COMUNICATO 04 GIUGNO 2025
La Corte di Cassazione, con la sua recente ordinanza 13747 del 22 maggio 2025, ha ribadito un principio fondamentale in virtù del quale la comunicazione tempestiva dell’assenza per malattia rientra tra gli obblighi del lavoratore, e la sua violazione, minando il vincolo fiduciario su cui si basa il rapporto di lavoro, può legittimare il licenziamento. La Cassazione ha, dunque, sottolineato che rientra tra gli obblighi di correttezza e diligenza del prestatore di lavoro anche quello di comunicare tempestivamente al datore di lavoro qualsiasi impedimento che renda necessaria l’assenza dal servizio. Questo dovere non è una mera formalità, ma risponde a una precisa esigenza organizzativa dell’azienda. La mancata comunicazione dell’assenza, anche se in astratto dovuta a motivi legittimi (come una malattia effettiva), è idonea ad arrecare al datore di lavoro un pregiudizio organizzativo. L’azienda, infatti, fa legittimo affidamento sulla ripresa della prestazione lavorativa e, in assenza di comunicazioni, non può riorganizzare il lavoro, assegnare compiti o sostituire il personale in modo efficiente. Questo pregiudizio, derivante dalla rottura dell’affidamento, può, pertanto, giustificare il licenziamento. Il caso concreto preso in esame dai Giudici riguarda una donna che per motivi di salute era stata improvvisamente assente dal lavoro per cinque giorni, avvisando il datore con certificato medico in evidente ritardo. L’azienda decise così di infliggergli il licenziamento per giusta causa per il venir meno della fiducia. La dipendente, ritenendo di essere nel giusto e di non dover subire la massima sanzione disciplinare per una mera dimenticanza o distrazione, si rivolgeva alla magistratura per invalidare il recesso unilaterale e ottenere un congruo ristoro. Non essendo risultati favorevoli alla lavoratrice gli esiti dei primi due gradi di giudizio, avendo, sia il tribunale che la corte d’appello, valutato fondate le prove offerte dall’azienda per confermare la la prolungata assenza ingiustificata, aggravata dalla mancata comunicazione, la stessa ricorreva ai Giudici di legittimità. Quello che è maggiormente interessante della pronuncia del 22 maggio non è tanto l’esito stesso della controversia, che era già stato “prefigurato” nei precedenti gradi di giudizio, ma le precisazioni offerte dai giudici della Suprema Corte sull’onere della prova in tema di obblighi di comportamento e conseguenze disciplinari delle violazioni. In sostanza, per la Corte se la giusta causa del licenziamento è da rintracciarsi “nell’assenza ingiustificata”, all’azienda è sufficiente dimostrare l’effettività dell’assenza, ossia che il lavoratore o la lavoratrice non sia andata in ufficio per un certo numero di giorni e senza far sapere nulla. Il datore di lavoro può produrre in tribunale i registri di presenza elettronici o cartacei (badge, timbrature, software di rilevazione presenze) che dimostrano l’assenza del dipendente nei giorni contestati. In sostanza, l’assenza di timbrature o la mancata registrazione in entrata e in uscita sono certamente prove documentali valide. Dunque, la Corte di Cassazione ha sancito che il lavoratore che risulta essere assente per malattia deve comunicare al proprio datore di lavoro le motivazioni che giustificano tale assenza, poiché trattasi di obbligo previsto dal CCNL, la cui inosservanza può comportare il licenziamento. Tale conseguenza può essere evitata laddove il dipendente si faccia carico della prova dell’impossibilità di inviare comunicazione tempestiva, ad esempio per ricovero urgente dovuto alla malattia o altra causa ostativa legata alla malattia (ma non necessariamente) che risulti del tutto indipendente dalla volontà o dalle possibilità del lavoratore. Naturalmente, qualora il comportamento sotto giudizio (comunicazione tardiva della propria assenza e tardiva trasmissione del certificato medico di malattia) si presenti in modo reiterato, diventa senza dubbio più difficile provare la propria innocenza, lasciando presumere un dolo.