a cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro
Come è noto l’art. 8 del decreto legislativo 231/2001 prevede che la responsabilità dell’ente sussiste anche quando l’autore del reato presupposto non sia stato identificato o non sia imputabile e oltremodo sussiste se il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia. Dunque, in caso di prescrizione del reato presupposto, la persona giuridica coinvolta non è indenne da responsabilità, ma continua il suo percorso processuale.
Recentemente la Suprema Corte di Cassazione si è espressa in merito a questioni di fondamentale importanza sul tema della responsabilità amministrativa dell’ente con la sentenza della sesta sezione n. 14343/2025.
Ciò che importa estrapolare è il principio tanto di diritto sostanziale, quanto di diritto processuale che ne scaturisce, in quanto nel merito il caso riguarda i reati presupposto di truffa e inadempimento per pubbliche forniture, previsti e puniti, rispettivamente, dagli articoli 640 e 355 del codice penale, contestati, in questo caso, al direttore tecnico di una società operante nel settore del dragaggio, per aver fornito materiali non conformi a quanto previsto dal capitolato di appalto per la costruzione di un porto.
I reati erano stati dichiarati prescritti con sentenza di primo grado, mentre la società era stata ritenuta responsabile, ai sensi dell’art. 24 del decreto legislativo 231/2001 per la semplice osservazione che gli stessi erano stati commessi nel suo interesse e vantaggio.
Sia imputato che società ricorrevano in cassazione e la Suprema Corte ha ritenuto infondata l’impugnazione dell’imputato, in quanto non vi erano elementi da cui poter dedurre, nello stato e grado in cui si trovava il processo, motivazioni di assoluzione; di contro ha accolto il ricorso della società.
Va ricordato che l’ente in discussione seguiva l’appalto in associazione temporanea di impresa con altre società non coinvolte nel processo.
L’aspetto relativo all’ATI va sottolineato perché non si tratta di appalto con unica società esecutrice e dunque l’elaborazione del principio estrapolato dalla pronuncia della Corte di Cassazione è molto interessante in quanto apre a scenari nei quali è sempre più importante la dimostrazione della responsabilità dell’ente, persona giuridica, trattato alla stregua dell’imputato persona fisica.
Se il reato è dichiarato estinto per intervenuta prescrizione è norma che l’ente continui il suo percorso in quanto l’art. 8 del Dlgs 231/2001 lo prevede espressamente, ma non è scontato che sia da considerarsi responsabile telle quelle, o per effetto di innaturali automatismi, in quanto anche questa eventuale responsabilità deve essere provata, accertata con tutto il rispetto delle garanzie processuali, alla stregua di quelle assicurate all’imputato, applicando i criteri previsti dall’art. 533 del codice di procedura penale che superino la soglia del ragionevole dubbio.
Inoltre la sentenza è di rilevante interesse poiché elabora il principio che anche nell’ambito di uno stesso gruppo societario, o, come nel caso in esame, in associazione temporanea di imprese, l’eventuale interesse e/o vantaggio conseguito dalla società deve essere accertato e non legittima la condanna della società senza la ricostruzione del fatto e la verifica della sussistenza del reato presupposto, seppur dichiarato prescritto.
Una volta accertata la responsabilità, la medesima non si trasferisce, “per osmosi”, alle altre società dello stesso gruppo o in associazione temporanea, ma rimane circoscritta a chi ha conseguito il vantaggio o avuto interesse, se provato.