impegno non può essere disatteso da nessuno dei due genitori, in quanto anche la madre intenzionale non può più sottrarsi alle sue responsabilità. Diversamente verrebbe leso il diritto del minore all’identità personale e pregiudicato il “diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni”.
Nella sentenza n. 29, invece, la Consulta ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale che erano state sollevate sull’articolo 5 della legge numero 40 del 2004, nella parte in cui non consente alla donna singola di accedere alla PMA. Le riflessioni sono legate a principi di natura bioetica, rimettendo la questione sostanzialmente a scelte del legislatore. A parere della Corte Costituzionale, nell’attuale assetto normativo, non consentire alla donna di accedere da sola alla PMA rinviene tuttora una giustificazione nel principio di precauzione a tutela dei futuri nati.
Dunque sì alla bigenitorialità di coppie di donne, no, attualmente alla monogenitorialità nel riconoscimento del nato in Italia da procreazione assistita, anche all’estero.