a cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro
Le linee guida della responsabilità medica, come è noto, rappresentano un insieme di raccomandazioni pratiche, condivise da medici e comunità scientifica, in grado di fornire una direzione all’operato in ambito sanitario. Sono uno strumento utile nel supportare decisioni e nel valutare il rapporto rischio-beneficio di interventi che nel caso specifico comportano per natura conseguenze, lievi o importanti, sulla salute e sulla vita del paziente.
Le variabili, le possibili complicanze e la delicatezza di alcune scelte sono incluse nelle linee guida, poiché devono essere un punto di riferimento per il medico e rappresentare indicazioni alle quali attenersi, senza che esista un obbligo assoluto di applicazione. Il fine ultimo è sempre la salute e la salvezza del paziente, pertanto, è possibile discostarsi dalle linee guida, quando il caso concreto lo giustifichi e lo richieda.
Per questo motivo le linee guida non sono da considerare un mezzo difensivo per deresponsabilizzare il medico che abbia commesso un errore.
La legge Balduzzi (n.189/2012), poi superata dalla legge Gelli Bianco (n. 24/2017), conteneva una serie di disposizioni volte a riformare il sistema sanitario sotto vari aspetti, inclusa la gestione dei casi di medicina difensiva. L’articolo 3 della legge Balduzzi regolamentava il concetto di responsabilità professionale, stabilendo che, nei casi di colpa lieve, il sanitario che si fosse attenuto alle linee guida non sarebbe stato tenuto a rispondere penalmente. Già in quel contesto normativo le linee guida assumevano un certo rilievo, pur mancando, la possibilità di stabilire quali linee guida rispondessero a criteri e requisiti tali da rivestire un ruolo in questo senso.
La legge Gelli-Bianco interviene su questo punto all’articolo 5, stabilendo che gli esercenti professioni sanitarie debbano attenersi “salve le specificità del caso concreto” a linee guida “elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute … e da aggiornare con cadenza biennale.”
Venendo a recenti statuizioni della giurisprudenza di legittimità la Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n. 40316/2024 ha affrontato il tema della responsabilità medica sulla base del delicato equilibrio tra il rispetto delle linee guida, adozione delle buone prassi e la necessità di adeguare l’operato sanitario alle peculiarità del caso concreto.
La decisione della Corte, che ha confermato la condanna di un medico per colpa grave, fornisce indicazioni determinanti per comprendere come le direttive cliniche debbano essere integrate con un’attenta valutazione dei rischi specifici, offrendo spunti di riflessione preziosi per giuristi e operatori sanitari.
La sentenza chiarisce con precisione il complesso rapporto tra linee guida, buone prassi mediche e responsabilità del medico nei casi caratterizzati da condizioni di rischio specifiche, sottolineando che, pur essendo strumenti fondamentali per orientare l’attività clinica, le linee guida non hanno carattere vincolante. Il medico deve valutarne l’adeguatezza rispetto alle peculiarità del caso concreto, assumendo un ruolo attivo e responsabile.
In situazioni in cui le linee guida si rivelano inadeguate rispetto al rischio, è indispensabile che il medico si riferisca alle buone prassi mediche, adottando comportamenti più cautelativi. Le buone prassi, infatti, integrano e superano le linee guida quando le condizioni cliniche del paziente richiedono misure più rigorose per prevenire complicazioni.
Restando alla sola analisi di questo punto della sentenza e non al caso in concreto: le linee guida del 2012 non prevedevano esplicitamente il monitoraggio cardiotocografico continuo, nelle condizioni della gestante (paziente già sottoposta a due cesarei e affetta da algie pelviche); tuttavia, la Corte ha stabilito che tali direttive erano inadeguate rispetto al rischio concreto, rendendo necessario un intervento più cauto basato sulle buone prassi cliniche.
La sentenza, dunque, evidenzia un tema centrale nella responsabilità medica: l’importanza di un approccio personalizzato che vada oltre il semplice rispetto formale delle linee guida. Sebbene, queste, debbano rappresentare un riferimento fondamentale, secondo la Corte di Cassazione, il medico ha il dovere di discostarsene quando le condizioni cliniche del paziente lo richiedano, adattando il proprio operato, la propria competenza, esperienza, diligenza alle specificità del caso.