Aborto e privacy

a cura dell’avv. Maria Antonella Mascaro

La privacy e il relativo Regolamento Europeo n. 679/2016 regnano sovrani in qualsiasi circostanza, anche la più lontana, che possa far sorgere il semplice sospetto della violazione dei dati personali. Per tale motivo il Garante della privacy sanziona molto frequentemente e duramente coloro che non dovessero rispettare le norme, considerandone l’interpretazione in modo molto restrittivo. A maggior ragione ciò accade quando i dati personali riguardano la salute del cittadino.

A tale proposito la Corte di Cassazione ha preso in considerazione il caso di una paziente ricoverata presso un reparto di ginecologia per un’interruzione di gravidanza.

Il caso

Una donna si è rivolta ad una struttura sanitaria per l’interruzione di gravidanza, lasciando i due recapiti telefonici per le emergenze all’infermiera di turno: un numero mobile facente capo a lei stessa ed un altro al marito; poiché si era allontanata velocemente senza che l’infermiera avesse avuto il tempo di comunicarle la terapia post-operatoria, la medesima aveva contattato il numero presente sul frontespizio della cartella personale, che era in uso al marito e non a lei.

Nel pieno rispetto, almeno apparentemente, delle regole che sovrintendono alla privacy, l’infermiera dell’ospedale si era limitata a riferire chi fosse e di avere necessità di parlare con la signora per una terapia post-operatoria, senza aggiungere altro.

Infatti, nonostante la contestazione del Garante della privacy, il giudice di merito ha ritenuto non integrata la fattispecie relativa alla divulgazione dei dati personali di cui agli artt. art. 5, lett. e) e art. 9 R.E. 679/2016, dal momento che in relazione ai dati personali relativi alla salute, questi devono essere intesi, quali quelli concernenti le informazioni sulla salute fisica e mentale. In effetti, secondo il giudice di primo grado, l’operatrice si era limitata a riferire una notizia talmente generica da non ritenere che potesse essere integrato un illecito, tanto è vero che non era fatta alcuna menzione dell’interruzione di gravidanza.

La Corte di Cassazione

Con la sentenza n. 28417/2023 La I Sezione Civile della Suprema Corte, di contrario avviso al giudice del merito, ha ritenuto che il solo fatto di comunicare l’esigenza di un trattamento sanitario, presagendo l’esistenza di una malattia, seppur latu sensu, è un dato relativo alla salute, dunque viola la privacy del paziente e va sanzionato.

La legge n. 194/1978, secondo quanto asserito e ribadito dal Garante, ha previsto un rigoroso regime di riservatezza a tutela della donna. I dati relativi a questo argomento sono da considerare fra tra quelli soggetti a maggiore tutela dell’anonimato.

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