COMUNICATO 30 GENNAIO 2025
La Toscana avrebbe potuto essere la prima Regione italiana a legiferare sul suicidio assistito, ma, dopo il via libera, il 22 gennaio, in Commissione della proposta di legge d’iniziativa popolare depositata dall’associazione Luca Coscioni (“Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito”) alcuni consiglieri hanno chiesto più tempo per confrontarsi.
In assenza, ancora oggi, di una disciplina nazionale, dopo anni dalla sentenza della Corte Costituzionale del 2019, cui sono conseguite modifiche al sistema penale, partite proprio dal caso “Cappato”, di fatto si tratterebbe del primo provvedimento in Italia nel quale si contempla l’accesso a una procedura di morte a cura del Servizio sanitario pubblico.
Un passo molto importante quanto contestato, sul quale ci sono forti dubbi di costituzionalità: la vita e la morte di un cittadino è infatti materia della quale dovrebbe occuparsi il Parlamento, anche a seguito delle linee tracciate dalla Corte Costituzionale, e non un Consiglio regionale. Non è pensabile che in Italia, ma in una nazione in generale, si possano creare su questo tema, così scottante, dibattuto quanto importante, scenari variegati da regione a regione, in palese contrasto con la certezza del diritto sui fondamenti dell’ordinamento giuridico.
Fra le varie osservazioni, al di là delle appartenenze politiche, sussisterebbe un notevole dubbio di costituzionalità della legge che potrebbe, in caso di definitiva approvazione, dare origine all’impugnazione della norma da parte del governo dinanzi alla Corte Costituzionale; inoltre sussiste una riserva ti tipo etico-morale che riguarda l’introduzione della morte come servizio che fa parte della sanità pubblica, un principio, secondo molti che confligge con il diritto alla salute, ai sensi dell’art. 32 della Costituzione, ma soprattutto con il dovere, contenuto nello stesso articolo, di curare tutti in senso universalistico.
In realtà la chiave di lettura, assolutamente non semplice da sciogliere, sta nel fatto che non è fra le priorità del Governo ricominciare un sano e serio dibattito sull’argomento.
Il principio di curare il paziente è un diritto e un dovere sacrosanto, ma bisogna guardare a quei casi di vita-non vita disperati, come quelli che hanno condotto alla deliberazione della Consulta e molte altre decisioni della Corte di Cassazione, che non possono essere lasciati all’arbitrio di un Giudice, ma devono essere ben delineati in una norma nazionale, nello spirito di vivere, se si può, una vita dignitosa, umana e che non sia colpita da verdetti (medici e non) che non lasciano speranza.
Dunque, delimitare il campo, seppur con possibilità di prendere in considerazione i fatti caso per caso, con rigido ricorso alla sanità pubblica, ma possibilità di accesso.
Semmai, fanno notare i critici del disegno di legge, le istituzioni sanitarie regionali dovrebbero impegnarsi ad assicurare l’efficacia e l’universalità delle cure, in assenza delle quali possono nascere le tentazioni suicidarie che ora si vorrebbero assecondare, anteponendo l’aiuto a morire al diritto alla salute.
Sul tema vi è stato un appello, di ispirazione cristiana, alla popolazione cattolica, affinchè la Toscana non promulghi questa legge, ricordando che le regioni non hanno competenza legislativa sul fine vita, ora dovrà attendersi il 10 febbraio per comprendere cosa succederà.
Certo è che una chiarezza nazionale sull’argomento sarebbe auspicabile, in considerazione del fatto che dopo sei anni dalla decisione della Consulta una proposta di legge non è arrivata ad essere discussa in Parlamento.
avv. Maria Antonella Mascaro