Sostegno vitale e suicidio assistito 

Si segue sempre con grande interesse la tematica non ancora sciolta, delineata dalla Corte Costituzionale, ma che non ha portato a sostanziali modifiche se non della parte dell’art. 580 del codice penale che riguarda la non punibilità di chi agevola l’altrui suicidio, subordinandolo alla circostanza che l’aiuto sia prestato a una persona “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale”.

Il problema riguarda il fatto che nei disegni di legge all’esame delle Camere del Parlamento non sciolgono il nodo fra coloro che forniscono aiuto a chi, dopo un incidente o altro trauma, è tenuto in vita da un presidio medico coloro che assistono una persona, afflitta da una malattia degenerativa o da un tumore, che non ha presidi medici vitali intesi come macchinari. L’interpretazione restrittiva si scontra oggi con i limiti posti dalla norma penale e la Corte costituzionale dovrà quasi certamente pronunciarsi su questa questione.

Il 9 giugno scorso si sono tenute le prime audizioni in Senato, presso le Commissioni Giustizia e Sanità, riguardanti i disegni di legge sul suicidio medicalmente assistito.

La difficoltà maggiore consiste nel definire il trattamento di sostegno vitale. Il trattamento di sostegno vitale è il requisito più ambiguo previsto dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale che ha legalizzato l’aiuto al suicidio medicalmente assistito per le persone malate a determinate condizioni.

Oggi non esiste definizione, o meglio, una distinzione netta del trattamento di sostegno vitale per chi vive “attaccato ad una macchina” e chi, magari per avanzato stato di degradamento fisico e psichico, dovuto a patologie oncologiche o ad altre patologie degenerative, è allettato e comunque vive in uno stato di oblio o semi-vegetativo.

È fondamentale non fare un elenco dei trattamenti che rispondono a questo requisito, perché non c’è una definizione unanime.

La proposta è quella di considerare l’elemento soggettivo della gravosità, dunque una valutazione caso per caso, stabilendo a monte dei criteri oggettivi.

Quando si parla di proporzionalità dei trattamenti, delle cure in generale, si pesano due elementi: da un lato l’appropriatezza clinica, dall’altra la gravosità degli oneri che racconta il paziente o il suo cargiver.  

In effetti due interpretazioni in senso individuale sono state concesse per i farmaci dati ai due casi nazionali di suicidio assistito, ed in effetti, si trattava di due casi diversi l’uno dall’altro. Dunque si è parlato di sostegno vitale in base alle singole condizioni delle persone malate. Una interpretazione dei requisiti in senso restrittivo avrebbe limitato la loro libertà di scelta.

I disegni di legge all’esame dei Senatori non sciolgono questo nodo. Ma l’aiuto fornito a chi, dopo un incidente o altro trauma, è tenuto in vita da un presidio medico non si differenzia, su un piano costituzionale, dall’aiuto a una persona, afflitta da una malattia degenerativa o da un tumore, che non ha presidi medici vitali intesi come macchinari, dunque dovrà trovarsi una soluzione, in considerazione, anche, del fatto che l’interpretazione della Corte Costituzionale del 2019 è già vetusta e le problematiche sono tante.  Recentemente il Comitato Nazionale per la Bioetica che si è rifatto a un concetto inappropriato di mera ‘sostituzione di organo vitale’. Definizione in contrasto con recenti e numerose sentenze e posizioni di comitati etici ospedalieri.  

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