COMUNICATO 16 GIUGNO 2025
La sentenza n. 15076/2025 della Corte di Cassazione, IV Sezione penale, affronta un caso emblematico che pone l’attenzione sul ruolo cruciale dell’infermiere nell’ambito del triage ospedaliero e sulla responsabilità professionale connessa alla valutazione delle condizioni dei pazienti in pronto soccorso.
La vicenda riguarda il decesso di una paziente affetta da asma, che si era recata al pronto soccorso manifestando una crisi respiratoria. L’infermiere preposto all’accoglienza, dopo una prima rilevazione dei parametri vitali che risultavano nella norma, aveva attribuito alla paziente un codice verde, indicativo di una condizione non urgente e compatibile con tempi di attesa dilazionati.
Tuttavia, nonostante i sintomi riferiti dalla paziente e manifesti anche a livello clinico (come la respirazione difficoltosa e i sibili, la difficoltà di deambulazione), l’infermiere non aveva provveduto a un monitoraggio continuo della paziente né aveva quindi rilevato i segnali di aggravamento delle condizioni della stessa, omettendo di informare tempestivamente il medico.
Questo ritardo risultava poi fatale, avendo impedito un intervento medico salvavita, portando al decesso della paziente per arresto cardiaco.
La Suprema Corte, nell’esaminare il caso, ha sottolineato come l’infermiere, pur non essendo chiamato a formulare diagnosi mediche, rivesta una funzione attiva e determinante nel processo di triage.
La sua responsabilità, infatti, non si esaurisce nella semplice registrazione dei dati anagrafici e nella misurazione dei parametri vitali del paziente al momento dell’ingresso, ma include l’ascolto attento delle dichiarazioni del paziente, dei familiari o dei soccorritori, e soprattutto il monitoraggio dinamico dell’evoluzione clinica del paziente in attesa di visita medica.
Fondamentale nella valutazione del caso è stata l’analisi delle Linee guida nazionali sul triage approvate dalla Conferenza Stato-Regioni il 25 ottobre 2021. Queste stabiliscono che il triage non sia un mero atto formale, ma un processo clinico strutturato e continuo, da affidare a infermieri esperti e formati, in grado di riconoscere segni e sintomi potenzialmente critici che, ove rilevati, consentano di agire tempestivamente per garantire la sicurezza del paziente.
Nel caso specifico, la Corte ha riconosciuto la sussistenza di una colpa grave da parte dell’infermiere per non aver osservato il dovere di vigilanza e aggiornamento continuo dello stato della paziente, seppur inizialmente classificata con un codice verde.
Tale condotta, secondo la Suprema Corte, ha comportato la violazione di una “posizione di garanzia” che l’infermiere ha nei confronti del paziente, in quanto figura sanitaria incaricata di garantire una prima e corretta valutazione delle urgenze cliniche.
Se l’infermiere avesse mantenuto una sorveglianza attiva e tempestiva, avrebbe potuto segnalare al medico di turno il peggioramento delle condizioni della paziente e attivare quindi l’intervento medico in tempo utile per poterle salvare la vita.
La Suprema Corte ha quindi precisato al riguardo come “l’infermiere è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, gravando sullo stesso un obbligo di assistenza effettiva e continuativa del soggetto ricoverato, atta a fornire tempestivamente al medico di guardia un quadro preciso delle condizioni cliniche ed orientarlo verso le più adeguate scelte terapeutiche. II dovere di monitorare la stabilità delle condizioni dei pazienti presenti rientra, pertanto, tra gli obblighi specifici del personale infermieristico di pronto soccorso, il quale, nel caso in cui si verifichino particolari situazioni di emergenza, idonee a pregiudicare la salvaguardia del bene tutelato, ha l’obbligo di allertare i sanitari in servizio, anche in altri reparti dell’ospedale, al fine di consentirne l’intervento in supporto”.
La Suprema Corte ha quindi confermato la condanna dell’infermiere per il reato di omicidio colposo, sancendo così un principio importante in materia di responsabilità professionale infermieristica.
In particolare, la Corte ha ribadito al riguardo come l’infermiere non possa essere considerato un semplice esecutore di protocolli o un operatore tecnico privo di discrezionalità: al contrario, deve esercitare una valutazione clinica attiva e integrata nel contesto operativo, capace di fare la differenza tra la vita e la morte in situazioni critiche.
Questa pronuncia rappresenta un precedente di estrema importanza nella giurisprudenza in tema di triage, riaffermando il valore della formazione, della responsabilità e della vigilanza continua da parte del personale infermieristico, che opera in prima linea nella gestione delle emergenze e nella tutela della salute dei cittadini.